Capitolo Secondo (II) [R]


La sveglia della sua compagna di stanza aveva trillato durante le prime luci dell'alba, ma non le aveva dato particolarmente fastidio. La notte era stata difficile per Solange. La sua mente non riusciva a non pensare alle parole che aveva sentito dietro quella porta sfregiata. Il terrore le attanagliava lo stomaco e, nonostante questo, aveva bisogno di risposte e anche al più presto. Non aveva fatto un viaggio del genere a vuoto, aveva bisogno di conoscere davvero se stessa e quello era il migliore modo per farlo. Aveva cominciato a fissare il soffitto mentre i pensieri correvano veloci nella sua testa sovrapponendosi e quasi urlando. Le molle del letto sotto il suo emisero un suono fastidioso e capì che la sua coinquilina era in procinto di svegliarsi. Senza muoversi spostò lo sguardo verso il bagno e aspettò che la ragazza si alzasse.

Jillian si era sollevata dal giaciglio con fatica e aveva raggiunto, arrancando, il bagno. Finse di star dormendo quando la ragazza si voltò assonnata verso la sua postazione: non voleva che nessuno le facesse delle domande. Quando riaprì gli occhi la vide sistemarsi attraverso lo specchio del suo armadio. Lunghi capelli rossi, leggermente mossi, le scendevano lungo la schiena fluidamente; la pelle pallida risaltava un paio di labbra rosso fuoco e due occhi verdi come smeraldi; le guance erano tempestate di lentiggini e le davano un'aria ancora più eterea. Somigliava a una delle bambole di porcellana che le sue istitutrici collezionavano all'orfanotrofio. Jillian era alta, una decina di centimetri più di lei, attraente e solare; Solange riusciva a vedere intorno a lei un'aura luminosa. Con i capelli rossi a circondarle il volto delicato sembrava davvero una leonessa e in quel momento ricordò il titolo del libro che aveva scorto la sera prima: che avesse qualcosa a che fare con lei?

La ragazza, quasi in risposta, spostò l'anta dell'armadio e, con dei panni tra le braccia, si chiuse in bagno. Solange si drizzò sulla schiena, puntellando i gomiti sul materasso, e osservò la stanza "dall'alto". I libri erano ancora a terra e c'era un titolo, in particolare, che le piaceva.

Mai fidarsi di un Serpente: la guida per difendersi dai suoi attacchi.

Continuava a non spiegarsi per quale motivo ci fosse una guida sui serpenti, ma durante la notte aveva pensato al fatto che il "Serpente" fosse scritto con la prima lettera in maniera diversa dalle altre e soprattutto in maiuscolo, come anche gli altri nomi di animali, e questo l'aveva confusa ancora di più. Doveva essere qualcosa di particolare, forse aveva a che fare con i tanti segreti che sembravano circondare quella dimora. A tal proposito, guardando quei ragazzi e pensando, come aveva fatto per tutta la notte, aveva dedotto che quella fosse una specie di scuola. Le divise che portavano e i libri che studiavano, sembravano corrispondere a quella descrizione. Era curiosa di vedere una classe dal vivo, lei non ci era mai andata. Alla sua istruzione personale avevano contribuito, in tutti quegli anni, le levatrici e la sua passione per i libri e la lettura. Sapeva ben poco di quello che accadeva nel mondo, tra innovazioni tecnico-scientifiche e economiche. L'unica forma di tecnologia erano un vecchio televisore e la radio che ascoltavano saltuariamente.

Non appena la sua compagna si dileguò, portandosi dietro una manciata di libri, Solange si decise a scendere dal letto. Posò i piedi a terra, stando attenta a non cadere dalla scaletta, e rabbrividì un secondo a contatto con il pavimento freddo. Infilò un paio di calzini che aveva portato dall'orfanotrofio e guardandosi intorno raggiunse il bagno. Al suo interno c'era uno specchio quadrato, grande abbastanza da inquadrarla fino al collo, nonostante la sua statura minuta. I lunghi capelli castani le scendevano come fili d'erba sottili lungo le gote, leggermente arrossate; i suoi occhi marroni erano più spenti del solito, evidenziati da occhiaie scure dovute al poco sonno; le labbra sottili erano leggermente screpolate, segno di un evidente mordicchiare continuo. Era una ragazza piuttosto anonima se messa in confronto alla sua bellissima compagna di stanza. Era minuta sia fisicamente che di statura, non perché non mangiasse, ma il suo metabolismo era sempre stato molto veloce e non aveva mai preso tanti chili. Distolse lo sguardo dalla sua immagine e rivolse la sua attenzione alla collana che indossava. Le sue levatrici le avevano raccontato mille volte la storia.

La sua storia.

Era una notte di fine Settembre, il vento caratteristico di Northlem muoveva le fronde degli alberi provocando rumori particolari.

Evanna, una delle sue levatrici, era rimasta in piedi a vegliare sugli ultimi arrivati: era raro che dei bambini venissero affidati alle loro cure in quella piccola frazione. Aveva sentito due colpi forti al portone, seguiti da alcuni fruscii. Si era precipitata all'entrata e l'aveva trovata avvolta in una coperta, in una culla, sul terreno gelido. L'aveva accolta tra le sue braccia e aveva notato qualcosa scritto sul suo piccolo arto superiore: Solange.

Evanna aveva dedotto potesse essere il suo nome e l'aveva portata all'interno, nel caldo dell'istituto. Una collana con una lacrima azzurra era avvolta tra le coperte insieme a lei. Evanna l'aveva conservata per lei fino a quando non era diventata una giovane donna e aveva potuto indossarla.

Solange si risvegliò dal suo ricordo notando come, solitaria, una lacrima era scesa lungo la sua guancia. L'asciugò con un sorriso e fece una doccia, cambiandosi finalmente. Sotto il getto dell'acqua, per un momento, i pensieri si azzerarono e riuscì a rilassarsi del tutto. Una volta uscita dal bagno, però, si accorse di una cosa: una scatola colma di vestiti giaceva ai piedi del suo letto. Dato che Jillian sembrava avere un intero armadio solo per lei, dedusse fossero i suoi nuovi abiti. Afferrò un paio di jeans e una maglia semplice e li indossò rapidamente, preoccupata che qualcuno potesse vederla. Erano della sua taglia, come se qualcuno la conoscesse già, anche se con il suo fisico sottile non era difficile che le entrasse qualsiasi cosa. Indossò i suoi stivali e raccolse i capelli in una coda alta. Il bagno era pieno di trucchi e creme per il viso, la sua inquilina doveva essere leggermente fissata con tutta quella roba, anche se era convinta che non le servissero a molto, visto la sua bellezza naturale. Nascose la collana sotto la maglia e uscì dalla camera, andando in avanscoperta.

Nessuno le aveva spiegato perché era lì o cosa avrebbe dovuto fare, quindi si era detta che nessuno poteva impedirle di uscire dalla stanza. Cominciando ad avanzare si accorse che i corridoi erano quasi del tutto vuoti, solo alcuni uomini con indosso una divisa scura camminavano lungo il perimetro. Da lontano avvistò la porta ricamata in rosso della mattina precedente, ma stavolta due uomini ne sbarravano la strada e delle espressioni contrite aleggiavano sui loro volti, quasi provassero dolore nel compiere quei gesti. Decise di lasciar perdere quella direzione e cambiò via avanzando e osservando intorno a sé. Erano corridoi piuttosto anonimi e scarni e l'unica punta di colore era un tappeto rosso che ricopriva il pavimento. Avanzò trovandosi davanti a un bivio, poteva scegliere se uscire nel cortile dell'istituto oppure proseguire lungo il corridoio che sembrava essere infinito. A risolvere il suo dilemma ci pensò la chioma rossa e familiare di Jillian.

- Solange! Sono sorpresa di trovarti qui, pensavo dormissi ancora.

Solange sorrise appena. Voleva continuare il suo tour, ma la ragazza non sembrava intenzionata a lasciarla andare - Vieni con me, ti faccio vedere un po' il castello.

Solange pensò che "castello" fosse uno strano modo per definire una scuola, o un istituto. Jillian prese a camminare lungo il vasto cortile erboso e a utilizzare molto le braccia, dimostrando ciò che stava dicendo. Cominciò a blaterare cose che le sembravano astratte e con poco senso; non riusciva a capire esattamente quello che volesse dimostrarle, ma Jill sembrava essere una chiacchierona e forse, con l'aiuto della sua curiosità, poteva darle informazioni senza volerlo.

- Allora, questo castello è stato fondato nel 1876 dai conti Dufort e Albergue, entrambi grandi maestri di alchimia. All'inizio era nato per essere un centro di ricerche, con tutti quegli intrugli particolari e quelle robe chimiche. Poi i discendenti dei conti decisero di chiudere il centro ed edificare una scuola rendendola accessibile a tutti coloro che avevano capacità particolari. Così nacquero le varie "Dinastie" e i loro precursori sono soggetti "particolari".

La ragazza tacque per alcuni secondi e mimò con le mani il gesto delle virgolette con un sorriso strambo. Solange non colse l'allusione, ma si bloccò, durante la passeggiata, facendo fermare anche Jillian. Un punto del suo sproloquio l'aveva colpita in particolare.

- Cosa sono le Dinastie?

Jillian apparve sorpresa, ma riprese ad avanzare e parlare. - Le Dinastie sono delle casate istituite da vari fondatori. Io faccio parte della "Dinastia del Leone", un'antica casata con a capo Helen Beufort, una dei primi leoni. La mia Dinastia ha la caratteristica del coraggio, della forza, della bellezza. Ognuno dei suoi membri ha un compito specifico nel salvaguardare le bellezze dei nostri fondatori. Poi ci sono le Dinastie dell'Aquila, del Delfino e del Serpente, diffida da questi ultimi sono ingannatori e infimi. Tu di quale fai parte? Di una sotto casata? Quali caratteristiche hai?

Solange si trovò interdetta, tutta questa storia delle casate o dinastie, tutti quegli animali. Non trovava il minimo senso, sembravano cose mai esistite. E poi di nuovo quella storia dei serpenti infimi, davvero non capiva. Tentò una risposta azzardata, sperando in un aiuto da parte della sua coinquilina.

- Io... Io non credo di far parte di nessuna casata. Non ho caratteristiche, sono sola.

In quel momento Solange notò un particolare: Jillian impallidì. Da quella reazione la giovane orfana capì che c'entrava sicuramente la sua risposta. Infatti l'altra proseguì frettolosamente. - Non credevo fossi una SenzaTerra. Mi dispiace, non avrei dovuto parlare. Scusa.

Prima che Solange potesse fermarla e chiederle spiegazioni, Jill si volatilizzò e non figuratamente. Le era scomparsa davanti agli occhi come se qualcuno l'avesse rapita all'istante e, nonostante si fosse più volte guardata intorno, non sembravano essere rimaste tracce della sua coinquilina. Il volto della ragazza doveva somigliare al quadro di Munch, l'Urlo: aveva le sopracciglia inarcate, gli occhi più grossi del solito e la bocca inarcata a formare una piccola "o". La sparizione improvvisa di Jillian era sconvolgente. Come poteva una persona essere sparita nel nulla? Non esisteva una spiegazione plausibile. Nessuno poteva volatilizzarsi, solo nei libri c'era il teletrasporto e dubitava che quello fosse uno di quei casi. Solange con un sospiro sconsolato cominciò a rimettere in moto le rotelline del cervello. Jillian, prima di sparire, le aveva dato delle informazioni volendo o meno, e queste le erano sembrate anche piuttosto importanti. Il problema era che non sapeva come collegarle: cosa erano le casate, di quali abilità parlava Jillian? Soprattutto, se era davvero una SenzaTerra, o qualsiasi cosa Jillian avesse balbettato prima di svanire nel nulla, cosa significava? C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quel posto, poteva avvertirlo, ma doveva scoprire di più prima di fuggire da quel luogo.

Non se ne sarebbe andata via senza risposte.

°°°

Dopo aver passato un buon quarto d'ora a cercare informazioni che le potessero essere utili, aveva trovato qualcosa: un enorme edificio in pietra si estendeva separatamente dall'istituto. Somigliava tanto alle bellissime e preziose biblioteche che scorgeva nei programmi televisivi all'orfanotrofio. Sperava proprio che fosse una di quelle; magari all'interno avrebbe trovato le risposte che cercava. Entrò titubante e si ritrovò a guardarsi intorno a bocca aperta: il luogo in cui era entrata era molto più grande di come sembrava al di fuori. Al suo interno c'erano scaffali altissimi, ricolmi di migliaia di tomi di tutti i colori, la sua grandezza era dieci volte quella delle librerie viste in televisione. Libri in pelle, rilegati in oro, ramati, con scritte su fronte e retro. Solange amava leggere, era l'unica forma di svago che aveva trovato durante gli anni in orfanotrofio, ma quei libri erano troppi anche per lei.

Talmente presa dalla sua venerazione, non si accorse di ciò che stava succedendo intorno a lei. Un tonfo la fece sobbalzare, ponendola sull'attenti: quando si concentrava i suoi sensi si espandevano a tal punto da percepire ogni minimo suono. Un rumore di passi avvolse il suo udito e il cuore cominciò a battere ancora più forte: c'era qualcuno all'interno, ma forse poteva tornarle utile. Vagò tra gli scaffali, sempre più stupefatta, fino a scorgere un ragazzo. Una figura allampanata e non troppo esile accompagnava la pelle diafana del giovane; lo stesso colorito chiaro entrava in contrasto con la sua capigliatura scura. Un paio di occhiali dalla montatura nera ornavano il naso fine e gli davano un'impressione parecchio intellettuale. Solange osservò il giovane spostare un dito verso l'alto e vide un tomo, da uno dei ripiani più alti, cadere nelle sue mani con uno sbuffo. Solange fissò inorridita quel gesto, non ebbe nemmeno la voce per urlare: non l'aveva neanche sfiorato, come aveva fatto a cadergli tra le braccia?

- Come ha fatto? - Esalò, con la voce a riempirle di nuovo le corde vocali, rimanendo con gli occhi spalancati sul giovane.

Questi sobbalzò, non avendola sentita arrivare, e volse lo sguardo su di lei. Solange si sentì osservata: il ragazzo le aveva rivolto l'attenzione e l'aveva osservata incerto per un paio di secondi, prima di ricominciare il suo lavoro.

- Come ha fatto cosa, per l'esattezza?

Solange arrossì leggermente prima di rispondere. - Il libro è caduto tra le tue mani. Non l'hai toccato. Non l'hai nemmeno sfiorato.

Il ragazzo non si scompose e, continuando a non guardarla, masticò una risposta dal tono saccente. - Direi che nella Libreria le cose funzionano così da secoli. Sei nuova per caso?

Solange annuì senza preoccuparsi di rispondere, sapeva benissimo che la stava guardando. Era troppo impegnata a cercare di spiegarsi come era possibile che quel libro fosse finito nelle mani dell'uomo senza che lui lo toccasse. C'era qualcosa di estremamente sinistro.

- Pensa a un titolo. - Le parole del giovane la risvegliarono dai propri pensieri. Stavolta lo fissò incuriosita. Il primo titolo che le venne in mente fu "Delitto e Castigo" di Dostoevskij, l'aveva letto tante di quelle volte all'istituto da consumarlo. Sentì chiaramente uno scatto prima di ritrovarsi un libro tra le mani. Lanciò un acuto e con un sussulto lo fece cadere a terra, in prenda all'orrore, mentre sul dorso appariva la scritta "Delitto e Castigo".

- Oh, ottima scelta. Però la prossima volta evita di fargli fare un giro sul pavimento, sono delicati e si offendono facilmente. - Il ragazzo, senza traccia di alcuna emozione sul viso, si chinò a raccogliere il tomo e lo posizionò tra le mani della ragazza.

- Come ha fatto? - Solange continuava, invece, a mostrare parecchie emozioni sul proprio viso: dallo spavento alla meraviglia, dallo sgomento alla curiosità. Era davvero difficile che esprimesse tutti quei sentimenti e li mostrasse agli altri. Risultava spesso una persona cinica e fredda.

Il ragazzo si sporse verso i libri, senza rispondere, e sussurrando qualcosa questi presero il volo e si posarono su uno dei tanti tavoli vuoti della biblioteca. La ragazza li fissò a bocca aperta, spaventata da qualsiasi cosa fosse. Nella sua vita tranquilla e noiosa i libri non volavano o non si aprivano sulle sue mani solo pensando al titolo.

- Devi essere una SenzaTerra e questo mi spinge a chiederti: come diavolo hai fatto ad entrare nella Libreria? - Il giovane era molto interessato allo strano fenomeno che aveva davanti agli occhi: una ragazza che apparentemente non aveva mai vissuto lì che si spaventava per una cosa particolarmente ovvia. Nonostante questo il suo tono di voce non subì inflessioni di nessuna sorta, per non farle capire ciò che stava pensando.

- C'era la porta aperta. - Osservò ovvia la ragazza. Stava anche parlando troppo per i suoi gusti.

Il ragazzo si tolse gli occhiali, permettendo a Solange di osservare un paio di occhi azzurri come il cielo d'estate. Bellissimi e magnetici. - No, non c'era la porta aperta. La Libreria si apre solo ai Guardiani e ai Prescelti. Tu, per ovvi motivi, non sei nessuno dei due. Quindi, ti ripeto, come diavolo hai fatto ad entrare?

Solange lo fissò stranita: non capiva di cosa stesse parlando. Aveva paura e confusione in testa, non riusciva a comprendere nulla. Il ragazzo le si avvicinò, studiandola attentamente, ma qualcosa lo fece bloccare. Inclinò la testa di lato e osservò il suo collo con gli occhi leggermente più aperti del solito. Senza mostrare alcuna emozione si rivolse di nuovo a lei.

- Qual è il tuo nome?

- Solange - perché diavolo tutti volevano sapere come si chiamava?

Il giovane non parlò, annuì solamente a qualcosa che probabilmente aveva pensato. Tornò con il busto dritto e le girò intorno con fare cospiratorio. Solange inarcò le sopracciglia con fare curioso: cosa stava facendo quel ragazzo?

- Credo che tu abbia bisogno di aiuto. Domani, alla stessa ora, torna qui. Non parlare a nessuno del nostro incontro. - Il tono basso dell'uomo la fece quasi spaventare, le sussurrò qualcosa vicino all'orecchio e svanì.

La sua prematura scomparsa aveva molto a che fare con quella precedente di Jillian il che portò Solange a pensare seriamente di essere impazzita. Era per caso circondata da fantasmi o da strani eventi paranormali? Mentre posava il suo libro sul tavolo, cercando una spiegazione plausibile a queste improvvise sparizioni, si ritrovò a pensare al nome che le aveva sussurrato il ragazzo.

T.

Quale persona sana di mente si chiamerebbe mai con una sola iniziale?



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