Capitolo Primo (I) [R]


La radura a cui Solange era abituata stava cominciando a diradarsi. Erano passati un paio di giorni dall'incontro con coloro che si erano definiti i suoi "genitori". La confusione aveva preso possesso di lei.

Era la verità?

Quell'uomo e quella donna sconosciuti erano davvero i genitori che l'avevano abbandonata ad un anno di vita?

Dopo l'inaspettato incontro e l'evidente conclusione a cui era giunta: ovvero che quei due non potevano essere i suoi genitori, aveva passato il rimanente tempo a riflettere su ciò che le stava accadendo. Aveva avuto la possibilità di poter scegliere se rimanere nell'orfanotrofio e far finta che quei due non fossero mai arrivati nella casa, oppure seguirli e vedere cosa l'aspettava. Loro, d'altronde, non erano stati molto di aiuto: non le avevano spiegato nulla promettendole risposte a tempo debito. Sostenevano che l'unica cosa che dovesse sapere era che non avevano intenzione di farle del male. In ultimo Solange aveva chiesto un giorno per riflettere sulla proposta.

Nonostante il tempo passato a pensare alle cose negative che avrebbe portato il seguirli, alla fine Solange aveva seguito il suo istinto. Se fino a poco prima sentiva di non dover abbandonare quell'orfanotrofio perché la sua strada era ancora troppo incerta, adesso c'era qualcosa che la spingeva verso l'ignoto. Odiava avere quel tipo di sensazione, nonostante la sua innata curiosità, quella donna non le dava una buona impressione. Ma non poteva rimanere ancora chiusa in quel posto piena di domande e senza risposte: aveva aspettato venti anni per ricevere qualche informazione. Sentiva di dover seguire quello che il "destino" le stava dando, evidentemente seguire quei due era la scelta da fare, anche se non quella giusta forse.

Dopo aver comunicato la sua decisione, era stata obbligata a fare le valigie in poco tempo. La stavano portando verso una meta a lei ancora sconosciuta, questo la insospettiva, ma non riusciva a non incuriosirla. Sperava di ottenere più risposte una volta rimasta sola con i due. Sfortunatamente i suoi quesiti non avevano avuto risposta visto che era stata costretta a seguirli. Avrebbe desiderato poter essere libera di scegliere la sua vita, evidentemente non era ancora giunto il suo tempo.

La marmitta dell'automobile d'epoca scoppiettava incessantemente; era un rumore che le provocava una brutta sensazione e non sapeva spiegarsi il perché. La donna bionda che si era detta sua madre, dopo la partenza dall'istituto, non le aveva rivolto nemmeno uno sguardo. Neanche per accertarsi della sua salute o dei suoi bisogni. Era semplicemente rimasta in silenzio e ogni tanto aveva bisbigliato delle parole in una lingua a lei sconosciuta al conducente dell'auto. L'uomo dai capelli brizzolati, invece, sedeva accanto a lei e ogni tanto le rivolgeva un mezzo sorriso, forse era convinto di poterla tranquillizzare.

Il problema che Solange continuava a porsi, però, era un altro. Durante la sua intera vita all'istituto, ogni volta che succedeva qualcosa di preoccupante o pericoloso, lei riusciva ad avvertirlo. Come se lo sentisse. Invece, quel giorno, lei non avvertiva alcun pericolo in compagnia di quegli sconosciuti e ciò la disturbava.

Volse lo sguardo verso la boscaglia che l'aveva accompagnata per tutta la sua crescita e sentì un improvviso moto di nostalgia. Una sensazione di abbandono le intrappolò le viscere: stava lasciando quella che per venti anni era stata la sua casa, l'unica dimora che l'aveva fatta sentire a "casa". Si stava gettando a capofitto in un'impresa degna dei migliori avventurieri dei libri. Le poche certezze che aveva posseduto si stavano sgretolando insieme ai suoi ricordi; stava per iniziare una nuova vita e sperava che questa sarebbe stata la sua svolta. Gli alberi, in piena colorazione autunnale, le sfrecciavano dinnanzi e sparivano dalla sua vista con fretta.

Improvvisamente la radura sparì del tutto e davanti ai suoi occhi apparve un'enorme dimora. Aveva le fattezze di un castello, ma era più simile al suo orfanotrofio moltiplicato per cento in grandezza. Un cortile verde apriva il passaggio all'abitazione. Era chiuso da una specie di muraglia invalicabile, come se il resto del mondo fosse completamente esterno a quello che accadeva all'interno. Osservandolo con più attenzione non poteva non identificarlo con le enormi ville dove avvenivano gli omicidi più efferati nei gialli che leggeva quotidianamente. Pensò ai suoi manuali lasciati all'orfanotrofio e sperò di averne altri da leggere in quella specie di prigione: erano il suo distacco dal mondo esterno. Un cancello in ferro battuto chiudeva ermeticamente ogni tipo di passaggio; al lato c'era un cunicolo occupato da un ometto, basso e calvo.

- Signori Lay non vi aspettavo così presto. Vi apro subito.

L'uomo si rivolse ai due passeggeri della vettura. Quel cognome non le diceva nulla nonostante fosse lo stesso con cui si erano presentati all'istituto. Una volta entrati all'interno del cortile, una serie di ragazzi si voltarono all'arrivo dell'auto. C'erano ragazzi di tutti i tipi: dai capelli rossi a blu, dagli occhi azzurri a neri, dalla corporatura e dal colore della pelle diversi. Indossavano abiti simili che si distinguevano solo per il colore. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma da un lato Solange era una persona che parlava poco e lo faceva ancor meno con persone di cui non si fidava e dall'altro sapeva che non avrebbero risposto ai suoi quesiti, come era successo con il resto delle sue domande. Non negava che l'assenza di informazioni cominciasse a darle sui nervi, dopotutto poteva essere molto introversa e taciturna ma non si considerava una stupida. Se nessuno voleva dirle nulla doveva esserci un motivo e questa cosa non le piaceva affatto, il non sapere non era sempre positivo.

L'auto si fermò a pochi metri da un portone gigantesco: suppose dovesse essere l'entrata della dimora.

- Solange, tesoro, ti è permesso scendere - la voce fastidiosamente dolce della donna bionda la irritò - ovviamente se vuoi farlo.

Fissò la figura della giovane e poi annuì leggermente. Aprì la portiera dell'auto e scese, guardandosi intorno. Un gruppo di ragazze si fermò, interessate a lei, ma la donna bionda le scacciò con un gesto secco della mano. Una di loro, dagli insoliti capelli rossi, le sorrise leggermente prima di seguire le altre compagne. Non fece in tempo a ricambiare perché l'autista la spinse prepotentemente in avanti.

- Non mi tocchi.

Un sibilo uscì dalle labbra sottili di Solange, senza che se ne accorgesse. L'autista indietreggiò, quasi avesse paura di lei, e ritornò nella vettura. L'uomo brizzolato le indicò la porta e lei seguì il suggerimento. Una volta entrata dentro la struttura, Solange si concesse di spalancare gli occhi sorpresa: quello non era decisamente un orfanotrofio.

°°°

Solange stava percorrendo un lungo corridoio dorato, tappezzato da quadri di uomini e donne in abiti strani. Gli unici vestiti che Solange aveva visto in vita sua erano quei pochi che l'istituto le forniva, per lo più jeans vecchi e maglioni troppo larghi. Sembravano rappresentare uomini importanti, supponeva fosse anche il motivo per il quale fossero appesi ad una parete. Nel suo immaginario potevano essere stati baroni o antichi principi di una casata andata ormai in malora. Era interessante scrutarli e cercare di decifrare le loro espressioni tirate su da una pennellata troppo veloce. La donna bionda si voltò a guardarla con un sorriso sulle labbra.

- Solange, cara, questi sono i nostri antenati - indicò con voce melliflua i dipinti appesi alle pareti, prima di continuare - sono tutte state figure importanti nel nostro istituto. C'è qualcosa in particolare che ti piacerebbe sapere?

- Quali sono i vostri nomi?

La donna si limitò a sorriderle prima di girare l'angolo all'improvviso. Solange la seguì, ormai più per curiosità che vero timore di quelle persone. I suoi sensi erano attivati, poteva sentire ogni minimo particolare ma in quelle due persone non riusciva a trovare nulla di sbagliato, a parte l'irritazione che la voce della donna le provocava ogni volta che apriva bocca. Si fermarono dinnanzi a una porta ricamata in rosso, strane abrasioni ne ricoprivano la parte inferiore.

- Solange aspetta qui. Dobbiamo un attimo entrare.

La voce profonda dell'uomo la travolse, dandole un senso di sollievo. Annuì appena stringendosi nel suo maglione. Lasciata da sola, Solange cominciò ad ispezionare le pareti. Una carta da parati rosea copriva i muri, ma negli angoli il cemento originale spiccava. Un colore vermiglio, a chiazze, ne ricopriva la superficie. Sfiorò i segni sulla porta e rabbrividì. Poteva percepire la sofferenza, il dolore e la rabbia che si erano infrante su quel legno antico. Era come se qualcuno avesse deciso di prendersela con quella porta perché era l'unico modo per sopravvivere. La sua sete di conoscenza avrebbe voluto capire cosa c'era dietro quella porta, chi l'aveva davvero voluta in quella specie di istituto. Udì delle voci, all'interno, e appoggiò l'orecchio al legno.

- Lei è qui, l'abbiamo trovata.

- Avete fatto qualche nome?

- Solo quello che ci era stato ordinato di fare.

- Portatela nella sua stanza, fatela abituare. Non uscirà più dall'istituto.

Solange si allontanò con il fiato sospeso. Spalancò gli occhi e, con il terrore ad attanagliarle le viscere, cominciò ad indietreggiare. Cosa aveva fatto? Aveva fatto davvero bene a lasciare quel luogo sicuro? Prima che i suoi "genitori" uscissero dalla porta, qualcuno si mosse accanto a lei così velocemente da farle trattenere il respiro. Solange si voltò con il cuore in gola ma davanti a sé vigeva solo il silenzio. Non ebbe il tempo di realizzare nient'altro che la porta si spalancò facendo uscire la donna e l'uomo. Entrambi la guardarono con curiosità; probabilmente doveva avere una faccia sconvolta per aver attirato la loro attenzione. Tornò al suo sguardo abituale e puntò i propri occhi marroni sull'uomo: il vero enigma da risolvere sembrava lui. Durante il viaggio in auto l'aveva scorto osservarla o cercare di carpire qualcosa; le sorrideva saltuariamente o cercava il contatto visivo. Questi, distogliendo lo sguardo, fece un cenno alla donna bionda e si allontanò da solo. Prima che Solange potesse fare domande, la donna bionda la prese per un braccio.

- Allora, tesoro, ora andiamo a vedere la tua camera. Spero non ti dispiacerà condividerla con un'altra ragazza. È molto carina e gentile.

Solange si strinse nelle spalle e accettò passivamente quello che le era stato detto. Doveva cercare delle informazioni e il modo migliore per farlo era introdursi in quei luoghi sconosciuti senza che nessuno lo venisse a sapere. All'orfanotrofio aveva giocato tante volte con i bambini più piccoli a nascondino, non le era difficile mimetizzarsi soprattutto con i suoi sensi così sviluppati. La donna si fermò davanti a una porta dorata e, stavolta, bussò prima di entrare. Nessuno rispose e la donna aprì la camera con facilità. La camera era molto simile a quella dell'istituto, eccetto per le finestre luminose e i due letti a castello. Questa era piuttosto disordinata: alcuni libri giacevano sul pavimento e sulla scrivania, dei vestiti erano sparpagliati sui due letti e una strana coperta avvolgeva l'attaccapanni. Non poteva dire di aver visto tanti appendiabiti nella sua vita, ma era piuttosto sicura servissero per dei cappotti, non per delle coperte.

- La piccola Jill è piuttosto disordinata, ma è tanto una ragazza carina. Ti troverai bene. Tra poco il nostro autista porterà il tuo borsone, sistemati come puoi.

La donna bionda le sorrise per un'ultima volta, con voce melliflua, e uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé. Solange rilasciò l'aria, che non si era nemmeno accorta di aver trattenuto per tutto quel tempo, e osservò la sua camera. Ignorando l'evidente caos che regnava all'interno della stanza, si accovacciò per cercare di capire di cosa parlassero quei libri. La lingua, però, le sembrava sconosciuta. Una serie di parole sparse sulla carta senza alcun senso. Si concentrò meglio sulle scritte e all'improvviso le vide ordinarsi da sole, mentre una frase di senso compito appariva sulla copertina. Per lo spavento si ritrasse, cadendo a terra e alzando parecchia polvere. Con il cuore ancora a mille si avvicinò cautamente al libro e ne osservò la scritta finalmente comprensibile.

La dinastia del Leone: origini ed etimologia.

Solange non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse la dinastia del Leone, ma subito dopo si accorse degli altri titoli.

Le altre dinastie: conoscere e comprendere le vite dei grandi eroi del passato.

Leone, Serpente, Aquila e Delfino cosa hanno in comune con i Guardiani del Tempo?

Mai fidarsi di un Serpente: la guida per difendersi dai suoi attacchi.

Solange quasi rise all'ultimo titolo. Perché mai avrebbero dovuto scrivere un libro su come fidarsi o meno dei serpenti? Erano creature piuttosto viscide e infami, quelle. Si alzò da terra, facendo leva sui talloni, e osservò il resto della camera. Fece per aprire l'armadio ma il rumore di un paio di chiavi la distrasse. Dalla porta entrò una massa di capelli rosso fuoco accompagnati da una voce squillante.

- Mamma ti ho detto mille volte che non ho bisogno di altre provviste! Ho l'armadio pieno e se dovesse venire un'altra ragazza... Oh, è già arrivata. Ti richiamo dopo. Ciao. - La ragazza attaccò il telefono sorridendole.

Solange la riconobbe: era la ragazza che le aveva sorriso all'arrivo.

- Ciao, tu devi essere la mia nuova compagna di stanza. Jillian, per mia madre Jill, piacere di conoscerti.

- Solange.

Tutto ciò che riuscì a dire fu il suo nome, seguito da un mezzo sorriso. Non poteva pretendere di più, normalmente con gli sconosciuti nemmeno spiccicava parola. Notò, invece, che la ragazza era molto loquace e spigliata: sperava di riuscire a carpire delle informazioni da lei. Magari non volendo sarebbe riuscita a scoprire cose interessanti.

- Mi dispiace per il disordine, sono una vera amante del caos. Sistemati dove vuoi, comunque. Io sarò a tua disposizione.

La lasciò così, con quelle parole dette di fretta e con un tono di voce allegro, mentre la porta del bagno nella stanza si chiudeva dietro di lei. Solange sospirò: forse sarebbe stato più difficile del previsto riuscire a capirci qualcosa.

Questa sarà una lunga convivenza.

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