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  Amara credeva che la bellezza fosse una miscela di verità e certezza.

Credeva in dogmi millenari, Amara credeva in molte cose. Eppure, le era bastata una semplice frase, una porta scorrevole. Una donna curva su una scrivania. Tutte le sue verità e certezze erano crollate, un castello di sabbia.

«Non sapete leggere gli schermi? Non sono ammessi visitatori.»

«Dottoressa, quest'umana è sconvolta, ha fatto un lungo viaggio solo per vedere lei. Le conceda qualche minuto» la introdusse un eloah frettoloso di tornare in ufficio.

Rimaste sole, Sol si tolse gli occhiali da vista e guardò Amara. «Bene, ma disattivate quell'allarme corpo estraneo, mi sta snervando» l'eloah scomparve per il corridoio e la dottoressa si massaggiò l'attaccatura del naso, si pulì le mani affusolate sul camice. «Allora?»

Lentamente, Amara poggiò le ginocchia sul pavimento. La testa le pulsava, i pensieri erano una massa in fiamme. «Non sei spirito. Sei viva... Sei carne... e ossa.»

La genetista realizzò improvvisamente il senso di quella lamentazione e si morse un labbro, impietosita. «Tu sei un'adamita. Da quale città?»

Amara non rispose più. Aveva gli occhi pieni di patimento, tremava come un ramoscello nella tempesta. Un boato di emozioni le sconquassava il petto. Da quel momento, trovò in sé una forza sconosciuta per iniziare a fare domande. «Perché... Perché ci hai creato e poi abbandonato?»

La luce del giorno tagliava il volto nero di Sol, una luna a metà. Tra le varie differenze fisiche, il cranio dolicocefalo di Sol confermava l'appartenenza a una razza superiore, la progenitrice. La dea rimase seduta, in piedi avrebbe sovrastato il corpo minuto di Amara.

«No, piccola, "creato" non è il termine esatto: direi "sintetizzato". Nozioni di ingegneria molecolare ignote a voi adamiti; non ho avuto modo di trasmettervi la concretezza e ripetibilità della genetica applicata. Ti trovi a Babele, ragazza, polo scientifico e spazioporto. Sai cosa significano questi termini?»

Amara scosse piano la testa, Sol rinunciò a spiegarglielo. La invitò a sedersi, le braccia lunghe della dea entrarono nel campo visivo della sacerdotessa, indebolita come un pesce nel suolo secco.

«Credevo che avessi poteri... sovrannaturali» disse allora la ragazza, con una semplicità esausta.

La dottoressa scrollò le spalle, orientandosi verso un bancone pieno di provette e attrezzi del mestiere. «No, mia cara, noi eloah non c'entriamo. La geologia del pianeta è solo osservabile, anche da quelle che voi chiamate "divinità".»

«Voglio il senso di tutto questo, perché sono nata e cresciuta e vissuta in una bugia» Amara traboccò, le brocche dei suoi occhi colarono acqua e sale. «Che... Che razza di persone siete? Da dove venite?»

Sol si fermò, a disagio. Si voltò nuovamente a fissarla, appoggiò il bacino sulle piastrelle della cappa aspiratrice. «Sei sicura di volerlo sapere? Potrebbe costarti la vita. Noi eloah non amiamo che la nostra natura mortale sia rivelata ai sottoprodotti

«Non m'interessa,» dichiarò l'altra, pervasa da una rabbia grande quanto il mondo e da una curiosità cosmica. «Dimmi le tue verità e poi uccidimi. Non voglio vivere un secondo di più nella menzogna.»

Le labbra di Sol si schiusero di ammirazione. Da sempre aveva avuto che fare con umani troppo attaccati alla vita per i suoi gusti, a volte l'istinto di sopravvivenza non era che un mero difetto di fabbrica. Invece, quella piccola femmina mostrava una saggezza rara.

«Betelgeuse, si chiama» rispose Sol, calma. «Noi eloah veniamo da una costellazione vicina, abbiamo colonizzato questo pianeta dalle immense risorse. In questo momento, altre storie simili si intrecciano sul pianeta; uomini che parlano con altri eloah e prendono ordini da loro. Voi umani, con tutte le vostre varianti, siete stati fabbricati per servirci.»

Qualcosa si spezzò nel ventre di Amara. Forse una vena, o un flusso di pensieri, quell'alito di vita che la teneva lucida. Si strofinò le mani contro la faccia.

«Che cosa puoi fare, Sol? Cosa puoi fare per proteggere la mia gente?»

«Niente.»

La giovane avvertì una sensazione tremenda, come lo sciogliersi indolore dei suoi organi interni. La delusione, l'onta, il disprezzo: una zuppa penosa, un boccone bloccato in gola. Il respiro arrivava spezzato nei suoi polmoni quando chiese: «Cosa sono i Santi?»

«Santi?»

«I Varchi,» insistette Amara. «A est della catena. Quelle dannate sfere, dove portano?»

Sol si pulì la maglia sporca di terreno di coltura liofilizzato. «Capisco... Intenti le distorsioni spaziali? Sono buchi neri generati da eloah scellerati, quegli incapaci dell'acceleratore di particelle subatomiche. Meglio stare lontani da quegli inutili esperimenti falliti.» A quel punto, dato il silenzio e l'immobilità della ragazza, Sol riprese parola: «Sei un pezzo interessante, comunque. Una femmina adamita... Ricordo i tempi dei primi cloni: Adamo, Lilith ed Eva. Io lavoravo nella cupola di sintesi, ero co-responsabile insieme a Inanna, ora regina nelle terre d'oriente. Loro erano imperfetti, utili, passionali e disubbidienti come voi discendenti. Finché non venne Yahweh a interferire con la ricerca scientifica, il Gan Eden era una delle serre migliori per sfruttare umani e animali.»

«Basta,» Amara strinse le sue logore vesti «non voglio sapere più niente. Basta.»

Sol tacque.

Così trascorsero minuti che parvero millenni. Nel luminoso laboratorio, il pulviscolo in sospensione danzava nei raggi solari come infiniti mondi in un universo del tutto privo di senso, dominato dalla sola casualità delle cose. Era quella la verità sulla quale gettare l'ancora: l'entropia era l'unica entità trascendentale. Né Sol, né gli altri eloah sarebbero vissuti in eterno. Nel lungo arco della loro vita, però, gli antichi astronauti avrebbero continuato a regnare sugli uomini, ad accoppiarsi con loro, a massacrarli a piacere.






Dio ammonì la popolazione che, qualora non lo avessero ascoltato, avrebbe inviato loro bestie feroci: "che vi rapiranno i figli, stermineranno il vostro bestiame, vi ridurranno a un piccolo numero, e le vostre strade diventeranno deserte."

Levitico, 26:22 

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