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Cilicia meridionale, base marittima eloha

  L'essere cadde floscio al suolo, il guazzo rumore delle sue viscere non disgustò gli spettatori, abituati a quello scenario.

«Non va» la scienziata scosse la testa, esasperata. «Nemmeno questo prototipo riesce ad essere vitale.»

Il tirocinante, un giovane studente di genetica sintetica, era anch'egli angosciato. «Dottoressa, a volte penso che questo nuovo progetto sia troppo anche per noi...» provò a dire, ma gli uscì poco fiato, intimorito da lei come se fosse ancora al primo giorno di alternanza studio-lavoro. «Ecco, glielo dico: dato che dopo la generazione adàm non siamo più riusciti a fare passi avanti, mi domando se il corredo genico su cui lavoriamo sia davvero biocompatibile con la creatura che stiamo...»

«La creatura che sto manipolando» lo corresse la mentore, poggiando sul bancone più vicino gli occhiali da vista «e che deve necessariamente superare le prestazioni degli adamiti. Ordini dell'altissimo Elyon, lo sai.»

L'altro annuì una sola volta, teso, chiese una pausa. Mentre l'addetto alle pulizie toglieva i resti umani dal mattonato, il ragazzo andò e torno nel laboratorio con un bicchiere di latte e miele per la dottoressa. Il calore della bevanda le scivolò giù per la gola, rabbonendola.

«Ninurta, vuoi ancora lavorare con me?» chiese a bruciapelo, con voce stoica.

Il tirocinante alzò di scatto la testa per guardarla: la donna era altissima, scura e magra come una palma da cocco. Le disse sicuro: «Dottoressa, lei è la miglior genetista del continente. Continuerei a lavorare anche se mi chiedesse di smembrare un eloha per ricavarne massa sperimentale.»

«In passato lo abbiamo fatto, per dare origine agli adàm, le genti della Cappadocia» rimembrò lei, sorseggiando l'ultima goccia di latte caprino. «Abbiamo versato molto del nostro sangue e del nostro sperma per mettere in piedi l'adàm. Erano i tempi d'oro, per noi eloha, tempi in cui le razze erano ancora sotto controllo.»

Ninurta le diede ragione, poi si lasciò distrarre dal proprio stomaco. «Ha fame, dottoressa? Oggi c'è la grigliata con gli ingegneri dell'edificio Affari Nucleari, ci stanno aspettando.»

«Oh, amo l'agnello scottato, andiamo.»

La pausa pranzo era vicina, così spensero le luci e, insieme agli altri tecnici del laboratorio, lasciarono vuoto il settore di fecondazione artificiale. La struttura discoidale del polo scientifico era una delle poche rimaste al mondo; il più degli eloah aveva smesso di tenere i piedi a terra: avevano trasferito i loro apparati principali in orbita, da qualche parte nel sistema solare. Erano in contatto con i loro colleghi terrestri, ma tra questi ultimi i rapporti si facevano tesi decennio dopo decennio; ogni eloah di alto rango voleva sempre di più: terre, prestigio, popoli da assoggettare.

«Ecco il duo più pericoloso della base marittima!» Uno dei tecnici aerospaziali li accolse com'era solito, insieme ad altri sguardi di ammirazione e rispetto; la dottoressa era una delle personalità di spicco tra gli eloah mediorientali. I volti scuri dei suoi colleghi non erano molto diversi dagli umani che li servivano, trasportando mucchi di carne scelta sulla megalitica griglia circolare.

La dottoressa, mettendosi comoda su una sdraio di canapa intrecciata, fissò assorta le schiene curve degli schiavi. «Da dove vengono questi uomini?» chiese allora. «Dalle fattezze si nota immediatamente che non sono adamiti.»

Le rispose Ninurta, piegando le gambe tozze su un panchetto accanto a lei: «Li hanno prelevati dal continente bruciato dal sole. Rispetto all'assertività degli adamiti hanno, però, un'eccezionale resistenza fisica e meno fenotipi difettosi.»

«Certo, hanno molti più geni selvatici» ricordò la scienziata, accettando un antipasto di capra allo spiedo. «Tuttavia, anche loro sono stati generati dagli esperimenti dei nostri antenati, decine di migliaia di anni fa. Molto meno modificati dei successivi adamiti, comunque, e quindi meno adatti alle nostre attuali esigenze.» Sembrava che stesse facendo un discorso fra sé, come se avesse costantemente bisogno di convincersi che il suo progetto fosse cosa buona e giusta. Forse, nemmeno lei ne era più così convinta.

Da quella distanza ridotta il tirocinante poteva osservare ogni poro della sua pelle, come il viso nero della dottoressa sembrava farsi addirittura più scuro alla luce rovente del sole, sfidando ogni legge cromatica. Solo il diadema autoreggente che aveva al centro della fronte splendeva di mille colori. La testa rasata della scienziata era come uno spillo a monte di un corpo sottile, una spiga di grano impossibile da eradicare. Sentendosi osservata, le labbra spesse di lei si piegarono in una smorfia di disappunto. «Questa carne è troppo secca. Sospetto che non abbiano rispettato la tradizione dei nove mesi prima del macello e della vaporizzazione adiposa.»

«A proposito di vapori» un collega intercettò la lamentela, gridandole da lontano: «il grasso da bruciare è pronto! Dottoressa, fuma con noi?»

«Perché no. Cambiate le braci e alzate le fiamme» confermò lei, facendo un gesto imperioso con la mano. Alcuni pensavano che fosse troppo abituata a comandare, ma le critiche servivano solo a renderla più forte. La dottoressa spostò lo sguardo verso la fascia scintillante del mare e disse: «Ci sono novità sulla questione centro-anatolica?» si rivolse al gruppo di eloah del tavolo accanto, le bocche piene di maiale e capra arrosto.

Le rispose il vecchio Chemosh, che non era un geologo, ma per incarichi di mediazione frequentava spesso quel polo di ricerca: «Solo dati di caratterizzazione eventuale, mia signora, nessuna predizione è fattibile in questo campo. Un sisma al quarto grado su una scala di cinque non è poca cosa. I siti centro-anatolici sono danneggiati, le perdite umane aumentano di ora in ora.»

«Le perdite umane non sono un problema,» rifletté ad alta voce la genetista «quelle bestie si riproducono come conigli. Questo è il principale problema del mondo: la tendenza alla sovrappopolazione. La creatura che sto progettando è sterile, risolverà il dramma.»

Chemosh mantenne la pazienza, mal sopportando l'egocentrismo della scienziata. «Ne siamo al corrente, dottoressa. In verità, a proposito di questo, ci chiediamo come avverrà l'impianto dei tuoi nuovi esseri umani in Anatolia.»

Lei finse di pensarci, poi rispose rilassata: «Otterrò il permesso delle cerchie governative interne per eradicare gli adamiti difettosi

Si creò un momento di silenzio, un buco cosmico in quella parte di terra remota, dove nessun uomo libero poteva mettere piede. Chemosh era esterrefatto; i metodi della dottoressa ricordavano quelli di un altro eloah estremamente pericoloso e chiacchierato: Yahweh, un giovane militare senza coscienza né scrupolo, che operava in una striscia di terra devastata da ogni tipo di violenza. La pulizia etnica era la sua attività preferita, e la genetista sembrava condividere quel tipo di mentalità.

«Ne sei certa, mia signora?» a Chemosh venne la pelle d'oca e la nascose. «Gli adamiti sono radicati nella terra, ormai. In passato hanno stretto patti con te, lavorano per te vivono per te.»

Anche Ninurta era sbigottito; la sua mentore non gli aveva mai rivelato il disegno finale così, di getto, come se stesse cercando di impressionare i colleghi e basta. Ne fu deluso e anche spaventato. L'entità di lei gli parve immensa e pericolosa.

Il clima si fece torrido. Il suolo arroventato scottava i piedi dei lavoratori fasciati da sandali bassi. Gli eloah inalarono il vapore di grasso animale e rimasero a rilassarsi per altri minuti, poi si alzarono per tornare nei loro uffici. Nella piazza dove si era tenuta la grigliata rimase solo il mobilio di vimini e la griglia scoppiettante. Prima di andarsene, però, Chemosh zoppicò fino alla figura di spalle della dottoressa. Voleva parlarle in privato, il tirocinante lo capì e si allontanò verso i laboratori.

L'anziano decise di mettere da parte i formalismi e chiese alla genetista, con l'amaro in bocca: «Che cosa stai facendo, Sol? Noi eloah non abbiamo forse massacrato abbastanza umani?»

Allora Sol si voltò a guardarlo. «Cosa c'è, Chemosh? Hai vissuto troppo a lungo tra gli uomini da dimenticare quello che siamo per loro? Noi siamo i loro dèi, abbiamo sapere e tecnologia: apriamo il palmo e loro vivono, chiudiamo il pugno ed essi muoiono.»

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