Capitolo 6
Emily's P.O.V.
Non trovai niente che corrispondesse alla descrizione del mio aggressore. Avevo provato a cercare fra le notizie dei giornali degli ultimi 5 anni, ma ero rimasta con un pugno di mosche. Forse, si trattava di un assassino internazionale... dopotutto, non l'avevo sentito parlare per tutto il tempo, forse perché non conosceva la mia lingua o non capiva quello che gli dicevo.
Sì, dopotutto il foglietto era stato scritto in inglese e poteva essere collegato a lui. Digitai le parole chiave sul motore di ricerca di Google e finalmente trovai qualcosa...
«Creepypasta?» lessi la parola che più spesso ricorreva nei risultati.
D'un tratto il mio telefono iniziò a vibrare sulla scrivania: lo avevo lasciato in silenzioso. Lo afferrai e premetti la cornetta verde.
«Pronto?»
«Ciao Emily!» la voce squillante di Ethan mi riscosse dai pensieri e mi ricordai dell'incarico che avevo per quel pomeriggio. Il mio cuore perse un colpo...
«Ciao Ethan! Che ore sono? Scusa, adesso arrivo subito da te!» mi affrettai a riempire la mia borsa a forma di gatto con tutto il necessario.
«Sono ancora le undici, ma i miei stanno uscendo adesso... puoi venire prima?» mi chiese lui.
Levai un sospiro di sollievo. «Certo, tra cinque minuti sono a casa tua.» Lo rassicurai.
«A dopo!» disse lui con entusiasmo.
Chiusi la chiamata.
Avrei dovuto rimandare le mie ricerche a più tardi, magari, a mente più fresca e riposata sarei riuscita a scoprire qualcosa.
Cinque minuti dopo, ero sotto casa di Ethan e salutai i suoi genitori che stavano andando via in macchina. Erano una coppia molto simpatica e le nostre famiglie si conoscevano da una vita. Il padre di Ethan, David, era un ricco impresario e la madre, Amelia, gestiva un maneggio fuori paese. Inutile dire che fossero benestanti, peccato solo che non avessero tempo per il figlio di sette anni, che spesso veniva lasciato a casa da solo.
Ero la sua babysitter da almeno quando aveva tre anni e ci conoscevamo molto bene. I suoi genitori ormai si fidavano di più a lasciarlo a me che a qualsiasi altra babysitter professionista a pagamento e poi, avevo il pro che abitavo a soli due isolati da casa loro.
Ethan mi vide dalla finestra della cucina mentre attraversavo il giardino e corse ad aprirmi la porta principale.
«Ehi Emi!» mi salutò il bambino, saltellando sull'uscio.
«Che si fa oggi?» gli domandai con un sorrisone, mentre entravo in casa.
«C'è Adventure Time in tv!» annunciò lui entusiasta.
Ci fiondammo subito sul divano del soggiorno e cantammo a squarciagola la sigla del nostro cartone animato preferito.
Il primo pomeriggio lo passammo a guardare cartoni animati e a rifocillarci con le lasagne che Amelia aveva cucinato per noi. Alle quattro decidemmo di usare il forno per preparare dei gustosi cupcakes con della glassa verde alieno.
Sembravo essere tornata la persona spensierata di sempre e per qualche ora, ero riuscita a levare dalla testa quello che mi era successo la scorsa notte. La mia vita stava tornando alla normalità.
«Emi! Che cosa ti è successo alle gambe?» mi chiese Ethan di punto in bianco, quando notò i graffi che mi ricoprivano gambe e braccia.
«Oh! Me li sono fatti ieri sera quando sono andata a passeggiare.» dissi, cercando di suonare meno allarmante possibile.
«Ti fanno male?» chiese preoccupato.
«No, adesso no.» gli scompigliai i capelli, per poi lasciarli tra le mani le fruste per mescolare l'impasto. «Mescoli tu, ok?»
Ethan salì su uno sgabello e iniziò a mescolare l'impasto per i cupcakes. Nel frattempo, il cielo si era oscurato ancora più del solito. Sembrava che un temporale si stesse preparando a sfogarsi proprio su di noi. Beh, tanto non dovevo uscire da nessuna parte, già...
Sospirai pesantemente.
Alle sette di sera prese a piovere a catinelle e i genitori di Ethan avevano chiamato per farmi sapere che per colpa del traffico non sarebbero rientrati prima delle nove. Non avevo dei gran impegni, perciò la cosa mi andò bene così.
Giocai con Ethan a Uno e poi a Monopoli, ovviamente lasciandolo vincere per non farlo piangere. Il tempo volò rapidamente e si erano già fatte le nove e mezza, ma dei suoi genitori non si vedeva neanche l'ombra e la pioggia non accennava a smettere.
«Cosa facciamo adesso Emi?» Ethan si stava stropicciando gli occhi, cercando di non barcollare per il sonno.
«Sarà ora che ti infili il pigiama e vai a dormire, piccolo ribelle.»
«No, non voglio dormire...» mi supplicò, stringendosi forte alle mie gambe.
«Perché no? Che hai?»
«Ho paura...» piagnucolò.
«Di cosa?»
«Dell'uomo nero...»
«Non sei un po' troppo grande per credere all'uomo nero?»
Lui scosse col capo per dire di no e si strinse ancora più forte alle mie gambe.
«E dimmi, che aspetto avrebbe questo uomo nero?»
«È vestito di nero ed è molto alto...» disse «... porta una cravatta rossa.»
«Una cravatta rossa?» inarcai un ciglio.
«Sì, e... non ha la faccia.»
«Sai che ti dico?» mi chinai alla sua altezza e lui mollò la presa «La prossima volta che lo vedi, immaginatelo con un parrucca rosa e magari con un vestito glitterato con le stelline.»
Lui rise.
«Vedrai che non ti farà più paura.» gli scompigliai ancora i capelli «E adesso vatti a lavare i denti e infilati il pigiama, che adesso vengo a leggerti una storia.»
Ethan corse al piano di sopra e lo sentii andare verso il bagno.
In tanto andai in cucina e iniziai a mettere alcuni piatti nella lavastoviglie, pensando ancora alla bizzarra descrizione dell'uomo nero. – Una cravatta rossa... tsk! Ne ha di fantasia quel bambino... – pensai sorridendo, continuando a ripetermi nella testa quella bizzarra e fantasiosa descrizione.
– Cravatta rossa... vestito di nero... niente faccia... – quelle parole si mescolavano nella mia testa e sentivo che c'era qualcosa di familiare, qualcosa che, ora, facevo fatica a ricordare.
Il telefono fisso squillò di nuovo.
Mi asciugai le mani e sollevai la cornetta, distogliendomi da quei pensieri.
«Pronto?»
«Emily, sei tu?» sentii la voce di mia madre.
«Sì, mamma!»
«Vuoi che ti passo a prendere? Ho visto che piove ancora forte...»
«No, fa lo stesso.»
«Va bene, ti sei portata dietro l'insulina e le siringhe?»
«Sì, è tutto nella borsa.»
«Ti mando un bacio tesoro, non fare troppo tardi.»
«A più tardi mamma, ti voglio bene.»
«Anch'io ti voglio bene.»
Appoggiai la cornetta e guardai fuori dalla finestra: ancora, stava piovendo a dirotto e non sembrava che avesse intenzione di smettere. Per fortuna mi ero portata dietro l'impermeabile.
«Ehi Emi! Ho finito!» mi urlò Ethan dalle scale.
«Ok! Tra poco arrivo.» risposi, finendo di mettere a posto le ultime stoviglie e riordinando in generale la cucina.
Qualche minuto dopo mi avviai su per le scale e raggiunsi la sua camera. Aveva una bella stanzetta, larga e spaziosa, con tanti giochi e arredata con i mobili dell'Ikea, tutta tinteggiata di un azzurro cielo con delle nuvole bianche dipinte qua e là.
Mi avvicinai alla libreria. «Che cosa ti leggo stasera?»
Lui fece spallucce.
«Va bene, scelgo io qualcosa... mmmh» sfilai un libro con una copertina verde e una scritta d'oro in corsivo. Era 'Il piccolo principe' di Wilde. Non era male come storia, ma forse era un po' troppo complicato per un bambino della sua età.
Spulciai altri libri, ma mi rassegnai dopo qualche secondo, dal momento che non leggevo altro che titoli di opere di Shakespeare, Wilde e Gogol. Un giorno avrei dovuto regalargli Harry Potter e visto che non mancava molto al suo compleanno, avrei potuto cogliere l'occasione per comprare qualcosa di appropriato alla sua età.
Rassegnata, iniziai a leggere 'Il piccolo principe' finché, dopo le prime pagine, Ethan non si addormentò beatamente. Spensi la luce e lasciai accesa solo quella notturna.
Scesi al piano di sotto e alla finestra vidi...
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