Capitolo 21

Emily's P.O.V.

Avevo cominciato ad accusare la fatica e lo stress. Potevo persino sentire lo sforzo che stava facendo il cuore per pompare il sangue in tutti i distretti del corpo.
Mi fermai a riprendere fiato.
Si era fatto ancora più buio e non c'erano né un Sole al crepuscolo né una Luna a risplendere sulla foresta. Inoltre, la vegetazione si era fatta ancora più fitta e questo mi impediva di ricordare la strada che mi aveva mostrato Toby, quella per raggiungere la radura.
Tuttavia, ero abbastanza sicura che non doveva mancare molto.
Dopo diversi ripensamenti, mi convinsi a tirar fuori il cellulare dalla tasca e sfiorai lo schermo per fare un po' di luce. Un debole e bianco fascio luminoso illuminò il sentiero quel poco che mi bastava per riconoscere la direzione giusta da prendere.
Dopo qualche manciata di minuti, continuando a camminare, notai che lo schermo del cellulare aveva iniziato a sfarfallare. Mi sembrava strano, dato che ricordavo di avere la batteria carica e iniziai a notare anche altre cose strane, mentre camminavo verso il fitto della foresta.
Non sentivo alcun rumore.
Né un frusciare di foglie, né il verso di qualche gufo o il passaggio di qualche lepre selvatica. Tutto era sprofondato in un innaturale silenzio. Quando mi resi conto che anche i miei passi non facevano più alcun rumore, il panico riprese a farmi tremare.
Il petto si alzava e abbassava al ritmo del mio respiro ansante, perché l'aria della foresta aveva iniziato a farsi più pesante e rarefatta. Provai ad aumentare il passo, mentre continuavo a farmi largo tra la fitta vegetazione.
All'improvviso, fui sorpresa da un rumore acuto e assordante che per poco non mi perforò i timpani. Mi ero portata le mani alle orecchie per riparare l'udito, anche se non era servito a molto. Il rumore sembrava qualcosa di simile al frinire delle cicale o al canto dei grilli... no, doveva essere qualcos'altro. E infatti, intuii abbastanza in fretta che assomigliava più al rumore dello statico della televisione.
Ero stata costretta a piegarmi sulle ginocchia, cercando in tutti modi di difendermi dall'assordante rumore poi, avvertii una presenza.
La fronte si stava imperlando di sudore e iniziai anche a tossire. Lentamente, alzai lo sguardo e i miei occhi si focalizzarono su qualcosa.
Un uomo incappucciato e col volto celato dietro una maschera scura, mi stava dinanzi. Riconobbi che si trattava della stessa persona che avevo visto al limitare della foresta, anche se questa volta, aveva una pistola e la stava puntando contro di me.  

Il mio corpo non reagiva. 
Il suono di statico continuava a fischiarmi nelle orecchie. Non potevo udire nessun altro rumore al di fuori di quello. Avevo alzato lo sguardo e in lontananza, al centro della radura, ho visto una sagoma umana sdraiata sull’erba. Non avevo dubbi che fosse Ethan. 
Un barlume di speranza mi riaccese l’animo prima di spegnersi di nuovo quando il mio sguardo, nel tornare indietro, rimase incollato alla canna di una pistola. La mente e il corpo avevano reagito allo stesso modo: paralizzandosi completamente e congelando ogni impulso, ogni reazione e ogni idea di fuga. 
Avevo seguito il movimento fluido di quella mano esperta che tirava indietro il carrello e l’indice che si piegava intorno al grilletto. Aveva già preso accuratamente la mira. Mi trovavo appena a qualche metro dalla figura incappucciata. La sua mano era ferma e la postura decisa; era chiaro che questa volta non ci sarebbero stati errori o ripensamenti. Solo un colpo secco che mi avrebbe spedita all’altro mondo. 
E io, non riuscivo a reagire… ero diventata una bambola di carne. 
-No… forza Jenny! Avanti! -Una voce dentro di me tentò di riscuotermi. Non avevo mai provato nulla del genere prima d’ora, era come se… avessi appena visto la morte in faccia.  
Attaccare o prepararsi a incassare il colpo? 
Reagire o… morire? 
Frazioni di secondo passavano mentre il suono di statico cresceva e si faceva sempre più disturbante. Nonostante questo, la mia mente sembrava ignorarlo e francamente, era troppo occupata a elaborare una via d’uscita per preoccuparsene. 
Se non mi davo una mossa la mia vita sarebbe finita con una pallottola nel cranio. Sentii un frusciare di foglie in lontananza, e guardai un punto della foresta. 
Forse, avevo ancora qualche speranza.

«TOBY!!!». 
Avevo gridato con tutta l’aria che avevo nei polmoni. 
La figura incappucciata perse la concentrazione e tentennò. Avrebbe voluto guardarsi alle spalle, ma non si voltò indietro. Quell’attimo di distrazione mi era bastato per scattare verso di lui. Stringendo lo zainetto con tutte e due le mani lo riuscii a colpire violentemente alla testa. 

BANG!

Era partito il colpo in canna. 
Lo avevo colpito così forte da farlo cadere al suolo. L’urto con le cesoie all’interno della borsa aveva provocato un sonoro tonfo, e quest’ultime erano scivolate fuori dallo zainetto cadendo a qualche metro di distanza. La pistola era caduta in terra e la spazzolai via col piede, facendola andare a finire in mezzo ai cespugli. L’uomo incappucciato era rimasto immobile al suolo, apparentemente incosciente. Era stato incredibile quello che avevo appena fatto. Non avevo mai messo K.O. nessuno. A dirla tutta, non avevo mai colpito qualcuno in vita mia o almeno, non così forte da fargli perdere i sensi. 
Quando il rumore di statico iniziò a regredire nel silenzio, capii che era il momento di darmi una mossa. Dovevo prendere Ethan e allontanarmi alla svelta… ma c’era qualcosa che non mi faceva andare avanti. 
Guardai l’uomo incappucciato che si trovava supino sul tappeto d’erba. 
- Sarà morto? -
Perché mi stavo preoccupando di questo? Aveva tentato di uccidermi non meno di un minuto fa! E io avevo reagito per legittima difesa. Poi, non avrei avuto torto neanche se lo avessi ammazzato per davvero. 
Ma i sensi di colpa erano di tutt’altro parere. 
- Merda… cosa faccio adesso?!-. Avevo alzato gli occhi al cielo e mi ero guardata intorno, come se la mia coscienza sarebbe sbucata fuori all’improvviso per dirmi quello che dovevo fare. 
Tornai a fissarlo. Non riuscivo a capire se stava respirando. Il suo viso era completamente coperto e il petto era immobile. Pareva davvero morto. Tentai di elaborare in fretta un’idea. Andai a recuperare rapidamente le cesoie senza mai staccare lo sguardo o chiudere le palpebre su di lui. Poi, mi riavvicinai titubante, serrando il manico delle cesoie da giardinaggio. Le mani stavano sudando freddo. 
Posai tre dita sul suo polso, sentendo la pelle dura e coriacea, notai che aveva una cicatrice. Era di forma particolare. Un cerchio che recava una X al suo interno. Ignoravo il suo significato. Spostai le dita qualche centimetro più in là e riuscii ad avvertire un flebile battito. 

TUM – TUM – TUM

Era ancora vivo… e con questo, realizzai che si sarebbe ripreso da un momento all’altro. Nonostante questa amara constatazione, il mio cuore si sentiva più leggero. Ero sollevata di non essere un’assassina. 
Mi rialzai in fretta, pronta per andarmene, raggiungere Ethan e… ma qualcosa mi aveva afferrato la caviglia.

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