Sole di mezzanotte

NOTA DELLE AUTRICI

Buongiorno e benvenute in questa nuova collaborazione ad opera della sottoscritta e della cara TheEerieEden. Prima di catapultarvi nella lettura dello scritto, riteniamo opportuno precisare alcune cose riguardo la storia che leggerete. Innanzi tutto vi ricordiamo che le faccende si svolgono a cavallo tra l'800 e il 900, ovvero nel periodo in cui è ambientato lo Sherlock Holmes di Conan Doyle, o meglio, quello de "L'abominevole sposa" di Sherlock BBC. Siamo alla fine dell'era vittoriana e molti dettagli sono stati trattati in modo da avere una coerenza con il periodo storico. Di conseguenza, prima di giudicare, vi preghiamo di tenere conti di tali fattori.

1] Il matrimonio nell'era vittoriana.

Nell'era vittoriana il matrimonio non avveniva mai per amore, le donne erano costrette a sposarsi con uomini per motivi riguardanti le ricchezze, il ceto sociale, problematiche culturali ecc. Il matrimonio, più che un unione sentimentale, è un vero e proprio contratto dove l'uomo POSSIEDE la moglie, la quale non è nient'altro che un oggetto. È l'uomo a gestire il corpo della moglie, la quale non pensa, secondo la mentalità dell'epoca. Seriamente, la donna era solo un macchina per figli, o un comune oggetto di arredamento. Le picchiavano e avevano il diritto di farlo, anzi il dovere. Naturalmente sia Annie che Gwendolyn si discosteranno da opinioni tanto bieche, ma lo scoprirete presto. Comunque, non sentitevi offese da eventuali argomenti antifemministi, non siamo nel 2017, ma in un altra epoca.

2] La medicina.

Alcune cose, forse, vi faranno un po' senso, soprattutto nel campo medico. Nell'epoca vittoriana la medicina conosce un periodo buio. Ci sono i primi vaccini, ma anche medicine a base di arsenico, veleni, interventi chirurgici senza alcun senso e privi di una logica medica moderna. La gente moriva a causa delle cure e non delle malattie. Purghe, salassi e clisteri erano all'ordine del giorno, quindi niente flebo, niente lavori puliti. Diciamo che il povero Watson si ritroverà in qualche situazione spiacevoli a causa delle terapie del tempo.

3] La storia non è nostra, ma di William Shakespeare

Noi l'abbiamo solo riproposta, seconda una nuova ottica. Se conoscete questa famosi opera di Sherlock, allora siete avvantaggiati, poiché sapete come si struttura la storia. Speriamo di strapparvi qualche risata, anche perché si tratta di una commedia e non di una tragedia (niente Romeo & Giulietta). Naturalmente abbiamo modificato alcune cose, affinché la satira sia più assimilabile al contesto sherlockiano e, invece, del 600, abbiamo optato per l'epoca vittoriana, che è molto più 221b style, eh sì.

4] Mary è stata presente, ma Rosie non è mai nata.

Solo che è deceduta, quindi John è un vedovo. Non volevamo avere troppo inghippi e, così, abbiamo deciso che Mary è esistita, ma non è arrivato molto lontano. Non è personaggio che è mai stato amato dal popolo di Sherlock BBC, quindi ce ne faremo una ragione. Per quanto riguarda Rosie, abbiamo optato più per la trama di Conan Doyle, poiché la presenza della bimba avrebbe dato troppo problemi. Quindi, mi dispiace, ma niente Rosamund.

Detto ciò, buona lettura...




Il verde splendore, che inghiottiva ogni fetta della sconfinata campagna inglese, incedeva veloce nelle iridi azzurre della giovane viaggiatrice, che in quel tardo pomeriggio d'estate rimaneva a osservare l'esterno da un vagone di seconda classe, fatiscente quanto troppo ingombro di gente, di odori, di voci.

Londra era vicina e, per quanto colmo di aspettative battesse il suo cuore, la ragazza non poté fare a meno di lasciarsi trasportare da un senso di amarezza e profonda tristezza. Chissà se la grande metropoli avrebbe mutato l'intero corso della sua vita? Chissà se in mezzo a tanto agglomerato di esseri umani, gli uni differenti dagli altri, la giovane avrebbe ritrovato un po' di affetto e di pace? – nonostante fosse risaputo dai molti, la città fosse più simile a un enorme fabbrica in mattoni rossi, partoriente non soltanto ceneri e fetori nauseabondi, ma pure malcontenti e malattie che s'avvinghiavano nelle viscere dei più miserabili.

Se le verdi campagne inglesi potevano vantare di purezza e cieli limpidi, Londra avrebbe continuato a soccombere al grigiore del proprio stesso cielo, dividendosi costantemente tra sprazzi di vita splendente, mondana e l'inferno dei vicoli più neri.

Con la mente a vagare tra timori di ogni genere, Anna Bernardi dovette far spazio a una donna dal sorriso ingiallito, dai fianchi larghi, dal piccolo ventre rotondo di poco sporgente e con un fagotto strillante, tenuto fra le braccia grassocce. Al seguito di quella, un uomo rubicondo e di diversi anni più grande della giovane moglie, schiaffeggiò malamente il loro secondo genito, un marmocchio considerato ribelle per il solo aver chiesto in tono sofferente quando si sarebbe arrivati in stazione.

«Fallo smettere di frignare!» sbraitò a un certo punto l'uomo, decisamente rozzo e poco incline alla buona educazione, riferendosi alla propria donna gravida con il lattante di pochi mesi che s'agitava convulsamente nella giallognola copertina ricamata.

Un solo disperato innalzare di occhi al cielo venne fuori dalla povera sciagurata, la quale rassegnata all'evidente tirannia di suo marito, s'accoccolò ancora di più verso suo figlio nell'atto rassicurante di accarezzarne la piccola guancia paffuta.

«Congratulazioni!» Si ritrovò a sussurrarle dal suo posto vicino la giovane Anna, che intanto assistette alla scena decisamente intimorita, rannicchiata stretta stretta al finestrino.

Nient'altro di un angoscioso «speriamo non sia femmina!» fluì dalle labbra sottili della viaggiatrice, e la giovane dovette pensare a quanto folle e crudele dovesse essere un amore malsano e non corrisposto.

Mrs. Hudson, l'anziana governante di casa, accettate le umili referenze della giovane orfanella, aveva acconsentito a prendere, e con quanta inaspettata gentilezza, la giovane Anna Bernardi sotto la propria ala protettrice, offrendo alla ragazza nient'altro più di un semplice impiego da inserviente tuttofare in uno dei molti numeri civici situati lungo una delle vie più famose di Londra, Baker Street.

Il 221B, per quanto polveroso e così innaturalmente pieno di oggetti stravaganti fosse, diede modo alla nuova arrivata di ottenere un po' di sano ristoro in seguito allo sfiancante viaggetto di arrivo in città.

«Annie, mia cara, vi prego di non temere le stramberie dei padroni di casa», così l'aveva a un certo punto avvertita la dolce governante rugosa, sfoggiando inoltre quell'affettuoso nomignolo che Anna non mancò di osservare e apprezzare. «Per quanto burbero e saccente possa sembrare, Mr. Holmes è il migliore investigatore privato del Regno Unito. Benedetto ragazzo! Il secondo coinquilino, John Hamish Watson, è un uomo decisamente più pacato, un amorevole dottore e un vero gentiluomo!»

Fu così che, insieme a tali garanzie – le quali decise di accettare con un sorriso –, la giovane "tuttofare" del palazzo s'apprestò con un moto altalenante, misto a letizia e ansietà, a risalire i diciassette gradini scricchiolanti per giungere quindi alla soglia socchiusa.

Nei giorni a seguire, la così ribattezzata Annie non dimenticò la prima volta in cui l'insicurezza, accompagnata dal rossore sulle guance pallide, indusse le sue iridi chiare a un costante riabbassarsi perché intimorite dallo sguardo attento e freddo dell'uomo alto ed elegante, a cui tutta l'Inghilterra dava il nome di Sherlock William Scott Holmes.

Consapevole dello status sociale dentro cui riversava, l'umile donna accompagnò la propria entrata timorosa in quell'ombroso salotto, degnando l'uomo, impettito davanti alla lunga finestra, di un lesto inchino di riverenza. Nel fare ciò, qualcosa nella sua presa mancò di funzionare a causa dell'inceppo creato da un lembo del lungo abito, che s'andò impigliando sotto il tacco del nero stivaletto. Rischiò, per quello, di distruggere il malcapitato servizio da tè, che solo per un soffio riuscì a rimanerne indenne, tenuto ben saldo tra le lunghe dita della ragazza. Dopodiché, sollevate le iridi sgranate per lo spavento, si stupì nel trovare a pochi passi da lei due braccia tese che, una volta scongiurato il pericolo, si ritrassero in piena indifferenza, ma ancora sull'attenti per trarre in salvo il vassoio – come se da quello dipendesse la sorte dell'intera Inghilterra.

In verità, solo il terrore trasparito alla possibile vista dell'amato tè delle cinque riversato al pavimento tra cocci e biscotti frantumati, avrebbe indotto il sempre granitico Sherlock Holmes persino a correre in difesa della delicata porcellana, portandola via da tali grinfie, femminili ma goffe e disattente quanto mai. Lui trovò decisamente allettante quella frenesia, ma non affatto consona per i propri nervi saldi e per quell'autocontrollo tipico – da vero stoico incallito – che tanto lo contraddistinguevano.

Celandosi dietro una maschera di pura freddezza inespugnabile, l'uomo restò, dunque, muto e attento nel seguire per bene il lieve tintinnare di ceramiche cozzanti, che a ogni passettino della giovane sconosciuta, rossa di capelli quanto in viso, niente di buono lasciava presagire.

Da altra parte, desolata per tanto disdicevole inconveniente, Annie tentò quanto meno un rimedio alla svista, spronando i propri piedi traditori a raggiungere il ripiano più vicino e poggiarvi finalmente il vassoio d'argento. Nel breve tragitto, un teschio dalle orbite grandi e vuote, appostato sulla mensola del camino a mo' di consueto gingillo d'arredamento, catturò la sua attenzione.

Lei, poi, attese i rimproveri, che tuttavia non giunsero a impedirle di afferrare teiera e tazzina, e operarsi per l'arduo travaso. Al contrario, solo lo sguardo del consulente, che mai s'ostinava a staccare dalle piccole mani d'avorio, divenne presenza fortemente asfissiante.

Quel tè delle cinque aveva dovere di sopravvivere, come d'altronde la goffa ragazza dal cuore pulsante oltre ogni limite, poiché vittima di un frenetico attacco di comune ansietà.

«Avete di recente subito un grave lutto», parlò Mr. Holmes con tono cupo e sorprendentemente vicino all'orecchio di Annie, che di certo, non si curò di quel povero muscolo impazzito che nel petto pompò sangue due volte di più. Una freccia intinta di un qualche veleno letale colpì la sua coscienza di e in modo brutale.

I ricordi mai seppelliti riaffiorarono perché ancora ben freschi – fin troppo – nella mente e nell'animo martoriato della donna ferita. Volti di coloro che aveva chiamato da sempre "madre" e "padre", si tramutarono in null'altro più che due tombe grigie, poste l'una accanto all'altra, dentro a un pezzo di terra verde e intoccabile.

Il cucchiaino, che solo un momento prima la giovane portava a immergere nell'ambrato liquido, piombò pesantemente all'interno della tazza, causandone schizzi zampillanti che finirono inequivocabilmente tutt'intorno, – nonché sul biancore del grembiule da cameriera, fresco di pulito. Nello stesso preciso istante, due mani grandi e affusolate avvolsero con un tocco tiepido quelle piccole e altrettanto pallide di Annie, ma soltanto per sfilare dalle dita la preziosa tazzina di tè.

«Nessuno dei due vorrebbe avere a che fare con l'ira della mia governante.»

Si sorprese ad ascoltare la giovane, rimettendo fiato vitale nei polmoni, una volta appurata l'assenza di un possibile rimprovero. Invece, quell'inaspettato atto di cortesia frenò per un attimo lo scorrere del raziocinio, che poi ritornò a rifluire e con tanto coraggio. La vicinanza col detective rendeva le viscere di Annie incredibilmente malleabili.

«In che modo lo avete compreso? Il nero di un abito non fa un lutto subìto», niente poté contro la sua stessa bocca, che s'accollò tale inadeguata osservazione. D'altronde, la semplice divisa nera indossata stava a confermarne unicamente il servile ruolo da inserviente.

L'uomo, dal canto suo, tenne fermo lo sguardo contro quello di lei, visibilmente colpito, tanto che la timorosa ragazza credette di aver oramai oltrepassato il limite. Mantenere un contatto duraturo con occhi tanto algidi e indecifrabili avrebbe comportato un bel problema persino per la stessa regnante Vittoria, pur risaputo che fosse una donna dal temperamento forte e determinato.

«Lasciatemi esporre qualche spicciola osservazione», s'accinse a iniziare il signore della casa in tono calmo eppure allo stesso tempo autoritario. In qualche modo, i vispi occhi di un colore indefinito parvero sfidare l'ardire di Annie, facendosi portatori di un insolito brio, che la donna non mancò di captare. Come un attore alle prese con un copioso monologo, Sherlock William Scott Holmes voltò le spalle rigide e ben scolpite sotto la candida camicia e il nero panciotto, avviandosi verso il centro del salotto poco illuminato.

Dunque, immerse buona dose di aria nel torace e con la tazza ancorata al lungo indice, diede sfoggio del proprio estro oratorio. La timida inserviente ritenne quell'uomo dai capelli neri come la pece e gli zigomi affilati – ma che ben s'addicevano ad un volto tanto particolare – senza alcun dubbio affascinante e misterioso.

«Il vostro spiccato accento, per quanto le vostre piccole labbra siano rimaste inutilizzabili per almeno l'ottanta per cento del tempo, custodisce più eloquenza di quanta il mio fidato coinquilino, il dottor Watson, riesca a scovare sulle punte delle sue stesse scarpe, il che è tutto da dire», a quell'ultima informazione una lieve increspatura si materializzò su di un angolo della bocca dell'uomo, il quale mostrava per la prima volta un sincero cipiglio scherzoso, che rese quel volto, duro e inflessibile, meno granitico «...Ma torniamo a noi. La sottile catenella che cinge il vostro collo racchiude certamente la risposta al perché della vostra presenza in casa mia».

Un nuovo colpetto dovette incassare la giovane e con così tanta meraviglia che, come per testare la reale presenza del filo dorato, guidò entrambe le mani verso il petto, ben coperto dalla spessa stoffa del semplice abito nero.

«Signore, ma come-»

«Ammetto di aver peccato d'immaginazione, nonostante il mio lavoro non comprenda il solo provare a indovinare. Tuttavia non basta. Le prove sono tutto ciò che di più essenziale posso rivelare. D'altro canto, ho ragione di credere di averci preso, considerando il vostro gesto automatico di accorrere immediatamente ai due anelli di diversa grandezza che celate sotto al colletto.»

«Il vostro tè si fredderà» boccheggiò allora la donna in una sofferente agonia, che ben nascose dietro un mesto sorriso di premura.

La povera Annie, allibita e quasi del tutto incapace di respirare, esternò, dunque, tutto il proprio volere, così da veder mutare la piega che il capace padrone di casa era ormai in procinto di evidenziare.

L'intento era esattamente quello di allontanare la mente di lui dalle due differenti fedi di matrimonio, unici tra i più importanti ricordi materiali appartenuti alle persone più care che avesse avuto al mondo. Sherlock Holmes, tuttavia, a scapito di un'aspettativa così alta, non demorse dal suo intento. La mente iperattiva e pretenziosa dei confronti di stimoli allettanti, accettava la nuova presenza femminile classificandola a mo' di passatempo atto a dimostrarne le incredibili abilità di deduzione. In quel momento, poco importava se la bianca tazza contenente il tanto agognato tè si freddasse mentre oscillava da una parte all'altra a suon di spiegazioni.

«Una giovane donna entra nelle grazie di una vedova governante poco incline all'obbedienza, nonostante io stesso, e tanto meno John Watson, avessimo mai avvertito il bisogno di una seconda figura femminile in quest'umile dimora. Tuttavia, dall'oggi al domani, la mia governante decide tutt'a un tratto di convincere a elargire, e in modo tanto gratuito, i miei quattrini a una donna affatto portata per il riempimento di una sola tazza di tè. L'insolito attaccamento di un'anziana signora a una giovane fanciulla, quale voi, mi lascia intendere possa esistere un qualche tipo di sentimento affettivo alla base. Niente a che vedere con legami consanguinei. "Amicizia" mi sembra la parola decisamente più appropriata, nonostante la mia governante non abbia mai fatto cenno a una giovane di origini campagnole. Un paesino dello Yorkshire con all'interno un esiguo numero di cittadini. La solitudine, ahimè, pare essere la più cara compagna di vita di quella donna, vedova ormai da tempo. Niente corrispondenze epistolari, eccetto una- »

«La mia defunta madre... Sì, signore», alla fine, la combattuta inserviente s'arrese alle proprie stesse parole. La forza di resistere venne definitivamente meno. «Poco dopo la morte di mio padre – un'inevitabile incidente di calesse avvenuto sette mesi fa – mia madre compose una lettera indirizzata alla cara Martha Hudson.»

La memoria, fiume zampillante di ricordi incontrollati, viaggiò a ritroso quel tanto che bastava a ripercorrere le orme di una sera maledetta, in cui un tramonto appena giunto all'orizzonte, tingeva di rosso e di sangue la via di ritorno a casa. Un solo cavallo imbizzarritosi bastò a ribaltare il calesse dell'allegra famigliola, facendo sì che un onesto padre di famiglia finisse scaraventato lontano, senza più alcuna possibilità di salvezza.

Da quel momento, un'ormai disperata consorte, corrosa sempre più dal dolore, compose un grido disperato d'aiuto a una vecchia conoscenza londinese, quell'ultima un occasionale compagnia di visite domenicali in tempi di fiorente giovinezza. L'unica preghiera rivolta all'anziana Mrs. Hudson, comprendeva il prendersi carico dell'amata figliola, la giovane Anna, dal momento che, anche lei, avrebbe presto lasciato quel mondo terreno. E, difatti, la vita le venne strappata via dopo soli sette mesi esatti, lasciando un vuoto nel petto di Anna, la quale, assieme a quei corpi abbandonati alla mercé di fredda terra e vermi affamati, dovette sotterrare anche il suo cuore e, in una parte di quello, la speranza di essere felice.

«...Le chiedeva espressamente di aiutarmi nel trovare un alloggio e un lavoro. Qualunque cosa, ma che fosse quanto meno rispettabile e dignitoso.»

«Non è mia intenzione spaventare l'innocenza di una donna cresciuta lontana dalle insidie di città, ma Londra è un'immensa cloaca di sfaccendati e criminali dove, mi duole dirlo, non si è mai del tutto appagati». Una pausa accompagnò quell'ulteriore tuffo al petto della giovane, la quale vedeva, in quel frangente, nient'altro che il nero più oscuro sulla strada di un futuro già incerto. «Vi manca la campagna?» Nuove parole fuoriuscirono tanto repentinamente dalle labbra pallide e carnose di Holmes. Una nuova domanda inaspettata che la giovane donna, sottostante all'effetto ammaliatore del padrone, accolse ridestandosi dal malessere interiore che la attanagliava da dentro.

«Non ha importanza. Rincorrere il passato non è che una mera illusione dentro cui far vagare la propria coscienza alla ricerca di un po' di sollievo. Londra, mi sento di affermare, sarà la mia nuova casa.»

Quelle ultime parole non furono che un tremante sospiro di dolorosa accettazione. La sicurezza di trovare un porto sicuro in cui poter gioire sembrò all'improvviso un lontano miraggio.

«Vi auguro buona fortuna, ne avrete bisogno», sembrò terminare una volta per tutte il detective, mostrando quella sua decisione, accompagnandola il tiepido earl grey, che iniziò a sorseggiare. Il suo comportamento d'improvvisa indifferenza non si fece desiderare, e ad Annie sembrò oramai che la causa di tale disinteresse fosse dovuta proprio a se stessa e alla noia che lei comportava nel momento in cui s'accingeva a conversare con un uomo.

Sherlock Holmes si rivolgeva alla vetrata drappeggiata da pesanti tendaggi. Tedio o congetture tutte nuove s'aggiravano nella sua capacissima mente, e la giovane, come tutti, mai avrebbe potuto immaginarne le dinamiche, i come o i perché. Allorché, scelse come unica e sola soluzione ai suoi dilemmi la fuga.

«Istitutrice.»

I passi della donna dovettero arrestarsi ancor prima che il pensiero ne comandasse la volontà. La voce cavernosa dell'uomo tornò a rifluire.

«La piccola macchia d'inchiostro ubicata sulle vostre dita parlano più di mille impronte su una scena del crimine.»

Anna Bernardi si sorprese nel trasalire. Un violino in coppia con l'archetto restavano inutilizzati su un baule assieme a dei fogli di spartiti sparsi in disordine.

«Istruzione è ciò che vi caratterizza» continuò Holmes, imperterrito.

La brusca ondata che si abbatté sulla donna, simile a un catino d'acqua fredda versata sulla testa, stranamente non urtò la già fragile barriera di emozioni incombenti. Al contrario, il rossore che fino a quel momento le infiammava le gote, sembrò scemare magicamente.

In quelle parole, pronunciate tanto gentilmente dall'uomo in questione e per nulla contenenti una qualche critica spregiativa circa il particolare argomento appena messo sotto analisi, Annie intravide tolleranza e una spiccata compiacenza.

In verità, la giovane orfana, cresciuta sotto una discreta istruzione nonostante un mondo governato sotto la rigidità maschilista del tempo, aveva fin da subito espresso desideri e collezionato sogni nel cassetto – più facile a dirsi che a farsi, ma non per quello tali desideri erano irraggiungibili. Insegnare in famiglie ricche e influenti avrebbe significato per lei, dolce aspirante istitutrice, sperare di costruire un futuro basato su solide fondamenta.

«Sono desolata, signore, ma Mrs. Hudson ha insistito affinché scendessi giù in strada stamane. Ho provveduto personalmente all'acquisto di una copia del Daily Mail, signore, e-»

«Avete aperto il giornale non certo per lucidarne le pagine.»

Davanti a tale verità – che ella stessa sperava di nascondere –, nuove vampate di acceso rossore risalirono ad accaldarle il visetto di porcellana, che subito si tormentò per l'arrivo inevitabile di un rimprovero. Dopotutto, lei aveva osato usufruire del giornale ancor prima di consegnarlo all'attenzione del padrone di casa. Una grave mancanza di giudizio aveva fatto sì che la giovane nuova arrivata avesse permesso a quella sua perenne curiosità, che tanto la contraddistingueva, di liberare l'oggetto cartaceo da un "crudele intorpidimento" causato da un laccetto che fungeva da sigillo e anche di sfogliarne le sottili paginette, alla ricerca di un qualcosa su cui posare gli occhi azzurri, bramosi di trasformare le nere paroline in pensieri e immagini sopra cui intrattenere una fantasia sempre accesa.

Uno stoppino qualunque non avrebbe potuto sperare di uccidere la fiamma viva e bruciante di una candela, costantemente alimentata da nuovi stimoli, soprattutto quando ancora, nella sua casetta di campagna, quella poteva vantare di consultare scaffali – certo un tantino sgangherati – pieni e custodi di mondi da esplorare: i libri.

«L'inchiostro ben marcato su entrambi i polpastrelli, rispettivamente di pollice e indice, indicano l'azione meccanica di voltare pagina e, all'occasione, strusciarla nel mezzo dei due arti al fine di staccarne i fogli qualora fossero stati più di uno.»

La sola cameriera, risiedente nella dimora di un consulente investigativo e di un valente dottore, costretto a un ritiro dalla guerra, non sarebbe certamente solita aspirare alla nobile arte che del sapere.

«Ma voi Miss... »

«Bernardi», delucidò prontamente la ragazza a capo chino.

«Ah, origini italiane!» esclamò l'altro, come offeso da un'imperdonabile verità. Annie, intanto, si contorse le mani, già intrecciate tra loro. «C'è sempre qualcosa» continuò subito dopo Mr. Holmes, ma con tono rabbonito e un sorriso serrato.

Fu allora che la mente della giovane tornò inevitabilmente all'infanzia: i cieli, i mari, il giallo di un sole splendente in un caldo pomeriggio. Il grano dorato del raccolto abbondante d'estate, l'azzurro più limpido dello specchio d'acqua marino, che s'infrangeva contro le scogliere; l'Italia e una casetta in un villaggio posto sulle coste profumate di salsedine. Lei ebbe avuto sette anni, troppo pochi per rammentarne i dettagli, ma sufficienti per una bambina allegra e vivace, più che disposta  a scolpire tra i ricordi sentimenti gai e sereni.

Solo successivamente, però, indotta da bisogno di fortuna, l'allegra famigliola ebbe sbarcato in Inghilterra, dove a prendere il posto di sabbia e mare, vi furono state solo distese di prati verdissimi che li attesero a mo' benvenuto. Proprio lì, in mezzo a sacrifici e incomprensioni linguistiche, la piccola bimbetta dalla mente brillante e ancora non del tutto toccata dall'insano maschilismo dittatoriale, ebbe cresciuto nella giusta armonia. Suo padre, commerciante di mondo, ma da qualche tempo sempre più in rovina, ebbe trattato la figlia col rispetto e la dedizione più assoluti, alla pari di un qualsiasi altro figlio maschio mai avuto. L'istruzione, fin da sempre considerata sacrosanta, non era stata vietata nella sua dimora, tanto meno a una femmina.

Ricongiuntasi col presente, un bruciore terribile cominciò ad riaffiorare dal profondo del suo cuore, e risalì su su, fino a stanziarsi prepotentemente all'interno delle orbite, pronte oramai a svuotarsi di lacrime salate. I ricordi, indelebili quanto crudeli, ingabbiarono la giovane fanciulla senza più darle via di fuga.

«Sono desolata, Mr. Holmes. Non capiterà mai più, avete la mia parola», la catturò una svolta di serio disagio in quel momento. La fanciulla agguantò la ruvida stoffa del vestito da ambedue i lati e strinse forte i pugni fino a farsi sbiancare maggiormente le nocche. Doveva andare via da lì, affinché Sherlock Holmes non ne leggesse disperazione e odio verso se stessa. Tuttavia, nello stesso istante in cui la s'impuntò a rimettersi in moto, un secondo gentiluomo di poco più basso rispetto al primo, varcò la soglia del piccolo appartamento.

Un paio di baffi color biondo cenere decoravano l'arcata superiore delle labbra, dando perciò all'uomo un aspetto di minore giovinezza dell'altro, ma non abbastanza da renderlo poco attraente, o senescente.

«Oh, buon pomeriggio.»

Il dottor John Hamish Watson, si ritrovò a indovinare l'identità di Anna Bernardi, mentre una mano gli andava sollevando il copricapo coordinato al cappotto, a mo' di cordiale saluto nei confronti della giovane estranea.

«È probabile che mi sia sfuggito qualcosa?» si chiese poi lentamente il dottore senza mai staccare i suoi occhi circospetti dall'evidente cameriera in grembiule e cuffietta bianca. Ben presto, tuttavia, tolse le iridi blu dalla sconosciuta, preferendo come più consona visuale, quella familiare – oltre che amichevole – del fidato Sherlock Holmes.

E prima ancora che il detective potesse rispondere, la giovane inserviente dai capelli rossi badò bene di esporre un sussurrato «Perdonate signore, posso servirvi una tazza di tè?», pur trattenendo un tremolio insistente nella gola. Ciononostante, il dovere chiamava e il secondo padrone di casa era lì, davanti a lei, nell'evidente e tipica espressione di sorpresa di chi si sforza di capire tutto ciò che gli sta intorno.

«Il dottor Watson, ne sono convinto, saprà come maneggiare una teiera», badò a contestare pacato Mr. Holmes, che non più a dava di spalle alla donna e a John Watson.

«Per l'amor di Dio! Dunque, Mr. Hudson non scherzava con la storiella di una nuova ragazzetta tuttofare!» esclamò il dottor Watson fuoriuscendo dal suo guscio di contegno e imbarazzo – quest'ultimo causato dall'intera situazione a lui non ancora del tutto cristallina.

Anna Bernardi però, non udì alcun suono, concentrata com'era con lo sguardo e con la mente proiettata alla figura prestante, che stagliava ogni contorno al di là lunga vetrata.

L'espressione di seria circospezione, che il detective le riservava, mostrava un velo di patimento interiore, ed Annie dovette chiedersi se il gentiluomo dall'acume intrigante come pure dall'apparenza fredda e cinica, avesse intuito più di quanto volesse ammettere. Tuttavia, da che modo e modo andassero le cose, la ragazza fremente di levare quella sua scomoda presenza dal salotto, riconsiderò quanto detto da Sherlock Holmes circa quel suo consiglio camuffato da scherzoso ammonimento: non maneggiare più del dovuto il delicato servizio da tè.

«Pazzesco. Quella donna non ha freni, Holmes» continuò intanto John Watson con chiaro riferimento all'anziana governante. L'aspirante istitutrice intanto varcò già la soglia della stanza per andare via in assoluta discrezione. Nessuno dei due uomini parve più degnarla di attenzione. Era una cameriera e tanto bastava nel renderla invisibile. D'altra parte, ella rifletté su tutto quello che un solo uomo, avvenente e così incredibilmente loquace nei confronti di un'umile cameriera goffa e intimidita, fosse riuscito a fare nell'intento, sebbene indiretto, di indurla ad aprirsi a tante confidenze personali decisamente crude e mai prima di allora pronunciate. La stessa Martha Hudson rimaneva all'oscuro di numerosi dettagli riguardanti la vita della giovane, per la quale cominciava a nutrire affetto e premure.

«Decisamente poco incline all'obbedienza, mio caro Watson. Il mese scorso ha minacciato il sottoscritto di non ricevere più clienti, a meno che voi non avreste acconsentito a citare il suo nome per intero nei vostri resoconti d'indagine.»

Le giornate si susseguirono celeri in quell'immenso agglomerato di uomini, donne e bambini che era Londra, capitale di potenza, mutamenti e degrado. Contraddizione, parola chiave in un mondo in cui ricchezza, tra la più ostentata, contrastava l'abisso più turgido di una povertà destinata ad affondare giù, per annegare nelle proprie stesse brutture – come il sole e la luna, due difformi realtà incapaci di trovare alcun punto d'incontro, o due mondi conviventi sotto lo stesso cielo, pur senza mai toccarsi davvero.

La giovane Anna Bernardi, rinchiusa nella rassicurante dimora, situata nel centro caotico della città, vantava comodità certamente inconcepibili da una mente invece troppo offuscata dai morsi della fame, oltre che bramosa di un riparo dignitoso e protetto dalle insidie più oscure che quei vicoli della periferia malfamata comportavano a ogni ora. Criminalità, prostituzione, lavoro minorile e pestilenze infestavano la buona fetta di popolazione londinese, e fortunati potevano considerarsi coloro che ne restavano fuori, senza venirne contagiati, come vittime di un cancro che li divorava senza pietà divina.

Durante quei giorni a seguire, Annie tenne occupata la sua tormentata anima fra incombenze domestiche e sogni a occhi aperti. Il dolore dovuto alla scomparsa dei suoi genitori, avvenuta in circostanze tanto imprevedibili quanto brevi l'una dall'altra, veniva mascherata in buona parte da fatica e dall'occasionale tempo libero.

Uscite al di fuori delle quattro mura domestiche, per lo più predisposte all'acquisto di vivande e commissioni occasionali in botteghe vicine, volevano significare respirare un vago senso di libertà dentro cui distrarre maggiormente la mente a non pensare a quei demoni. La vita lungo tutta Baker Street incedeva frenetica in un ritmo incalzante e chiassoso. Carrozze, omnibus, e venditori ambulanti si avvicendavano fin dalle prime luci dell'alba, in un tripudio incessante di odori e suoni, facendo sì che l'inesperta ragazza di campagna fosse indotta all'attenti, sussultando a ogni scalpitio di zoccoli un po' troppo vicino o al sentire su di sé il tocco – seppur solo casuale – di un qualunque individuo si trovasse, come lei, a farsi spazio tra la folla.

Un monello di strada, con un berretto troppo largo per la sua piccola testa, s'avvicinava di soppiatto alle spalle di un elegante gentiluomo, per poi scappare in tutta fretta senza farsi scoprire. Sventolando il malloppo a mo' di un piccolo trofeo, il giovane ladruncolo corse via come scheggia verso un piccolo gruppetto di bimbetti, che ne attendevano il ritorno, soddisfatti e sghignazzanti. L'esiguo bottino, sottratto dalla tasca del facoltoso sventurato, comprendeva un fazzoletto ricamato accompagnato da un nastrino colorato per capelli – in tutta probabilità rubato precedentemente a una bimba.

Osservando quel quadretto scapestrato e ben poco raccomandabile, Annie strinse maggiormente più vicino al suo fianco il cesto contenente pane fresco e patate, sperando vivamente di non cadere dentro i piani disonesti di un malandrino qualunque. Non dissimili da quelli incontrati, inoltre, un paio di creaturine cenciose e ben più scheletriche raccattavano qualche briciola da mettere sotto i denti, sostando vicino agli ingressi di sale da tè, dalle cui vetrine, donne e gentiluomini agghindati sorseggiavano bevande fumanti, da accompagnare con fette di torte appetitose e dolcetti sfiziosi. Con il fine di guadagnare la pietà dei londinesi che entravano o uscivano da lì, gli innocenti miserabili s'avvinghiavano alle vesti dei clienti per poi vedersi allontanati bruscamente, come fossero topi sporchi e portatori di peste.

«Giornali! Giornali!»

Proprio ai margini del marciapiede, uno strillone particolarmente panciuto distrasse la ragazza dalla triste visione, urlando annunci a destra e a manca, nel tentativo di vendere giornali freschi di stampa. La donna dunque, gli si precipitò incontro, facendo poi ritorno al 221B con una copia del mensile Strand Magazine nella cesta, così come aveva previsto gentilmente la cara signora Hudson.

Lo stretto e buio vestibolo della casa accolse i passettini della cameriera dai capelli rossi, seguiti a ruota da quelli dell'anziana governante che, come da suo solito, era incaricata di ricevere la gente ad ogni tonfo del batacchio.

«Vi ringrazio, cara. Poggiate tutto nelle cucine», la esortò la donna accompagnando il tutto con un'occhiata torva, rivolta alla porta da cui si accedeva alla camerata interessata. «La signora Montgomery fremeva per le patate», proseguì poi con un chiaro scontento, che Annie non mancò di comprendere.

«Quella donna è insopportabile!», non poté fare a meno di asserire la ragazza sorridendo complice all'anziana governante, la quale ricambiò la confidenza con un risolino di rinnovato buonumore. La cuoca della casa era, a opinione di Annie, la donna più intollerante che avesse mai conosciuto nella sua giovane vita e persino, in quella mattina, non mancò di ravvalorare la propria ipotesi.

Inoltratasi nell'ambiente accaldato per via dei vapori che s'innalzavano da pentole di rame annerite, la fanciulla posò la cesta di cibo sul ripiano legnoso, che incombeva al centro di quell'indiscusso regno della cuoca grassoccia. La donna, dai fianchi giunonici e le guance rubiconde, tuffò immediatamente il viso sudaticcio nel recipiente di vimini, ispezionandone attentamente il contenuto. Estrasse furibonda il giornale appena acquistato guardando in cagnesco la nuova tuttofare.

«Non vorrete che condisca il brodo di maiale con tutto quest'inchiostro», gridò aspramente, sbatacchiando l'oggetto cartaceo davanti agli occhietti intimoriti della giovane. Questa, tuttavia, non lasciò che il coraggio le venisse meno, soprattutto se la colpa di tale svista non sussisteva per nulla: il giornale incriminato sarebbe stato tolto da lei stessa se solo la cuoca non fosse stata più veloce.

«Sono certa che il signor Holmes lo troverebbe di gran lunga più saporito, ma certamente nessuno vuole che la colpa del suo avvelenamento ricada su di voi, signora Montgomery.»

«Come avete detto?»

Tuttavia, l'aspirante istitutrice, una volta riappropriatasi del giornale – che sarebbe dovuto essere consegnato direttamente ai due padroni di casa –, non udì null'altro più che un frustrato ringhio.

Soddisfatta della piccola vittoria, salì in fretta le scale dove l'uscio della porta l'attendeva socchiuso. Riuscì a distinguere delle voci maschili. Ben tre diversi timbri venivano scanditi dall'altra parte della parete, ma la giovane preferì non disturbare nessuno con la propria scomoda presenza nel salotto. Molto probabilmente, un cliente giunto lì da chissà quale parte di Londra, era impegnato a spiegare il proprio caso ai due uomini, soci di quella sorta di agenzia investigativa privata.

Anna Bernardi aveva già avuto modo di osservare il grande quantitativo di gente che ogni giorno saliva e scendeva la stretta rampa di scale, chiedendo del famoso Sherlock Holmes, investigatore per eccellenza e ogni volta – o quasi – disponibile nell'aiutare i più disperati. Che fosse un cane o un gioiello scomparso, un'amante da incastrare o un individuo da braccare, Sherlock Holmes e il fidato John Hamish Watson sarebbero stati lì a risolvere un nuovo mistero.

Con fare silenzioso, Annie decise così di aspettare l'esito di tale consulto, finché il paio di stivali appostati di fianco alla parete vicina non frenò le sue suole dallo scendere ancora le scale. A quanto pareva, un nuovo impiego, di gran lunga conforme alla condizione di serva, l'attendeva di già e, una volta armatasi di spazzola e una buona dose di sana pazienza, la donna si rassegnò a grattare via del fango fresco dalla delicata pelle delle calzature maschili. Le dure setole che vi passavano sopra eliminavano fango e altre sostanze di dubbia provenienza, riversandosi all'interno del catino di ceramica che accoglieva acqua torbida e maleodorante.

Come già constatato in precedenza, i suddetti stivali di pregiata fattura appartenevano al gentile John Watson, il quale, ogni qual volta ce n'era l'esigenza, lasciava i suoi stivali da passeggio al di fuori della porta che conduceva al salotto dei due coinquilini, offrendo di conseguenza alla giovane inserviente la capacità di comprendere i precedenti spostamenti dell'uomo. Eppure, al contrario della maggior parte degli altri giorni, quella mattina, il medico baffuto doveva essere rincasato molto più prima del dovuto. Annie dedusse che la causa di ciò poteva essere associata alla presenza – a lei sconosciuta – che ancora persisteva nella stanza dei consulti.

Dedurre. Un sorriso increspò le labbra della rossa e un moto di fermento le divampò nell'addome. La curiosità, perenne compagna di una vita, alzò spavalda la cresta, indirizzando la mente a un pensiero ben preciso. La copia dello Strand, acquistata poco prima dal panciuto strillone di strada, faceva capolino per metà da una tasca del grembiule macchiato. Spazzola e stivali vennero dunque messi da parte per far spazio al giornale ripiegato su se stesso, e fu allora che l'aspirante istitutrice non si fece sfuggire neppure una virgola. La sua immaginazione galoppò senza freni, spulciando, girando quanto più in fretta le pagine profumate d'inchiostro e di carta. Mondi nuovi, scenari, volti di personaggi i cui nomi comparivano tra le righe, giungevano ad Annie trasportandola altrove. Sul fondo di una delle pagine finali, vi era l'ennesima avventura all'insegna di indagini e misteri con protagonisti un detective e il suo assistente biografo, – le illustrazioni a disegno per nulla erano dissimili dai due uomini in carne ed ossa e, con tanto di cappello da caccia e una pipa Calabash, il signor Sherlock Holmes ostentava in ognuna di quelle immagini sicurezza e serietà.

Mentre la prima parte del racconto veniva snocciolata ai suoi occhi, Annie sobbalzò inevitabilmente quando la porta alle sue spalle fu spalancata, mostrando un uomo di mezza età con due folti favoriti brizzolati. L'ispettore Gregory Lestrade mostrò fin da subito un interesse lampante per la donna in grembiule e cuffietta, che immobile nell'occupare il primo dei gradini, teneva aperto sul grembo l'oggetto cartaceo, reale attrattiva del confuso ispettore di Scotland Yard.

Per l'uomo probabilmente, le stranezze racchiuse in quelle quattro mura, dentro le quali trovavano concretezza esperimenti scientifici, una governante gracchiante e due uomini conviventi, s'ampliavano con la nuova cameriera, detentrice di sapere e chissà quali altre diavolerie. Leggere il giornale tanto spudoratamente seduta in evidente stato di ozio, preferendo ciò ai doveri di una serva qualunque, quasi rasentava lo shock, oltre che una ferita inferta all'orgoglio maschile di una società così tanto – troppo – maschilista.

Ciononostante, rivolta alla donna un'occhiata frastornata, l'incredulo ispettore Lestrade ridiscese le scale scansando lei e il catino di acqua sporca, così dileguandosi in un mugugno di sdegno.

«Nessuno morirà per mano di una donna che legge.»

Il tono da perfetto baritono si ripresentò alle orecchie della giovane, come velluto della miglior qualità. Un sussulto fin troppo agitato colpì le membra di Annie, che subito scattò in piedi alla vista del tenebroso ma sempre indulgente padrone di casa.

«Oh... Perdonatemi, s-signore... Io-»

«Suvvia, non siate così melodrammatica! A meno che non si tratti della baronessa Harris... Ma quella è un'altra faccenda e io ripongo totale fiducia in voi. A tal proposito, io e il dottor Watson vi saremo grati se ci servirete una buona tazza di tè.»

Dettato l'ordine, il consulente dal sorriso sagace sparì nel salotto, lasciando in fermento la donna, la quale notò che uno strano sfarfallio nello stomaco si stava lentamente manifestando.

Anche quella volta, il signore della casa non ebbe l'ardire di un rimprovero, incalzando al contrario il concetto di quel suo modo di pensare tutto innovativo e distaccato da quell'epoca, ancora chiusa e meschina.

In breve, il tè fu servito in due tazze ricolme, e con tanta maestria. Le mani di Annie, dal pallore simile a quello di una vera porcellana, non tremarono e neppure una goccia fu versata per errore. Le dita di Holmes accolsero il tè, regalando alla donna un cenno di elogio, e quella non poté fare altro che sorridergli, grata da tanta inaspettata gentilezza. Forse, si disse, la pace interiore sarebbe tornata, e chissà? E, magari, grazie a un uomo che un giorno l'avrebbe guardata in quel modo, accettandone i sogni, la dedizione all'istruzione e ai libri.

«Voi siete molto fortunato, se mi permettete», John Hamish Watson si espresse sovrastando il silenzio dell'ambiente. «È raro riuscire a imbattersi in una siffatta donzella, mi creda».

La fanciulla che intanto riponeva la bianca teiera sul freddo vassoio, attizzò l'udito verso quell'ultima constatazione.

«La bellezza è solo un concetto stereotipato, mio caro Watson. Voi conoscete molto bene ogni mio pensiero sul come questo mondo rimanga impagliato solo alla superficie delle cose. Onestamente, non trovo alcuna valida soddisfazione nel matrimonio ma, qualora non mi si presentasse più un'occasione così proficua, dovrò accontentarmi».

Matrimonio.

Seppur lievi, le illusioni a occhi aperti della giovane fanciulla si fecero inevitabilmente nulle. Fu un colpo allo stomaco, che pian piano e con quanta dolorosa lentezza, le risaliva al petto.

«Fatemi comprendere... Non trovate Miss Blomst confacente al vostro gusto personale?», domandò poi l'altro con accesissima curiosità. I baffi biondo cenere del medico si bagnarono di nuovo e tiepido liquido ambrato.

«Sarò duro, dottore, ma non ho interesse alcuno per la mia futura moglie. È una fanciulla molto mansueta, ma non è l'indolenza la sua migliore qualità. Ho conosciuto le sue doti qualche tempo addietro e, lo ammetto, ne sono rimasto fortemente colpito».

Colpetti sempre più rudi e implacabili s'abbattevano dentro l'anima di Annie. Il volto dell'uomo, che in quei pochi giorni aveva osservato e con quanta discreta minuzia, apparvero tutt'a un tratto di pietra fredda. Ghiaccio puro contrastava con quel corpo da giovane bello e affabile, più che disposto a maniere garbate e virtuose negli umili confronti di un'orfanella sola e abbandonata al mondo.

«Doti? Che genere di doti?» si chiese dalla sua poltrona, un po' impolverata, l'ex medico militare.

«Doti non comuni e molto mistiche», diede come risposta Sherlock Holmes, ammiccando con certo motivo d'orgoglio verso il proprio coinquilino.

Non una parola fuoriuscì dalle labbra serrate di Annie, la quale fu incapace di lasciare i due uomini conversanti tra loro. La curiosità guidava le redini sui suoi impulsi cerebrali, impedendole anche di fuggire via da tutte quelle brutalità emanate dal detective. Neppure un cavallo poteva vantare tale simile trattamento, men che meno una donna. Eppure, si parlava di quella alla pari di un comune trofeo da bramare.

«La donna riesce a penetrare le menti umane con un'innata semplicità. La sua testa è un vero e proprio scrigno di tesori, scrigno di mia appartenenza da qui a poco. Nessuno è mai stato talmente impavido da prenderla in sposa, nessuno ha mai voluto imbattersi in un così grande guaio, nessuno a parte me. Miss Blomst mi sarà molto utile negli anni a venire», la voce di Holmes continuava a esibirsi insensibile ad ogni sillaba esalata.

«È molto rude, se mi permette, concordare un matrimonio senza un fine che sia quantomeno rispettoso nei confronti della sposa in questione. Tuttavia, vi conosco da sin troppo tempo, Holmes, e non mi stupisco delle vostre scelte.»

«Non siate melodrammatico, Watson. La donna in questione è forestiera, oltre che nubile da ben ventiquattro lunghi anni. Nessuno le avrebbe concesso una migliore alternativa. Provvederò al suo mantenimento e le darò, come d'accordo, una vita domestica piena ed esaustiva, cosicché non si annoi troppo.»

«Ma voi la desiderate, almeno?»

La cameriera però, non volendo udire la risposta, vinse la curiosità e, null'altro che un semplice desiderio di fuga, si scatenò nella sua testa. Sfortunatamente per lei, l'uomo riuscì a pronunciare il proprio esito ancor prima che Annie potesse uscirne indenne.

«Il desiderio è solo un riflesso fugace e io, da come sapete, mi discosto da qualsiasi comportamento non comandato dalla ragione» terminò il bruno, senza un briciolo di sentimento alcuno.

Lacrime irrefrenabili strabordarono dagli occhi feriti, quelli tipici di chi comprende, già in partenza, il fallimento di una gioia ritrovata. Le tiepidi speranze dell'aspirante istitutrice andarono in fumo come l'ultima brace di un impacciato fuocherello, abbattuto da una pioggia scrosciante e impetuosa. "Come ho potuto sperare in un amore tanto puro e gentile, quando l'uomo su cui riservavo speranze non è altro che una bestia senza cuore?", ripeté a se stessa maledicendo al contempo il proprio vile e ingenuo cuore, pulsante di un'amara delusione.

Trafitta dall'interno, Annie raggiunse di corsa la rampa di scale superiore che, da lì, l'avrebbe condotta all'alloggio personale – solo un piano più su –, se soltanto la voce familiare dell'anziana governante non l'avesse chiamata a un'attenzione immediata. Allorché, a capo chino, la giovane s'apprestò a riasciugarsi le palpebre fradice, per poi giungere a fronteggiare l'esile corpo della donna, la seconda più degna nell'assomigliare a una madre.

«Annie, cara, devo chiedervi di preparare il vostro bagaglio.»

La vista, già sbiadita dalle lacrime, si fece inequivocabilmente più appannata, e vene ghiacciate parvero avviluppare il liquido rossastro che scorreva, dentro la rossa, in tante microscopiche scaglie di ghiaccio. Un pallore cadaverico colorì, inoltre, il suo tenero viso da orfanella. Il momento tanto temuto era ormai giunto a lei e la sua permanenza in quella casa poteva considerarsi finita.

«Oh, cielo, Annie, vi sentite bene? Dovrete essere al massimo delle vostre forze alla festa.»

«... Festa?», sangue caldo tornò d'un tratto a rifluire tanto in fretta, quanto la parola pronunciata così allegramente dall'anziana.

«Certamente, cara. Vedete, ci sarà una festa dalla famiglia Blomst questa sera e, a causa della mancanza di personale, ho pensato che una giovane forte e sveglia, come lo siete voi, sarebbe stata perfetta per elargire un aiuto pratico. Non temete, verrete scortata in carrozza questo pomeriggio. Mr. Holmes la raggiungerà poco dopo. »

«Mr... Mr. Holmes mi raggiungerà?» chiese l'ancora ignara fanciulla, al limite della sorpresa.

«Beh, Mr. Holmes sarà uno dei tanti ospiti che presenzieranno all'evento, cara. La festa inaugurerà solo il fidanzamento che lui ha suggellato con di Miss Gwendolyn, la secondogenita della famiglia.»

Una mano, stretta intorno al suo cuore parve, stritolarlo sempre più forte, sino a farlo prosciugare del tutto della linfa vitale. Annie s'arrese al dolore, alla tristezza e a una misera rassegnazione dei fatti. Era tempo di crescere, rinforzare la tempra e soprattutto, smettere di comportarsi come chi cerca di scorgere al di là delle nuvole un gaio raggio di sole. In quel momento, la coltre della fanciulla non si sarebbe dipanata così facilmente.

«Concedetemi questa cortesia, Annie. Sono anni che combatto contro la mia anca. Ahimè, credo di non essere più quella di una volta. Voi un tantino me la ricordate, sapete?», la dolce Mrs. Hudson, che già da qualche tempo aveva scorto negli azzurri occhi una scintilla d'interesse per l'irritabile Sherlock Holmes, nulla poté contro il malumore della giovane. Ciononostante, per il bene della sua pupilla, sperò con tutta se stessa di aver preso un abbaglio – per quanto il bel detective fosse incredibilmente rispettabile nei confronti di esponenti femminili, nessuna donzella avrebbe mai dovuto soccombere alle stranezze e quegli occasionali momenti di burberi comportamenti da parte dell'uomo. In segreto, pregava giorno e notte per l'anima della giovane Miss Gwendolyn, alla quale a breve avrebbe dovuto rivolgersi con l'appellativo di Mrs. Holmes.

Con la chiara intenzione di alleggerirne il gravoso compito, la governante strizzò l'occhio alla sua piccola protetta, allungando inoltre la mano nodosa e indirizzandola a un tocco lieve, ma sentito, sull'altra.

«Lo farò» confermò infine Annie, sorridendo in maniera per nulla convincente. Con passi di piombo e un cuore impietrito, si diresse quindi a cambiarsi d'abito.

Il rispettabilissimo quartiere di Belgravia si offriva in tutto il suo ricco splendore ai londinesi che ne calpestavano il suolo. Candidi palazzi, eleganti e puliti, contrapponevano il biancore del semplice intonaco a nere cancellate e agli intarsi, che abbellivano finemente le grandi facciate. Distaccata dal gruppo di ingressi, tipicamente a schiera, la dimora della famiglia Blomst si ergeva importante e massiccia all'interno di un giardino verde e rigoglioso di piante e fiori colorati, tra fontanelle monumentali e un largo sentiero acciottolato, pronto a guidare i nuovi ospiti sotto il porticato di colonne con cui si accedeva alla casa.

Miss Sutton, la governante della famiglia poteva vantare meno rughe rispetto all'anziana Martha Hudson, ma non di certo la stessa simpatia. Di tempra austera, la donna dal viso affilato e lo sguardo ceruleo, guidò senza perdersi in frivolezze la "tuttofare", Anna Bernardi, per l'immensa scalinata che portava ai piani più alti. In una delle stanze riservate ai padroni di casa, una giovane fanciulla con capelli color dell'oro e i lineamenti graziosi di una bambolina, sedeva immobile davanti alla toeletta, facendo sì che uno sguardo spento venisse riflesso nell'ovale di uno specchio intarsiato.

«Miss Blomst, vorrei presentarvi Anna Bernardi.»

La donna dalla pelle color avorio nient'altro che un cenno di assenso elargì alla nuova arrivata, e Annie si ritrovò a pensare, suo malgrado, a un fatto: quegli occhi, tanto mesti e tristi, non erano i primi che si era ritrovata trovata a osservare.

«Miss Bernardi sostituirà Evangeline solo per l'evento di quest'oggi. Mr. Holmes ha garantito per la ragazza. Vi preparerà per il ballo, Miss Gwendolyn.»

Il leggero tonfo della porta, richiusa tanto in fretta, portò l'intimidita Annie a voltarsi di scatto, come a voler richiamare la donna appena dileguatasi per implorarla di ricondurla al piano di sotto. Tuttavia, a scapito di quanto avrebbe potuto affermare lo stesso Sherlock Holmes, Annie si giudicò incapace di tale mansione ancor prima di provarci, e perciò sentì un nodo che, insistente nella gola, le mozzava il respiro. L'altra eterea donna – che pareva risorta da una tomba, talmente addolorata e pallida era – non aiutò nell'impresa.

«Potete rivolgervi a me chiamandomi semplicemente Gwen, lo preferisco. La mia cameriera personale, Evangeline, è particolarmente silenziosa e costantemente intimorita da me. Non mi dispiacerebbe se qualcuno mi trattasse come un semplice essere umano... Di tanto in tanto...»

A quelle parole, esplicate con quanta mai malcelata sofferenza, la sostituta tuttofare – e assieme a lei ogni più spiccato timore intento a scivolare via, lasciando il posto a sincero patimento –, avvertì il bisogno di accorrere in soccorso dell'ormai appurata futura moglie del consulente. Se solo la donna avesse ascoltato quanto udito pronunciare dall'uomo in questione...

«Il vostro bustino necessita di una stretta», parlò per la prima volta Annie, mutando l'espressione in un sorriso amichevole.

La borghese, dal suo canto, si espresse nella più totale indifferenza, abbandonando la comoda imbottitura della sedia e, svestendosi della lunga vestaglia colo ciano, ricamata di pizzo bianco, elargì alla serva il permesso di iniziare la preparazione. Afferrati, e in maniera non poco titubante, i sottili laccetti rosati, Annie concentrò le proprie dita al meccanico atto dell'intreccio dei nastri, non prima però di averne aumentato la lunghezza tirando in maniera decisa e sicura, per meglio portare il bustino ad aderire alla vita sottile della giovane festeggiata.

Il viso algido e spigoloso dell'uomo, da quegli occhi azzurro-verde così incredibilmente meravigliosi, ottenebrò per un po' la mente di Annie, eclissandola dai suoi compiti e, in particolare, da quel bustino dal taglio raffinato, da stringere con vigore.

Fu inevitabile avvertire una punta di gelosia per la ricca donna lì presente. In qualche modo, l'aspirante istitutrice pensava a contribuire all'avvento di quel maledetto matrimonio, nonostante potesse intuire, dalla futura sposa, una qualche assenza di fierezza nei confronti di tale unione, così unica e rara.

Un'appena accentuato mugugno dolorante, nel frangente, si fece strada verso le orecchie della sbadata cameriera, la quale immediatamente arrestò quella sorta di tiro alla fune, semplice riflesso atto a convertire la rabbia crescente.

«Sono desolata... Io...»

«Vi invidio, sapete?» pronuncò l'altra, nonostante il dolore.

Le mani di Annie, allora, bloccarono quell'arduo e asfissiante intreccio di nastri, «invidiarmi?» chiese candidamente, come scesa da una soffice nuvola del cielo.

«Siete fidanzata, Anna?» domandò la futura sposa, cogliendo l'altra impreparata.

«No... Non lo sono» ammise con certo disagio la seconda, mentre di nuovo avvertiva la nitida immagine dell'uomo, col cappello da caccia calato in testa, occupare buona parte dei propri pensieri.

A chi la dava a bere? Sicuramente non a se stessa, si disse. Orfana, detentrice di una misera dote, e lungi dal considerarsi appetibile per un qualsivoglia gentiluomo, Annie sapeva di dover trovare qualcuno che potesse prendersi cura di lei ma, ripensando alla prospettiva di un matrimonio, non riusciva a capacitarsi del fatto che, dote o meno, avrebbe dovuto sposare qualcuno che non amava. Fece visita col pensiero, infatti, ai suoi genitori, una coppia di umili ma onesti borghesi, fedeli l'uno l'altro, amabili e mai violenti. Suo padre, uomo semplice ma gentile aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per concedere una vita serena e felice alla moglie e alla figlioletta. L'amore vero era il solido collante che da sempre aveva saldamente unito quella meravigliosa famiglia.

«La libertà dei sentimenti vale più di mille altre. Tenetelo a mente, Anna.»

«Annie. Potete chiamarmi Annie.»

Un sorriso più accentuato sbucò finalmente da un angolo della piccola bocca perlacea della bionda fanciulla. La giovane credette anche solo per un momento di aver trovato la persona più adatta a confessioni d'intima e personale portata; un'amica magari o, più semplicemente, una leale confidente. Non c'era alcun dubbio: la giovane Anna Bernardi trasudava fiducia, gentilezza e una buona dose di spiccata empatia.

Il tempo che ne seguì venne impiegato nell'assemblaggio completo dell'abito e che tra sottogonne, strati di tulle e ingombranti panieri non mancò di scalfire l'infallibile pazienza di una Annie totalmente invischiata nell'impegnativo compito. Uno dei molti aspetti che meno sopportava riguardava tutto quello. Si chiedeva infatti, per causa di cose, il perchè le donne fossero costrette, per la sola moda del tempo, a soffocare tra innumerevoli strati di tessuto, anche quando il caldo di quell'estate imperversava nell'aria madida di odori stantii e il più delle volte nauseabondi. Per la prima volta nella sua vita, la fanciulla dovette ricredersi circa il proprio abito mondano, semplice e di un grigio spento, ma decisamente comodo se paragonato a quello quello di una dama qualsiasi – scomodo e dai molti artifici.

«Il mio scrigno è alla vostra destra, desidero indossare solo un filo di perle stasera, nient'altro» disse a un tratto la giovane Gwendolyn, alterando di un tono cupo la già flebile voce. La bellezza del sontuoso abito da ballo mal si addiceva all'umore della donna, nero come la cenere. L'azzurro di un cielo limpido dipingeva la veste ampia merlettata e costellata da innumerevoli motivetti floreali bianchi e rosa; il tutto componeva una perfetta armonia di toni e sfumature.

«Perle, Miss?» domandò interdetta Annie. «Non vorrei essere scortese, ma le perle non sono indicate a un così gioioso festeggiamento. Si dice portino lacrime, e nessuna sposa desidera piangere a causa della tristezza durante il proprio matrimonio».

«Io ho già pianto», Gwendolyn lasciò la lingua libera di farfugliare senza remore alcuno e di farsi sentire a mala pena. Le nere iridi di quella vagarono in ogni dove, ma mai per soffermarsi dentro quelle di Annie. Il cuore gonfio di un'infelicità crescente presagiva un futuro incerto e funereo. L'unione matrimoniale non avrebbe giovato alla propria salute fisica, ancor più della mente.

I sentimenti negativi della triste fanciulla non sfuggirono di certo a Annie, la quale dopo aver recuperato la pregiata collana di perle dallo scrigno finemente intarsiato, proseguì indaffarata nei servigi, agganciando il gioiello al collo sottile ed elegante della miss. In seguito, afferrò una spazzola ovale e diverse forcine, così da acconciare i capelli della futura padrona.

Chiusa nei propri compiti, Annie rimuginava circa Holmes e la giovane lì presente, l'altare e le promesse nuziali, e i canti festosi, gioiosi. Chissà cosa avrebbe partorito un matrimonio combinato e senza alcun sentimento d'affetto a farvi da fondamenta?

«Se mi permette, a quando le nozze?», ancora una volta, l'indiscrezione, unita a pura curiosità, non frenò la domestica dal porgere domande.

Dall'altra parte tuttavia, Gwendolyn era lieta di riempire quei silenzi intrisi ogni volta di pesantezza e aspettativa. Conversare, o semplicemente sfogarsi, le avrebbe fatto bene.

«La data è l'unica cosa che mi è concesso scegliere» rispose dunque sospirando rassegnata. «Ho tardato questa decisione fino a questo momento, ma non posso più indugiare: mio padre attende trepidante il mio responso».

Una sommessa litania si alzò tutt'a un tratto dalle corde vocali di Annie, la quale recitò a memoria:

«...Il lunedì è per salute e giovinezza,

il martedì solo per la ricchezza,

il mercoledì è il miglior tra tutti,

il giovedì è per chi vuole la croce,

il venerdì è per i lutti,

il sabato per la malasorte che nuoce.»

E Gwen non mancò di esprimere un parere. «Non conoscevo questa filastrocca» ammise con spiccato interesse rivolto alla curiosa fanciulla dai capelli fiammeggianti – una scialba e triste veste, ma in compenso una mente acuta, brillante quando i diamanti.

«In Inghilterra è molto comune tra le promesse spose, sapete?» spiegò la ragazza, con sicurezza. «Aiuta la fanciulla a scegliere la migliore data per le nozze, Miss».

«In Danimarca non abbiamo un'usanza del genere.»

«Nemmeno in Italia, in vero», ridacchiò schietta l'aspirante istitutrice, riacciuffando un ricciolo dorato che continuava a sfuggirle dalla soffice presa.

L'ingresso della villa non poteva vantare l'impronta di un angelo del focolare, più che predisposto a decorare con deliziosa oggettistica ogni angolo di quel bel villino immerso nel verde. Non esistevano addobbi, né tende drappeggiate con setosi ricami ricercati, né il confortevole tocco femminile. Mr. Blomst aveva cercatemene due figlie ma, essendo l'unico reale padrone della dimora, aveva ammobiliato le mura possenti e il pavimento con un stile castigato e per niente conciliabile con il grazioso e pavoneggiante gusto delle signore del periodo.

Non vi erano, lì dentro, luccicanti vetrinette ricolme di sfavillanti servizi da tè, e nemmeno un morbido rosato smorzava tutto il lucido color mogano del semplice legno che, invece, infestava ogni singola camera. Le vetrate – decorate con basilari disegni stilizzati – erano state incastrate al mastodontico portone principale, e convertivano le ultime luci del tramonto in una cascata di raggi che, dall'aspra tonalità smeraldo, si scontravano sulle ampie pareti di pietra. Il parquet, tipicamente a spina di pesce, era ricoperto da interminabili tappeti persiani e conduceva verso un'ampia scalinata in ciliegio. In ultimis, si trovava un balconcino interno, utile al raggiungimento delle molteplici sale costituenti il piccolo maneggio.

La sala da pranzo non era certamente regale quanto quelle di sua maestà, ma suscitava un certo effetto a causa del profondo contrasto cromatico. La carta da parati scura attorniavano un tavolo imbandito, ma delicato nella sua tovaglia color crema e nelle mille decorazioni: i candelabri attorcigliavano i loro arti, sostenendo lumi vibranti, e i piatti di porcellana, tutti generati dalle mani di sapienti artigiani danesi, erano sistemati in un modo millimetrico, così da dare sfondo a un'equilibrata parvenza di voluta perfezione.

Era solo un banale festa da fidanzamento, organizzata con il solo scopo di mantenere le tradizioni e rendere soddisfatto il padrone, ritto nei suoi due metri e più che disposto alle creazione di nuovi rapporti.

L'evento prevedeva una cena, i cui partecipanti, tutti amici dei due futuri coniugi, avrebbero dovuto tessere conversazioni con il fine di rendere ancora più saldo ogni legame di apparente conoscenza. Mr. Holmes, suo malgrado, non si considerava il perfetto candidato a tale boriosa circostanza, ma era riuscito a corrompere il buon vecchio Greg Lestrade, l'odioso Philip Anderson e il più che detestabile fratello, Mycroft Holmes, a presenziare sotto le vesti di "amici".

Nemmeno John Watson si era fatto mancare l'occasione e, punzecchiando l'amico di tanto in tanto, partecipò a ogni dibattito che inframezzava un boccone dall'altro. Di tanto in tanto, tuttavia, si concedeva di rimirare la futura sposa, un viso angelico candido e carezzato da un morbida criniera dorata. L'oramai quasi Mrs. Holmes appariva come immune alle chiacchiere e, proprio perciò, anche ingabbiata in una qualche prigione di silenzio. Forse, la cena e tutto il resto non la aggradavano, a giudicare dall'espressione spaesata.

«...Dicevo, quando siamo arrivati nel luogo del crimine, abbiamo scoperto l'identità del malvivente. Si trattava, per nostra terribile sfortuna, di una donna isterica, ma nessuno lo aveva capito.»

Lestrade si dilettò nel raccontare l'ultimo caso intrapreso.

«Isteria, è la piaga di questo decennio» disse una lingua schietta. Scarlett Blomst – o meglio Scarlett Gautier, secondo il contratto matrimoniale – dava grande partecipazione a ogni piccolo chiacchiericcio, tanto era informata sugli eventi del presente e del passato. La testolina rossa sembrava avere molto da dire e ben riusciva ad ammaliare, all'interno della stanza, ogni personalità, inclusa quella del marito Pierre, più che contento di contribuire al colloquio generale con qualche nozione appresa nel periodo recente.

«Certamente, ma non conoscete il lavoro di Joseph Breuer. La cura dell'isteria attraverso il metodo catartico. L'ipnosi è la nuova scienza, secondo gli intellettuali del nostro tempo. Sinceramente, sono rimasto molto colpito da tutte queste nuove teorie.»

Il resto dei partecipanti, per lo più costituito dalle vecchie amicizie della primogenita Blomst – pimpanti dame accompagnate da mariti aitanti, belli come l'estate – diffusero un ciarlare esasperante.

«Dove mi hai portato?» chiese Mycroft, seduto al proprio posto.

Sherlock replicò, calmo.

«Pensavo fossi a conoscenza del mio fidanzamento.»

«Non ero a conoscenza di questa insulsa compagnia» farfugliò l'altro, avvicinandosi all'orecchio dell'interessato. Niente era più disagevole che un mucchio di beceri individui, secondo la mentalità di chi era perte della famiglia Holmes, cervellotici e a-sentimentali.

«È solo questione di poche ore» disse il detective, sospirando.

Il pendolo oscillò, misurando il tempo anche per la piccola Annie, giunta tra lo sfarzo con una divisa ben ordinata e tra le mani una zupperia traboccante di liquido insaporito attraverso carne e verdure. La ceramica, surriscaldata dall'intruglio, le bruciava le dita, ma lei non demorse e, alimentandosi di fatica, cominciò a servire ogni piatto. Precisa e scattante, non si accorse dell'errore. Il viso del consulente l'aveva incantata a tal punto da farle riversare il contenuto del mestolo al di sopra dei pantaloni di uno degli invitati, Philip Anderson.

«Oh cielo, mi dispiace, mi dispiace tanto, Signore» strillò lei, dopo aver bevuto con l'orecchio il lamento lacerante dell'uomo.

«Che piccola decerebrata, chi è lo stolto che ha provveduto ad assumere un simile essere così maldestro e inutile?» chiese il malcapitato, quando il calore sfumò via, alleviando il bruciore della pelle che era stata, purtroppo, raggiunta dalla zuppa cocente.

«Sono stato io» affermarono delle note cupe, ma suadenti.

Sherlock pugnalò Mr. Anderson con lo sguardo.

«Come?»

Sherlock sorrise furbescamente e divenne cheto.

«Sono lo stolto che ha provveduto ad assumere un simile essere così maldestro e inutile, Mr. Anderson» ribadì, tutto compiaciuto.

Il burbero Phip Anderson deglutì e, come per non destare troppa attenzione dai volti che lo seguivano distrattamente, si limitò a un consiglio falsamente gentile, tutto mirato al falso amico della serata.

«B-beh, provvedete a licenziarla, quantomeno» barbugliò, spaventato dalle reazioni del gelido Holmes, «non è nemmeno in grado di versare la zuppa in un semplice piatto fondo, ho notato».

Sherlock distolse lo sguardo dall'attaccabrighe e ribatté.

«Sarò sincero, sono a conoscenza delle limitazioni della mia "tuttofare", ma vede non posso punirla per ciò che ha appena compiuto. È stata la vostra presenza a confonderla, così accecandola.»

Ognuno dei presenti origliò, fingendo di parlottare di tanto in tanto, per non troppo accentrare l'attenzione primaria. Qualche litigio di poco ponto serviva a dare sapore all'intera festicciola.

«Prego?», Philip si mostrò indisposto.

«Oh, non sia sorpreso, la vostra presenza confonde da anni persino me» concluse il consulente, inforcando il cucchiaio e sbatacchiandolo nella porcellana, così tramutando il fluido profumato in un vortice leggero, simile a un maëlstrom dalle piccole sembianze.

Annie, per la prima volta, sorrise nell'ascoltare le bieche parole di un essere speciale, straordinario e irripetibile come Sherlock Holmes, personalità sconvolgente quanto il sole nelle mezzanotte di una landa di neve fredda, pulita e pura quanto tutti i sentimenti del proprio giovane cuore.

La cena proseguì con la venuta di portare sempre più complesse e molto sofisticate. La zuppa si era preannunciata come l'antipasto di nuovi piatti, sporcati con cibi tradizionali e succulenti. Le mani della cuoca aveva creato un vero proprio miracolo, dacché ogni domestica si ritrovò a servire specialità in fricassea con contorno di riso, arrosto di maiale con patate, ghiaccio al limone – come digestivo –, involtini freddi con crema al burro, dolci, cioccolatini, torte e conserve. Del buon vino o del semplice tè corretto con del pregiato whiskey fu la degna conclusione di un pasto abbandonate, ma delizioso. Le salse, le verdure, ogni singola briciola rasentava la perfezione.

Si ritirarono tutti in salotto, una immensa camera dalle violente colorazioni cremisi, addobbata con tappeti dal tema confuso, ovvero un labirinto di ghirigori argentati che correvano sulle setole, dando luogo a un effetto ottico particolare e molto raffinato.

Il piano a mezza coda, la maggiore attrazione della casa, fu subito succube dei polpastrelli di Gwendolyn che, come la tradizione richiedeva, aveva l'ingrato compito di mostrare tutto il proprio prestigio nelle doti di una comune donna inglese. Non le era concessa altra dote, se non quella musicale, o una ancor più banale, quella del ricamo.

Lo spazio enorme del salotto, aveva permesso di dare inizio alla migliore dimostrazione di gioia di un comune festeggiamento: le danze. Tutti si accalappiarono qualche metro per destreggiarsi in balli semplici e non proprio etichettatili secondo il codice di un grande evento al palazzo reale. Nessuno, tuttavia, volle tenere il corpo sui divanetti e, con la confidenza tra le gambe, si divertirono nella maniera più classica e ben accetta del secolo.

Gwendolyn suonò, con gli sguardi indagatori di chi aveva il compito di giudicarla come un'aspirante moglie. Forse, aspettavano un nota stonata o un piccolo errore da demonizzare nell'arco di qualche secondo. Sfortunatamente, nemmeno il più severo ebbe da reclamare e, spezzata l'odiosa tensione, la giovane finì il brano e, chinata la testa in senso di ringraziamento, fece per fuggire via da lì, in cerca del respiro che aveva cominciato a farsi sempre più corto.

Un dolore molto sottile cerchiò un piccolo giro di fuoco intorno alla sua esile vita, ululando un qualche segno di allarme. Gwendolyn, però, lo ignorò, poiché braccata da una mano amica, improvvisa quanto un fulmine nelle stagione della fredda Gran Bretagna.

Scarlett la tirò per un braccio e la condusse lontana dal tornado di corpi che si dimenavano tra una finestra e l'altra. Le accarezzò la schiena, come faceva molto prima di partire via – per raggiungere la nuova casa coniugale –, così da rincuorarla sul perpetrarsi delle novità.

«È molto affascinante» dichiarò, riferendosi a Mr. Holmes, molto tenebroso e seducente rispetto alla comune schiera di pretendenti del paese. L'occhio di ghiaccio e il viso stretto in un'unica smorfia, davano al fidanzato della sorella quell'aria da eroe byronico che ogni fanciulla del regno bramava, con in mano il cuore sanguinante.

«Così molti lo definiscono.»

«E anche alto, molto alto» continuò Scarlett, muovendo la mano lungo la pettinatura dorata della più piccola della famiglia, in segno d'affetto. «Ti darà dei figli dalla buona statura, Gwendolyn. Credimi.»

«Lo spero», finse la giovane, abbassando il naso.

«È ricco?» chiese l'altra, frizzante.

«Non molto, ma dubito sia la ricchezza il suo principale interesse. Condivide un'abitazione di Baker Street con un coinquilino ma, pur nascondendolo, guadagna sufficientemente per una bella magione nelle campagne inglesi, e non quelle paludose» spiegò la donna.

«Molto sospetto», Scarlett spalancò i brillanti occhi verdi, ghermì la sorella per la spalla e le avvicinò l'arco di cupido all'orecchio, così da poter porre l'ultima irriverente domanda. «Non sarà mica un invertito. Gwendolyn?» chiese, ironicamente.

L'altra ebbe un sussultò e fece segno di silenzio con l'indice all'interlocutrice, così da zittirla istantaneamente.

«Sta' zitta, o potrebbero sentirti.»

«Stavo solo scherzando, tesoro» si giustificò la rossa, sorridendo con furbizia e, inoltre, continuando a lisciare il braccio della bionda. «Sei stata molto fortunata, non vedo degli zigomi così da tanto tempo, e quegli occhi di ghiaccio sono a dir poco meravigliosi. Saresti potuta finire con un vecchio, o addirittura con un miserabile nullatenente, ma il destino ti ha sorriso, tesoro mio.»

"Tsk", Gwendolyn non lo accettò.

«Così dicono.»

E la maggiore sospirò.

«Sii una buona moglie, Gwen. Dovrai servirlo ogni qual volta lo desidera e, naturalmente, tenere d'occhio la casa e soprattutto le serve», le consigliò con affetto, cercando di indicarle con il lume delle parole la via più idonea alla lotta contro l'ombroso sentiero della vita coniugale. «Ne avete di serve? Non è così?»

Il volto della "tuttofare" s'impadronì dei ricordi della piccola miss.

«Sì, una governante, di nome Mrs. Hudson» rispose Gwendolyn, indicando timidamente una giovane fanciulla dalla folta chioma ramata che, con il vassoio in mano, s'impantanava nel tappeto, in cerca dell'uomo che amava e mai avrebbe smesso d'ammirare con devozione. «...E una tuttofare, si chiama Anna, è molto servizievole.»

Scarlett storse il naso.

«Oh sì, noto come lo serve con solo l'uso degli occhi» affermò, giudicando il comportamento della sconosciuta appena osservata. Quella piccola servetta perseguitava con le orbite un uomo impegnato, nella piena celebrazione di un fidanzamento e senza alcun pudore.

«Sta' attenta, Gwendolyn, potrebbe rivelare delle spiacevoli sorprese. Se dovesse essere troppo vicina alla presenza di tuo marito, non essere parsimoniosa di punizioni o altro. Liberatene al più presto.»

Gwendolyn si batté nel difendere la conosciuta.

«Scarlett, so cosa intendi e conosco Mr. Holmes abbastanza da poter affermare che si tratta dell'uomo più insensibile dell'intera umanità. Non esiste, al mondo, una creatura capace di renderlo desideroso di amore, caritatevole, o un brav'uomo.»

La maggiore si ritrovò muta.

«Sta' attenta, comunque. È il tuo matrimonio, Gwendolyn.»

John non amava intrattenersi con danze e festeggiamenti troppo esaltanti, non apprezzava il rumore, o meglio, non apprezzava quel genere di rumore così infetto di gioia e chiacchiere insoddisfacenti. Non si era mai ritenuto il tipo più idoneo a un'atmosfera scherzosa, a tratti civettuola, ma aveva dovuto anteporre il bene del proprio migliore amico a qualsiasi egoismo rasentasse le proprie predisposizioni. Dovette essere garbato quella sera, così da compensare con confortevoli modi da perfetto gentiluomo, la scostumatezza e la rigida austerità di Mr. Holmes, la macchina, il consulente investigativo privo di un cuore pulsante d'affetto.

Chiedere a ogni madame di allietare la serata con qualche passo di danza fu una delle migliori carte del medico. Difatti, in breve, riuscì a collezionare qualche ballo con le donne che la notte, tiepida e turbolenta, gli aveva elargito. Gwendolyn, la promessa sposa fu il suo ultimo invito, la fine di un lungo banchetto – un dolce, pronto a rinnovare, attraverso la gola, le voglie del commensale.

«Mi concedereste questo ballo, Miss Gwendolyn?»

Dita affusolate battevano come martelli sulle note del pianoforte, articolando una melodia allegra, consona al tipo di serata. Gwendolyn non aveva mosso i piedi molto in quelle ore e, inaspettatamente allacciò la propria mano a quella dello conosciuto. Non era decoroso concedere una danza a un solo uomo e, in rispetto della buona educazione, si concedette con piacere alle molte richieste esposte.

«Suonate deliziosamente, Miss?» comunicò lui, muovendosi impacciatamente rispetto alle altre due coppie accanto – molto più animate dalle tante frivolezze di un nottata consacrata al sollazzo.

«Le vostre lusinghe mi imbarazzano, signore» rispose la donna, seguendo i movimenti del novello accompagnatore. Entrambi sembravano non voler essere in quel luogo, e ciò era alquanto evidente a giudicare da un dimenarsi passivo e tutt'altro che esibizionista.

«Era Beethoven, Sonate au Clair de Lune» specificò il medico, nonostante avesse una conoscenza musicale molto limitata rispetto a quella di Holmes, grande conoscitore delle musiche storiche e recenti.

«Siete molto colto nel campo musicale, è esatto», tuttavia lei fraintese a causa dell'ingenuità e delle lacunose presentazioni.

«No, non direi» confessò l'altro, cercando di sminuirsi come tante volte aveva fatto. Non amava apparire migliore di quello che era. «So solo apprezzare qualsiasi suono abbia una melodia che non sia disarmonica. In vero, so farmi piacere un po' tutto, dico davvero».

«Capisco.»

John ben presto si rese conto di essere ricaduto rovinosamente in una imbarazzante gaffe, avendo uccidendo il precedente complimento, che si era dissolto assieme all'ultimo movimento di scarpa, ritmato sulla dolce base musicale di Chopin, Valzer in La Minore.

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«Non che stia dicendo che per tale motivo io mi sia complimentato, so ancora riconoscere il talento dietro delle abili mani» si giustificò, mettendo una pezza al danno. Sfortunatamente non raggiunse un ottimo recupero, dal momento che fu un po' come come asciugare un lago con un misero strofinaccio.

«Capisco», Gwendolyn sorrise affabilmente, accettando ogni parola a lei rivolta. «Siete attratto dagli animi turbati?»

«Cosa?»

«Come Beethoven?»

Watson non era un esperto in tale ambito, ma il cuore e una mente attenta gli permettevano di giudicare in base al proprio gusto personale ogni nota schiacciata su di una tastiera, estorta dalla corda di un violino, o soffiata con un umilissimo flauto.

«Beh, dietro la note si nasconde molto dell'emotività del compositore, lo riconosco. Beethoven è decisamente molto sentimentale, passionale oserei aggiungere.»

La donna amava Beethoven, la rispecchiava.

«Un musicista del suo movimento, il Romanticismo»

«L'esaltazione delle emozioni» rettificò lui, contento.

La giovane gli girò attorno, lentamente, come il sole faceva con la terra, in un unico e continuo movimento perpetuo, inarrestabile. Il medico la seguì con gli occhi e non trattenne un fremito. C'era qualcosa di accattivante in quei tratti infantili, così indecifrabili.

«Come vi chiamate, se posso?» chiese la promessa sposa.

«W-Watson, dottor John Watson.»

«Siete un medico?» chiese lei, meravigliata.

«E anche un militare, non più almeno.»

Gwendolyn aveva la mano adagiata a al palmo del proprio ballerino, ma interruppe ogni contatto nel momento in cui una nuova verità nacque tra i loro volti. La preoccupazione prese il sopravvento e la indusse a dover chiedere con tono irriverente:

«Siete stato in guerra?»

E l'uomo replicò.

«Quinta fanteria di Northumberland, ma sono rientrato in patria diversi anni fa, a dire il vero. Sono un uomo di Londra, ormai.»

Gwendolyn si dispiacque per le condizioni del medico. La guerra era ostile persino per chi non la viveva, e lei poco riusciva a immaginare le torture e il terrore di coloro che invece la portavano avanti con la vita.

«Spero non per un motivo spiacevole.»

«Solo per una banale ferita alla spalla, Madame.»

La giovane si fermò di scatto.

«Ne sono addolorata» affermò, facendosi trafiggere dal dolore.

«Non deve.»

«Ancora stento a crederci», parlottò una voce, soffocata dalla confusione. Mycroft Holmes, assieme al fratello, si era ritirato in un angolo remoto dell'area, come un naufrago intento a fuggire via dalle acque minacciate dalla furia dei squali affamati. «Ho appena partecipato alla tua festa di fidanzamento, caro fratellino».

Sherlock, cilindro sul capo e corpo fasciato dal vestiario elegante, si mostro altrettanto scontento della circostanza e, perciò, si sottomise all'obbligo, continuando a donare il proprio tempo a un'inutile convenzione sociale, vissuta al solo fine di ottenere un tornaconto.

«Il tuo disturbo è valso la cena, mi auguro» disse, sornione.

«Mmhh, L'arrosto era un po' troppo cotto.»

«Oh, che peccato», recitò il consulente.

Mycroft recuperò un parere più positivo con l'ultimo giudizio.

«Tuttavia, il resto era alquanto di mio gusto.»

Sherlock, abito elegante – nero, lucido e di ottima fattura – e cappello a cilindro sulle tempie, rimase immobilizzato dal tedio. La conversazione con il detestabile fratello Mycroft lo stava rendendo ancora più irritabile e lo costringeva a lambiccarsi il cervello sul fatidico giorno delle nozze. Chissà qualche spiacevole sorpresa avrebbe riservato quel giorno? Dell'altra intollerabile compagnia? Pasti abbondanti e inutili al funzionamento cerebrale? Contatto umano? La prima notte con la sposa? Lo avrebbe davvero permesso? O l'avrebbe lasciata a casa, come una tra le più comuni chincaglierie dell'arredamento? L'avrebbe davvero sfruttata come un utensile?

«La futura sposa vi ha onorato con le leccornie, spero sia altrettanto capace di onorare me», si espresse il consulente, schietto.

«Onorarti?», Mycroft si fece invadente.

«Lo farà, ma non secondo i metodi tradizionali» rispose Mr. Holmes, pregustando ogni attimo futuro della vita coniugale: nessun figlio, nessuna intimità, solo una mente da spremere sino all'ultimo momento e un sfondo di inedita criminalità. Miss Gwendolyn sarebbe stata bene, avrebbe avuto due pasti caldi, un letto confortevole e, soprattutto, la certezza di non poter incorrere in unione migliore.

Le note scivolavano l'una dopo l'altra, in flusso impetuoso, sentimentale, e si univano all'aria, implodendo nei petti degli ospiti, cullati dalla leggiadra delicatezza della pianista. Scarlett suonava come un automa e, senza nemmeno accorgersene, plasmava una nuova atmosfera, cimentandosi tra diesis e bemolle, come una bimba curiosa. Gwendolyn, intanto, la ascoltava e trattenendo il fiato, mascherò il rossore che le tormentava le guance. Non aveva mai amato le conversazioni, né danzare, però quello inusuale gioco, fatto di parole e corpo, l'aveva coinvolta a tal punto da indurla a sedare il battito.

Era stata un'esperienza piacevole, così tanto piacevole da non sfuggire nemmeno al vecchio dottor Blomst, molto protettivo nei confronti della figlia e, soprattuto, terribilmente lungimirante. Quel ballo aveva avuto un non so che di intenso e aveva distratto la fanciulla, alienandola dalla realtà circostante. L'effusione romantiche era un buon giovamento, purché avvenisse con il proprio spasimante e non con uno sconosciuto, senza né arte, né parte.

«Tieni la tua dolce presenza lontana dai medici, kære Gwendolyn» ordinò il danese, avvicinandosi all'adorata figlia, ancora infervorata. «Sono come gli avvoltoi, seguono il puzzo della morte».

"Medico", Gwendolyn sorrise e, con disinvoltura, affermò:

«Ma anche voi siete un medico, padre.»

Mr. Blomst intrecciò le mani dietro l'ampia schiena.

«E per siffatto motivo continuerò a condividere lo stesso consiglio» proferì, deciso e brutale come poche volte in vita sua. «Non sono mai stato ben visto agli occhi della popolazione, né ho mai avuto, nel corso della mia misera carriera, un accoglienza che non fosse contaminata da lacrime, urla e sguardi funerei. Noi dottori non serbiamo la salute e, nonostante gli sforzi delle scienze, riusciamo solo ad accompagnare il malcapitato lungo l'ultimo addio».

Per troppe volte l'uomo aveva incontrato nel suo lavoro delusioni così profondo da aver corrotto il sapore di ogni singolo successo. Sguardi vitrei e corpi freddi erano divenuti una lugubre routine a cui nessuno riusciva mai realmente ad abituarsi. Il medico non curava, il medico non salvava, non dava speranza, tanto meno regalava fiducia.

«Voi siete molto severo con voi stesso» disse Gwendolyn, abbrancando il malanimo del famigliare, con lestezza.

L'uomo rispose alla clemenza della secondogenita, tirando appena le labbra, ma la sua mente oramai vagava verso il passato, all'esatto momento in cui aveva perso la meravigliosa Gerda, distrutta dalle fatiche del parto. Quell'angelo non era nemmeno riuscito a superare la notte e, al di sotto di una luna piena, ebbe spirato e raggiunto le stelle.

«Mi giudicherei troppo indulgente, a dire il vero.»

La giovane osservò, per un istante il promesso sposo – che per l'appunto se ne stava in disparte e osservava la gente con un cipiglio interrogativo – e non potè non raccogliere, nella testa, le fantasiose immagini dei cadaveri esaminati dall'uomo per mero lavoro.

«Mr. Holmes può vantare una professione altrettanto contraddistinta da macabre circostanze, ma con lui siete stato, ai miei occhi, molto diverso» ribatté lei, con lucidità.

«Mr. Holmes lavora nella sede di Scotland Yard, kaere, e, come membro di una tale istituzione, salvaguarda la vita dei londinesi dalle orride azioni di loschi criminali. È molto intelligente e saprà come tutelare e proteggere la mia seconda figlia dalle calamità della vita. Inoltre, vanta una famiglia molto rispettabile: suo fratello, Mr. Mycroft Holmes, è al servizio non di un comune gentiluomo, ma bensì di sua maestà, la regina Vittoria. È un grande onore averlo ospite.»

«Onestamente, comprendo a pieno il vostro desiderio di vedermi finalmente libera da un nubilato, ma non posso fare a meno di pensare al come un'ottima provenienza familiare sia stata il motivo dietro la vostra decisione» esplicò Gwendolyn al padre, stanco.

«Come al tuo solito, consumi la mente con troppi pensieri.»

«Pensare è un atto naturale, padre.»

"Donne e mente, una combinazione letale" pensò il danese, compiacendosi delle doti logiche della propria bambina. Lei assomigliava così tanto alla madre, ne sembrava difatti una reincarnazione molto più acerba e di amabile aspetto.

«Non per una donna, seconda la bieca mentalità inglese.»

«Ahimè, non posso vantare un'origine britannica» ironizzò lei, con una punta di fiele sulla lingua schietta. Mr. Blomst fissò il viso tondo della figlia – marchiato da un ghigno appena accennato –, non riuscì a trattenere la risata e la sguinzagliò, liberandola dalle labbra.

E l'ultimo ballo venne, come da protocollo. I polpacci stanchi di ognuno si ritirarono, con il fine di raggiungere una più comoda sistemazione, lasciando ai più intrepidi la possibilità di destreggiarsi con il corpo a nuove musiche e allo spegnersi del festeggiamento. Le corde del piano ricominciarono a essere percosse e inaugurarono un ennesimo incerto tra braccia e sguardi. Holmes non si sentiva nella migliore delle posizioni, ma dover rispettare l'etichetta era un suo dovere e concedere qualche passo di danza alla futura moglie era il suggello che avrebbe gli permesso di concludere definitivamente la vicenda. Perciò, in men che non si dica si ritrovò a gironzolarle intorno, come una fastidiosa mosca ronzante, in cerca di un po' di collaborazione.

Miss Gwendolyn accettò con riserva la presenza dell'uomo e la condusse verso il centro del salotto, dove ancora qualche animo riusciva a tollerare il dolore di piedi e la pancia gonfia a causa dell'abbondante pasto. Il movimento fu passivo, molto più smorto dell'inaspettata conversazione che, purtroppo, lo scortò.

«La avverto, non sono un bravo ballerino, Miss.»

La donna lo puntò, impassibile.

«Non è importante, Mr. Holmes.»

Il dolore al busto ritornò nuovamente, premendo contro gli strati di cotone più interni. Qualche cosa comprimeva la pelle e spingeva con forza contro le costole, prolungando uno stato di malessere, prima poco percepibile. Gwendolyn ristette alla tentazione di massaggiarsi la schiena rotta, rimase col petto in fuori e la colonna vertebrale ritta.

«Siete molto pallida, noto», fece il consulente, percependo nelle guance della propria ballerina un'assenza di colore. La giovane era sì, molto candida di carnagione, tuttavia un malanno sembrava averle prosciugato ogni rossore vitale in pochi minuti, o addirittura secondi.

«Voi dite?» chiese la donna, sentendo le ginocchia malleabili.

«Non state bene, è evidente.»

La sentenza aveva avuto luogo e la giovane si sentì come travolta da una spirale immaginaria. La concentrazione venne meno, così come l'energia, che sembrò uscire via dal corpo, conquistare vita propria e schiacciarla contro il pavimento, senza alcun indugio.

«Sto molto bene, invece» controbatté Gwendolyn, testarda.

«So riconoscere uno stato di salute compromesso e voi, mi duole ammetterlo, sembrate un fantasma scappato dalla tomba», la voce cupa di quell'uomo si tramutò in una chiara constatazione. Non vi era tenerezza in quei vocaboli, ma solo un'irrefrenabile brama di ragione, il desiderio di evincere la verità e spiattellarla sul viso di chiunque.

«Mi dispiace, cercherò di apparire più colorita nelle future occasioni, non vi preoccupate», la disgraziata, già nella orribile parte della moglie, si esibì in una frase di piena sottomissione. Il matrimonio sarebbe presto giunto e non serviva dare incipit a sciocche liti precoci.

«Non sono in alcuno stato di allarme, in vero» dichiarò lui, serio.

Gwendolyn sentì un espressione imperturbabile correrle addosso e poi divenire sempre più debilitata da una nebbia immaginaria. Era giugno e non esisteva alcun maltempo in estate, salvo cattive eccezioni. Eppure, del fumo sembrava aver trafitto le vetrate ed essersi depositato sui suoi occhi scuri, luccicanti. I sensi vennero meno, così come le forze e il terreno manco da sotto i tacchi delle scarpette nuove.

«Ah, sì... Lo vedo...», replicò allo sposo prima di svenire.

Non vi un tonfo e nemmeno un urlo. La donna cadde per qualche secondo, tacita, prima di venire afferrata dalle braccia del consulente, che ben aveva previsto l'inconveniente. Le palpebre chiuse e il capo ballonzolante crearono interesse da perte di ogni invitato che, subito, si protrasse verso la malata con un'aria di negativo stupore.

«Gwendolyn», farfugliò il padre della giovane.

«Miss?», la chiamò un'altro.

Lestrade, che sempre era pronto alle disgrazie, ma non in quella nottata, divorò maleducatamente la muraglia umana con le braccia.

«Sta bene?» chiese, con la solita sventatezza.

Il cerchio intorno alla vittima si formò ed acquisì una un'aurea mistica, esoterica. Le capigliature, tutte vicine e componenti una circonferenza così perfetta, ben componevano il quadretto di una qualche esperienza sacrificale, dove tutti sbirciavano la sola e unica sventurata, al centro, tra le possenti braccia del proprio padre.

«Gwendolyn», sussurrò il dottore, togliendo la figlia dalle braccia del futuro marito. La sollevò, come tante volte avere fatto nel periodo infantile nel momento di gioco e, in seguitò, sussurrò alla primogenita, lì accanto. «Scarlett rimani qui e continua a intrattenere gli ospiti. Dobbiamo portarla in camera, a visitarla al più presto.»

Scarlett sospirò e obbedì, senza mai portare sù le iridi verdi.

«Certo, padre.»

E in breve Gwendolyn scomparve, assieme a qualche altro individuo. Il personale corrette lungo il corridoio e raggiunse la padrona di casa, oramai sul letto della propria camera personale, in attesa della visita.

«Che cosa le sarà successo?» chiese Lestrade, sconcertato.

«Poco importa», Mr. Holmes fu un gran maleducato e, senza alcun sassolino sul torace, continuò: «si riprenderà, sicuramente».

John Watson ascoltò quelle parole e avvertì la colpa al posto del coinquilino. Le prove di inumanità di Holmes erano state molte, ma quell'uomo sapeva come essere emotivo, o sentimentale. Cogliere la propria consorte in tali condizione avrebbe dovuto smuovere la montagna, scuotere quelle acque così dannatamente in bonaccia.

«Spero voi stiate solo scherzando» asserì il medico, colpevolizzando il collega senza alcuna pietà. Il labbro sottile arricciato al di sotto del naso prominente lo rimproverò. «La vostra futura moglie è in condizioni di salute precarie, e voi non vi siete nemmeno degnato di seguire le sue condizioni, di farla sentire al sicuro. Ha bisogno di qualcuno che le dia un po' di conforto, adesso».

Il consulente s'imbronciò.

«Se proprio ci tenete, dateglielo voi, dottore.»

La camera da letto della giovane Miss Blomst non era dissimile dalle tante possedute da ricche nobildonne inglesi con un sano gusto per l'arredamento della nuova era. Le pareti, di un'innocente cipria, ospitavano innumerevoli decorazioni di tenui rose paffute, tutte circondate uno scuro fogliame smeraldino. Il pavimento, invece, di scuro legno profumato, faceva da sostegno a un mobilio raffinato e molto gradevole a un occhio esperto. Gli elementi principali erano dati da uno scrittoio abbellito con leggiadri rilievi ondeggianti, un divanetto bianco ricolmo di cuscini merlettati, il lavabo, un cassettone e un ingombrante letto dalla immane testiera in lucido mogano scuro.

A dispetto dello spazio, in quella camera, molti riuscirono ad accaparrarsi un posto, tra questi qualche cameriera disponibile a possibili aiuti, qualche familiare stretto e, infine, proprio il dottor Blomst, accompagnato dal fedele collega, Wilbur Patterson, intento a esercitare le proprie conoscenze mediche sulla povera donna che stava distesa sul morbido materasso, agonizzando per un male sconosciuto.

Gwendolyn, stordita dal terrore, sfruttò le labbruccie solo per respirare boccate fameliche. La brama di nuova aria la soggiogò completamente, rendendola un corpo di soli ansimi incontrollati.

«In casi così irruenti, il salasso è l'unico rimedio accettabile» declamò Mr. Patterson, dopo avere esaminato la paziente, pallida quanto un cencio e contraddistinta da un battito feroce, indefettibile. [1]

«Ne siete davvero sicuro, dottor Patterson?» chiese il danese, combattuto da un intollerabile preoccupazione per la figlia sofferente.

«Certamente, dottore, le vene hanno bisogno di respirare», il medico altalenò il naso bitorzoluto e, dopo aver stirato il corpo scricchiolante e senile, raggiunse la valigetta di Mr. Blomst, con il fine di estrarre un coltellino a molla dalla lama perfettamente affilata.

La fanciulla, ancora cosciente, alla vista di un utensile così rudimentale, sentì le forze mancare. La palpitazione aumentò a dismisura e la lingua si fece partecipe di un singola invocazione «padre». Sfortunatamente, nessuna replica giunse, se non quella della governante, intenta a distribuire parole di conforto e una bacinella, indispensabile per il salasso, non ancora messo in atto.

Patterson, vedendo ogni cosa al proprio posto, non indugiò oltre e con la punta del coltello fece un buco sulla braccio della sventurata, lì dove era ubicata l'arteria brachiale. Gwendolyn gemette e il sangue zampillò, schizzando con violenza lungo la soffice pelle candida, e si riverso sulla lucente porcellana della brocca, fino a occultarne tutto il fondo, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo.

«Come è ben semplice notare, un'esigua incisione dell'arteria permette una fuoriuscita del siero. Il salasso calmerà il battito accelerato e, molto presto, il sangue nuovo fluirà all'interno dell'organismo» recitò il medico operante, con l'orgoglio nel petto.

La fanciulla, tuttavia, non sembrò nemmeno un po' convinta dalle spiegazioni dell'anziano. Rimase, tuttavia, con il braccio teso, fino alla comparsa di una nuova orribile sintomatologia. La lucidità venne meno e così anche la forza, persino respirare divenne un atto inattuabile e il solo cielo sapeva quanto Gwen desiderasse continuare ad accogliere nuova aria, a vivere.

«Gwendolyn?», Mr. Blomst vedendo l'esile figlia accasciarsi alla testiera e, subito dopo, dischiudere gli occhi stanchi – come in una continua lotta per la coscienza –, si pentì dell'amara decisione.

Il medico, invece, sorresse il braccio niveo e sanguinante senza alcun remore, come se tutto stesse andando secondo il piano prima esposto.

«State tranquillo, dottor Blomst!» esclamò con un vigore poco conoscono alla propria età, molto vicina alla fine. «La perdita dei sensi nient'altro che una reazione altamente positiva alla flebotomia».

Il silenzio si fece solenne all'interno di quei pochi metri, dacché ognuno osservava con sollecitudine e con la stessa riservatezza di uno studente dinnanzi ad una lezione sulla complessità del corpo umano.

«Santo cielo» irruppe una voce del tutto nuova, sferzando contro la barriera imposta dal personale dell'edificio. «Fermatevi subito».

«Dottor Watson», Mr. Blomst fu particolarmente sorpreso dall'ingresso del fido compagno del promesso sposo, ossia Mr. Holmes, rintanato in un qualche angolo dell'abitazione, Dio solo sapeva dove.

«Non finché la procedura non sarà completa, dottore» replicò Patterson, il quale mal accettava comandi da medici più giovani e meno esperti in materia. Tuttavia, inutile fu il tentativo, dacché John, spintonando con i gomiti una delle cameriere, si avvicinò ulteriormente al talamo, con in bocca una disperata richiesta d'attenzione, tutta diretta al poco assennato Wilbur.

«Così la devasterete del tutto» sbraitò, senza pudore alcuno a tenerlo zitto o fermo. «L'incapacità di una buona respirazione non è defettibile con una procedura così barbara e obsoleta».

«Il salasso, così come il clistere, è la migliore soluzione dinnanzi alla presenza di qualsiasi sintomatologia, Mr. Watson» contestò l'anziano bacucco, affilando la lingua lunga e assottigliando il taglio degli occhi stinti. «Dubito che conosciate approfonditamente i benefici di ambedue le operazioni. La preparazione di un militare conosce solo situazioni mediche al limite dell'irreversibile».

«È l'uso del bustino» farfugliò Watson che, ignorando il saccente sciorinare dell'altro medico, diresse gli occhi solo verso la donna, cerea e intrappolata in uno stato di semi-coscienza. Fu la spiacevole vista di quel povero corpicino esanime, a fargli rivolgere parole poco discrete al solo padrone di casa. «Signore, non sa quante volte abbia riscontrato problematiche riguardanti la respirazione, tutte dovute a un eccessivo uso di busti particolarmente stretti».

«Prego?» fece il diretto interessato, con allarme.

«Non ha alcun senso applicare una flebotomia, quando lo stato di salute di sua figlia può essere facilmente risolto. Il coltello a molla, non va contro la pelle della donna, ma solo contro le stringhe di quell'indumento. Quindi, fate presto!»

«Ne siete davvero sicuro, dottor Watson?»

«Mai stato più sicuro in vita mia.»

L'acqua era fredda, ma non molto sgradevole considerando il caldo afoso di un giugno inglese. Annie, fortunatamente, da bimba aveva conosciuto il cocente sole italiano e mai più l'aveva rivisto. L'Inghilterra le aveva donato solo una clima fresco e umido che, di tanto in tanto, riusciva a imitare la meravigliosa atmosfera di una temperata giornata al di sotto di un cielo color cobalto.

La sera, tuttavia, era afosa in quelle ore e il poter far avvolgere dolcemente le dita nella frescura offerta dall'acqua, era un vero toccasana. Perciò, Annie, senza nemmeno accorgersene, lasciò che le mani s'incartapecorissero, in attesa del vero lavoro da svolgere. I piatti, sporchi e maleodoranti, ancora si ergevano come un pila infinita, in attesa del dovuto lavaggio. Inutile era il procrastinare la fatica e la giovane, allora, si cimentò nello scaricare ogni cerchio all'interno del contenitore e a strofinarlo con l'apposita spazzola, quella dalle setole dure e pungenti. Non erano accettati resti di cibo al di sopra di una porcellana cinese così pregiata e lucente.

"Fatica e lavoro, lavoro e fatica", Annie non conosceva altro motto, dacché passava il tempo lavorativo a sgobbare e quello libero a come organizzare il lavoro. Non aveva del tempo per sé, ma lo dedicava agli altri, come il destino – o chi per lui – la comandava.

"Non posso provare un bel vestito da sera, né danzare, e nemmeno riposare" pensò la povera donna, consapevole che nemmeno nel sonno riusciva a trovare un po' di sana gioia. La stanchezza, a volte, era così tanta che il dormire era quasi sempre profondo, privo di esperienze oniriche o altro. Fortunatamente, c'era il giorno e con esso il poter sognare con gli occhi aperti, dirigendo la mente verso prati di fiori e di carta, verso terre inesplorate e realtà dove ogni desiderio diveniva concreto, tangibile quanto la notte.

«Lavender's blue, dilly, dilly, lavender's green.» [2]

Stava ricominciando, di nuovo. Il bisogno di lavorare con un canto in bocca aiutava la concentrazione e a tenere gli occhi svegli, ma solo fino a un certo punto. Il campo visivo di Anna si era tinto d'immaginazione, di immensi prati di lavanda profumata. In mezzo a quel sentore paradisiaco – tutto da subodorare –, un uomo si dimenava tra gli arbusti, in cerca della sua amata. Gli occhi glaciali, in quel sogno, si erano strati di una tiepida luce solare, sciogliendosi e divenendo un focus di calorosa beltà, due magneti irresistibili.

«When I'm king, dilly, dilly, you shall be queen.»

Le due persone fuse in un abbraccio sicuro, così familiare. Lei lasciava che i capelli ramati, solcati dal tramonto, si inanellassero in tante onde di fuoco vivo e indomabile, pronto ad ardere sul grano estivo. Lui, invece, la cingeva come se si trattasse di una bella e fragile bambolina danese, una di quelle bianche quanto l'aurora.

«Who told you so, dilly, dilly, you told you so?»

Il contatto visivo fu, però, tuttavia molto più intenso. I cuori pulsarono durante l'ultimo addio del sole, pronto a dare il benvenuto a una luna tanto luminescente, quanto eterea e meravigliosa. I due amanti erano rimasti in quella posizione intere ore, fino al sopraggiungere delle lucciole, intente a imitare le stelle, incastonate nel caldo cielo notturno.

«'Twas my own heart, dilly, dilly, that told me so.»

Era tutto perfetto, lì, nella sua mente.

«Sembrate uscita da un romanzo di Dickens, devo ammetterlo.»

Note profonde e così intense furono dilatate dall'eco della cucine, enormi rispetto a quelle del 221 B di Baker Street. Sherlock Holmes, al di sotto del soffuso bagliore di una lampada a olio – incastrata al centro del muro portante –, si fece granitico nell'osservare, con la stessa attenzione che dedicava alle indagini, la poveretta con le mani all'interno della lordura. La pelle bianca si era tinta delle rimanenze del cibo che lui, assieme al resto, aveva da poco consumato.

«Signore», Anna si fece timida.

Il consulente si fece molto meravigliata nel vedere dietro quel corpo, tutto lavoro e devozione, le rimanenze di una cena di dodici portate. Fortunatamente, lui non aveva mangiato molto, mangiare peggiorava solo le condizione mentali, rallentandole e rendendole vane.

«È molto lavoro per due sole piccole mani,»

«Non sottovalutate le mie mani, Signore», la giovane sorrise appena, come per esorcizzare le ore di duro impiego, così tracciando nella mente del detective un nuovo ricordo intriso di pura sorpresa.

«Ve le rovinerete così, dovreste accelerare il processo», il consulente si avvicinò alla propria "tuttofare", accovacciata al pavimento in una posizione di reprensibile sottomissione.

«Voi conoscete un modo per farlo?» chiese quest'ultima, con in bocca una gentilezza, edulcorata da innocente tono e gli effetti di un sentimento vivo, tutto dedicato all'uomo che le stava innanzi.

«Una sostanza, precisamente», fece l'uomo, roteando le pupille da parte a parte, in cerca di un dettaglio, di un qualcosa di ben nascosto tra le credenze, forse un miracoloso ingrediente magico.

«L'olio di gomito?» domandò la rossa, scherzosamente.

Sherlock ignorò le parole della donna e, come alienato in una concentrazione tutta nuova, si mise a cercare di qua e là, palpando il legno, scoperchiando contenitori di ferro e introducendo le mani in buchi poco puliti. Dopo secondi di dedita ricerca, riuscì a tirare fuori un vasetto e un bottiglia dalle belle decorazioni di vetro.

«Eccoli qui!» esclamò prima di unire le sostanze – per l'appunto dell'aceto di mele e bicarbonato di sodio – in una ciotola e mescolarle con energia. Il chimico, che era dentro quell'essere umano, si divertì per poco a giocare con il fine di dare vita a nuove miscele.

«È un'altra delle vostre diavolerie chimiche?» chiese Anna, nel vedere Sherlock raggiungerla con in mano l'intruglio amalgamato. Con un poco di remissione la prese, l'annusò e rivolse al consulente uno sguardo intriso di smarrimento, ma anche di gratitudine.

«Dopo averne versato un po' nell'acqua penserà a ben altri nomi completamenti differenti dal termine "diavoleria"», fece Holmes, accennando un sorriso con le soffici labbra. Un atto di gentilezza sembrava antistante al suo freddo temperamento, ma forse il cielo di giugno doveva avergli scaldato il cuore, oltre che la pelle.

«Dovrò strofinare?»

«Dovete solo togliere le vostri mani delicate dall'acqua sporca», Sherlock prese una vecchia stuoia e s'inginocchiò, per poi asciugare le falangi che, da poco, erano riemerse dall'acqua melmosa. Le dita del consulente furono dedicate e strofinarono con cura i palmi di Anna che, completamente attonita, arrossì a causa dell'infervoramento.

«Bene ora che sapete come accelerare il vostro operato, vi comunico che, inaspettatamente, vi sono altri piatti da pulire. Li ho appositamente portati di nascosto» dichiarò l'uomo, togliendo lo strofinaccio dalle dita della donna, ancora incredula e chiaramente spiazzata dall'ultima affermazione. «Visto che ve lo state sicuramente chiedendo, mio fratello aveva bisogno di mettere a tacere la fame e il dessert non era di suo soddisfacimento. È dovuto ricorrere a vie parallele, venendo a patti con la cuoca», concluse Holmes, nuovamente gelido quanto l'interno di una vecchia ghiacciaia.

"Che sciocca, sono solo una sciocca!", Anna si diede mentalmente dell'illusa. Sherlock Holmes non sarebbe mai stato un pozzo di carità, di amore o d'affetto. Il suo aspetto, per quanto gradevole, mai avrebbe compensato quel lato caratteriale così intrattabile e burbero.

«Mi metterò subito a lavoro, signore», e la giovane si alzò, assieme all'uomo, con il semplice fine di eseguire quell'inchino a cui la sua posizione era condannata, quell'odioso segno di asservimento.

«Non scomodatevi con la riverenza, non vorrete mica distruggere qualche stoviglia pregiata», la ammonì Holmes, senza tatto. «Sono sicuro non vi basterebbe il guadagno di un anno, per risarcire i danni».

John Watson, da sempre posto nell'ombra dalla brillante intelligenza del celeberrimo Sherlock Holmes, non aveva mai avuto l'occasione di splendere per qualsiasi cosa sfiorasse l'ambito intellettuale. Quel giorno, però, merito di un a carriera dedita al sacrificio e agli ottimi risultati medici, era riuscito a guadagnarsi la stima di un folto pubblico di signori. Difatti, non appena la governante, Mrs. Sutton, usò una vecchia lama per recidere violentemente le stringe del corsetto precedentemente incriminato, Gwendolyn nacque una seconda volta.

Il rigido indumento si divaricò e la fanciulla si ridestò dallo stato comatoso con un lungo ed ingordo respiro, accompagnato da due occhi ben aperti, ma nel medesimo tempo davvero molto sconvolti. Il petto, prima formicolante, si riappropriò di un movimento regolare, molto ordinato, le gote, invece, si macchiarono di un lieve sfumatura rosata, simbolo di una buon recupero – sempre in termini di salute.

La donna, ciononostante, rimase congelata nella propria posizione supina, con in viso gli evidenti segni del terrore. Sembrava, in vero, aver fatto visita agli angeli in chissà quale mondo ultraterreno e, in seguito, essere finalmente ritornava al vecchio mondo, quello pieno di gente respirante, dolore, carne e infinite problematiche. I suoi occhi scuri, ancora pregni dell'ultima infelice esperienza corsero lungo tutta la stanza, sfiorando, movimento dopo movimento, i pochi presenti, tutti raccolti nell'attesa di un miglioramento. C'era chi – come la governante – si faceva il segno della croce, chi rimaneva pietrificato a causa dell'evento e chi, invece, sorrise per farsi beffa del rammarico.

Mr. Blomst fu il primo a rassicurare la figlia, sfoderando una dentatura perlacea, più che disposta a spezzare via ogni piccola traccia di paura.

«Gwendolyn, kære» farfugliò appena, con le mani salde al letto.

Smarrita, la docile Gwendolyn cercò ancora con lo sguardo, fino a imbattersi in due occhi, di un blu profondo e diversivo quanto quello dell'irrequieto mare del nord, ma stanchi. Il dottore Watson, fronte imperlata dal sudore e lebbra dischiuse, la osservava con fare paonazzo e ansioso, come sei trattasse di una paziente in fase di piena criticità.

«Dottore» sussurrò con soffio, prima di notare il proprio braccio, ancora stretto nella presa dell'uomo, più che disponibile a fermare l'emorragia, causata dallo sciocco Patterson, con un fazzoletto e la sola forza delle abili dita. Il medico le stava, effettivamente, bloccando la ferita con l'uso della semplice mano, così da evitare danni maggiori.

«Mi sentite, Miss?», John divenne premuroso e, nonostante la situazione rocambolesca e i palmi intrisi di denso liquido rosso, non trattenne domande pregne di giusta preoccupazione «Sentite il bisogno di qualcosa in particolare? Dell'acqua, o forse del sale?»

«Aria», fu tutto ciò che la fanciulla riuscì a biascicare.

Il malato aveva parlato, ostentando il proprio desiderio, e tutti – persino Mr. Blomst – varcarono l'uscita al grido roco di Mrs. Sutton, «Suvvia, Miss Blomst ha bisogno di prendere, tutte fuori». Le cameriere furono le prime a lasciare la camera rosa confetto, gli ospiti gli ultimi. John Watson, ciononostante, volle rimanere e, dopo aver ricevuto la preziosa benedizione dell'integerrimo padrone di casa, si accinse al proprio unico dovere, ovvero riuscire a frenare il flusso del sangue, ancora volenteroso di zampillare fuori dal braccio niveo.

Con un solo gesto, annodò il fazzoletto al gomito della fanciulla e, subito dopo, si munì di ago e filo. La saturazione, per quanto fastidiosa, s'impose come unico rimedio utile a ulteriori perdite di liquido e, purtroppo, Gwendolyn dovette accettarlo. Un'irremovibile stoicismo, allora, s'impadronì della donna, più che pronta alla medicazione del medico, oramai intento a eseguire il primo punto.

«State bene, come vi sentite?» chiese quest'ultimo sfiorando la pelle con la punta dell'ago. Al pizzico seguì il movimento di un unico filo di seta, che penetrò la carne, per poi fuoriuscire con una nuova tinta cremisi, molto cruda se accostata ad un'epidermide così pura.

«Come se la testa fosse stata svuotata dal suo contenuto con un cucchiaino» replicò Gwendolyn con lentezza. Le forze stavano ricominciando a giungere, ma molto gradualmente – dopo interi minuti di pseudo asfissia e un'inutile flebotomia, le debolezza non risultava un stato facile da abbandonare con pochi minuti.

«Credo di aver compreso le vostre spiegazioni», fece il medico.

Le sue mani di furono delicate, non torturano la ferita, ma la curarono con tanta sollecitudine. L'ago fu gentile e ogni punto venne eseguito con un'innata precisione. Difatti, l'uomo agì in modo da non deturpare quel pezzo di carne con una troppo visibile cicatrizzazione.

«Grazie infinte, dottore», la fanciulla stravolta biascicò un tenero ringraziamento al proprio deus ex machina, «mi ha salvata».

«Salvare non è la parole più idonea, ho solo limitato i rischi»

Watson continuò a lavorare sulla ferita senza un attimo di decontrazione, se non quello concesso al fine di ricambiare l'amabile sguardo della giovane, ancora debilitata, ma pure sempre piacevole nel suo aspetto leggermente dismesso. La chioma bionda, seppur rovinata, si allungava sul cuscino, espandendosi in tanti raggi dorati, e le gote, nuovamente ricche di un colorito, diedero al medico un senso di calore lungo il petto, calore che peggiorò nel momento in cui la donna lo punzecchiò con uno sguardo sempre più intenso, a tratti ipnotizzante.

Gwendolyn esibì un sorriso emaciato, molto trattenuto. Non era era mai stata sola con un uomo per così tanto tempo, circondata dalle sole mure di una camera. La gratitudine nei confronti di quel medico, così teneramente educato, tuttavia, la fece sentire al sicuro, in una bolla di torpore, dove qualsiasi negatività andava disgelandosi.

«La festa è stata di vostro gradimento?», chiese lei, melliflua.

«Sì ma, nonostante il piccolo inghippo creatosi, mi auguro fortemente sia stata più di gradimento a voi», il medico accolse quella conversazione e si mise all'ascolto, nonostante la concentrazione. Sicuramente interloquire con la Miss, avrebbe permesso un più piacevole trascorrente del tempo durante quel fastidioso intervento.

Gwendolyn però non sorrise più alle parole del dottore, dacché il il volto affilato di Sherlock Holmes comparve tra gli ultimi ricordi. La festa di un infelice fidanzamento non era di certo generatrice di un qualche bel sentimento, tanto meno gradimento.

«Il mio malore è stato di gran lunga la cosa più interessante dell'intera serata, se mi permette» confessò lei senza alcun riserbo.

La gabbia della malinconia non conosceva una chiave e, di certo, ammettere la semplice realtà, non le avrebbe dato alcun possibilità di cambiamento. Tanto valeva essere infelici e dimostrarlo, che tenere il veleno dentro al cuore e le lacrime dentro gli occhi.

John non poté fare meno di stupirsi della rivelazione così intima e, ammaliato da bel visino mesto, mosse la lingua per asserire:

«È un confessione molto infelice, Miss Blomst.»

Gwendolyn mise sù un broncio appena impercettibile, simile a quello di una bimba scontenta. Puntò a una zona vuota della parete, scollegando le iridi di pece dallo sguardo dell'uomo, visibilmente impreparato a muliebri confessioni ed emozioni così palpabili.

«È la semplice realtà, dottore» finì lei, abbassando la fronte.

E John si fece d'un tratto stupefatto. La tristezza mal si accostava a un fanciulla così incantevole, un fiore ancora soffice e rigoglioso. Riuscire a comprende cosa la tormentasse tanto sembrava un atto dovuto.

«Non vorrei apparire troppo maleducato, ma la un'insana curiosità mi costringe ad arrovellarmi sul perché di questa vostra osservazione», il medico fermò la mano con l'ago ancora tra le dita, e premette le pupille sulla donna, che si voltò con riguardo. «Avete finalmente trovato un sposo idoneo al vostro mantenimento e ciò è un gran risultato, considerando lo status sociale. Mi ritrovo ad ammettere che Mr. Holmes non sia un individuo dal temperamento docile, ma vi assicuro che, nonostante ogni umano difetto, saprà rendervi contenta del vostro prossimo ruolo di moglie».

John aveva conosciuto molte storie di donne scontente del contratto matrimoniale – a dire il vero lo erano quasi tutte. L'amore era per la plebaglia e non per una madame di buona borghesia; Sherlock, inoltre, non le avrebbe fatto mancare alcun comodo, tanto meno l'avrebbe mai percossa, né con le mani, né con qualsiasi altro oggetto.

«Voi lo conoscete bene?» chiese la donna, curiosa.

«Più di me stesso, oserei dire.»

Sherlock, difatti, mai si separava dalla figura di John, in nessuna occasione. Entrambi vivevano in simbiosi da diversi anni, avevano condiviso avventure, dolori ed un amicizia duratura, inestinguibile. Sfortunatamente Miss. Blomst non aveva avuto modo di conoscere Mr. Holmes ma, grazie all'intelligenza, qualcosina aveva pure abbrancato.

«E sapete che, nonostante le buone intenzioni, Mr. Holmes non trova alcun compiacimento nella mia persona, nemmeno il più misero.»

Il dottore divenne molto più rigido all'ascolto di un'evidente realtà. Holmes stesso gli aveva più volte confermato di non aver mai amato un donna, né di desiderare una famiglia. La fidanzata non era nient'altro che un oggetto, l'appendice di una ricca dote. Erano le preziose abilità di lei ad aver convinto il freddo intelletto di Sherlock, interessato solo allo sfruttamento di un qualche potere al limite del sovrannaturale. John si chiese in che cosa consistesse la profonda emotività della fanciulla, molto simile alle tante della capitale inglese.

«Ho imparato, nel corso della mia vita, che la stima impara a crescere solo con il tempo. Si suole apprezzare una persona conoscendola gradualmente, e senza mai cedere al pregiudizio», fu tutto ciò che riuscì a tirare fuori, con il fine di rincuorare la paziente.

«Personalmente credo che, al di là del tempo, certe coppie siano destinante a conoscere solo la scontentezza, a causa di una complementarità assolutamente inesistente» dibatté una Gwendolyn testarda, ritornando ai solidi punti cardine del proprio pensiero.

«È molto presto per giudicare un libro dalla copertina.»

«Non ho giudicato, l'ho solo sentito

L'uomo ebbe così un primo indizio sulle astruse capacità della Miss, per niente reticente nelle dichiarazioni. La donna, in effetti, non serbava alcun legame con il vincolo della riservatezza, ma conversava come se non avesse mai fatto nella vita. John non aveva mai avuto modo d'incontrare una giovane così poco incline all'etichetta.

«Molto spesso dobbiamo assolvere al nostro dovere, senza mai cedere al rimpianto di una vita diversa, un esistenza dissimile da quella che il destino ci ha costruito», filosofeggiò lui, con tono paziente, cercando di far ragionare la fanciulla, tutt'altro che accomodante.

«È necessario anche opporsi al destino.»

Il dottore la vide, ancora distesa lungo il materasso, ma molto più energica rispetto al quarto d'ora precedente. Quella donna aveva una luce speciale all'interno degli occhi, che ben rivelano un'anima tempestosa, irrequieta e non addomesticabile, proprio come il vento.

«Non quando le altre possibilità sono scarse, Miss Blomst.»

Il protocollo non prevedeva eccezioni.

«Ma l'infelicità può costringere al rischio, dottore.»

Oramai il dialogo aveva infranto ogni logica del galateo, divenendo intimo e irruente. Completamente abituato ai tediosi rigori delle donne di alto o medio borgo, John si fece espansivo e accettò ogni incoerenza. Se lei era vento, tanto valeva lasciarsi trasportare.

«Voi, se mi permettete, siete molto caparbia per essere una donna inglese» confidò, cucendo il doloroso punto finale.

«Per vostra corretta deduzione, non sono una donna inglese» rivelò l'altra, sfoderando un'ultimo gemito di lieve sofferenza.

Il dottore si fece ancora più interessato alla vita della fanciulla, che nemmeno poteva essere inclusa all'interno della popolazione inglese, se non come un ospite eccezionale. L'accento perfettamente parlato e i chiari lineamenti nordici, tuttavia, ne mascheravano ogni sintomi di internazionalità, ma solo sino a un certo punto.

«Venite da lontano?»

«Non molto, sono originaria della Danimarca» declamò lei pacatamente, ma con un tono molto più giocoso, caloroso. «Ha mai letto l'Amleto di Shakespeare, dottore?» chiese, infine.

«Certamente, Miss», John non era un di certo un gran lettore, ma conosceva molto approfonditamente classici così immortali come quelli di William Shakespeare. «Tornare a casa, vi renderebbe felice?»

Il viso di Gwendolyn si fece assorto, come catturato da un bel sogno nitido, un sogno malinconico, ma pur sempre meraviglioso. "che la fanciulla stia immaginando la propria patria lontana?" si domandò il medico mentalmente, ripulendo la ferita con dell'acqua fresca.

«Molto, tornare a casa come una donna indipendente» confessò lei, tutta felice nella propria utopia fatta di libertà, cieli limpidi e mare.

Watson non poté fare a meno di reprimere un sorriso, dal momento che non aveva mai visto tanta determinazione in una giovane, ancora ingenua e pura, ma allo stesso tempo per niente sciocca.

«È un affermazione molto audace.»

«E a voi non dispiace?», Gwendolyn notò il buonumore prendere d'assalto l'uomo, molto attratto dalla conversazione e dalle sue inconsce pieghe. Nessun altro avrebbe mai apprezzato una lady così irriverente e fuori dagli schemi, nemmeno un sempliciotto.

Joh si ritrovò, però, nuovamente a fare i conti con l'emotività della donna e, presto, si rese conto di non poter celare alcun sentimento come sempre aveva fatto con ogni singolo conoscente. C'era un filo invisibile che connetteva la testolina della fanciulla alla propria, un filo molto pericoloso, atto a incutere una certa dose di disagio.

«Baker Street non è altrettanto splendida, ma vi troverete come a casa» si ritrovò lui a dire, con il fine di sconnettere quel collegamento, ma l'unico esito che ottenne fu un volto ancora più depresso.

«Sono le persone a farci sentire come a casa, dottore» dichiarò la donna con il cuore in mano e sul petto di peso di un rovinoso futuro maggiormente prossimo «e io non avrò una casa, ma solo una prigione» finì, con le lacrime sulle guance di nuovo rosse.

«Posso comprendervi, ma non dissuadervi dal ritirare la promessa fatta dinnanzi Mr. Holmes e i vostri familiari» sbottò l'uomo.

«Non ho alcun bisogno di essere dissuasa», Gwendolyn, strofinato il viso come l'avambraccio, si attinse esibire un piccolo cerchio aureo, ben incastrato all'anulare sinistro. Il serpente, un filo di scaglie di puro oro assecondate da un'unico rubino al posto dell'occhio, ghermiva il dito. «Lo vedete, il serpente rappresenta l'eternità: una promessa di fidanzamento può essere ritirata da parte di una fanciulla senza destare troppo scandalo, ma un matrimonio, soprattutto se consumato, è infrangibile. Avere una seconda possibilità, in questo stesso momento, è la mia migliore aspirazione».

"Le donne, ahimè, non hanno mai una scelta", pensò il medico, rimuginando sulla triste condizione della dolce fanciulla.

«Non esistono altre possibilità, mi dispiace.»

Gwendolyn osservò John nella sua opera di politura, ma la concentrazione viaggiò verso altri confini. Forse, sarebbe dovuta scappare nella notte, così da evitare quella disgraziata sorte.

«Le gambe possono sempre condurmi lontano» farfugliò tra sé e sé, destando l'attenzione del medico, attonito per via di quell'idea.

«La fuga non è un atto onorevole», la rimbrottò Watson con lasciando scivolare le dita via dal braccio sanato. Non riusciva a credere ai dissennato piani della donna, completamente frustrata a causa dell'inconvertibilità di un fato oramai confermato. Come poteva essere l'unico testimone di così tanto risentimento? Cosa aveva fatto?

«È la mia unica speranza» confidò Gwendolyn intrecciando mani e dita presso il petto, e così assumendo la posizione di una statua addolorata, una di quelle ben visibili in un comune cimitero inglese.

«Ma una speranza terribilmente vana, destinata a svanire con il semplice ritrovamento da parte di vostro padre», John cercò di farla ragionare e, risvegliato un qualche istinto di affettuosa protezione, avviluppò con la mano il polso della donna, completamente rapita dal gesto dell'uomo, così morbido anche nell'atto più spregiudicato. Lei, da brava fanciulla, avrebbe dovuto ritrarre la presa, così da manifestare un determinato sconcerto, ma non lo fece. Il contatto con un uomo non l'aveva sempre turbata, ma la pelle del medico, tremendamente calda e ruvida, le fece riconoscere un sussulto. Sherlock Holmes non l'avrebbe mai toccata in quel modo, nemmeno per sbaglio o per disperata compassione, nemmeno se fosse l'ultima disgraziata donna in un pianeta privo di anime e di futuro.

«Non avverrà alcun ritrovamento, se mi aiuterete a fuggire.»

Il medico, bevute quella parole, ritrasse la mano, cercando di non rendere la propria presenza troppo molesta. Forse la troppa confidenzialità non aveva curato le idee della donna, bensì le aveva dato una qualche sbagliata impressione, dacché lui, uomo di valore e credente nell'amicizia, non avrebbe mai tradito Holmes.

«Cosa? Io... Io...», ripensò a tutte le volte in cui il consulente aveva rinfacciata una profonda insensibilità nei confronti della bella Gwendolyn, condannata a vivere una vita, riflettendo non più amore, gentilezza, ma solo l'apatia del marito. Lei sarebbe di sicuro divenuta un corpo senza emozioni, un fantasma nelle strade di una Londra crudele e insensibile. «Potrei anche farlo, ma cosa ne sarà di voi quando i miei servigi saranno terminati, come potrei dormire la notte, dopo avervi lasciata sperduta chissà dove».

"Le donne non sono fatte per vivere da sole", Gwendolyn non era una sciocca e ben sapeva di non potere cambiare la mentalità del gregge. Il destino però riservava incredibili vie e, forse, se non vita avrebbe potuto cambiare colui con cui scambiare la sacra promessa nuziale. Holmes sarebbe rimasto a bocca asciutta, ma poco importava.

«Dottor Watson», la donna fissò il proprio salvatore con un occhi docili, ammalianti, catturando sfumature e dettagli del viso attempato, ma ancora baldo e desideroso di ardore, «volete sposarmi?»

E tutto il mondo incontrò l'inesorabile fine, nell'esatto momento in cui le sillabe fuoriuscirono dalla soffici labbra della fanciulla, che ancora dava luce, nelle iridi color carbone, alle ultime speranze. John, però, non riuscì a sopportare emotivamente il peso di tale richiesta e, completamente scandalizzato, fece finta di non comprendere.

«Prego?»

La fanciulla inumidì la bocca, prese fiato e, lasciò le dita libere di insinuarsi al di sotto dell'orlo della manica nera, appartenente all'uomo, impreparato a sentire quegli esili polpastrelli gelati.

«Vi ho chiesto se desiderate avermi in moglie.»

Il silenzio, intriso di vergogna, si dilatò lento.

«Siete per caso impazzita?», il medico non riuscì più a riflettere. «La realtà si è forse invertita? Sono i pesci, adesso, a camminare lungo le strade, il sole a dare luce alla mezzanotte, e le donne a implorare un gentiluomo, solo per averlo finalmente in sposo».

La bocca di Gwendolyn tremò, ma solo per poco.

«Non sono impazzita» piagnucolò, malinconica, «e so bene che i pesci non possono bighellonare per le piazze di Londra... Ma poco lontano da dove è casa mia, il sole sorge anche a mezzanotte, e per quanto sembri altrettanto impossibile, io vi sto ancora chiedendo di essere mio marito, per tutti gli anni a venire, e anche di più».

Disperazione, John non riuscì a leggere altro nelle spregiudicate richieste di quella dolce bambina. Il buon senso lo avrebbe incentivato a correre via, a chiedere aiuto a Sherlock, a implorarlo di cercare un'altra donna o, se mai fosse stato possibile, di annullare il pegno.

«Voi state dicendo solo scempiaggini, Miss», il suo cuore si fece leggero quanto il volo di un colibrì. «Temo che il sangue perduto sia stato deleterio per un corretto funzionamento mentale. Mi auguro che il fluido mancante venga rimpiazzato il prima possibile».

«Dubito sia un malanno a comandare la mia bocca.»

Bocca. John si chiese che sapore avesse quella bocca, se fosse uguale alle tante saggiate nel corso di una vita da inglese vissuto. Le labbra di Miss Gwendolyn erano fini, rosee e invitanti, ma mai lo avrebbero distolto dai valori morali e dalle promesse di una amicizia duratura, non scioglibile a causa del primo bruciore che solo una donna sapeva dare, un fiore con addosso solo tanti petali da strappare.

«Sostituire un matrimonio con un altro, non vi darà mai la libertà e, in vero, non comprendo il motivo dietro le vostre insensate richieste», cosa non vera, perché era chiaro, troppo chiaro.

«Il matrimonio rimane un obbligo di noi donne, tuttavia vorrei evitare di dividere la mia vita con un essere come Sherlock Holmes» la fanciulla si fece testarda e, separata la folta chioma aurea dal cuscino, avvicinò il naso al solo consorte bramato, quello infinitamente buono. «Voi non siete uno sciocco, dottor Watson, ditemi: vi è sembrato costernato dal mio malore? Non è nemmeno giunto a valutare le mie condizioni di persona, come posso affidarmi a un uomo del genere?»

«È un po' burbero, ma...», il medico ben conosceva la compagnia di Holmes, ma l'idea di poter cambiare le cose fece brezza nelle sue più radicate convinzioni. «Cosa vi fa pensare che io sia una scelta migliore? Voi non avete alcuna conoscenza su di me».

«È così, dottore, ma non conosco migliore scelta, oggigiorno.»

Esisteva un oceano di scelte migliore, spasimanti arzilli o pieni di danaro. Lui, invece era solo un medico squattrinato, vedovo e senza alcuna prole al seguito. Lei non meritava una scelta così becera, quando poteva avere un uomo geniale e unico come Sherlock Holmes.

«Sono alquanto lusingato, e allo stesso tempo esterrefatto ma, vedete, io non posso chiedervi la mano, non mi farebbe onore.»

«E lasciarmi in balia della disperazione vi farebbe onore?»

Il dubbio tartassò l'ex soldato, sconvolto.

«Mi chiedo solo il perché, perché io?»

La Miss sorrise.

«Per come avete saturato la mia ferita, siete stato molto delicato»

«È un mio dovere, Miss.»

«È solo una vostra qualità, dottore».





Precisazioni.

[1] Il salasso (chiamato anche emodiluizione) era una pratica medica diffusa nell'antichità fino alla fine del diciannovesimo secolo, consistente nel prelevare quantità spesso considerevoli di sangue da un paziente al fine di ridurre l'apporto di fluido nelle arterie di quest'ultimo. Era una pratica molto comune, tant'è che si faceva dal barbiere, e veniva impiegata in ogni sorta di malanno, o anche in assenza del malanno stesso. Era come prendere le vitamine, per loro.

[2] Cindarella del 2015. È la canzone più idonea al contesto di Annie, una piccola Cenerentola vittoriana. Sherlock, ovviamente, è la matrigna cattiva.

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