Sport, auto e il ritorno del gruppo #NoByorn
Dopo un'attenta analisi del suo armadio, Kim afferrò dei pantaloni verdi di una tuta e una maglietta sul rosa perla abbastanza consumata. Quel tipo di outfit lo usava o per far ginnastica o per stare in casa, ma per quella mattina lo aveva tirato fuori per il primo caso: la ginnastica. Usati per molti anni, ad un occhio disattento i pantaloni e la maglietta potevano quasi passare per nuovi, ma con tutte le scuciture e il colore sbiadito per le numerose passate in lavatrice quella bugia si distruggeva quasi immediatamente. Aprì l'unico cassetto dell'armadio e prese dei calzini corti e il reggiseno sportivo, rigorosamente nero, e appoggiò il tutto sul letto appena fatto.
Mentre si spogliava lentamente del pigiama, ripensò a tutto lo sport e gli esercizi estenuanti fatti con il padre: per lei non erano state delle vere e proprie sessioni in cui rilassarsi, ma dei veri esercizi per rafforzarsi. Per liberare il cervello c'era altro: il teatro, disegnare i modelli, riparare il motore guasto dell'auto, cucinare con i gemelli, parlare con Byorn... "Chissà che tipi di esercizi fa Byorn per tenersi in forma" pensò.
Sinceramente non se lo immaginava ad allenarsi in tuta e con il viso sudato, mentre un sacco da boxe sostituiva una persona vera dall'essere picchiata. Sicuramente era più un tipo da scherma: preciso ed elegante proprio come lui. Si guardò i pantaloni della tuta che in qualche momento era riuscita a mettersi, poi guardò la maglietta ancora sul letto. "Diavolo, se mi vedesse vestita così mi prenderebbe in giro..." pensò.
Decise di cambiare la maglietta con una ancora più sportiva: nera e aderente, era molto più leggera e fresca di quella rosa. Si infilò il reggiseno sportivo e la maglietta, si legò i capelli in una coda di cavallo e saltellò sui piedi per cercare di infilarsi i calzini. Fatto tutto, cercò le sue adorate scarpe da ginnastica, ma a parte il borsellino dove ficcare il telefono e le cuffie non lo trovò da nessuna parte. Ricontrollò sotto il letto e nell'armadio, ma a parte un paio di matite scomparse da un po' di tempo e leggermente impolverate, si arrese all'evidenza. A meno che non le avesse lasciate in lavanderia.
"Cavolo, è vero: le avevo lasciate lì da ieri mattina" pensò. Erano troppo sporche per andarci in giro, e le aveva lasciate in lavanderia in modo che Bart le lavasse insieme alle sue: il tritone possedeva delle vecchie scarpe che usava per i lavori più manuali e se si sporcavano troppo gli toccava lavarle.
Con dei balzi raggiunse la scala e la discese rumorosamente. Era troppo su di giri per preoccuparsi di essere sgridata dagli adulti, anche perché non le sarebbe cambiato niente. Trovò zio Arthur in salotto intento a parlare con qualcuno al telefono. Visto che era seduto sul divano dava le spalle alla nipote, che tranquillamente varcò la porta della piccola stanza che era la lavanderia. Di solito i vestiti li asciugavano all'esterno se era estate, ma Kim non si era mai chiesta dove Arthur, Camille e Bart asciugassero i vestiti in inverno o nei giorni di pioggia.
Quattro anni prima Mary si era sporcata il maglione con una tazza generosa di caffè, ma in meno di un'ora passata quella misteriosa stanza delle pulizie il maglione in questione era pulito e profumato di mirtilli. Probabilmente i tre avevano un qualcosa di riscaldato in casa usato appositamente in inverno, ma Kim non aveva idea di cosa.
La lavanderia era un locale piccolo, con il pavimento ricoperto da piastrelle bianche e i muri dipinti di un tetro grigio topo. La lavatrice e l'asciugatrice era dall'altra parte della stanza, e la distanza era veramente imbarazzante: era più o meno un metro e mezzo, e ci volevano due passi per raggiungerli. Ma quel breve viaggio era interrotto da un piccolo labirinto di scarpe appoggiate sul pavimento: tacchi, scarponcini, ciabatte e scarpe.
Kim addocchio le sue scarpe di fianco ad un paio di sandali scuri, valutò e calcolo i probabili percorsi e opto per quello più semplice: con dei passi da gatto, raggiunse le sue calzature e uscì velocemente dalla lavanderia. Per fortuna era asciutte alla perfezione ed esteticamente non presentava macchie evidenti.
Raggiunse il salotto e osservò lo zio: stava ancora parlando al telefono, ma dalle spalle incurvate e dal tono di voce quella sembrava tutt'altro che una chiamata di piacere. Improvvisamente Arthur sembrava molto più vecchio di quello che dimostrava: Mary e Arthur erano nati a cinque anni di distanza, e anche se Arthur adesso aveva cinquantacinque anni, in quel esatto momento sembrava averne settanta.
Kim osservò la leggera barba mattutina che lo zio non aveva ancora avuto il tempo di rasarsi, gli osservò la camicia stropicciata e le buffe ciabatte marroni che usava solo in casa. Sembrava più trasandato del solito, e Kim si chiese cosa gli fosse successo.
Forse si era così tanto concentrata su se stessa e sulle conseguenze che l'incidente aveva inciso su di lei, senza mai soffermarsi a chiedersi come si sentisse lo zio. Come se lo stava passando negli ultimi tempi? Era arrabbiato con l'ormai ex marito della sorella? Frustato di non essere intervenuto in tempo per aiutare o di essersi accorto prima del comportamento di quell'uomo? Vedeva il suo stesso sguardo negli occhi furiosi di Kim?
"Magari mi sto comportamento da ragazzina viziata visto che sto sempre con Byorn... Lo sto facendo soffrire di più" pensò Kim con dispiacere. Quell'attimo di riflessione profonda venne infranta dall'arrivo di due monelli, meglio conosciuti come Nathan e Oliver. Il povero Bartholomew cercava di trattenere i due dal correre sulle scale e rompersi le gambe, ma tutti i suoi sforzi erano inutili. "Non usa le minacce giuste" pensò Kim mentre il tritone urlava minacce come: «Se non la smettete subito, niente gelato stasera» o «Ve la vedrete con Mary quando scoprirà che vi siete rotti ogni arto esistente!».
"Nathan e Oliver Evans! Fermatevi immediatamente!" esclamò Kim. I due bambini si fermarono subito, rischiando di creare un incidente stradale quando Bartholomew fece una specie di mossa di ballo per evitare di colpirli. Arthur alzò lo sguardo per guardare la scena, continuando però a parlare al telefono. "Ora potete scendere le scale. E con ordine" continuò la ragazza con tono fermo, e i due bambini ubbidirono. Con passo lento e con facce sorridenti e sprezzanti verso il povero tritone si diressero verso la cucina, mentre Bartholomew li guardava con espressione già esausta. Sorridendo tra sé e sé, Arthur tornò a concentrarsi sulla telefonata, rendendo Kim soddisfatta di avergli sollevato un po' il morale.
"Bart, esco a fare una corsa. Vuoi unirti a me?" chiese Kim con tono gentile. Il tritone scosse subito la testa. "Scusami Kim ma stamattina non sono in vena. Possiamo allenarci uno dei prossimi giorni se vuoi" disse. "Buona idea" disse Kim. Inforcò le cuffie, mise già la sua playlist da palestra, indossò le scarpe e le allacciò. "A dopo allora. Nath, Oliver: non fate casini mi raccomando" urlò in direzione della cucina. "Che tipi di casini?" chiese una voce a rimando. "Qualsiasi cosa che centri con macchine, fuoco e olio. E non in quest'ordine" replicò Kim. "Ok capo" rispose un'altra voce.
"Parlando di macchine, l'auto sta avendo dei problemi. Hai voglia di darci un'occhiata quando torni dalla corsa?" chiese Arthur. Aveva appoggiato la mano davanti al telefonino, anche se poteva metterlo in muto ma sembrava dimenticarsi ogni volta di quella possibilità, e guardò la nipote con fare speranzoso. "Certo zio, che domande. Prepara solo gli attrezzi e le chiavi" rispose Kim. Lo sguardo dell'uomo si illuminò di trenta milioni di volt, e con uno scatto chiuse la chiamata e si fiondò a prendere la cassa degli attrezzi.
"Wow, a quanto pare gli serve davvero l'auto" pensò con fare sbalordito. Si sporse in cucina per avvertire i gemelli che l'avrebbero aiutata ad aggiustare l'auto, e dallo sguardo che i due si lanciarono sapevano perfettamente che «aggiustare l'auto» si intendeva «imparare a guidare». Secondo Kim, imparare ad aggiustare le auto e farle partire per vedere se funzionavano era un ottimo esercizio per allenarsi nel guidare i mezzi. "Si oliano gli ingranaggi" usava dire spesso. Legalmente era discutibile che una diciannovenne insegnasse dei bambini a guidare, ma con tutte le volte che aveva insegnato qualcosa ai gemelli, Nath e Oliver sapevano egregiamente la differenza tra il freno a mano e la frizione, insieme a tutti i significati dei cartelli stradali.
"A dopo! E mangiare tanto che mi servite attivi" esclamò Kim prima di uscire.
Sulle note di Wilde Awake, Orchidea della Luna sembrava molto più pop di quanto non era nella realtà.
Come tutti i musical che aveva visto al cinema, si aspettava che gli abitati partissero a fare una complicatissima coreografia di ballo con ottime performance canore. Purtroppo non successe niente, anche se avrebbe dato qualunque cosa per vedere una cosa del genere nella vita reale. Guardandosi attorno e chiedendosi come far ballare insieme dei Nani di Corteccia con un Drago Rinoceronte, si fermò per aspettare che il semaforo dall'altra parte della strada diventasse verde.
Osservò i motorini dalle carrozzerie lucenti e le macchine in condizioni pietose, poi ammirò il cielo mezzo coperto. Per fortuna il vento che arieggiava sulla città ci stava mettendo tutto il suo impegno per spostare le nuvole, e Kim lo ringraziò mentalmente per quello. Per aggiustare il motore dell'auto aveva bisogno di luce, e con il cielo coperto sarebbe stato più difficile del previsto. "Chissà se abbiamo anche l'olio per il motore...." pensò.
Nel dubbio prese il telefono e aprì la chat con lo zio.
Kim
11:48
Zio
Abbiamo l'olio per il motore?
Se serve scrivimi che vado a prenderlo
Zio Arthur
11:30
Devo controllare
Grazie di avermelo ricordato
Kim
11:35
Quindi?
Trovato?
Zio Arthur
11:36
Si si c'è
Don't worry
Kim
11:36
Perfetto. A tra poco
Kim cambiò playlist, preferendo quella «Musica Lenta» piuttosto che «Musica primavera-estate». Per fortuna non aveva la cartella «Canzone di musical» o «Musica da teatro» perché non era sicura di concentrarsi a dovere nel correre. Ci mancava solo che si distraesse pure, guarda un po'. "E parlando di distrazioni, ecco Pablo e il gruppo #NoByorn. Guarda come fanno gli amiconi, sti stronzi qua. Dovrebbero cambiare nome, tipo il Gruppo degli Impediti. O degli Incompetenti" pensò con rancore.
I quattro impediti stavano uscendo da un negozio di arte, il Cuore Dipinto, con diversi barattoli di vernice in mano. Dallo zaino militare che Pablo teneva sulla schiena spuntavano diversi manico di rulli, mentre Mark aveva diversi pennelli nella borsa in flanella che portava in spalla. Mancava il tipo dai capelli rossi, quindi o gli aveva dato buca per quel giorno, o si era completamente distaccato dal gruppo per non dover affrontare dei brutti ricordi ogni volta che li vedeva.
Vendendoli andare in una strada opposta alla sua e corrosa da un improvvisa voglia di sapere che diavolo stessero facendo, Kim prese il telefono. Con dispiacere mise in pausa la sua playlist «Musica Lenta» ed entrò nelle chiamate. Quando era andata al suo appuntamento con Pablo si erano scambiati i numeri anche se dopo quell'uscita fallimentare non si erano più scritti né chiamati. Quindi Kim perse secondi preziosi a cercare il numero dello stronzetto, nei quali i quattro si erano fermati prima ad osservare un negozio di specchi per poi continuare con la loro strada.
Kim schiacciò il contatto «Pablo lo spendaccione» e si portò l'aggeggio all'orecchio. Stranamente Pablo rispose velocemente con un vivace: "Buongiorno!". "Buongiorno Pablo, dove state andando di bello?" chiese Kim con un tono quasi piatto. Un improvviso silenzio di tomba rispose dall'altra parte del telefono. "Chi è, Pablito?" chiese una voce maschile, che Kim ricollegò immediatamente al ragazzo dalle domande no-sense. "È Kim. Perché mi hai chiamato?" disse Pablo. "Innanzitutto abito anche io qui a Orchidea della Luna. Secondo, sei tu quello che hai risposto" ribattè Kim. "Pensavo che fosse mia cugina: è lei che mi ospita al momento. Stiamo ristrutturando casa e lei è stata così tanto gentile da trasferirsi tutti a casa sua" spiegò Pablo. "E che bello. Per questo servono i rulli e la vernice?" chiese Kim.
"Ma non riesci a farti i fatti tuoi? Non mi sembra tanto difficile" ribatte Mark. "Disse quello" replicò Kim infastidita. Non gli stava piacendo la piega che stava prendendo la conversazione: per una volta in cui stava sventolando la bandiera bianca per semplice curiosità, immediatamente la gente gli rispondeva male. Era così difficile cercare di rispondere con tranquillità?
Forse la stessa cosa lo pensò il ragazzo no-sense, perché riuscì ad accaparrarsi il telefono e rispondere con voce gentile. "Senti, hai una conoscenza in botanica?" chiese. "Abbastanza. Come mai?" domando Kim. Mary l'aveva letteralmente obbligata a seguire un corso di botanica a scuola, e Kim si annoiava così tanto che era riuscita a diventare un vegetale all'interno di una classe arbusti. Ma si ricordava abbastanza da sapere la differenza tra alberi giapponesi e alberi americani. "Allora puoi aiutarci con il nostro progetto artistico: se vieni davanti al negozio «A tutta elettronica» ci andiamo direttamente, al nostro punto per il progetto" spiegò il ragazzo. "Ok arrivo" disse Kim semplicemente.
"Spero solo che Arthur non si offenda per essermi fermata per un progetto artistico" pensò Kim prima di attraversare la strada e raggiungere il gruppo degli impediti.
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