oro
Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio è un dipinto ad olio su tela ubicato al museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, realizzato dal pittore surrealista Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech, più comunemente conosciuto come Salvador Dalí.
L'opera in questione rappresenta il violento e sgravato risveglio della donna dai suoi sogni tranquilli. Il corpo nudo, erotico, di una giovane distesa levita su di uno scoglio sospeso nel vuoto. Nulla poteva creare maggior impatto nel rappresentare Palermo. Quel dipinto, un sogno surreale ed erotico, esprimeva nel miglior modo le presenze invisibili sua e di Berlino che fluttuavano in uno sfondo azzurro.
Palermo era la donna addormentata e la melagrana, mentre Berlino era stato impersonato dal fucile premuto contro il braccio di lei e dall'ape che ronza attorno al frutto marcio.
Palermo col tempo si stava erodendo, l'amore prepotente per Berlino lo aveva trivellato di colpi facendolo sanguinare copiosamente. Soltanto Berlino non si era accorto di tutto quel sangue che aveva finito per sporcare anche lui.
Come Oscar Wilde nella sua lunga lettera scritta in carcere Palermo avrebbe volentieri composto con la stessa maestria da esteta la gravità del sentimento per Berlino che alimentava soltanto le sue pene d'amore.
Berlino si pavoneggiava con sensuale notorietà e narcisismo, quello che più tra tutti piaceva ai gusti di Palermo. Nella reggia dei cappuccini in Italia in cui erano ospiti Palermo visse gli ultimi istanti di immaginaria serenità con Berlino. Questo si svegliava alla buon ora della mattina, passeggiando tra i marmi e le piante ben potate del giardino sottostante alle loro camere, cantando a gran voce col suo sprizzante e provocatorio accento argentino le solite canzoni di Franco Battiato. Palermo lo sentiva nel silenzio, quasi lo aspettava ogni dì, sgattaiolando scalzo e silenziosamente dalla sua camera per possedere con gli occhi e con l'udito lo spettacolo di Berlino. Era un codardo, non lasciava mai scorgere la sua presenza a Berlino, come se lui non sapesse che in verità si trovava lì a spiarlo.
-E guarirai da tutte le malattie...perché sei un essere speciale- sorrideva, Berlino, cantando ma lasciando in sospeso l'ultima celebre strofa. Si aspettava che Palermo la concludesse, nascosto lì dietro alle colonne portanti. Essere gustato da Palermo in quel modo quasi lo eccitava.
Accumulato, però, al lieve dolore dei sentimenti si frastagliava gigantesco il pensiero costante della morte imminente di Berlino stava consumando poco a poco lo stomaco di Palermo.
Se ci fosse stato un modo, uno qualsiasi, per impedire alla mietitrice di portarsi via Berlino allora Palermo si sarebbe sacrificato anche per le sue prossime vite. Se avesse potuto sviare la morte avrebbe ingurgitato tutto l'oro fuso nel caveau della banca di spagna, come da piano. Con quello stesso oro avrebbe anche potuto fare altro per Berlino. Alla sua morte, come Iside con Osiride, Palermo avrebbe setacciato gli angoli più reconditi della terra per cercare i pezzi di Berlino e rimetterli insieme ed infine, non trovando il suo fallo meraviglioso, avrebbe utilizzato due lingotti d'oro della banca per ricrearne uno nuovo da donargli. Oh cazzo, avrebbe venerato quell'organo sessuale di inestimabile valore come la statua di una divinità etrusca.
Ma alla morte di Berlino non esisteva inganno o strategia che avrebbe potuto deviarla. Palermo pensò che l'unica cosa da fare, alla fine, sarebbe stata quella di ingoiare tutte le ceneri funerarie di Berlino a manciate, spargendo polvere del suo copro ovunque e lasciandosi soffocare con la trachea ostruita e i polmoni pieni di sabbia. Berlino gli sarebbe uscito dal naso, gli avrebbe ricoperto tutte le labbra ed il mento, misto alla saliva e alle lacrime.
Il peso di quelle novanta tonnellate d'oro era già tutto addosso a Palermo sotto forma di gelosia rivolta tutta all'ingenua futura nuova sposina di Berlino, illusa di essere lei quella giusta. Palermo alimentava d'odio tutti quei pensieri quando in realtà ammetteva la realtà, ovvero che quantomeno lei godeva di un amore da parte di Berlino, mentre lui no.
Per consolarsi Palermo immaginava. Nella sua stanza arredata in maniera antiquata, inghiottita dall'umidità della notte, i suoi occhi si muovevano veloci sul tetto bianco mentre se ne stava sdraiato sul letto sfatto con una mano a penzoloni. Progettava e predisponeva tutti i luoghi e i modi in cui avrebbe voluto fare l'amore con Berlino. No, non il solito boom boom ciao, con lui, con Andrés sarebbe stato qualcosa che si analizza nei cantici danteschi. Per lui sarebbe persino tonato vergine; pensava di farlo nella stanza in cui i frati giungevano in preghiera, voleva farsi sottomettere da Berlino sull'erba bagnata al bordi dello strapiombo dietro la tenuta dei cappuccini. Voleva che chiunque sapesse di loro, che tutti li vedessero agitarsi e formicolare come animali.
Pretendeva di sentire il sesso eretto di Berlino ovunque, in bocca e contro le labbra, sulle guance e premuto all'addome. Poi tra le natiche, sul suo di cazzo, nei pugni e sulla punta della lingua. Se si sforzava meglio riusciva a sentire persino il sapore del suo sperma caldo, nascere dalla gola come il succo del frutto più buono del mondo, unico ed indistinguibile tra tutti gli altri.
Avrebbe copulato in amore con Berlino con le spalle sbattute contro le pareti del Duomo della città a cui il suo amore aveva preso in prestito il nome, e poi all'Isola delle femmine, nelle terre di mare palermitane, nudo sulla sabbia che si incolla ai loro corpi nudi per via del sudore.
Quando gli veniva talmente duro da spingersi con prepotenza contro le mutande, Palermo si dava sollievo da se o provava a respingere l'impulso.
Quella notte decise di prendere aria e fumare una o forse anche due sigarette per arrestare quella sensazione di piacere scottante. Era molto tardi, c'era una brezza fresca che sollevava i peli delle braccia ma non abbastanza da far battere i denti. Palermo si mise a passeggiare, con una vestaglia color rosso carminio aperta. A braccia incrociate inalava un tiro dopo l'altro la nicotina amara che gli dava un attimo di sollievo.
Gli cadde la cenere sulle ciabatte quando vide Berlino addormentato su di una sdraio in caucciù, vecchia e consumata dal sole. Dormiva su di un fianco, raggomitolato su se stesso per colpa del freddo. Era ancora vestito, probabilmente la sua mogliettina lo aveva aspettato con impazienza e rabbia in camera da letto, crollata dal sonno dopo che Berlino non aveva dato accenno di raggiungerla.
Dormiva profondamente e si capiva dall'odore di vino rosso che era perito al sonno a causa dell'alcol. Quel pungente profumo misto alla solita aroma leggera dell'adipe di Berlino agivano da narcotico ai sensi di Palermo.
Lo guardò sonnecchiare con le labbra appena aperte ed il respiro che creava bassi fischi emessi dal naso. Se solo la pelle di Berlino lo avesse toccato in ogni parte del suo corpo Palermo avrebbe finalmente creduto all'anima risvegliata dal calore di Berlino. Quella pelle era il marmo del David e la tela su cui era dipinta la Gioconda.
Piano, senza far rumore, Palermo gettò in terra la sigaretta e si mise difronte al viso rasserenato di Berlino. Si piegò sulle ginocchia tenendosi in equilibrio con le punte dei piedi. Palermo sorrise non reprimendo l'impulso di accarezzare lievemente una delle tempie di Berlino.
Lo amava soprattutto perché era pieno di vita. E forse per quel motivo i suoi giorni ormai erano contati: Berlino aveva una vita talmente luminescente dentro che, con un amore incompreso e sconosciuto per Palermo era finito per dare a lui tutto il resto della sua vita. Come se fosse un figlio dentro al ventre di Palermo, l'intera e mastodontica esistenza di Berlino gli sarebbe rimasta per sempre nell'organismo.
Palermo sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma non per la tristezza, no, era tutto amore il suo. Vedere Berlino lo privava di sensi.
Sicuro del sonno profondo di Berlino Palermo ne approfittò, pazzo di passione. Si sporse in avanti e con le labbra sottili si poggiò sotto gli occhi chiusi di Berlino, a baciarlo come se fosse un martire, come se le guance di Berlino fossero i piedi inchiodati di Cristo crocefisso.
Respirandogli sulle labbra ad una distanza che non poteva definirsi distanza Palermo gemette pianissimo, ma quel verso fu abbastanza forte per svegliare Berlino.
D'istinto Palermo si allontanò da lui, spaventato. Berlino aprì a fatica gli occhi brillanti, sorridendo con l'espressione tipica di un ubriaco.
Lo guardò come se potesse vedere al buio, restando sdraiato. Allungò un braccio verso Palermo, tirandolo nuovamente a se.
-Martìn- mormorò a voce bassa, con tono euforico.
-Andrés, che fai qui?- gli chiese per ingannarlo.
-Tu che ci fai qui- ripeté Berlino marcando il tu.
-Fumavo.- spiegò, sempre a bassa voce.
Berlino rise quasi fosse isterico, annebbiato dall'alcol. Scosse il capo e strinse più forte il braccio di Palermo che tremava come una foglia.
-Oh Martìn, non prendermi per il culo. Vieni, baciami ancora.- disse infine, spingendo Palermo verso di se.
Palermo, rigido, non riuscì a reagire. Non poteva essere vero, non lo credeva possibile; quello non era il vero Andrés, era tutta colpa del vino se gli stava parlando così.
-Andrés io...-
-Coraggio cazzo, Martìn ascoltami.- Berlino provò a tirarsi avanti aggrappandosi alla nuca di Palermo con l'altra mano. Gli toccò il naso con la punta del suo soddisfatto del rumore del respiro di Palermo affaticato per colpa sua. Gli leccò le labbra con una lenta bramosia, provocandolo.
-Baciami.-
Palermo ricadde in ginocchio succube di quella voce. Gli toccò il collo come se la sua vita dipendesse da quello, chiudendo gli occhi si poggiò con la fronte contro quella di Berlino.
Sospirò aprendo le labbra fameliche e ficcando la sua lingua dentro al sorriso ubriaco di Berlino. Lui gli morse il labbro inferiore talmente forte da farlo sanguinare, ancora e ancora finché per il dolore Palermo non si allontanò di scatto.
Lo guardò con fare interrogativo mentre Berlino si leccava il sangue dai denti.
-Io so tutto, so tutto quello che c'è dentro di te.-
-Sei ubriaco, è meglio che vai nella tua stanza a dormire.- disse Palermo in difficoltà.
-Forse ho bevuto troppo ma, sai come si dice, i bambini e gli ubriachi non mentono mai.- Berlino deglutì, aveva la bocca impastata di due diverse salive. -Lo so cosa ti provoco io- ci fu un sorriso che non sembrava essere frutto del vino rosso; -anche tu, anche tu figlio di puttana mi fai sentire allo stesso modo.-
Palermo si sedette in terra accarezzando con l'intera mano il capo di Berlino.
-Non ho il coraggio di dirtelo.- Palermo aveva di nuovo le lacrime agli occhi.
-Ti amo- disse Berlino in italiano, con la sua cadenza straniera. Poi scoppiò a ridere, come un forsennato.
Palermo si illuse, ma in fondo al suo io più profondo sapeva che non poteva essere vero, Berlino si era preso gioco di lui.
Se lo mise in spalla e lo accompagnò dalla sua nuova giovane moglie per farlo riposare.
I giorni successivi Berlino non disse nulla dell'accaduto, né parve che fingesse di nasconderlo per pentimento o vergogna. Non ricordava nulla perché era ubriaco fradicio, e questo calmò un po' le ansie di Palermo.
Quando poi glielo confessò da sobrio, quando Berlino gli disse che lo amava e che loro due erano qualcosa di straordinario allora Palermo capì ogni cosa.
Ma, come aveva detto Berlino, quell'uno percento che comprometteva il loro amore latitante era troppo rilevante. Si sarebbero incontrati un giorno, ma non in quella vita.
No, perché Berlino morì durante quella ridicola rapina organizzata da suo fratello e Palermo non poté nemmeno ingoiare le sue ceneri.
Se Dalì fosse stato ancora vivo avrebbe di certo dipinto di loro due.
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