Apollo

Game of Gods,
Apollo Lively

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Apollo ha sempre venerato tre cose.

Lo studio, la sua famiglia e lei.

Lei.

Venera lei come venera la Luna. La guarda e sente di non amare altro che il momento in cui lei apre gli occhi e sorride, si alza dal letto e il Sole le impregna il viso con i suoi raggi. Ama la sua faccia, il modo in cui sorride, il modo in cui lo guarda e in cui risponde alle battute con altrettanto sarcasmo. Il modo in cui non si piega, ama che lei lo guardi e non gli stacchi gli occhi di dosso.

Ama lei.

L’ha capito, la sera stessa in cui l'ha vista varcare la soglia del loro dormitorio e prendere il posto della ragazza che aveva perso contro Athena.

Non smetterà mai di amarla.

È radicata troppo a fondo, lei è troppo profonda per essere districata e a lui va bene che lei metta radici nel suo cuore. Lo può anche strappare via se vuole, l'importante è che le sue mani lo contengano per sempre, ne contengano per sempre l'essenza, la sensazione.

Apollo ha capito che amare ed essere amati, equivale a guarnire una torta, ma che amare e non essere amati, equivale a un temporale. Uno spartito senza note. La melodia non può essere composta da un solo paio di mani.

Ma gli basta vederla sorridere. Gli basta saperla amata e che ama.

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