CAPITOLO IX - DALLA MATTINA... ALLA SERA - Parte 1

Certe giornate non dovrebbero proprio accadere.  Arrivano dal nulla e ti succedono all'improvviso gettandoti addosso solo tanto dolore. Non è come quando arriva un temporale. In questo caso te ne rendi conto dal colore del cielo: il bianco delle nuvole si mescola al grigio e il grigio si mescola a mille sfumature fino al nero, buio e spaventoso, e tu sai che la tempesta è giunta. Fa paura ma l'hai vista arrivare e sai che hai fatto quello che potevi per stare al sicuro. Poi devi solo aspettare che passi. E sai che passerà. Ma quando arrivano i dispiaceri di solito non c'è preavviso. Il sole va via d'improvviso senza che tu abbia avuto modo di prepararti, vieni colto di sorpresa e non sarai mai veramente al sicuro. Sei al centro della tempesta da solo e non puoi fare altro che cercare di terminare al meglio il tuo cammino, perché comunque vada i giorni brutti arrivano dal nulla e tu puoi solo affrontarli sperando finiscano il prima possibile.

***

Da casa sono uscito prestissimo e la pioggia non giova alla mia tensione. Il cielo sembra quello di questa notte. Se non fosse stato per l'orologio digitale che in cucina segnalava l'orario del mattino accompagnato da "AM", avrei creduto di vivere in un sogno. Dalla finestra ho visto i lampioni ancora accesi in strada ed ho capito che il buio della notte non ci aveva ancora lasciati.

Appena fuori dalla porta ho aperto l'ombrello, ma il tempo di aprirlo e arrivare in auto e già ero mezzo inzuppato. Un cornetto e un caffè macchiato al bar e di corsa all'università.  Studio giurisprudenza perché il mio sogno è diventare un grande avvocato, magari uno di quei grandi penalisti del Foro di Napoli. L'avvocato è un lavoro che mi affascina.  Ho giurato a me stesso che mai avrei buttato la mia laurea nella pubblica amministrazione o in organismi paralleli (come la politica) e sopratutto non avrei fatto l'economista. Ma oggi mi tocca sostenere l'esame di economia ed è mio dovere di buon studente essere preparato.

Seduto ascolto, ma la verità è che io non conosco una delle risposte che hanno posto al ragazzo con il tattoo sul collo davanti al Prof. Il panico sta iniziando a giocarmi un tiro mancino. L'ansia è tremenda, vuole impadronirsi di me. Lasciarglielo fare, sarebbe la fine.

Meglio alzarmi così mi distraggo un po'.

Sto lottando con questo distributore automatico per prendere un caffè, ma l'unica cosa che mi ha concesso è il bicchiere di plastica vuoto. 

«Aspetta si fa così...», uno schiaffo al lato e un calcio alla base dell'automatico e il caffè come per magia inizia a colare. Una ragazza mi ha salvato.

«Ecco vedi!?», esclama con soddisfazione.

«Grazie!»

Capelli neri e corti, look da emo, palpebre nere su lineamenti così sottili e dolci. Non capisco perché voglia caricarli così tanto. 

«È il giorno degli esami, tutti prendono caffè e quindi la macchina s'inceppa!», mi spiega.

«Te ne posso offrire uno?»

«Molto volentieri, ma preferisco quello americano», una precisazione che non mi passa inosservata. 

«Cacao o vaniglia?», domando.

«Vaniglia!», risponde senza pensarci un secondo.

«Ti piace l'America?»

«Sono pazza dell'America», raccoglie il bicchierone, poi insieme ci incamminiamo verso l'aulario!

«Uh Dio, non dirmi che sei uno di quelli che odia l'America!?»

«No, no, anzi!»

«Meno male! Dalla tua espressione sembrava il contrario!», e butta giù un sorso.

«Presto ci andrò, credo subito dopo la laurea», precisa.

«Buon per te! Comunque piacere, Alex».

«Uh scusami...», si passa il bicchierone dalla mano destra a quella sinistra, «Piacere

Matilde».

«Anche tu per l'esame di Economia?»

«Sì...», sillaba.

«Tesa?», che domanda stupida penso.

«Sinceramente? No! È uno dei miei ultimi esami».

«Come ti invidio! Io sono solo all'inizio».

«Passerà più velocemente di quando tu possa immaginare».

Entriamo nel brusio dell'aulario.

«Ehi ci vediamo in giro O.K.?», mi sussurra.

«Contaci...», rispondo prontamente e la vedo raggiungere le sue amiche.

***

Due ore sono passate e solo ora è arrivato il mio turno. Mi presento con la giusta carica emotiva. Un saluto veloce e subito arrivano le domande: riesco a superare quella sul patrimonio di un'azienda, ma crollo su quella di marketing e su alcune differenze tra vari calcoli aziendali. Il Professore si porta la mano al volto quasi a voler cancellare il mio tentativo, mi prende l'ansia, inizio a sudare e sconfortato mi blocco.

Il Prof si alza di botto e mi dice che è meglio se faccio un nuovo tentativo nella prossima sessione perché sono chiaramente impreparato. Ho sbagliato risposte fondamentali, dice, e non posso permettermelo se voglio passare l'esame. 

Parla con un tono duro in modo che tutti possano sentire. Sono il suo capro espiatorio e continua:«Se non conoscete le basi dell'economia non ci venite qui, non presentatevi a questa scrivania. Noi non abbiamo tempo da perdere e voi non avete il diritto di togliere tempo ai vostri colleghi preparati.»

Voglio sprofondare! Guardo fisso il pavimento, spero inutilmente che si apra una voragine, per caderci dentro ed evitare la vergogna che sto provando: sento gli sguardi pesanti di tutti gli altri sulle spalle. Gentilmente saluto il prof e con sottile voce gli do appuntamento al prossimo appello.  Mi alzo ed è come avere un macigno sulla testa, cerco di defilarmi tra i banchi nella maniera più anonima possibile, ma non serve, non è piacevole come sensazione. Inutile negarlo, è colpa mia. Ho preso troppi impegni, mi sono fatto distrarre da troppe cose e ho sottovalutato l'esame. Bravo Alex, mossa intelligente, complimenti!

Il mio percorso universitario, lineare fino a questo momento, ha subito una battuta d'arresto e mi sento male, non mi sento sicuro ed io odio sentirmi così. Non ho tutto sotto controllo e quando questo succede va a finire che creo problemi. Adesso mi è chiaro che se voglio laurearmi devo smetterla di essere superficiale con lo studio. Questa è la mia prima bocciatura e devo considerarla un campanello d'allarme. Nonostante mi senta tremendamente demoralizzato è servita questa batosta a farmi aprire gli occhi su quanto sia importante lo studio universitario. Devo rimanere concentrato se voglio raggiungere la vetta, e dare sempre il massimo. Non sono un genio, non mi sono impegnato abbastanza e ho meritato questa bocciatura. Ci vuole costanza e forza di volontà, ed è importante impegnarsi nello studio anche per una cultura personale. La conoscenza ci rende migliori, ma non dipende solo dalla scuola, il grosso dipende anche da noi.

***

In auto, sul sediolino accanto i libri, mezzo bagnato, dopo essermi subito le occhiatacce di tutti, preferisco restare alcuni minuti qui con gli occhi chiusi e con la testa appoggiata al volante un po' per restare fuori dal mondo e un po' perché voglio ricaricarmi dopo il colpo. Ciò che mi fa più male è che so che la colpa è solo mia.

Se sali su un ring e non sei allenato vieni messo KO al primo round ed è questo quello che mi è accaduto. Sono al tappeto e non ci ho capito nulla. 

Mi sento destabilizzato, sono sommerso da mille riflessioni, sento la testa scoppiarmi di pensieri cupi. Ci sto provando ma non riesco a scrollarmele da dosso. Le mie guance sono bagnate. Voglio fare il duro, ma sto male per i sacrifici buttati al vento, non solo i miei, ma anche quelli che i miei genitori fanno per farmi studiare, ed io così li ripago? Mio padre oggi aveva bisogno di me, ha fatto i salti mortali per lavorare sin dalle cinque del mattino e io lo sto deludendo. Un groppo mi stringe la gola. Sento le lacrime rigare le mie guance, ma forse è solo la pioggia. Provo stupidamente a convincermi che non sto piangendo, come se poi raccontarmi una bugia possa farmi sentire meglio. Quello che è accaduto oggi non deve succedere più. È l'unica cosa a cui riesco a pensare, è l'unica promessa che posso fare a me stesso.  Scuro in volto, avvio l'auto e torno a casa.

Arrivo. Parcheggio. Aspetto ancora un minuto prima di scendere dall'auto, preparo la mia maschera migliore. Nessuno sa dell'esame. Nessuno deve saperlo.

Cerco sempre di nascondere agli occhi degli altri quando sono triste o sfiduciato. Mi mostro sempre sorridente e disponibile, perché voglio che chi mi circonda sappia che su di me può sempre contare. È importante che chi mi sta a cuore stia bene. Io riesco sempre a cavarmela da solo e non mi importa se agli occhi di chi amo sembro un pagliaccio spensierato, ho scelto di vivere da clown per il bene di chi amo ed è tutto ciò che importa.

Mi sistemo la maschera, scendo dall'auto, alzo gli occhi al cielo.

Il mio viso ritorna a bagnarsi e lascio fare per nascondere gli occhi lucidi, per pregare chi mi guida da lassù di fare in modo che entrando in casa nessuno si accorga del mio malumore.

"Aiutami a portare questa maschera con disinvoltura!"

Sospiro e mi avvio.

Apro la porta di casa, mi viene incontro di corsa la mia piccolina Celeste, la mia sorellina di soli 5 anni, mi stringe forte in un abbraccio. Ossigeno puro. Mi sento rigenerato. Un abbraccio che può solo farmi bene, ne avevo più bisogno di quanto immaginassi. Un bacio sulla guancia e dalla mia borsa prendo il solito ovetto Kinder per lei. Mi riabbraccia: «Grazie fratellone!», altro bacio e via di ritorno alle sue cose. 

Sento mia madre domandarmi se ho fame.

«No, mamma non preoccuparti...»

Mio padre è arrabbiato sulla poltrona. Provo a salutarlo senza ottenere risposta. Prevedibile!

Salgo in camera mia, poso tutta la roba e riscendo. Papà è ancora sulla poltrona e con lo sguardo fissa la Tv.

«Pà... com'è andata oggi? Sei riuscito a farlo il servizio?»

«Vuoi saperlo veramente? Perché a te t'interessa sta cosa? Ti avevo chiesto solo un favore e tu niente, dovevi andare all'università. Stai sempre a casa oppure in giro con i tuoi amici, per una volta che ti ho chiesto di venire al caseificio, niente. E così non ho chiuso una vendita con dei fornitori...»

«Ma io oggi dovevo andarci per forza...», provo a giustificarmi con flebile voce.

«Veramente? A fare cosa? A perdere tempo? Da quando non porti un esame a casa?

Io ho perso i soldi questa mattina... i soldi che ti permettono di fare il "bello" all'università. Alex decidi una volta per tutte cosa vuoi fare?»

«Ti sto dicendo che oggi avevo dei corsi importanti da seguire».

«E tu per dei corsi mi fai perdere una fornitura da mille euro? Fammi il favore vattene, vattene, a te non interessa niente del caseificio e della famiglia. Ti piace solo vestire bene, stare in giro con la tua banda. Vuoi solo i soldi per uscire e per fare benzina... questo t'interessa. Tu sei egoista, pensi solo ai fatti tuoi!» 

Mille euro è il costo della mia bocciatura!

«Tu non sai come si guadagnano i soldi. Tu vivi solo perché il mondo è grande. Io con quei soldi vi do da mangiare, e tu che fai? Sputi sopra a ciò che ti fa mangiare! Fammi il piacere non ci venire più al caseificio. Vuoi fare l'università? Falla!! Però accetta le conseguenze delle tue azioni. Se a breve non mi porti risultati l'università te la paghi da te, sono stato chiaro!?!»

Non riesco a replicare. Lui ha ragione (almeno in parte), capisco da dove nasca la sua rabbia, non posso che starmene ad ascoltarlo. Le sue urla e le sue frecciate però fanno male e mi svuotano del tutto. Non credo di meritarle tutte queste parole!

Qualcosa dentro di me, inizia a mutare, sta crescendo la "rabbia".

Voglio che la smetta, ho voglia di gridargli che sono stato appena bocciato, che il prof mi ha preso a bastonate davanti a centinaia di persone e non merito un trattamento simile anche da lui.

«Gli altri lavorano per te, sei un menefreghista...», le sue urla sono come dei coltelli così taglienti che aprono squarci nel mio umore. Capisco dove nasca tutta questa collera, ma lui perché non prova a capire anche me? Il caseificio è parte della sua vita, è il suo lavoro. Il mio sto cercando di crearmelo. Sono in una centrifuga, completamente confuso. Sento tuonare all'esterno, ma è niente in confronto a ciò che ho dentro.  Valgo più di quelle parole, lo so che non posso dimostraglielo al momento, so che ultimamente sta andando tutto a rotoli. Ma un po'di fiducia? Io non merito questo! Smettila!

«Basta!», ho sbottato,

«Non c'è la faccio piùùùù!», urlo con tutta la forza che ho in corpo, ed è benzina sul fuoco. Me ne pento subito, non era mia intenzione urlare a mio padre, ma questo non può saperlo, ed io non sono bravo a spiegarglielo e forse non ho voglia nemmeno di spiegarglielo.

«NON alzare la voce con me, MAI PIÙ!!!»

«Ho capito, è meglio se me ne vado...», taglio corto è l'unica soluzione che trovo per mettere fine a questo tormento.

«Sì, vattene è meglio, scappa pure come sempre...»

Negli occhi di mio padre ho visto qualcosa che ferisce ogni figlio: un'autorità e una severità talmente fredda da farmi scappare. Prendo le chiavi dell'auto, il giubbotto di pelle e vado via sbattendo la porta di casa. Ho voglia di prendere a pugni un muro e resistere al pianto per combattere non so bene cosa. La strada davanti a me è dritta e non c'è un'anima viva, piove a dirotto quasi non si vede nulla, il tergicristallo fa fatica a spostare la pioggia e il piede destro spinge sul pedale da solo, quasi come se decidesse autonomamente. Il contachilometri invece aumenta di giri: ottanta, cento, centoventi in pochi istanti. Sento il motore incitarmi, desidera accelerarsi e così io. La lancetta continua il suo cammino all'insù: centotrenta, centoquaranta, il motore ormai è roboante, e le gocce di pioggia sul parabrezza in un attimo sono scia sul vetro. La pioggia appare sempre più intensa. Guido, ma con la testa non sono presente, voglio solo dimenticare una giornata piena e amara. Sono inferocito, il volante vibra fra le mie mani e la capacità della mia auto mi stupisce. Rido mentre aumenta la velocità. Saltando su un dosso, riprendo coscienza: Cosa cazzo sto facendo? Sto giocando con la mia vita? E per cosa poi? Un esame andato di merda o per una lite sciocca? Freno di botto, ed è l'unica cosa che non si deve mai fare quando la strada è tanto bagnata.

Giro su me stesso a trecentosessanta gradi, pochi secondi di eternità. Rischio di farmi davvero male, sto per ammazzarmi, e questo pensiero mi spaventa terribilmente.

È proprio vero che per capire il valore delle cose devi correre il rischio di perderle.  L'auto si ferma, ma in testa riecheggia il rumore della frenata sull'asfalto bagnato. Sono paralizzato, guardo intorno disorientato la campagna. Alzo le mani al volto, come se non appartenesse a me. La fronte è imperlata di sudore, eppure io sono gelido come un vampiro. Tremo e penso che da qui non riuscirò più a muovermi. Un fulmine in cielo quasi mi acceca pochi secondi dopo il tuono squarcia l'aria. Il cuore batte senza tregua, mi sento soffocare e scendo dall'auto. Senza pensarci rimango sotto la pioggia a fissare l'asfalto che si intravede. Sono zuppo d'acqua sotto quel torrente che cade dal cielo. Senza pensarci mi inginocchio e bacio la strada, ringraziando chi dall'alto mi ha protetto.

Tre giri in testacoda e sia io che la macchina senza un graffio.

È un segnale, qualcuno lassù mi ama se non ho sfiorato né gli alberi che costeggiano la strada, né il guardrail sul lato destro. Passo la mano nei capelli, faccio fatica a riprendermi, ma la scarica d'adrenalina ormai si sta affievolendo. Rientro in auto, accendo l'ennesima sigaretta, ho bisogno di Vasco. Con la mano tremolante, metto in moto l'auto, faccio inversione e mi avvio verso il centro.

--->> FINE PRIMA PARTE di questo Capitolo.


--->>> SPAZIO AUTORE <<<---

CONOSCIAMO I PROTAGONISTI !

In questo capitolo appare per la PRIMA VOLTA una nuova ragazza MATILDE. Non starò a scrivervi che ruolo avrà nella vita dei nostri protagonisti, ma di sicuro posso dirvi a chi ho pensato mentre scrivevo di lei. Forse nella descrizione che ho creato non si assomigliano molto però di sicuro nello spirito e nel mio immaginario c'è sempre stata lei...solo lei...e non importa che nemmeno l'età di Matilde coincide con quello di quest'attrice meravigliosa.

Perché Matilde per me sarà sempre e per sempre: ALESSANDRA MASTRONARDI

Bellissima e sexy, tanto brava, tanto ironica e soprattutto tremendamente dolce e romantica proprio come piace a me...

Si, Matilde è prorpio Alessandra.

ps. Ma si è capito che sono innamorato della Mastronardi? :) ;) 


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