CAPITOLO 55

Capitolo 55

Maddy

I suoi occhi, il suo sguardo, mi penetrarono come fecero la prima volta che li vidi. Ci misi qualche minuto per capire che Caleb era finalmente sveglio, che stava guardando proprio me. Aveva stretto la mia mano, avevo aspettato quel momento per giorni e dopo tanto le mie preghiere erano state esaudite. In quel momento ero combattuta nel rimanere lì o alzarmi di corsa per chiamare qualcuno. Senza pensarci oltre mi alzai di scatto dalla sedia sotto lo sguardo confuso di Caleb e mi fiondai alla porta, la spalancai e urlai alle infermiere. 

«Venite, presto, si è svegliato» dissi con aria affannata. Le colleghe di mia madre si guardarono e poi corsero verso di me. 

«Tess va a chiamare il dottore» disse Giusy con tono categorico. Non sapevo come facessero a mantenere la calma in momenti del genere, io stavo per sentirmi male ma l'adrenalina era troppo alta dentro di me dunque riuscii a reggermi in piedi. 

«Maddy, Maddy» sentii la voce di Giusy chiamarmi e tornai alla realtà. Come al solito mi ero persa nel mio mondo. 

 «Stai bene?» mi chiese con aria preoccupata, Immaginai che la mia faccia non fosse delle migliori, troppe emozioni tutte insieme non erano facili da gestire. 

 «Si, sto bene, vai da lui» dissi dando la precedenza a Caleb, infondo era lui che aveva bisogno di cure, non io. 

 «Vai in sala d'attesa, ti tengo aggiornata» mi disse di fretta prima di chiudersi la porta alle spalle. Cercai di replicare ma non mi fu possibile. Ricordai che non potevo stare lì dove mi trovavo dunque diedi ascolto alle sue parole prima che il dottore di turno mi vedesse.


Con aria confusa mi diressi in sala d'attesa, la mia mente era annebbiata tanto che non mi accorsi che Richard, il padre di Caleb, stava ancora lì seduto dove l'avevo lasciato poco prima. Dopo aver realizzato che non ero da sola, mi sedetti nella sedia accanto alla sua, lui si voltò nella mia direzione e mi guardò preoccupato. Nessuno disse nulla. Richard si alzò in piedi in attesa che dicessi qualcosa, non so per quale motivo mi sentissi strana, fatto sta che non riuscii a dire nulla. I suoi occhi aperti, il suo sguardo confuso, la sua mano che finalmente aveva stretto la mia dopo tanto, quei fotogrammi mi stavano ancora passando per la testa. Caleb era sveglio, perché stavo reagendo in quel modo? Finalmente Richard si decise a parlare. Me lo ritrovai a pochi centimetri dalla faccia, si era piegato sulle ginocchia per vedere che cosa mi stesse prendendo. «Maddy che è successo?» la sua voce era lieve. Non l'avevo mai sentito parlare con quel tono quasi dolce. Trovai la forza di guardarlo negli occhi, non servì che dicessi nulla perché lui si tirò su di scatto e se ne andò dal corridoio. Mi sentii una stupida, perché non reagivo? Che mi stava succedendo? Sembrava che il mio corpo avesse smesso di funzionare, ero sotto shock. Cercai di fare dei respiri profondi per non cadere a terra o meglio per non collassare sulla sedia su cui stavo seduta, poi mi vennero in mente le parole che Mark mi aveva detto più volte al telefono, doveva sapere quello che stava succedendo. A fatica presi il cellulare e lo chiamai sperando che mi rispondesse, dopo vari squilli sentii la sua voce. 

 «Maddy che succede?» chiese prima che dicessi qualcosa, la sua voce mi sembrò assonnata, probabilmente lo avevo svegliato, ma in quel momento non mi importava. «Vieni in ospedale, subito e avvisa anche gli altri» dissi semplicemente cercando di non sembrare agitata come in realtà ero. Non doveva preoccuparsi, non volevo che pensasse che fosse successo qualcosa di grave, infatti prima che Mark si allarmasse aggiunsi il dettaglio più importante della questione. «Caleb si è svegliato» dissi. Dirlo ad alta voce mi fece strano, talmente strano che magicamente mi spuntò un sorriso sulle labbra. Mi accorsi solo dopo che Mark non parlò, guardai il display per vedere se era ancora in linea e mi accorsi che aveva chiuso la chiamata. Speravo che i miei amici mi raggiungessero in poco tempo. Guadai il display indecisa sul da farsi, non volevo starmene lì in sala d'attesa con le mani in mano, volevo sapere che cosa stava succedendo, volevo sapere se Caleb stava bene. Mi alzai in piedi, la sensazione di cedimento era svanita del tutto come se non ci fosse mai stata, allora mi diressi verso la stanza di Caleb sperando che il dottore chiudesse un occhio sul fatto che ero in ospedale fuori l'orario di visita. 


Richard stava aspettando fuori dalla porta e quando mi vide sorrise, mi avvicinai di più a lui. Mi sentivo in colpa per il comportamento che avevo avuto pochi minuti prima, forse avevo sbagliato a non dirgli che Caleb era sveglio, chissà che cosa aveva intuito dalla mia faccia scioccata. 

 «Mi dispiace per prima» furono le uniche parole che riuscii a farmi uscire dalla bocca. Il padre di Caleb mi guardò per un po' poi il suo viso si rilassò. 

 «Mi hai fatto prendere un bello spavento ragazzina» mi disse semplicemente poi tornò a guardare la porta bianca della stanza. Le sue parole mi fecero sorridere e non riuscii a trattenere una lieve risata, era la seconda persona che mi aveva chiamato "ragazzina" dopo suo figlio. Richard davanti alla mia reazione si voltò leggermente a guardarmi, lessi confusione nei suoi occhi. Ovviamente non aveva capito il perché del mio divertimento, non dissi nulla sentendomi stupida per la reazione che avevo avuto. 

«Che cosa c'è di tanto divertente?» mi chiese allora il padre di Caleb. Sembrò interessato a sapere il perché del mio comportamento. Cercai di rimanere seria ma il sorriso che avevo ritrovato non sarebbe stato semplice da levare. 

 «Mi scusi, non ridevo per lei ma perché mi ha chiamata ragazzina» dissi. 

«Si, hai ragione non dovrei permettermi di darti soprannomi, ma mi è venuto naturale» mi disse quasi in tono di scuse. Non mi dispiaceva affatto ma doveva sapere che l'unico che poteva chiamarmi così era suo figlio. 

 «No, non ti devi preoccupare, solo che solitamente chi mi chiama così è Caleb» ammisi. Alle mie parole Richard guardò davanti a sé con fare pensieroso. Non so perché ma il suo sguardo in quel momento mi sembrò malinconico. Non mi sembrava di aver detto nulla di sbagliato perciò mi stranii ancora di più. 

 «Infondo non siamo poi così diversi» disse semplicemente dopo un po'. Alle sue parole sorrisi, ero certa che quell'uomo volesse bene a suo figlio più di quanto lui non ammettesse a se stesso. Mi venne spontaneo poggiargli una mano sul braccio coperto dalla camicia per rassicurarlo in un qualche modo. 

 «Le assicuro che non siete poi tanto diversi, anzi a mio parere tutto il contrario. Per quanto valga la mia parola sono certa che riuscirete a sistemare le vostre divergenze del passato» mi stupii delle mie parole e per la semplicità con cui riuscii a formulare un pensiero che alle mie orecchie suonò profondo. Richard per tutta risposta guardò fisso davanti a se e non aggiunse altro, non mi serviva che dicesse "grazie" capii dal suo sguardo che aveva apprezzato le mie parole. Dopo poco però si voltò verso di me nuovamente. 

 «Sai, voglio che tu conosca Emily, la madre di Caleb, sono certo che andreste molto d'accordo» mi disse in tono tranquillo. Alle sue parole un brivido mi percorse la schiena. La madre di Caleb, chissà se le sarei stata simpatica... Avrei voluto fare bella impressione su di lei come avevo fatto su Richard. 

 «Sarà un piacere conoscerla».

Caleb

"Che diavolo mi era successo?" Quella era la domanda che mi stava frullando nella testa da vari minuti. Dopo che Maddy si era fiondata fuori dalla mia stanza per avvisare le infermiere di turno che ero sveglio non l'avevo più vista. In pochi minuti mi ritrovai circondato da due infermiere e un dottore che non avevo mai visto prima di quel momento. La prima cosa che fece quest'ultimo fu puntarmi una luce accecante negli occhi. Volevo dire loro che tutto sommato mi sentivo bene nonostante i dolori tremendi che provenivano dalla testa e dalla gamba ingessata, invece dovetti stare zitto e fermo fino a che non si decisero di levarmi quel maledettissimo tubo che mi stava grattando la gola. Potevo respirare anche senza, non capii il motivo per il quale me lo avessero messo. Dopo quella che mi sembrò un'eternità le acque si calmarono e in stanza con me rimase solo il dottore. 

 «Caleb come ti senti?» mi chiese sedendosi sul bordo del letto. Aspettai qualche secondo prima di rispondere, avevo paura di parlare dato che era da un po' che non lo facevo, non sapevo nemmeno quanti giorni avessi passato in quella situazione, sperai pochi. Cercai di mettermi seduto ma appena feci il minimo movimento il dolore alla testa aumentò e mi impedì di muovermi oltre. Sbuffai, poi puntai gli occhi sul dottore, avevo un sacco di domande da porgli e speravo che lui avesse tutte le informazioni necessarie per rispondermi. 

 «Io, credo di stare bene» dissi con tono lieve. A stento riconobbi la mia voce, la gola mi dava fastidio, provai a deglutire ma la situazione non migliorò. Avevo bisogno di bere, mi sentivo la bocca secca come se fossi stato dei giorni nel deserto senza avere nulla con cui dissetarmi. «Devo farti alcune domande di prassi, dobbiamo assicurarci che l'incidente non ti abbia causato perdite di memoria» mi disse poi. A guardarlo bene non sembrava molto vecchio ma nemmeno troppo giovane, ricordai che una volta sentii la voce di un medico, ma non era la stessa dell'uomo che mi stava davanti. In tutta risposta alzai gli occhi al cielo, mi sembrava di stare in un film dove ci sono quelle classiche scene in ospedale, il problema è che in quel momento non stavo recitando e non avevo un copione da seguire, quella era la mia realtà, per descriverlo meglio considerai tutto quello che mi stava succedendo un "inferno personale". Cercai di leggere nel cartellino appeso al camice il suo nome, dovetti concentrarmi molto, la vista a tratti si annebbiava, forse era un effetto collaterale della botta che avevo preso in testa. Se i miei occhi avevano visto giusto c'era scritto: Dottor. Mason. Almeno potevo chiamarlo per nome. 

 «Mi puoi dire come ti chiami?» mi chiese Mason facendo scattare la sua penna. Teneva in mano una specie di cartellina con delle domande, mi sembrò di stare dallo psicologo. 

 «Mi chiamo Caleb, Caleb Graham, se vuole le dico anche come si scrive con lo spelling» dissi quasi ridendogli in faccia. Ma che razza di domanda era "qual è il tuo nome?" pff. Il Dottor Mason sembrò divertito dalla mia risposta e appuntò qualcosa sul foglio che stava sulla cartellina. 

 «Non è necessario, passiamo alla prossima domanda» disse poi cercando di rimanere serio. La cosa positiva di quella situazione era il fatto che il senso dell'umorismo non mi aveva abbandonato. 

«Continui pure, non volevo intralciare il suo lavoro Dottor Mason» dissi in tono tranquillo. "Prima finiamo e meglio è" pensai, l'unica cosa di cui mi interessava in quel momento era Maddy. 

 «Quando sei nato?» mi chiese poi. Le sue domande erano così ovvie che solo uno stupido non avrebbe saputo rispondere. "Molta gente in coma rischia di perdere tutti i suoi ricordi" mi ricordò la mia testa prima che potessi fare qualche altra battuta fuori luogo. 

 «Sono nato il 25 maggio del 1998, mia madre si chiama Emily e mio padre Richard. Sono un attore di fama internazionale, tutti mi conoscono, il mio ultimo film si chiama "Crazy Love", la mia ex o meglio finta ragazza è Megan Whane mentre quella attuale si chiama Madison Collyn. Ha i capelli scuri quasi neri e gli occhi dello stesso colore è la ragazza più bella che io abbia mai conosciuto. Il mio migliore amico è Mark Ford mentre la mia guardia del corpo...» il mio monologo fu interrotto prima che riuscissi a fare il nome di Red. 

 «Caleb, vedo che la tua memoria è lucidissima, grazie per avermi risparmiato le altre venti domande» mi disse divertito Mason chiudendo la cartellina e rimettendo la sua penna nella tasca del camice bianco. 

«Avrei continuato molto volentieri, mi è mancato parlare, o meglio parlare ed essere sentito da qualcuno» dissi più a me stesso che a lui. Il dottore a quel punto mi guardò confuso. 

 «Che cosa intendi?» mi chiese semplicemente. Sembrò curioso di capire che cosa avevo passato in quei giorni in cui ero stato completamente incosciente o meglio quando per loro lo ero, ma in realtà non era proprio così. 

 «Mi permetto di darti del tu Mason. Vedi, quando ero in coma o comunque in quella specie di buio eterno io potevo sentire ogni cosa, anche quando l'ambulanza mi ha soccorso ho risposto alle loro domande o così credevo, ma con il passare del tempo ho maturato l'idea che nessuno poteva sentirmi. Non mi sembrava di essere incosciente perché io tra me e me parlavo... cavolo ora mi crederà pazzo» dissi rendendomi conto che ciò che stavo dicendo agli occhi di qualcuno che non fosse me poteva sembrare una follia, ma la verità era quella e non ero riuscito a tenerla per me. 

«Tutto il contrario Caleb, è rassicurante sapere che nonostante la gravità della situazione tu potessi sentire tutto ciò che stava succedendo, ma ti posso assicurare che su questo letto ti abbiamo messo dopo l'intervento e su questo letto sei rimasto per giorni. I tuoi parametri erano buoni, ti abbiamo tenuto in coma farmacologico volontariamente per limitare i danni e credo che abbiamo fatto un buon lavoro con te» mi disse sincero lui guardandomi negli occhi. Dunque potevo tornarmene a casa? Stavo bene, mi sentivo bene, volevo solo qualcosa per il mal di testa e nient'altro. 

 «Quando posso tornare a casa?» chiesi con aria allegra. Lo sguardo di Mason si incupì e io non capii il motivo, aspettai che dicesse qualcosa, forse non mi aveva detto tutto. 

 «Caleb, l'incidente ti ha provocato un trauma cranico, sei stato operato d'urgenza da un mio collega che è riuscito a ridurre il danno sulla testa, ma la situazione non è ancora del tutto risolta» mi disse. Tutta la mia attenzione volò su una parola in particolare "trauma cranico" e solo allora capii il perché di tutto quel dolore alla testa. 

 «Vada avanti». Dovevo sapere tutto ciò che mi sarebbe aspettato dopo. 

 «Non ti devi preoccupare, già il fatto che tu sia sveglio e che non abbia subito danni alla memoria è un fatto rassicurante, ora un passo per volta. Per prima cosa tra un po' ti faremo tutti gli esami e le radiografie che servono per fare un check up completo, poi, in base ai risultati capiremo come procedere. Devi avere pazienza» mi disse con tono rassicurante. La sua espressione cupa era sparita lasciando spazio ad una più leggera e tranquilla. Avevo letto tra le righe che servivano gli esami prima di potermi dare la risposta definitiva su com'era la mia situazione dopo aver subito quel pericoloso incidente. Mi resi conto di aver sfidato la morte, a quella consapevolezza un brivido mi percorse tutta la spina dorsale.


Dopo aver parlato con il Dottor Mason per altri svariati minuti finalmente mi lasciò solo. Appena uscì dalla mia stanza però sentii due voci familiari. 

 «Possiamo vederlo?» chiese mio padre. Fuori era ancora buio, non c'era nemmeno un orologio nella stanza dunque non riuscii a capire che ora fosse. 

 «Voi non dovreste essere qui, ma per sta volta chiuderò un occhio. Caleb non si deve affaticare, vi do cinque minuti» rispose il Mason con tono categorico. Il dottore parlò al plurale, voleva dire che forse c'era anche Maddy lì fuori. Un sorriso mi si formò sulle labbra, non mi sembrava vero di essere tornato alla realtà, anche se un po' acciaccato ero di nuovo io, avevo di nuovo possesso del mio corpo. 

 «La ringrazio dottore» disse ancora mio padre. Dopo pochi secondi il rumore familiare della porta che si stava aprendo catturò la mia attenzione. Feci finta di dormire, ero in vena di scherzare. 

 «Sta dormendo» eccola la voce di Maddy. Cercai di trattenere una risata. 

 «Caleb se stai scherzando falla finita» disse subito mio padre avvicinandosi al letto. Ovviamente, anche se negli ultimi anni ci eravamo frequentati poco sapeva com'ero fatto e si ricordava molto bene che amavo prendermi gioco della gente facendo scherzi stupidi. Mi arresi prima di portare al termine la mia farsa. 

 «Sei sempre il solito guastafeste» dissi io riaprendo gli occhi. Guadai mio padre e gli sorrisi, non so nemmeno perché lo feci, mi venne spontaneo, poi puntai gli occhi sulla mia meravigliosa ragazza. La guardai come se non la vedessi da anni, la guardai come se fosse il mio unico punto di riferimento, la guardai tanto intensamente che lei ad un certo punto distolse lo sguardo. Avevamo avuto uno dei nostri momenti, non ci servivano tante parole per capirci, riuscivamo a comunicare anche stando in silenzio e quella era la cosa più bella di tutte. 

 «Come ti senti?» mi chiese mio padre guardando il gesso che mi fasciava la gamba. 

 «Sto bene... ho soltanto un gran mal di testa» dissi sincero. Dovevo fare degli esami dunque i medici non potevano darmi ulteriori farmaci, avevo già la flebo con degli antidolorifici ma stava funzionando poco, quasi per niente. 

 «Che sono quelle facce?» chiesi confuso guardando prima mio padre e poi Maddy che abbassò lo sguardo a terra. Non capii i loro comportamenti, invece di essere felici sembravano come dire atterriti, quasi tristi oserei dire. 

 «Ci hai fatto prendere un bello spavento» mi disse Maddy dopo qualche secondo di silenzio. Cercai di capire la situazione e di mettermi nei loro panni, quei giorni per loro non dovevano essere stati facili, ma non lo erano stati nemmeno per me. Non era mia intenzione fare un incidente quella sera, non era mia intenzione perdere quasi la vita. 

«Mi dispiace...» furono le uniche parole che riuscii a rivolgere alla mia ragazza e a mio padre. Non seppi che altro dire in quella situazione. 

 «Maddy, ti dispiace lasciarmi da solo con lui?» chiese poi mio padre guardandola. La ragazzina non se lo fece ripetere due volte e acconsentì alla sua richiesta avviandosi verso la porta. La guardai uscire e sperai che prima o poi potessimo avere un momento tutto nostro, volevo dirle tante cose, talmente tante che non sapevo nemmeno da dove iniziare, ma per fare ciò dovetti aspettare. 


Una volta rimasti soli io e mio padre rimanemmo in silenzio, succedeva sempre così, nessuno dei due era in grado di iniziare un discorso, forse era la prima volta nella mia vita in cui mi trovavo ad affrontare una situazione seria, con lui presente. Una domanda mi sorse spontanea, perché mia madre non c'era? Scacciai immediatamente quel pensiero dalla testa, sapevo che lei era troppo debole per affrontare quel tipo di situazioni. Mio padre si decise a parlare. "Grazie a Dio" pensai tra me e me. 

 «Posso?» mi chiese indicando la poltrona che stava vicino al mio letto. Acconsentii con un cenno del capo, non volevo parlare. Per una volta avevo il desiderio che fosse lui ad esprimere ciò che pensava e possibilmente senza darmi contro, già il fatto che fosse presente lo rese meno imperdonabile ai miei occhi. Non ero mai riuscito a capire come fossimo arrivati ad avere un rapporto così freddo, forse per colpa sua o forse per colpa mia, oppure a causa di entrambi, ad ogni modo ero determinato a scoprirlo, ero disposto a ricucire i rapporti con i miei genitori ma ero consapevole del fatto che non sarebbe stato così semplice. 

 «Il dottore ci ha dato pochi minuti, ha detto che devi riposare» disse dopo essersi seduto di fianco a me. Notai che aveva un'aria stanca, assonnata, sembrava che non dormisse da ore. «Devono farmi delle analisi e altri esami per capire qual è la condizione attuale» spiegai in tono tranquillo. La verità però era che dentro di me si stava facendo strada la paura che qualcosa potesse andare storto. 

 «Capisco» disse lui semplicemente. Come al solito non era stato in grado di guardarmi negli occhi. Decisi di parlare, decisi di fare un passo in avanti nei suoi confronti. 

 «Grazie di essere qui» le parole mi uscirono a fatica. Era la prima volta che rivolgevo un pensiero sincero nei suoi confronti. A quelle parole mio padre, l'uomo dal "volto di pietra", alzò lo sguardo nella mia direzione e per la prima volta dopo tanto tempo mi sorrise. Feci lo stesso, non so per quale strano motivo ma tutti quegli anni passati senza delle figure genitoriali al mio fianco non erano stati dei migliori, soprattutto l'ultimo periodo in cui Jaxon mi aveva messo nei casini come mai aveva fatto in passato. «Mi sembra il minimo Cal» mi disse mio padre. Poi continuò con il suo discorso. 

«Ascolta Cal, mentre tu eri incosciente sono successe delle cose, o meglio ho scoperto delle cose, anche grazie a Maddy» iniziò a dire. Lo bloccai prima che proseguisse oltre, non volevo rovinarmi la giornata, la situazione era già complicata così, parlare di Jaxon non sarebbe servito a nulla. 

 «Dimmi solo una cosa... Jaxon è fuori dai giochi?» chiesi. Fui felice di fare quella domanda perché conoscevo già la risposta. 

«Per sempre» rispose subito mio padre. Mi bastarono le sue parole per stare tranquillo, il problema maggiore era stato risolto, sperai che quel bastardo non si facesse più vedere. Non dissi altro, ma subito dopo mio padre aggiunse altre parole. 

«Se solo mi avessi ascoltato anni fa probabilmente non saresti in questo letto» disse guardando fuori dalla finestra. "Era tutto troppo bello per essere vero" pensai. Lessi tra le righe che era tutta colpa mia, che come al solito avevo combinato un casino. Qualcuno bussò alla porta. Maddy si affacciò senza entrare e mi sorrise. Il mio umore tornò sereno. 

 «Richard, ci sono i medici che devono fare a Caleb dei controlli» disse rivolgendosi a mio padre che stava ancora a scrutare il buio. Lui alle quelle parole si diresse verso la porta senza dire altro, lo guardai e pensai che forse era rimasto l'uomo di sempre, sperai che la mia conclusione non fosse vera e che mio padre fosse disposto a trovare un compromesso per andare d'accordo. Guardai Maddy prima che i medici entrassero in stanza e le sussurrai un "ti amo". Non feci in tempo a vedere la sua reazione perché i dottori entrarono e si chiusero la porta alle loro spalle.

Maddy

A causa di tutto il trambusto creato per il suo risveglio, non ero nemmeno riuscita a dire qualche parola a Caleb, le infermiere e i dottori avevano iniziato a fargli degli esami per controllare il suo stato di salute e non facevano entrare in stanza nessuno. Poco prima Richard mi aveva chiesto di lasciarlo da solo con il figlio e io non avevo fatto obbiezioni alla sua richiesta, ma ero curiosa di sapere che cosa si fossero detti perché la faccia di Richard una volta uscito non mi piacque per niente, era lo stesso volto freddo che avevo visto la prima volta che l'avevo conosciuto. Forse avevano litigato o semplicemente stava così per la preoccupazione, non seppi che cosa pensare e non feci nemmeno domande a riguardo.


Passarono delle ore prima che Mark e gli altri arrivassero in ospedale e dovettero attendere l'orario di visita per accedere al reparto. Poi finalmente quando il sole era già alto nel cielo e filtrava dalle finestre li vidi oltrepassare la porta a vetri per raggiungermi in corridoio. Seguita da loro c'era anche quella che riconobbi come la madre di Caleb, non poteva essere altrimenti. Emily è una donna veramente molto bella, quel giorno portava i tacchi e i capelli acconciati in uno chignon stretto, aveva un aspetto quasi regale a dir poco impeccabile, io a confronto mi sentii una poveraccia. Alyssa e Jade non appena mi videro mi corsero incontro e mi abbracciarono fino a togliermi l respiro. 

 «Ok ragazze, ora basta non respiro» mi lamentai cercando di prendere aria, ma loro non mi lasciarono andare. 

 «Giuro che la prossima volta che sparisci per così tanto tempo chiamo la polizia» mi disse Jade ridendo. 

 «Ti sembra possibile che hai avvisato prima Mark e non noi! Come mai non abbiamo più l'esclusiva?» mi chiese Alyssa in tono divertito. Finalmente mi lasciarono andare e io potei respirare di nuovo, anche se non era passato molto tempo mi erano mancate. 

 «Perdonatemi, Mark è il primo che doveva sapere, infondo è il suo migliore amico» dissi in tono di scuse cercando di dare perso alla mia motivazione. Non fecero in tempo a rispondere che Mark si fiondò su di me per avere informazioni e dietro di lui Red. Cercai di individuare con lo sguardo Richard, lo trovai. Se ne stava in disparte a parlare con la moglie, a guardarli erano veramente una bella coppia. 

 «Dicci tutto, com'è successo? Possiamo vederlo? I medici che dicono?» Mark mi fece una raffica di domande, sorrisi nel vederlo così entusiasta del fatto che il suo migliore amico fosse finalmente sveglio. 

 «Maddy, vuoi dirci qualcosa o stiamo qui a guardarci?» chiese Red quasi con tono irritato. Gli rivolsi un'occhiataccia poi non riuscendo a trattenere la mia espressione seria gli risi praticamente in faccia e dietro di me anche le mie amiche. Era un momento di leggerezza, finalmente dopo la tempesta da cui eravamo stati travolti era arrivato il sole e io non potevo essere più felice di così. 

 «Maddy non sto scherzando, cosa c'è da ridere? Puoi dirmi come sta Caleb?» chiese nuovamente Mark rimanendo serio. Solitamente era lui quello che rendeva leggere le situazioni grazie alle battute, sta volta invece la palla era passata a me. Cercai di ricompormi e di spiegare loro cosa fosse successo. 

 «Hai ragione scusami, è che non ci posso credere nemmeno io. Ero nella stanza con lui dopo essere entrata nuovamente di nascosto, gli stavo parlando e niente come se nulla fosse ho sentito la sua mano che stringeva la mia, poi ha aperto gli occhi, è successo così in fretta che non ci ho capito nulla nemmeno io» dissi quasi sollevata nel raccontare tutto ciò che era accaduto. Alle mie parole il volto di Mark si rilassò, poi guardai Red che stava sorridendo. 

 «I medici che dicono?» chiese poi Red. A quella domanda non seppi rispondere con molte parole. 

 «Non lo so, prima di sbilanciarsi devono fargli degli esami, quando avranno i risultati potranno dire come si procederà» dissi in tono tranquillo. Red annuì con la testa. Era calato di nuovo il silenzio tra di noi. 


Aspettammo, seduti sulle sedie della sala d'attesa, che qualcuno venisse a darci altre notizie, l'unico che girò l'angolo però fu il padre di Caleb. 

 «Ragazzi è bello che voi siate qui» ci disse. Gli rivolsi un sorriso e lo stesso fecero i miei amici. «Maddy, voglio farti conoscere una persona» mi disse poi spostando la sua attenzione su di me. Immaginai che la persona di cui parlava era la madre di Caleb, così senza dire nulla mi alzai dalla sedia e lo seguii nel corridoio del reparto. La madre di Caleb stava vicino alla postazione delle infermiere dove si trovava la macchinetta del caffè, stetti dietro Richard e pensai a che cosa dire e a come presentarmi. Non ero preparata a situazioni del genere, mi sentii imbarazzata. Arrivati vicino alla donna bellissima mi misi di fianco a Richard per farmi vedere. 

 «Emily questa è Madison» disse lui quasi con fare fiero, sorrisi per il suo comportamento. Porsi la mano alla madre di Caleb. 

 «Piacere signora Graham, può chiamarmi semplicemente Maddy» dissi non sapendo che altro inventarmi. La donna mi guardò da capo a piedi e arrivata a guardarmi negli occhi il suo sguardo si addolcì e le sue labbra si piegarono in uno splendido sorriso. In meno di un secondo mi ritrovai avvolta dalla sue braccia snelle, percepii il suo profumo dolce, dopo qualche secondo di imbarazzo ricambiai l'abbraccio ed espirai. Stava andando meglio di come mi ero immaginata. Una volta staccate Emily parlò. 

 «Chiamami pure Emily, mi fa sentire più giovane» mi disse. Quella frase mi ricordò molto mia madre, anche lei diceva sempre così. 

 «Va bene Emily» dissi con un sorriso. 

 «Richard mi ha parlato molto di te» mi disse ancora. Puntai lo sguardo verso il padre di Caleb che mi fece l'occhiolino. 

 «Spero solo cose belle» dissi con tono scherzoso. 

 «Ovviamente si» disse subito Richard. La nostra conversazione fu interrotta dall'arrivo di un dottore. 

 «Signori Graham» disse per richiamare l'attenzione dei genitori del diretto interessato. Non so perché lo feci ma incrociai le dita dietro la schiena sperando che portasse solo notizie positive.


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