CAPITOLO 14

Capitolo 14

Maddy

Ero pronta per il servizio, mi avevano sistemato i capelli in dei boccoli morbidi eil trucco fortunatamente era leggero ma nonostante ciò sembravo un'altra. Solitamente mi truccavo poco o niente, anche se ero molto brava con il make-up, mipiaceva farmi vedere al naturale. Indossavo un paio di pantaloni di pelle moltoaderenti. Ad essere sincera non ero magrissima come le classiche modelle, maavevo tutte le curve al posto giusto. Un top di pizzo nero metteva in risalto il mioseno, per concludere il look avevo sperato in delle scarpe basse, ma niente dafare, avevo dovuto indossare di controvoglia un paio di decoltè nere. Look totalblack insomma e per concludere il tutto indossai un chiodo di pelle nero, sembravo una biker. Sicuramente Caleb era vestito anche lui secondo quello stile, nonpoteva essere il contrario. Dopo essere rimasta da sola per pochi minuti, Carolami venne a chiamare per dirmi di andare al set fotografico. Le chiesi due minutie poi mi avviai verso la stanza che mi aveva indicato.


Quando entrai trovai ad aspettarmi Jaxon, il Signor Devis e il fotografo Henry,che mi aveva già scattato altre foto per diversi servizi che avevo fatto. Ma il miosguardo andò dritto verso Caleb. Lo notai subito, anche lui con un look totalbalck. Indossava una maglia nera aderente, un chiodo in pelle simile al mio edei pantaloni neri strappati sulle ginocchia, e ai piedi portava un paio di anfibi.Pensai che quello stile fosse il suo stile, non era vestito in maniera molto diversaquando era venuto a prendermi all'università. Oltre ad aver notato il suo aspettomi soffermai sul suo volto, sembrava teso, stringeva le mani a pugno lungo ifianchi. Quando mi vide sembrò sorpreso, mi squadrò da capo a piedi, come eraormai solito fare e mi fece l'occhiolino. In quel momento faticai a stare sui tacchiper l'agitazione, ma ricambiai il suo sguardo di approvazione. Il nostro gioco disguardi venne interrotto poco dopo da Jaxon. 

«Ragazzi allora siete pronti?» ci chiese con il suo solito tono autoritario. Caleballa sua domanda, tornò ad essere rigido. Non capii che cosa gli stesse prendendo, aveva cambiato completamente umore da quando ci eravamo salutati perprepararci, non che lo conoscessi ma, era palese che fosse irritato da qualcosa, ma non sapevo da che cosa. 

«Si, io sono pronta» dissi rivolgendo un sorriso a Jaxon. L'aria era pesante all'interno della stanza e io non sapevo come stemperare la tensione. Jaxon, nonostante il mio tentativo di essere carina, non mi guardò nemmeno, era concentrato suCaleb che sembrava non stesse ascoltando. 

«Cal ci sei?» gli chiese. A quel punto Caleb alzò lo sguardo verso di lui e inmodo freddo gli rispose. 

«Ci sono si» furono le sue uniche parole. Il Signor Devis non intervenne nellaloro conversazione, parlò solo per rivolgendosi a me. 

«Maddy fai del tuo meglio mi raccomando» mi disse in tono gentile. A primoimpatto poteva sembrare un uomo burbero ma di bel aspetto, invece in realtà èuna persona veramente squisita. 

«Lo farò!» gli dissi con il mio miglior sorriso. Henry nel mentre sistemò le luci,sapevo bene che era un perfezionista, le foto che mi scattava di solito erano veramente bellissime, speravo che facesse un buon lavoro anche in quell'occasione,anzi meglio del solito. 

«Bene ragazzi è tutto pronto possiamo cominciare» disse dopo svariati minutirivolgendosi a me e a Caleb. La Super Star continuò a camminare su e giù con lemani in tasca e lo sguardo fisso al pavimento. Mi fece strano vederlo così, quasiquasi lo preferivo quando mi chiamava ragazzina.«Se potete lasciarci soli, grazie» concluse Henry rivolto al Signor Devis e aJaxon. 

«Certo Henry, Jexon vieni andiamo a prenderci un caffè» disse il Signor Devise si avviò verso la porta, Jaxon invece si trattenne ancora per pochi secondi. 

«Caleb mi raccomando» disse in tono severo. Capii che Caleb era perennementesotto pressione forse era per quello che stava così. Fulminò Jaxon con lo sguardoe poi tornò a guardare terra.Una volta rimasti soli, Henry armeggiò con i vari obbiettivi della macchina fotografica per qualche minuto e così colsi l'occasione per avvicinarmi a Caleb,volevo in qualche modo farlo stare tranquillo. 

«Caleb tutto bene?» gli chiesi a bassa voce cercando di capire che cosa gli stavapassando per la testa, ma decifrarlo non era per niente semplice, lui non risposesubito, si limitò a guardarmi. Dopo qualche secondo il suo sguardo si ammorbidìun po' e le sue spalle tese si rilassarono. 

«Si ragazzina, sto bene» mi disse in tono calmo. Volevo controbattere e dirgli dichiamarmi Maddy, ma non mi sembrò il momento adatto, dunque lasciai correree gli rivolsi un sorriso che con mia sorpresa ricambiò. Mi aveva detto che ero piùbella quando ridevo, forse dovevo dargli retta e sorridere più spesso, come facevoun tempo. Non ci scambiammo più parole ma solo sguardi di intesa fino a che Henry fu pronto ad iniziare. 

«Ragazzi non perdiamo tempo, mettetevi in posa» ci disse con il suo solitofare frettoloso. Io e Caleb ci mettemmo i posizione, io avevo già esperienza coni servizi fotografici, mentre lui sembrava in seria difficoltà. Cercai di mettermiin pose semplici per farmi seguire da lui e rendergli il tutto più facile e magaripiacevole. 

«Brava Madison bene così, Caleb avvicinati di più a lei» ci disse il fotografo.Caleb si avvicinò e mi cinse il fianco con un braccio, il tocco del suo palmo sullamia pelle mi fece rabbrividire. Quando mi stava vicino provavo una sensazionestrana, il cuore iniziava a battere più forte nel petto, nella schiena mi percorrevano dei brividi che mai avevo sentito prima e la mia testa andava letteralmente incorto circuito, non avevo mai provato niente del genere data. Feci finta di nullaper quanto mi fu possibile, ad essere sincera il fatto che provassi determinatecose mi faceva paura. 

«Cambiate posizione, mettetevi uno di fronte all'altro. Caleb stringile i fianchi»ci disse Henry. Caleb tolse improvvisamente la sua mano dal mio fianco, manonostante ciò io sentii ancora il suo calore sulla pelle. Ascoltammo le direttivedi Henry, ci mettemmo uno di fronte all'altro. Caleb mi guardò mentre io cercaidi non guardarlo troppo negli occhi. Le gambe mi tremarono a causa dei tacchi,o almeno così mi fece comodo pensare. 

«Che assurdità» disse poi in un sussurro, poggiandomi le mani suoi fianchi.Percepii che non era per niente a suo agio, sembrava come dire... indifeso, nonl'avevo mai visto così. 

«Devi venire più vicino» gli dissi io avvicinandomi a lui. Ero abbastanza vicinoper sentire il suo respiro sulla mia pelle, all'improvviso sentii caldo. 

«Ragazzi meno chiacchiere» urlò Henry spazientito dal nostro comportamento.Era bravo come fotografo ma aveva poca pazienza, non capì che Caleb era in difficoltà. Assorta completamente nei miei pensieri, non mi resi conto che Caleb siallontanò da me e che si avvicinò Henry che di rimando arretrò quasi impaurito. 

«Decido io se parlare o meno, hai capito testa di cazzo?!» gli chiese puntandogliun dito contro. In confronto a Henry, Caleb era una montagna di muscoli, ma ilfotografo non sembrava impaurito, anzi ai miei occhi sembrò divertito. Avevopaura che la situazione degenerasse e decisi dunque di stare a debita distanza daquei due. 

«Sei tu che non sei capace a fare un lavoro decente. Ma che razza di attore seise non riesci nemmeno a stare in posa per fare due foto? Stai facendo perderetempo anche a Madison, lei a differenza tua sa cosa significa posare» gli risposeHenry urlandogli contro. Caleb strinse i pugni, le nocche gli diventarono bianche da quanto strinse, il suo respiro si fece sempre più affannoso lo capii dalla velocità con cui si abbassò e alzò il suo petto. Era incazzato, incazzato nero. Soloa quel punto decisi di intervenire per calmare le acque. A passo spedito attentaa non cadere, mi avvicinai a loro e mi misi dietro a Caleb che nel sentire la miavicinanza rilassò le spalle o almeno così mi sembrò. 

«Basta! Henry per favore puoi lasciarci un minuto?» chiesi senza farmi troppiproblemi. Henry sembrò incredulo, sapevo che non gli piaceva perdere tempo,ma volevo capire che cosa stesse succedendo a Caleb e potevo capirlo solo parlandoci. 

«Lascia perdere Maddy continuiamo» mi disse la Super Star voltandosi verso dime. Io non lo guardai nemmeno. 

«Henry, per favore» dissi in tono di supplica e lui per fortuna mi ascoltò. 

«Vi lascio dieci minuti» ci disse, poi uscì sbattendo la porta dietro di lui. 

«Grazie» dissi io, ma probabilmente non mi sentì. Caleb non mi rivolse nemmeno uno sguardo, era tornato ad essere scorbutico come la prima volta che cieravamo incontrati e quel comportamento non mi piacque per niente. "Maddycontinuiamo" mi aveva detto. La cosa che mi sorprese fu il fatto che mi avevachiamata Maddy, era forse la prima volta che lo faceva, non mi sembrò un buonsegno.


Dopo svariati minuti di silenzio Caleb era seduto sulla poltrona nell'angolo dellastanza, con la testa china, le braccia appoggiate alle ginocchia e le mani incrociate. Aveva un'espressione concentrata, arrabbiata, afflitta, nel suo volto passaronomille espressioni diverse. Io rimasi ferma in piedi poco distante dalla porta. Persipoi la pazienza e decisi di avvicinarmi a passo lento verso di lui anche se avevopaura di una sua reazione. Decisi, anche a costo di farmi urlare contro, di capireche cosa gli era preso. 

«Caleb» lo chiamai. Non ottenni nessuna reazione da parte sua, era fermo inquella posizione da due minuti non si era mosso, probabilmente non stava nemmeno respirando, sembrava la copia di una statua in bronzo. Riprovai ad attirarela sua attenzione, non poteva stare così per sempre.«Caleb, che succede?» gli chiesi in tono tranquillo. Sussurrai e non capii nemmeno io il perché. Dopo pochi secondi lui alzò finalmente lo sguardo, la suafaccia non esprimeva nulla, era freddo come il ghiaccio. Non vi nego che per unbreve momento ebbi paura. 

«Non mi succede niente ok?» disse in tono ancora più freddo, poi tornò a guardarsi le scarpe. Aveva alzato un muro l'avevo capito... probabilmente in quelmomento non gli faceva piacere la mia presenza. 

«Vuoi che ti lasci solo?» feci la domanda più ovvia del mondo, la risposta peròfu un silenzio assordante. A quel punto, non sapendo più che fare, girai sui tacchi nel vero senso della parola e mi avviai verso la porta. L'unico rumore percepibilein quell'istante fu quello dei tacchi sul pavimento. 

«Aspetta!» disse Caleb, prima che potessi lasciarlo solo. Io mi voltai e lo fissai.Aveva rialzato la testa nella mia direzione. I sui cambi di umore mi fecero girarela testa. 

«Dimmi» dissi io riavvicinandomi, ma non troppo. 

«Vieni qui» mi disse semplicemente. Stava scherzando vero? Dopo aver lottatocon il mio cervello, lo assecondai. Mi avvicinai a lui e mi accucciai vicino allapoltrona su cui stava comodamente seduto, almeno in quella posizione i piedi mifacevano meno male, non ne potevo più di quei tacchi infernali. 

«Si può sapere che ti prende?» gli chiesi per la centesima volta. Caleb mi guardòfisso e io non reggendo il suo sguardo abbassai la testa. Non riuscii a guardarequegli occhi blu per troppo tempo perché mi fecero uno strano effetto. A quelpunto lui mi prese il mento con la mano e mi fece alzare il viso nella sua direzione.La sua mano era calda e morbida, il contatto con la sue pelle mi fece rabbrividire. 

«Mi dispiace» disse in tono sincero e quasi colpevole, poi levò la mano dal mioviso. In quell'istante il mio cuore batté all'impazzata. 

«Per cosa?» chiesi guardandolo. In quel momento fu lui a non riuscire a guardarmi negli occhi.«Per averti trascinata in questa situazione» disse con aria triste. Non mi guardò,era tornato a fissare terra. A vederlo così sembrava più piccolo rispetto alla suaetà. In quel momento vidi tutta la sua fragilità. Non sapevo che cosa fare o diree tanto meno che cosa pensare. Mi venne spontaneo poggiargli una mano sulbraccio, poi lo strinsi. Caleb mi guardò, notai che gli occhi gli brillavano, avevano uno scintillio strano, in quell'istante ai miei occhi risultò ancora più bello delsolito. Ero consapevole del fatto che non mi fosse indifferente, anche se non loammettevo con nessuno, ma a me stessa non potei mentire. E se non era tutto unfilm che mi ero fatta io anche lui era attratto in un qualche modo da me, i suoiocchi me lo fecero capire. 

«Perché hai accettato questo lavoro?» mi chiese. La mia mano, nel mentre, nonsi mosse dal suo braccio. 

«Perché ho bisogno di guadagnare qualche soldo» dissi sincera. Era quella ladura verità, quel lavoro mi serviva davvero. Caleb mi guardò negli occhi, comese potessimo comunicare solo con lo sguardo. 

«Siediti qui» mi disse poi picchiettando la mano sul suo ginocchio. In quel momento mi sentii in imbarazzo, probabilmente in viso ero rossa come un peperone.Tolsi la mano dai suo braccio e mi rimisi in piedi, non riuscii ad allontanarmi, imiei piedi sembravano incollati al pavimento.«Sto bene qui grazie» dissi imbarazzata sfregandomi le mani sui pantaloni. 

«Hai paura di me ragazzina?» mi chiese tornando ad essere il Caleb con cuiavevo parlato in macchina poche ore prima, almeno il mio tentativo non erafallito. Dopo innumerevoli paranoie, trovai, non so come, la mia faccia tosta e lofissai divertita. 

«No, non ho paura di te Super Star» dissi incrociando le braccia al petto. Calebnel sentire il soprannome che gli avevo dato trattenne una risata. 

«E allora perché mantieni sempre una creta distanza tra noi?» mi chiese guardandomi con la sua solita aria divertita. Non vi nego che il suo buon umorefaceva stare bene anche me. 

«Perché non sono una delle tue fan appiccicose» gli ricordai con un sorriso. Aquel punto Caleb si fece un po' più serio. Speravo che non ricominciasse a farel'incazzato. 

«Ed è questo che apprezzo di te» mi disse invece guardandomi sempre piùintensamente. Il mio cuore perse un battito. Ero agitata e le mani iniziarono asudare. 

«Grazie» dissi facendo un passo avanti per avvicinarmi nuovamente a lui. 

«Siediti» ridisse. La sua non era un affermazione, non era un invito, alle mieorecchie suonò come una supplica. Testarda com'ero non volli cedere, non volliinvadere il suo spazio come facevano le altre, io non ero le altre e volevo cheCaleb lo capisse. 

«Non voglio invadere il tuo spazio» dissi sincera, alle mie parole quel ragazzoenigmatico che mi stava di fronte sorrise. 

«Te lo sto chiedendo io» mi disse poco dopo. Ci fu un conflitto eterno tra mentee cuore all'interno del mio corpo, infine decisi di dargli retta. Mi sedetti sulla suagamba e con mia grande sorpresa lui mi cinse la vita con entrambe le braccia.Trasalii a causa di quel gesto, lui probabilmente se ne accorse e mi accarezzo ilfianco con il pollice. Giuro che mancava poco che andassi a fuoco, non sto scherzando. Guardai per un momento il soffitto, cercando di respirare lentamente, poitrovai la forza di guardarlo. Notai che si stava mordendo le labbra, non avevomai fatto caso al fatto che sue labbra fossero così carnose. Caleb non smettevadi guardarmi, inaspettatamente mi scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.Capii solo in quel momento che ero in trappola ma allo stesso tempo non mi eromai sentita così libera di essere me stessa.«Non so perché ma...» cercò di dire, poi fece una pausa. 

«Mi fa un certo effetto averti vicino» disse successivamente tutto d'un fiato.Pensai che eravamo troppo vicini, sentii il suo cuore battere all'unisono con ilmio, pensai che forse non erano solo film mentali quelli che mi ero fatta su dinoi, o forse stavo semplicemente sognando e mi sarei svegliata da un momentoall'altro. In entrambi i casi decisi di continuare a sognare. 

«Ed è una cosa positiva?» chiesi io non sapendo che altro dire in merito alla suaconfessione. La mia bocca non era collegata al cervello in quel momento. Calebrise prima di darmi una risposta.«Direi più che positiva» disse poi con voce roca. Era il suono più sexy cheavessi mai sentito in tutta la mia vita. Abbassai lo sguardo, non sapendo comereagire. Dovevo alzarmi? Non lo so, ero diventata una statua. 

«Ti imbarazzi facilmente ragazzina» mi prese in giro. Aveva ragione, era assolutamente vero, mi imbarazzavo con poco, ma non sempre, con lui invece... 

«È un mio difetto si» dissi guardandolo fisso. Caleb mi guardò negli occhi, poiposò il suo sguardo seducente sulle mie labbra. 

«Ho bisogno di fare una cosa» mi disse serio, poi sorrise.«Ma mi devi promettere che non mi tiri un ceffone» concluse. Che cosa volevafare?! A quella domanda il mio cervello tornò a funzionare. "Dai Maddy che maivorrà fare..." iniziai a ragionare mentalmente... poi capii.«Dipende da quel che devi fare» dissi facendo finta di non aver capito. Caleb misistemò sulle sue gambe, ma non mi rispose. Mi guardò per un secondo, secondoche mi sembrò eterno. Forse voleva chiedere il mio consenso. Gli avevo appoggiato la mano sulla spalla e non me ne ero resa conto. In meno di un secondoCaleb annullò la distanza che c'era tra noi e mi baciò. Inspirai profondamente, dauna parte sapevo che cosa avrebbe fatto, dall'altra però il suo gesto mi spiazzò.La sua bocca era morbida contro la mia. Mi godetti ogni singolo istante e spostaila mia mano sulla sua nuca per tenerlo ancora più vicino a me. All'inizio fu unbacio lento, poi la sua lingua sfiorò la mia, aveva un sapore di menta fresca.Diventò poco dopo un bacio passionale, sentii che lui si rilassò sullo schienale econtinuò a massaggiarmi il fianco. Dopo svariati minuti sentii premere sulla miagamba un rigonfiamento e capii che era eccitato e non vi nego che anche io lo ero.Feci comunque finta di nulla, volevo soltanto assaporarmi il momento. Infondoera solo un bacio, pensai, poi non ci saremmo più visti, quello probabilmente erail nostro addio. A quella consapevolezza un improvviso senso di tristezza si fecestrada nel mio cuore.   

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top