46. Piano d'azione
Trattenni il fiato, nessuno parlava. Spostai gli occhi da Gemma a Harry, che stava fissando il muro davanti a sé, la sua espressione vuota e neutra, come se non avesse sentito quello che sua sorella gli aveva appena rivelato.
James era suo padre. Harry era il figlio di James Smoke. Non sembrava vero nemmeno a me, eppure avrei dovuto prevederlo. Pensandoci, quei due avevano tantissimi tratti simili. Quando erano nervosi si rigiravano gli anelli che portavano alle dita, si passano le mani fra i capelli, avevano lo stesso colore degli occhi e lo sguardo della stessa intensità, per non parlare del fatto che James, da giovane, era praticamente identico a Harry: si portavano addosso una somiglianza che solo un padre e un figlio avrebbero potuto condividere. Eppure, tutti quei dettagli, per più di vent'anni erano passati inosservati alla maggior parte delle persone. Perché nessuno se n'era accorto prima? Né Joe, né Dalia, neppure Daniel. Era un segreto che, a quanto pareva, solo Gemma conosceva.
Mi aspettavo che Harry avrebbe perso le staffe, che si sarebbe messo ad urlare, a picchiare muri, ad imprecare contro tutti. Mi aspettavo che sarebbe uscito dal municipio per andare chissà dove, in preda al panico ed al disgusto, invece lui non fece nulla di tutto ciò. Annuì e basta, lentamente, abbassando la testa. «Ne sei sicura, Gem?» disse poi.
Gemma annuì, piano. «Ho visto i documenti, Harry. Un certificato di nascita».
«E questo come dovrebbe cambiare le cose?» domandai. «Insomma, che facciamo adesso?»
Gemma pressò le labbra in una linea sottile, senza dire niente.
Harry poi si alzò in piedi, massaggiandosi gli occhi e le tempie, sospirando pesantemente.
«Vuoi prendere un po' d'aria?» gli chiesi.
«Sto bene,» replicò. «Ho solo bisogno di un minuto. Torno subito».
Ci rivolse un impercettibile cenno col capo, dirigendosi all'uscita della sala, chiudendo poi le porte alle sue spalle.
«L'ha presa bene,» borbottò Alvin, dopo qualche secondo che Harry se ne fu andato.
Gemma sbuffò. «Stai scherzando? E' sotto shock. Qualcuno dovrebbe andare a vedere come sta».
«Lasciamolo pensare un attimo, Gemma. Ha detto che voleva stare solo,» commentò Lee. «Vi avevo avvertiti che era una pessima idea, questa. Non era pronto».
Da qui, nacque un'animata discussione fra Alvin, Lee e Melissa, mentre io, Gemma, Sam e Daniel ce ne stavamo in silenzio a contemplare il muro o il tavolo o le candele spente che pendevano dal vecchio lampadario. Stava succedendo tutto un po' troppo in fretta, per me, per Lee, per gli altri, ma soprattutto per Harry, che immaginai fosse uscito per non mostrarsi scosso ai nostri sguardi.
Rientrò quasi quindici minuti più tardi, con gli occhi gonfi e arrossati, come se avesse pianto ogni singola lacrima che aveva in corpo. Probabilmente era così. Eppure, quando riprese il suo posto, accennò un ad un piccolo sorriso, appena percettibile, e disse: «sto bene. Non preoccupatevi».
«Ne sei sicuro?» chiese sua sorella.
«E' okay, Gem, davvero,» replicò lui. «Volevo saperlo».
«Sicuro? Perché se ti serve dell'altro tempo-» continuò Daniel.
«Sicuro. Vuol dire che siamo fratellastri, giusto?» Harry riuscì a sorridere. «E se non me l'aveste detto, l'avrei scoperto comunque, magari in un modo peggiore».
Lee parve sollevato, i suoi lineamenti si addolcirono e le rughe sulla sua fronte scomparvero. «L'hai presa bene. Credevo avresti dato di matto... prima Gemma, poi Jacks Ave e ora Smoke. Non è facile da digerire, tutto nel giro di qualche giorno».
Harry scrollò le spalle. «Penso di averlo sempre saputo, in fondo. Sentirselo dire è diverso, ma l'ho sempre saputo. Va bene così, Lee,» mormorò. «Vi ringrazio per l'onestà».
Daniel, Gemma e gli altri membri del consiglio annuirono, ringraziando Harry a loro volta, poi Alvin dispiegò un foglio di carta sul tavolo. Era una mappa.
«Signori e signore,» iniziò. «Adesso che i segreti sono finalmente tutti venuti alla luce, possiamo passare al vero motivo per cui siamo qui. Il vero motivo per cui vi abbiamo convocati. Dobbiamo escogitare un piano per togliere Smoke di mezzo, una volta per tutte».
Melissa accese un paio di candele, facendo ancora più luce sopra la mappa; la villa di Smoke era contrassegnata con un cerchio rosso, Jackson Avenue era evidenziata in verde, mentre una linea gialla tracciava il confine fra il centro e la periferia della città.
«Cosa sappiamo di James?,» continuò Alvin. «Cosa lo rende così forte?»
«La paura,» rispose Harry, mentre studiava la mappa attentamente.
«E anche il potere,» aggiunsi. «I soldi, per la precisione».
Alvin mi indicò con l'indice. «Giusto, Selena. I soldi per lui sono tutto. Ha fondato la città sui soldi. Inizialmente vendendo droga, poi commerciando armi, trafficando persone, addebitando i suoi clienti e facendoli pagare interessi altissimi, per dirla in breve».
«Quindi se non ha soldi, non ha nessun potere,» finì Lee. «Senza soldi, Smoke è un uomo qualunque».
Melissa annuì, sporgendosi sul tavolo. «Pochi giorni fa, come sapete, abbiamo attaccato una consegna di armi da fuoco e munizioni che ha acquistato,» segnò un punto sulla cartina, lo stesso punto che avevo visto evidenziato sul computer di James, che lo aveva fatto agitare e aveva messo me nei guai. «Se riuscissimo a privarlo di tutte le armi, una parte del suo potere verrebbe eliminata».
«E la droga?» mi accigliai.
«È lo stesso principio delle armi, Sel,» rispose Harry. «Vanno eliminati gli acquisti. E se fosse possibile, cosa che dubito, anche la produzione».
«Vedi, Selena,» Daniel tossicchiò. «James acquista la sua droga da privati sparsi attorno a tutto il mondo. Stiamo parlando di enormi carichi, quintali di roba che rivende poi al prezzo che più gli comoda. Impedirne la produzione è pressoché infattibile, ma possiamo impedire a James di comprarla».
«E per quanto riguarda i suoi collaboratori? Tipo Crystal, il proprietario di quel locale abusivo a Baltimore... scommetto che ci siano molti altri che lavorano con lui,» domandai, ancora. «Non credo basti bloccare i suoi acquisti di armi e droga per fermarlo. È troppo semplice».
Lee scosse la testa, ma prima che potesse dire qualcosa, Alvin lo precedette. «Teoricamente, un modo ci sarebbe...»
Gemma confermò con un cenno affermativo, così come fecero Melissa e Daniel.
«E' qui che entri in gioco tu, Harry,» continuò il capo. «Sei il primogenito di Smoke, il suo erede, e questo ci dà un enorme vantaggio».
Harry ed io eravamo più confusi di prima. «Perché essere suo figlio dovrebbe aiutarci?» chiese. «Non vedo davvero come questo sia qualcosa di positivo».
«Perché Smoke ha commesso un grande errore, Harry. Un errore che gli costerà tutto quello che è riuscito a costruire fino ad ora,» gli rispose Gemma. «Assieme al certificato di nascita, c'era un altro documento. La cosa migliore che Smoke avrebbe potuto fare». Prese un profondo respiro, come se stesse cercando il modo per formulare la frase. «Era una dichiarazione di condivisione dei beni,» mormorò, sporgendosi verso il centro del tavolo e tenendo lo sguardo puntato in quello del fratello. «Non sono un'esperta a riguardo, Harry, ma in quel singolo pezzo di carta, James dichiarava che una volta raggiunta la maggiore età, avresti preso il quarantacinque per cento degli introiti di tuo padre, e, cosa più importante, il diritto di firmare contratti al posto di James».
Lee annuì, un piccolo sorriso compiaciuto gli si formò in volto. «Ciò significa che al momento, procedendo per vie legali, tu potresti semplicemente cessare qualsiasi accordo che Smoke abbia mai fatto con qualsiasi fabbricante di droga, qualsiasi commerciante d'armi, qualsiasi proprietario di locali clandestini e via dicendo. Lo lasceresti senza neanche un alleato e senza alcun tipo di guadagno».
Harry ed io boccheggiammo, presi alla sprovvista, e per qualche secondo nessuno disse nulla. Poi, «state dicendo sul serio?» rispose lui. «Voglio dire, James ha davvero lasciato a me la sua eredità? Perché mai avrebbe dovuto farlo? Perché non lasciare questo potere a Daniel?»
«James non si è mai davvero fidato di me,» bofonchiò Daniel. «E nessuno di noi sa bene rispondere alle tue domande. Per qualche motivo, James Smoke ha deciso di passare a te questo potere... è un bene, Harry».
«Esattamente, ragazzo,» disse Alvin, con un ghigno. «L'unico problema, adesso, è riuscire a recuperare quel documento, che terrà sotto sorveglianza giorno e notte, in un posto molto probabilmente inaccessibile al personale non autorizzato».
«Tre anni fa era nel cassetto della sua scrivania,» mormorò Gemma. «Immagino non sia più lì».
«Lo tiene nella cassaforte in biblioteca,» disse Daniel, sospirando. «E l'ultima volta che mi ci sono avvicinato se ne è accorto dalle telecamere di sicurezza. Sarebbe quasi impossibile recuperarlo senza essere scoperti. E poi dobbiamo trovare la combinazione del codice, perché quella cassaforte è pressoché indistruttibile dall'esterno».
Nella sala calò il silenzio. Tutti stavano rimuginando su quel pensiero. Come eludere la sorveglianza di James, recuperare il documento e scappare senza essere uccisi? Non eravamo dei ladri, né esperti nell'arte degli scassinamenti, sapevamo solo sopravvivere e basta, con le armi, svignandocela e nascondendoci nel buio. Un'operazione del genere richiedeva preparazione. Non potevamo improvvisare, come avevamo sempre fatto. Serviva un gran piano, qualcosa di imprevedibile, che neanche James avrebbe potuto calcolare.
«Penso di sapere come fare,» mormorai, un piccolo sorriso compiaciuto si fece strada sul mio viso, lo sentivo crescere ad ogni secondo con la realizzazione che esso portava. «Credo di avere la soluzione... e se dovesse funzionare, fra qualche settimana potremo ricominciare da capo. È una mezza follia, sarà pericoloso e non c'è praticamente nessuna garanzia di successo, dovremo calcolare bene le tempistiche, ci servirà un piano d'azione perfetto, ma se dovesse funzionare... saremo liberi dal fumo. Tutti quanti. E per sempre».
. . .
Harry mi prese il polso, tirandomi con sé, oltrepassando l'infermeria e la mensa. La riunione era finita da poco, e stavamo tornando alle nostre stanze per riposarci un po'. Nei giorni seguenti, avremmo avuto bisogno di restare lucidi e reattivi, ci sarebbero servite tutte le nostre forze. Dovevamo riposare.
«Dove stiamo andando?» domandai, vedendo che Harry non si fermò alla stanza di Gemma, che ci aveva momentaneamente prestato per dormire.
Mi lanciò uno sguardo malizioso. «Sorpresa».
«Sai che odio quando non mi dici niente,» protestai.
«Sai che odio quando fai tutte quelle domande.»
Camminammo in silenzio per alcuni secondi, io che sbuffavo e lui che rideva sotto i baffi, fino ad uscire dal municipio.
«Quanto manca?»
Non rispose, e io rinunciai. «Ho sonno,» dissi solo, sbadigliando ma continuando a seguirlo.
Dopo qualche minuto, si fermò davanti ad un edificio. C'era pochissima luce, non vedevo quasi niente del vicinato; mi fece segno di seguirlo all'interno dell'abitazione, ed iniziammo a salire i gradini facendo attenzione a non inciampare. Dopo quattro piani, otto rampe di scale, tanta fatica e impazienza, ci fermammo. Mi sorpresi quando le sue mani mi coprirono gli occhi, togliendomi anche quella poca luce che c'era.
«Non devi guardare,» sussurrò.
«Tanto non vedo niente lo stesso,» sospirai. «Se cado è colpa tua».
«Non ti farò cadere, Sel,» il suo braccio si avvolse attorno alla mia vita, stringendomi al suo petto.
Una porta venne aperta e chiusa alle nostre spalle. Contai dieci, dodici passi, poi il calore del suo corpo sulla mia schiena svanì quando si allontanò. «Non aprire gli occhi. Aspetta un attimo».
«Okay,» mormorai.
Lo sentii armeggiare con qualcosa, forse dei fiammiferi, a giudicare dal rumore e poi dal leggero accenno di fumo che mi arrivò al naso.
«Posso aprire gli occhi?»
«No! Ancora un minuto».
E quando finalmente quel minuto di agitazione e impazienza finì, sentii la sua fronte poggiarsi sulla mia e le nostre labbra sfiorarsi appena. «Adesso guarda,» sussurrò.
Non appena aprii le palpebre, una luce soffusa invase i miei occhi. Non so quante candele fossero, ma erano tante. Stavano sui davanzali delle finestre, sul mobile del soggiorno, sul tavolo vicino al muro, alcune persino all'interno di vasetti di vetro appesi alle pareti, che creavano giochi di luce bellissimi e intriganti. Un paio di piante, grandi e verdi stavano poggiate sopra una specie di bancale di legno, in un angolo, per dare un tocco di colore in più allo spazio.
Il divano non era molto grande, sembrava abbastanza vecchio, ma era stato coperto da un telo grigio che gli dava un'aria molto più sofisticata e pulita. E poi c'erano libri, decine e decine di libri erano stati messi sopra a delle mensole. Alcuni leggermente umidi, altri bruciacchiati, ma pur sempre libri.
«Allora?» chiese Harry. «Ti... piace? È la nostra nuova casa. Spero sia all'altezza delle tue aspettative, Sel».
Mi girai a guardarlo. «L'hai fatto tu?»
«E Daniel. Ci abbiamo lavorato tutto il giorno,» spiegò. «Le candele erano una sua idea, e abbiamo preso quelle piante di arance dalla serra. Hanno detto che fa troppo freddo perché facciano i frutti, così eccole qua».
«Non so cosa dire,» mormorai, abbracciandolo e stringendolo forte.
«È il minimo che possa fare, Sel,» sospirò, abbracciandomi a sua volta. «Ti sarò eternamente grato per tutto quello che hai fatto per me. Che stai facendo per me. Anzi, per tutti noi».
«Ti amo, Harry. Tantissimo».
Mi baciò la fronte, soffermandosi sulla cicatrice lasciatami dall'uomo che ci aveva quasi uccisi, la notte in cui aveva ritrovato Robbie. «Andrà bene, ne sono sicuro. Il tuo piano funzionerà».
«Tu dici?»
«Ho fiducia in te, Selena. L'ho sempre avuta,» mormorò, piano, baciandomi di nuovo. «Vieni,» disse poi. «Ti faccio vedere il resto».
Mi prese per mano, guidandomi oltre al salottino. Le altre due stanze erano un piccolo bagno e una camera da letto, semplice e poco arredata, ma che era comunque perfetta. Il letto consisteva in un materasso sul pavimento, che scricchiolava appena veniva toccato, e c'erano anche una cassettiera e sopra di essa altre candele accese, l'unica forma di luce in tutto lo spazio.
«Vuoi farti la doccia?» mi chiese. «L'asciugamano è in bagno, hai sei minuti d'acqua disponibili».
«E tu non la fai?»
«L'ho fatta prima di cena,» spiegò. «Fa schifo, comunque. E' fredda e odora di pioggia, ma è comunque meglio di niente».
Mi lasciò un bacio leggero sulle labbra, prima di sparire in salotto. Aveva ragione nel dire che la doccia faceva schifo, ma per lo meno riuscii a lavare via il sudore e lo sporco delle ultime ore. Fu un sollievo uscire da sotto il getto freddo e avvolgermi nell'asciugamano, peccato però che non avevo niente di pulito da mettere. Osservai la pila dei miei vestiti, storcendo il naso.
In camera frugai nella cassettiera; fortunatamente trovai una maglia di Harry che dal profumo sembrava pulita. Dovetti indossare anche i suoi boxer perché né lui né Daniel avevano pensato di portarmi un cambio di pigiama e biancheria intima.
Quando raggiunsi Harry in salotto, notai che aveva spento la maggior parte delle candele e che aveva acceso un fuoco nel caminetto, il rumore del legno scoppiettante riempiva e scaldava l'aria.
«Bello il tuo pigiama,» commentò, osservandomi mentre mi sedevo vicino a lui sul divano.
Non feci neanche tempo a rispondergli che le sue labbra presero avidamente possesso delle mie, così improvvisamente che non metabolizzai cosa stesse succedendo, fondendosi insieme come se fossero state create l'una per l'altra. Mi attirò sopra di sé, senza rompere il contatto tra le nostre bocche e senza smettere di sorridere fra un bacio e l'altro. Se prima aveva le mani ferme sulla mia vita, adesso stavano accarezzando la mia schiena, i miei capelli disordinati e umidi che cadevano da tutte le parti, le mie gambe scoperte, come per un riflesso involontario. Io, al contrario, tenevo le mie chiuse a pugno attorno alla stoffa della sua maglietta, come se cercassi di aggrapparmi a quella goccia di realtà per impedire a me stessa di fluttuare nell'universo magico e surreale chiamato col suo nome.
«Sel,» si staccò, poi. «Facciamo l'amore?»
«Sì, ti prego,» risposi. Ne avevo bisogno. Anche lui ne aveva bisogno. Era una di quelle cose che dovevamo fare per continuare a sentirci vivi e umani e non scomparire nell'ammasso informe che era la nostra vita, al momento.
Sentii le sue labbra spostarsi a destra lungo la mia guancia e poi sul collo, poi si alzò e barcollò tenendomi in braccio fino alla nostra camera da letto. Harry mi posò gentilmente sul materasso, ritornando a baciare le mie labbra e adagiandosi sopra di me senza però pesarmi addosso.
Ci spogliammo in fretta e furia, impazienti, lanciando i vestiti da qualche parte alle nostre spalle, e solo in quel momento ci rendemmo entrambi conto che non avevamo mai fatto sesso, prima d'ora.
«Assurdo,» Harry, sopra di me, ridacchiò. «Abbiamo avuto così tante occasioni di farlo, prima di questa».
«Davvero? Perché a me pare che sia la prima volta che ci troviamo davvero soli, Harry. Senza Niall e gli altri, o Jane-»
«Tu lo vuoi davvero?»
«Certo».
«Sicura al cento per cento? Non devi sentirti in obbligo, sai».
«Neanche tu».
Harry rise, scosse la testa e mi baciò di nuovo. «Aspetta un secondo, okay?»
Si alzò per frugare nella tasca dei suoi pantaloni, estraendo dal portafogli un preservativo.
«Domanda veloce,» dissi, guardando mentre cercava di metterselo da solo, nella semi oscurità. «Dove l'hai trovato?»
«Zayn,» replicò. «Ne ha sempre qualcuno di scorta».
Dopo qualche attimo di difficoltà, Harry tornò a stendersi su di me.
«In realtà io non l'ho mai fatto, prima,» confessai. «Quindi-»
«Nessun problema, Sel,» Harry mi sorrise. «Sarò delicato come un fiore».
So che c'erano i nostri cellulari scarichi e inutilizzabili appoggiati sulla cassettiera assieme alle candele e i libri e le piante d'arancio in salotto, così come c'erano anche il rumore della stufa e di tanto in tanto una risata proveniente dalle altre stanze, forse di Niall o Liam.
C'erano anche i nostri respiri affrettati e affannati, i nostri cuori che battevano all'unisono. C'erano le sue mani ruvide e calde che accarezzavano il mio corpo, quelle mani che ormai lo conoscevano più di quanto non lo conoscessi io stessa, i suoi capelli che mi solleticavano a volte il viso, a volte il petto, a volte la pancia. Le coperte aggrovigliate come lo eravamo noi, e quando le sue labbra non erano attaccate alle mie, stavano sussurrando il mio nome sulla mia pelle come una preghiera.
Il dolore iniziale venne sostituito da subito con le sue mani, i suoi baci dolci, le sue parole mormorate al mio orecchio, le sue carezze e tutte le sensazioni che entrambi avevamo represso fino ad ora, quell'amore che ci teneva in piedi ogni singolo giorno.
Lui sentiva tutta me, io sentivo tutto lui. I nostri corpi si incastravano alla perfezione, ogni fessura, ogni crepa, ogni curva e ogni linea erano colmate; Harry era quel tassello mancante del mio puzzle, quel pezzo complementare che mi serviva per sentirmi viva. Non eravamo due entità distinte, ma una sola, il mio piacere era il suo, i miei gemiti interrotti dalle sue labbra erano i suoi. Se le mie mani non stavano tirando e giocando con i suoi ricci, allora stavano scivolando sulla sua schiena, coperta da quel leggero strato di sudore che potevo sentire mescolarsi al mio, oppure sulle sue braccia che stringevano il mio busto al suo, i nostri petti nudi sempre a contatto l'uno con l'altro.
E quando l'attesa finì, quando entrambi venimmo, non potevo essere più completa e felice. Sentivo che lui era mio ed io ero sua, senza barriere, senza ostacoli, solo noi insieme.
Harry si lasciò cadere su di me, stringendomi ancora più forte e districando le coperte, coprendo entrambi nel modo migliore, anche se non sentivo freddo. E restammo lì, abbracciati sotto alle coperte fino a quando non addormentai, la mia testa sul suo petto e le sue braccia a tenermi stretta a sé, Smoke Town chiusa fuori dalla finestra e dai nostri pensieri, perché in quegli attimi di serenità e amore esistevamo solo noi due.
. . . . . . .
Che schifo mamma mia non so più scrivere scene di sesso, perdonatemi ma è stato proprio cringe, non so come facevo anni fa a scrivere ste cose (ho lasciato la scena finale com'era in origine, dolce e stucchevole, che schifo, non ce la facevo proprio a riscriverla, sorry guys)
A parte questo, spero vi sia piaciuto il capitolo! A presto :)
- C x
Ps: se volete seguirmi, i miei profili Instagram sono @ lottieeve (personale) e @ anxieteve (dedicato alle mie storie). Love u!
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