42. I fuorilegge dei fuorilegge
Selena
«Sei stranamente silenziosa, oggi».
La voce di James Smoke ruppe la quiete dell'ultima ora e mezza. Alzai gli occhi dallo schermo luminoso, smettendo momentaneamente di trascrivere i dati di una ricevuta al computer, per puntarli sulla sua sagoma seduta dall'altra parte del tavolo.
Era passata poco più di una settimana da quando Harry ed io avevamo avuto l'incontro con il padre di Jane, ed era poco più di una settimana che continuavo a farmi paranoie su di lui. Non avevamo raccontato nulla alla bambina, limitandoci a mettere in guardia i ragazzi e Joe, nell'eventualità che Billy avesse voluto trovare il nostro indirizzo. Sarebbe bastata solo una parola detta senza volerlo, sarebbe stato sufficiente che qualcuno si fosse lasciato scappare una frase di più, e ci lui avrebbe trovati. Non doveva succedere. Ora, il problema James Smoke sembrava un nonnulla in confronto a quel pazzo drogato che voleva ammazzare Harry a tutti i costi, per non parlare di cosa avrebbe fatto a Jane se le fosse capitata a tiro.
Con James Smoke invece, le cose sembravano essersi placate un po'. La promozione che mi aveva fatto non era così male, a dirla tutta – ero convinta che avrei dovuto lavorare più duramente, invece trovavo quasi piacevole il compito da lui affidatomi. Insomma, dovevo solo riordinare le ricevute delle vendite e degli acquisti importanti che aveva fatto, e dovevo trasferire a computer i dati che lui voleva che io trascrivessi. I computer mi piacevano. Erano anni e anni che non entravo in contatto con i tasti delle lettere, e trovavo parecchio rilassante farlo.
«Non ho molto da dire,» risposi, leggermente più brusca di quanto avrei dovuto.
«Selena Parker che non sa cosa chiedermi?» ridacchiò, alzando un sopracciglio. «Hai già esaurito tutte le domande?»
Pressai le labbra in una linea sottile, evitando di rispondergli e facendo ricadere il silenzio. Nell'ultima settimana, avevo cercato di capire e di entrare nella mente di James Smoke, ponendogli questioni casuali qua e là, alle quali lui replicava sempre. Avevo scoperto che il suo cibo preferito era la bistecca, amava il libro de I Promessi Sposi perché l'Italia lo attraeva peggio di una calamita – il suo sogno era quello di visitarla da nord a sud, con una macchina poco costosa e la musica anni '80 come unica compagnia. L'Italia gli piaceva tanto, e quando gli avevo chiesto perché, aveva solo scrollato le spalle, dicendomi che era un diamante grezzo, e i diamanti grezzi erano ancora più preziosi di quelli già lavorati.
«Suvvia, Selena, neanche una piccola piccola domandina?»
Sbuffai, mi schiarii la gola e sparai la prima cosa che mi venne in mente: «Come si chiama la madre di Daniel?»
Il sorrisetto sul volto di Smoke si spense. «Vuoi sapere della madre di Daniel?»
«È quello che ho detto,» confermai. «Volevi una domanda a tutti i costi, quindi-»
«Sì, sì, lo so,» m'interruppe. «Norah, si chiamava. Norah Cooper. Ma non la vedo da quando è nato Daniel».
«Eravate sposati?» continuai, notando che l'anello che portava al dito era una fede d'oro. O per lo meno, mi sembrava proprio una fede.
«Sposati? No,» rise amaramente. «Non lo sono mai stato. Non credo nel matrimonio, benché meno nell'amore».
«E quello non è tuo, quindi?» indicai l'anello.
I suoi occhi verdi si puntarono sul piccolo oggetto che teneva attorno al dito, e «non è niente,» mormorò. Per un attimo parve scordarsi della mia presenza – era lì che lo guardava, attento, rigirandoselo ora in senso orario, ora in senso antiorario, e faticai a credere che un ninnolo così bello non avesse un qualche significato, per lui.
«Se non credi nell'amore, in cosa credi?» mi azzardai a domandare, facendolo riemergere bruscamente dal lago di ricordi in cui pareva essersi inabissato.
Si prese un attimo per rispondere, scrutandomi con quelle sue iridi verde cupo e facendomi rabbrividire involontariamente – facendomi pentire di aver indagato oltre. «Curiosa domanda, Selena,» annuì a se stesso, pensieroso. «Credo nel potere,» rispose. «E credo nei soldi e nel progresso. Credo nella razionalità umana e nelle capacità che si possano sviluppare, se solo uno vuole».
Aprii la bocca per ribattere, ma scossi subito la testa. Dirgli quello che pensavo di lui sarebbe stata una pessima idea, specie ora che sembrava più vulnerabile del normale. Non era una cosa saggia da fare, andare a stuzzicare una iena ferita.
«Spero tu sia felice così, allora,» mormorai. «Mi dispiace che tu non abbia mai amato».
«Dimmi un po', Selena,» Smoke scosse la testa. «Cosa ti fa credere che io non abbia mai amato?»
«Lo hai detto tu-»
«Non ho detto di non aver mai amato, mia cara. Non fare l'errore di pensare che l'amore sia un sentimento indirizzato solamente verso un altro essere umano. L'amore è così vasto che una vita da sola non basterebbe mai per sentire tutti i tipi di amore che esistano; è che la gente tende a generalizzare, e crede così di provarlo solo verso i suoi simili».
Sbattei le palpebre più volte, interdetta. James c'aveva ragione e lo sapevo bene, perché io ero a tutti gli effetti innamorata di più cose, oltre che di Harry. E anzi, ero forse più innamorata della mia vita che di lui – il pensiero di morire mi spaventava molto più di quello di perdere Harry – e fra la mia vita e il mio ragazzo ci stavano una miriade di altre cose che amavo, che agognavo e che veneravo, tanto che dare torto a James sarebbe stato come tradire me stessa.
Eppure – c'era un eppure, sì – non ci si poteva sposare con nessuno se non con una persona. E Smoke, al dito, aveva una fede, e dal modo in cui la guardava sembrava legato ad essa più di ogni altra cosa. Le soluzioni erano due: o mi aveva mentito sul fatto del matrimonio, o quell'anello non era suo.
«La fede quindi non è tua?» insistetti.
«Certo che è mia,» disse. «Non insinuerai che io l'abbia rubata».
«Non era quello che intendevo-»
«Allora non intendere nulla e torna al lavoro, Selena. Non ti pago per farmi domande sulla mia vita privata. Per oggi direi che possono bastare,» tagliò corto, mettendo fine al breve scambio di parole.
Il silenzio rimase fino a dopo pranzo, quando tornai nello studio dalla mensa. Non avevo avuto molta fame; mi ero limitata a stuzzicare la carne e a mangiucchiare l'insalata, passando l'intera pausa a girarmi i pollici. Il contrasto tra il brusio dei dipendenti e la quiete dello studio di James era notevole: stranamente, quel giorno mi sentivo a disagio in mezzo alla confusione che si creava quando andavano tutti a pranzare, e tornare al lavoro era stato un sollievo.
«Mangiato bene?» chiese James, senza alzare gli occhi dallo schermo.
«Sì,» mentii. «Tu?»
«Non ho mangiato».
«E perché no?»
«C'è da lavorare, Selena. Sia per me che per te».
Sospirai: «Giusto,» e mi sedetti al mio posto. Per qualche attimo rimasi a contemplare lo schermo nero, poi riaccesi il computer e trascrissi altri due documenti, da aggiungere alla decina che avevo finito prima. Dopo un po', quel compito che mi aveva affidato diventava abbastanza noioso. Era sicuramente lungo, non eccessivamente complicato ma bisognava stare attenti a non sbagliare, e con la stanchezza era facile confondere le caselle di testo e inserire dei dati in una colonna sbagliata. Fortuna che i calcoli li svolgeva il computer in automatico.
Nonostante fossi stufa, continuai a lavorare ininterrottamente tutto il pomeriggio. Iniziai a sentire una certa fame verso le quattro e mezzo, probabilmente perché avevo mangiato poco a pranzo, ma prima che potessi chiedere a Smoke il permesso di andare a prendermi un caffè, la sua voce grave ruppe il silenzio.
«Che diamine-»
Alzai lo sguardo, vedendolo concentrato sullo schermo del suo portatile come pochi minuti prima, ma stavolta aveva una smorfia di rabbia e incredulità dipinta in faccia.
«Cos'è successo?» mi azzardai a chiedere.
«Niente,» tagliò corto, alzandosi e chiudendo con uno scatto il PC. Aprì con furia il primo cassetto della scrivania, ne estrasse una cartellina e disse: «Continua il tuo lavoro. Torno subito».
Con questo, uscì dallo studio sbattendosi la porta alle spalle. Niente caffè, a quanto pareva.
C'erano poche cose che riuscivano a turbare James Smoke, quindi quello che doveva aver visto sullo schermo era sicuramente importante: i trenta secondi seguenti li passai ponderando le due ipotesi che avevo difronte. Che fare? Continuare a lavorare come mi aveva ordinato? Sicuramente era la cosa migliore, e senza dubbio la più saggia... dall'altra però, ero curiosa. Che cos'era successo? Che aveva visto? Una sbirciatina non poteva fare poi tanto male, anche perché non avrei comunque capito molto di ciò che poteva esserci scritto.
Velocemente raggiunsi l'altro lato del tavolo, sedendomi sulla sedia girevole e riaprendo il portatile. L'adrenalina pulsava nelle mie vene mentre armeggiavo con il mouse, cliccando sul file che era stato ridotto ad un'icona in basso.
Una ricevuta scannerizzata apparve sullo schermo. Lessi attentamente i dati, constatando che si trattavano d'armi acquistate da Smoke per migliaia di dollari, ma che non erano arrivate a destinazione; un file allegato spiegava che il camion che le trasportava era stato saccheggiato dal clan di Jackson Avenue. Non doveva essere stata una gran perdita per James, considerando che solitamente i carichi d'armi che acquistava erano grandi il triplo di quello, ma per i Jackys, abituati a combattere con bastoni e picchetti e qualche pistola di fortuna... era un bell'affare, senza dubbio.
Ma come avevano fatto, quindi, a rubarle? Com'era possibile che un misero gruppetto di pazzi fosse riuscito a prendersi un carico di quella portata, considerando la loro forza e quella delle guardie di Smoke? A James non aveva fatto piacere, per niente.
Stavo per ritrornare alla mia postazione, dopo aver rimesso i file come li avevo trovati, quando il cassetto che era stato lasciato socchiuso catturò la mia attenzione. Era praticamente vuoto, fatta eccezione per una piccola busta ingiallita dal tempo, che presi in mano ed aprii senza pensarci due volte: conteneva una foto in bianco e nero, una soltanto, ma che bastò per farmi annodare lo stomaco e per far schizzare la mia curiosità a mille.
A prima vista, avrei detto che il ragazzo era un Harry di qualche anno più giovane. Capelli scuri leggermente più corti dei suoi di ora, tirati all'indietro con della brillantina, un sorriso sulle labbra e due occhi che sprizzavano felicità da tutte le parti, vicino ad una donna che riconobbi subito come Anne, la madre del mio ragazzo, bella come poche potevano essere. Anche lei sorrideva all'obbiettivo, mentre teneva fra le braccia un piccolo bambino appena nato. Pensai che magari potesse essere Gemma, ma Harry e Gemma non avevano così tanti anni di differenza. E i vestiti che stava indossando... non avevo mai visto Harry con un maglione a motivi romboidali addosso. E sua madre era morta quando lui aveva quindici anni, ma nella foto lui era troppo grande perché le due età potessero coincidere. Forse non era Anne? Ma sì che era lei, doveva essere lei! E Harry? Era sicuramente lui: chi altri aveva un sorriso così brillante e due occhi tanto profondi?
La risposta mi arrivò forte come un pugno sul viso: James Smoke. Era possibile?
Riguardai il viso del ragazzo, cercando di immaginarmi come potesse essere James, vent'anni fa. Sicuramente lo stile era quello; la foto in bianco e nero, il maglione, i capelli, e il viso angelico e spensierato simile a quello di Harry quando dormiva... ma perché stava vicino ad Anne e a quel neonato? Chi era?
Girai la foto. Nessuna data, nessuna scritta, niente di niente.
«Mi pareva di essere stato chiaro».
Sobbalzai sul posto, facendo cadere la busta e la foto alla vista di James Smoke che avanzava verso di me. In due passi mi raggiunse, mentre io ne feci uno indietro, terrorizzata. Si fermò prima di calpestare la piccola immagine, si piegò, la raccolse e se la infilò in tasca; poi puntò i suoi occhi nei miei, facendomi trasalire involontariamente.
«Niente, e ripeto niente, ti dà il diritto di frugare nelle mie cose personali,» mormorò, calmo. Ma era arrabbiato, e molto anche: gli tremavano le mani dalla rabbia, che stava cercando di contenere all'interno del suo corpo. «Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei ammazzarti, Selena».
Deglutii. «Non ho fatto niente-»
«Non hai fatto niente?» rise lui. «Non hai fatto niente?»
«Non ho infranto alcuna legge,» sussurrai.
Fece un altro passo verso di me, poi un altro e un altro ancora, fino a fermarsi ad una spanna dal mio viso. «La città è mia. Le regole sono mie. Io sono la legge, Selena. Tu hai infranto il mio spazio. Hai infranto me».
«Chi è il bambino?» la mia bocca parlò prima che potessi fermarla, con quel filo di voce che mi rimaneva. Di tutta risposta, però, Smoke estrasse la piccola pistola dorata che teneva nel taschino della sua giacca, afferrandomi il braccio con la mano libera e iniziando a trascinarmi fuori dallo studio.
«Hai oltrepassato il limite,» lo sentii dire. «Sei fin troppo curiosa, mia cara. Meglio se sistemiamo questo tuo difettino una volta per tutte».
«Hai detto che essere curiosi andava bene,» provai a strattonare il braccio per liberarlo dalla presa ferrea dell'uomo, piantando i piedi a terra. Le suole delle mie scarpe, però, scivolavano sul marmo bianco e pulito come se fosse cosparso d'olio, ed ogni tentativo che facevo per tentare di scappare dal raggio d'azione di Smoke, si rivelava inutile.
«Essere curiosi va bene, Selena,» James si fermò sulla soglia, puntandomi stavolta la pistola alla testa. «Ma tu lo sei troppo».
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi, in parte per il terrore, in parte per il dolore che mi stava facendo, e in parte perché se era davvero intenzionato ad uccidermi, non volevo che lo facesse lì, davanti ad un sacco di altra gente.
«Posso occuparmene io, padre,» la voce di Daniel, alle nostre spalle, mi giunse attutita dal ronzio del sangue che mi scorreva nelle orecchie. «Non c'è bisogno che ti sporchi le mani-»
«No, Daniel. Stavolta no».
Iniziò a scendere le scale, trascinandomi dietro di lui, e Harry, che era in macchina ad aspettarmi, come tutti i giorni, ci mise poco a notare Smoke che mi puntava la pistola alla testa e ancora meno a raggiungerci. Fece una decina di passi verso di noi, ma non appena sentì il rumore metallico proveniente dall'arma, si fermò.
«Qualunque cosa lei abbia fatto, ne possiamo discutere,» disse, mantenendo la calma, anche se dietro alla sua facciata controllata vedevo una rabbia e una furia che stava cercando di reprimere. «Per favore».
Smoke rise, facendo vibrare il petto a contatto con la mia schiena. «Non credo, Harry,» rispose. «Pensa a Gemma, a Dalia, a tuo padre e tua madre. Da oggi potrai aggiungere anche Selena alla lista».
«Cosa vuoi? Dimmi solo cosa cazzo vuoi e lasciala stare,» sentii la sua voce spezzarsi alla fine, come se avesse ricacciato indietro le lacrime. Io, al contrario, non riuscii più a nascondere le mie.
«Cosa voglio?» ghignò Smoke. «Voglio la sua vita».
«No, no, no,» scosse la testa Harry. «Ti prego. Non farlo».
I suoi occhi si fissarono nei miei, dandomi la forza di alzare il mento e ascuigare le lacrime. Fu come la prima volta, quando mi persi nelle sue iridi al pub di Jack, e di nuovo rimasi a guardarle, dimenticandomi del resto attorno a me, sperando di non scordarle mai.
È okay. Sto bene. Ti amo, Bucky. Ci vediamo presto. Spero.
Poi, l'unica cosa che sentii fu il rumore assordante di uno sparo.
. . .
Harry
Il mondo che vedevo riflesso nelle sue iridi grige parve sgretolarsi e tramutarsi in sabbia, scivolandomi fra le dita, al vedere le lacrime che le sgorgavano dagli occhi. Non stava succedendo – era un altro incubo. Lei non poteva lasciarmi da solo, non se ne poteva andare. Non era possibile: mi aveva promesso che sarebbe rimasta sempre con me, quindi questo doveva essere solo un sogno – eppure, non appena l'aria fu squarciata da quel suono agghiacciante e assordante, tutto quello che stavo cercando di negare mi crollò addosso, schiacciandomi con il peso della verità.
Mi aspettavo di vedere il corpo di Sel, sanguinante e freddo, accasciarsi al suolo, invece rimase in piedi sotto la stretta di Smoke, con i suoi occhi lucidi di lacrime ancora nei miei: respirava. Sel respirava. Sbatté le palpebre un paio di volte, constatando di essere ancora viva.
Effettivamente, un corpo cadde a terra, a pochi passi da noi. Al, il braccio destro di Cheng, ruzzolò sul ghiaino come un tassello del domino, mentre Daniel lo scrutava attentamente. Il colpo era decisamente partito dalla sua pistola, perché la soppesò per bene, prima di spostare suo padre sotto tiro.
«Lasciala stare, papà,» disse. «Non costringermi a piantarti un proiettile in mezzo agli occhi».
Che cazzo stava succedendo?
Smoke strinse Sel ancora di più, pressando la punta dell'arma alla sua tempia e digrignando i denti, al che Daniel disse, ancora, facendo un passo nella loro direzione: «Conterò fino a tre... uno-»
«Se mi spari, lei muore comunque,» commentò amaro James. «Non potete vincere».
Daniel mi lanciò uno sguardo d'intesa, al quale risposi con un lieve cenno del capo. Ci avevamo giocato altre volte, io e lui, e sapevo esattamente cosa volesse fare. Era come quando eravamo piccoli e ci allenavamo per diventare più forti. Lui avrebbe spostato l'arma dalla testa di Sel, poi io avrei attaccato James dal lato.
Semplice, se non fosse che Smoke aveva previsto tutto.
Prima che Daniel potesse arrivare al due, l'uomo colpì Sel al lato della testa, facendola traballare a destra e cadere. Successe tutto in una manciata di secondi. James, invece di sparare a lei, premette il grilletto in direzione di suo figlio e non vidi il proiettile fino a quando non si conficcò nella spalla di Daniel. Gli avrebbe sparato ancora se il mio pugno non fosse entrato in collisione con la sua mascella, scaricando tutta la rabbia che avevo contro di lui. Erano più di cinque anni che volevo farlo, ed era così gratificante poter finalmente ripagare mio zio per tutto quello che mi aveva fatto che avrei potuto saltare di gioia.
Con un calcio gli tolsi la pistola di mano, mandandola da qualche parte nel cortile.
Non credevo però che James fosse così forte e scaltro, e mi colse alla sprovvista. Ricevetti subito un ginocchio nell'addome, che mi fece piegare in due.
«Ti stai scavando la fossa da solo, Harry. Quando avrò finito con Daniel, stai pur certo che ammazzerò i tuoi amici e tutti quelli a cui hai anche solo parlato. E ti forzerò a guardare Selena morire lentamente e in un modo così doloroso che non puoi neanche immaginare».
«Tu non tocchi nessuno,» ringhiai, prendendomi l'ennesimo pugno in faccia da parte sua. Sentii il sapore metallico e salato del sangue in bocca.
«L'amore ti sta rendendo debole,» rise. «Sei proprio come mio fratello. Una disgrazia».
Con la coda dell'occhio vidi Sel andare da Daniel, che era ancora vivo, e aiutarlo ad alzarsi.
«Sai che non farete molta strada. Le mie guardie stanno già arrivando,» ghignò mio zio. Riuscii ad oltrepassare la sua difesa, colpendogli la trachea con il gomito, distraendolo il tempo necessario per riuscire a raggiungere Sel e salire nella mia auto. O forse ci riuscii perché a Smoke non piaceva sporcarsi le mani, e per un giorno aveva fatto anche troppo. Preferiva lasciate che fossero i suoi uomini ad ammazzarci.
«Stai bene?» le chiesi.
«Ho un cazzo di proiettile nella spalla. A te che sembra?» mi rispose Daniel nel sedile posteriore, stringendo i denti, mentre la ragazza si sistemò vicino a lui.
«Non ho chiesto a te,» borbottai.
«Sto bene,» disse Sel. «Ma sbrighiamoci,» si guardò indietro, notando le guardie raggiungere in fretta il corpo di Al e iniziare ad inseguirci.
«Dove stiamo andando?» chiese di nuovo lei, quando notò che non avevo preso la strada per l'albergo.
Mi passai una mano fra i capelli. «Non lo so, lontano da qui. Fuori città».
«E gli altri?» protestò.
«Non c'è tempo,» tagliai corto.
«Ma dobbiamo portarli con noi!» esclamò. «Non pensi a Jane o a Joe? E i ragazzi?»
«Non c'è tempo!» ripetei, alzando il tono. «A Daniel serve un ospedale, e non ho intenzione di rischiare di perderti di nuovo per loro».
Sbuffò, scuotendo la testa. «Allora andiamo da Louis ed Eleanor, li chiamiamo e decidiamo cosa fare. Non possiamo scappare, Harry».
«Se andate da Louis, vi troverà. Ci troverà. E così anche se uscirete dalla città,» contestò Daniel, ansimando. «Io so dove».
Sbuffai. «Solo perché hai deciso di fare la scelta giusta per una volta, non vuol dire che mi fidi di te».
«Lascialo parlare,» mi sgridò Sel. «Non abbiamo molta scelta. Prova a portarlo all'ospedale e saremo tutti morti in cinque secondi».
Strinsi forte il volante, respirando a fondo. «Dove dovremmo andare, allora?».
Daniel strinse i denti di nuovo, quando passai sopra una buca, tenendosi la spalla. «A Jacks Ave».
Lo fulminai dallo specchietto retrovisore. «Fai sul serio?»
«E' l'unico posto sicuro da James».
«Sicuro? Jackson Avenue? Mi prendi per il culo?» sbottai.
«Vuoi fidarti di me per una volta nella vita? Il tuo appartamento e la casa d Louis saranno i primi posti in cui cercherà. In quel quartiere nessuno ci mette piede».
Guardai Sel per cercare una risposta, ma pareva persa e confusa quanto me.
«Per favore,» continuò Daniel. «Ascoltatemi. Dite agli altri di raggiungerci a Jacks Ave. Andrà tutto liscio, e lì saremo al sicuro per un po'».
Ero così furioso che non gli risposi, ma alla prima occasione voltai in una strada che portava a Jackson Avenue. Speravo solo non fosse una trappola.
«E con la tua spalla?» gli disse Sel, dopo qualche minuto, mentre lo aiutava a tamponare la ferita.
«Possono metterla a posto loro».
«Loro? I Jackys? Quello che faranno sarà ucciderci, non aiutarci,» obbiettò.
Daniel scosse il capo, chiudendo gli occhi e cercando di contrastare il dolore, gettando la testa indietro sullo schienale. «Non lo faranno».
«Come lo sai?» gli chiese lei, di nuovo.
«Lo so e basta».
Restammo in silenzio per una quindicina di minuti; ovviamente non riuscii a fare a meno di osservare come Sel accudiva Daniel, di come gli stava attaccata per cercare di fermare il sangue, e la cosa mi fece incazzare ancora di più. Sì, lui aveva un proiettile nella spalla, ma mi dava comunque fastidio.
«Grazie, Daniel,» sussurrò poi, come se non potessi sentirla. Contrassi la mascella nel vederla così vicina a lui.
«L'ho fatto per... Harry,» la sua voce era diventata stanca e pesante, come se non avesse la forza di parlare.
«Grazie comunque. Mi hai salvato la vita».
Un piccolissimo sorriso gli increspò le labbra, ma che venne subito sostituito da una smorfia di dolore.
«Sta' fermo. Se ti muovi sanguina di più,» lo rimproverò.
Distolsi la mia attenzione da loro due per concentrarmi sulla strada. Le case ci sfrecciavano oltre, sfocate ed indistinte, mentre il sole si stava tuffando all'orizzonte, tingendo il cielo di rosso. Sel chiamò Niall al cellulare per avvertirlo, ma stranamente era al corrente della situazione e stava già andando a Jackson Avenue con gli altri.
Strano. Molto strano.
«Non appena ti tolgono quel proiettile, mi devi delle spiegazioni,» borbottai a Daniel. «E ti sto aiutando solo perché voglio delle risposte,» precisai. «Non me ne fotte se le hai salvato la vita. Ti odio ancora».
«Io e te siamo molto più simili di quanto pensi,» mormorò. Vedevo che stava perdendo conoscenza, e Sel gli schiaffeggiò piano il viso per farlo restare sveglio.
«Sì, come no. Non sono stato io ad uccidere Gemma,» sputai, acido.
Daniel scosse di nuovo la testa, pressando le labbra e corrugando le sopracciglia. «Gemma... mi dispiace».
«Le tue scuse non la riporteranno indietro. Quindi risparmia il fiato».
Sel mi scoccò una brutta occhiata, ma non disse niente.
Il viaggio durò ancora qualche minuto, poi cominciai a rallentare. Quando notai il primo cartello che indicava l'ingresso a Jackson Avenue, iniziai a diventare ancora più nervoso, teso e ansioso. E se Daniel stesse mentendo? Se fosse tutto un piano ideato da Smoke per farci uccidere? O mettiamo che mio cugino stesse dicendo la verità, quale garanzia avevamo che i Jackys non ci ammazzassero? Nessuna.
«Dove devo andare?» gli chiesi, osservandolo dallo specchietto. Aprì un occhio.
«Vai dritto fino... all'incrocio. Poi a destra fino al vecchio municipio. Sempre se non ci vedono prima».
«Ti giuro che se stai mentendo, sarà l'ultima bugia della tua vita,» lo ammonii.
Forse mi avrebbe risposto con una frase sarcastica, o forse mi avrebbe assicurato che non ci sarebbe successo niente, ma quello che stava per dire venne interrotto bruscamente da una decina di persone in piedi, a pochi metri dall'auto. Non c'era modo di proseguire senza investirle.
«Fermati,» ordinò Daniel. «Sono loro».
«Non sembrano molto amichevoli,» osservai. Ed effettivamente davano l'aria di essere tutto tranne quello. Non perché fossero tutti armati di pistole, coltelli e mazze da baseball, ma perché dipinti sui loro volti c'erano ghigni malvagi e occhiate torve, che mi fecero rabbrividire fin nelle ossa.
«Fai quello che dice,» mormorò Sel.
«Questi ci ammazzano,» protestai.
«No, se gli fate vedere che sono con voi,» spiegò Daniel. Si stava sforzando di tenere gli ochi aperti. «Fermati, Harry».
Sbuffai, decidendo di ascoltarlo. Deglutii e spensi il motore.
«Dobbiamo scendere,» constatò Daniel.
Annuii. «Sel, stai qua. Lo aiuto io,»
Usai la portiera dell'auto come scudo per proteggermi da eventuali proiettili, aprendo quella posteriore e tirandolo fuori senza tante cerimonie.
«Scusa,» bofonchiai, quando Daniel represse un gemito di dolore.
«Ce la faccio».
«Sicuro sia una buona idea?» gli chiesi, di nuovo.
Mi fece un cenno affermativo col capo, appoggiandosi con la schiena alla carrozzeria. «Andiamo. Volevi delle risposte, no?»
Lo aiutai a fare il giro, uscendo allo scoperto. Il gruppo di Jackys era a quasi dieci metri da noi, ma continuavano ad avanzare.
«Fermi lì!» esclamò Daniel, facendo uno sforzo immane per farsi sentire, guardandoli ad uno ad uno. «Dov'è Brett?»
Un silenzio innaturale calò sopra di noi giusto per amplificare la mia inquietudine, poi qualcuno si fece largo fra la folla di persone.
«Harry! Dan!» la voce familiare di Lee mi fece sospirare di sollievo, poi la sua sagoma imponente ci raggiunse e ci stritolò in un abbraccio. La sensazione di sicurezza però svanì subito. Che diamine ci faceva qui? Cosa stava succedendo?
«Porca troia, fa piano,» imprecò fra i denti mio cugino.
«State bene? E Selena?» iniziò l'africano.
Mi allontanai di un paio di passi, sentendo la mia ragazza affiancarmi e stringermi la mano. «Qualcuno mi spiega che cosa ci fai qua?» lo fulminai. «Perché conosci queste persone?»
Lee si fece serio. «Fra un attimo. La tua spalla, Dan. Devi farla vedere da Brett».
Dalla folla uscirono un paio di persone che lo presero sottobraccio, sparendo in un edificio.
«Seguitemi,» ci disse poi Lee. «Ho avvertito io Niall e gli altri non appena ho saputo di cos'era successo alla villa».
«Non mi muovo finché non mi spieghi cosa sta succedendo,» piantai i piedi a terra. «Mi fido di loro quanto mi fido di James. Chi sono? Perché sei coinvolto?»
Mi rispose con un'altra domanda. «E di me, Harry, ti fidi?».
Restammo a guardarci negli occhi per qualche secondo, poi cedetti e distolsi lo sguardo. «Sì. O almeno, mi fidavo».
«Allora seguitemi. Non posso spiegarti qua fuori, devi vedere con i tuoi occhi. Non ti ho mai dato motivo per dubitare di me».
Mi passai una mano fra i capelli e sbuffai tutta l'aria che avevo nei polmoni, guardandomi attorno. Avrei voluto fidarmi così tanto, così tanto, ma non ci riuscivo proprio fino in fondo.
«Ha ragione,» mi bisbigliò Sel, scusandosi un attimo con Lee e allontanandoci di qualche metro. «Dovremmo andare con loro».
«Non lo so...» protestai, lanciando uno sguardo scettico alle persone che ci stavano ancora osservando.
«Ascolta. Tutti gli indizi combaciano perfettamente. Credo siano dalla nostra».
Se prima ero confuso, ora lo sono ancora di più. «Che indizi?»
«I tizi che parlavano di Smoke e che volevano contrastarlo, Jacks Ave che si sta espandendo, Daniel che complotta con loro e il camion di armi. Tutto ha perfettamente senso».
«Daniel complotta con loro? Come lo sai?» domandai. «E di che camion di armi stai parlando?»
«Ti spiego dopo,» tagliò corto.
«Assolutamente no. Tu mi spieghi adesso».
Rimasi di stucco quando mi raccontò di come aveva pedinato Daniel fino al confine dopo aver origliato una sua conversazione, e di come aveva spiato nel portatile di Smoke, causando la sua rabbia. Non mi sarei mai aspettato che Sel sapesse fare cose del genere, mettendo in pericolo la sua vita ancora di più.
«Io mi fido di loro,» rimarcò. «Ti prego, Harry».
«E se è una trappola? Se ti fanno del male o ti uccidono?» sussurrai. «Ho rischiato di perderti già una volta, oggi».
«Lo so. Ma è l'opzione migliore che abbiamo. Lee sta con loro, dovrebbe essere abbastanza per farti cambiare idea».
«Beh, non lo è».
«Io vado. Con o senza di te, Harry,» disse, duramente, allontanandosi.
«Sel!» esclamai. «Selena!»
Quando iniziò a camminare a fianco di Lee, sbuffai e mi decisi a seguirli. Cosa non avrei fatto per lei, Cristo.
«Era ora,» commentò lui, sorridendo.
«Voglio che mi spieghiate ogni singola, minuscola cosa. Poi vedrò se restare,» lo avvertii.
I Jackys si divisero in piccoli gruppetti, che sparirono nelle abitazioni. Solo una decina di loro ci seguirono verso il municipio, l'edificio più ampio della zona. Ricordavo che una volta, anni e anni fa, era color rosa pallido, con la scritta 'City Hall' dipinta in caratteri grandi e neri. Adesso, invece, rispecchiava tutte le altre case: non era diversa dal resto della periferia.
Notai che dall'interno proveniva una flebile luce gialla, che contrastava con l'asprezza del vicinato.
Un altro uomo era di guardia all'entrata. «Dov'è Alvin?» chiese Lee, fermandosi.
«In riunione,» rispose, senza spostarsi dalla soglia.
«É importante,» continuò Lee, con urgenza, facendo un cenno nella mia direzione.
La guardia mi squadrò da cima a fondo. «Ah. Sei Harry Styles,» un sorriso compiaciuto solcò le sue labbra. «In questo caso, penso che Alvin abbia finito».
Si fece da parte, indicandoci di passare. «In sala comune».
Lee gli fece un cenno affermativo di ringraziamento, dandogli poi una lieve pacca sulla spalla.
«Perché cazzo sapeva il mio nome?» sbottai, quando fummo abbastanza lontani.
Per tutta risposta, rise, scuotendo la testa. «Rilassati, Harry. Tutti sanno chi sei, qui».
Sel intrecciò le mie dita alle sue, disegnando dei cerchi con il pollice sulla mia pelle, ma al contrario del solito, non riuscì a calmarmi. Ero più teso di una corda di violino, e sentivo che sarei potuto esplodere di nervosismo da un momento all'altro. Come faceva Sel ad essere così calma? Stava per morire solo un'ora fa, eppure si stava comportando come se non fosse successo un cazzo.
Ero così assorto nei miei pensieri da non riuscire a prestare attenzione ai dettagli dei vari corridoi del municipio. C'ero stato un paio di volte, con mio padre, ma non lo ricordavo così spoglio e macabro. Certo, erano altri tempi, quelli; mi sembrava quasi che fosse passata un'eternità.
«Chi è Alvin?» domandò Sel, improvvisamente.
«Il capo di Jackson Avenue,» spiegò Lee, in breve, fermandosi davanti ad una porta. «Ascoltate. Dovete essere sinceri, intesi? Non a caso Alvin è il capo. È molto perspicace, e riuscirebbe a capire se state mentendo. L'ultima cosa che voglio è che si arrabbi».
«Perché?» Sel si guardò attorno, nervosa.
«Non è bello, te lo dico io. Verrò con voi, in ogni caso».
Bussò due volte alla porta scura, aprendola quando sentì l'avanti proveniente da dentro.
La stanza era illuminata da una lampadina singola che pendeva dal soffitto e da decine di candele, poste su ogni davanzale, per terra e sul tavolo rettangolare che stava al centro. Sei persone ci sedevano attorno, le loro voci risuonavano nella stanza, ma non appena ci notarono, si zittirono subito.
Quello a capotavola si alzò in piedi. Era un uomo di cinquant'anni, dai lineamenti contratti in una smorfia dura e irata. Aveva delle pesanti borse sotto i suoi occhi, o meglio, il suo occhio; quello destro era nascosto da una benda nera, simile a quella dei pirati, mentre una cicatrice profonda gli solcava il volto.
«Io l'ho già visto,» mi bisbigliò Sel all'orecchio. «Era lui nel vicolo quella mattina, quando sono scappata dall'appartamento da sola».
«Harry Styles,» tuonò poi l'uomo, interrompendola. La sua voce era più imponente della sua corporatura, tanto che mi fece venire i brividi. Sel si strinse a me, e la spostai leggermente dietro alle mie spalle.
«Benvenuto,» finì, sorprendendomi quando sorrise.
Deglutii. «Sai il mio nome, ma io non so chi sia tu,» risposi, anche se immaginavo già la risposta.
«Chiamami pure Alvin,» disse. «Sedetevi. Sono sicuro vogliate entrambi delle risposte,» ci indicò due posti liberi. «Lee, vai a controllare Dan. Ci serviranno sia lui che lei».
«Sei sicuro che sia una buona idea? Non sarà troppo in una volta?»
Il capo mi guardò. «No. Sono sicuro Harry abbia passato di peggio, dico bene? E se vuole la verità, allora verità sia».
«Ma-» continuò Lee.
«Vai!» esclamò l'uomo, brusco. «Per favore,» aggiunse.
«Come vuoi,» si arrese Lee, sparendo dalla stanza.
Alvin si sedette, continuando a guardarmi. «Sei la copia esatta di Anne, sai,» affermò.
«Conoscevi mia madre?» chiesi, sorpreso.
«Eravamo amici, alle superiori, sì. E conoscevo bene anche James e tuo padre, Desmond. Tutti nella stessa scuola,» rise. «Come passa il tempo».
Il suo occhio passò dal mio viso a quello di Sel. «E tu devi essere Selena!» esclamò. «Daniel ci ha detto molto di te».
Lei accavallò le gambe, leggermente imbarazzata. «Quindi voi... siete una specie di clan contro Smoke?» gli chiese.
«Esattamente, mia cara».
Alvin ci presentó le altre cinque persone, i membri del consiglio che lo aiutavano a controllare e ad organizzare il clan. La donna magra e bionda, si chiamava Melissa, che scoprii essere anche la moglie dell'uomo che le stava accanto, John. Poi c'era Tyra, una quarantenne che stava giocando distrattamente con un coltellino tascabile, e per ultimi c'erano Stefan ed Elia, due gemelli che non si somigliavano affatto, escludendo i capelli neri come la pece e la forma allungata del loro naso.
«Ce ne sarebbe un'altra, ma deve ancora arrivare,» ci informò Melissa.
«Io non capisco,» mormorò Sel. «Perché tutti credono che siate un gruppo violento, quando in realtà è il contrario?»
John tossicchiò. «Vedi, la propaganda di Smoke è efficace. Lui fa credere a tutti che siamo noi i cattivi, così gli abitanti si schierano dalla sua. Semplice, anche considerando che ci tiene costantemente d'occhio. Non vuole che la gente sappia la verità, per questo nessuno può mettere piede nel nostro territorio».
«Voi però avete ucciso un sacco di persone,» protestai. «É naturale che gli abitanti credano a James».
Alvin scosse la testa. «Smoke manda regolarmente guardie a sistemarci per tenerci sotto controllo. Noi ci difendiamo e basta. Non siamo i responsabili di quei massacri di massa che sono solo opera sua. Anzi, se possiamo non uccidiamo».
Stava per aggiungere altro quando la porta si aprì e Lee entrò nella mia visuale, seguito da una ragazza.
«Cosa succede?» chiese quest'ultima.
Non appena sentii la sua voce, un brivido mi percorse la spina dorsale, propagandosi per tutto il corpo. Dicevano che la voce era la prima cosa che si dimenticava quando qualcuno non c'era più, ma io la sua non l'avevo mai scordata.
Mi alzai piano dal mio posto, spingendo indietro la sedia.
I suoi capelli chiari spiccavano alla luce delle candele. Erano tagliati corti, a caschetto, ondulati e scompigliati, mentre il suo viso era severo, una ruga d'espressione le solcava la fronte tra e sopracciglia, una ruga che non ricordavo fosse lì.
Quando i suoi occhi verdi e brillanti si fissarono nei miei, tutto iniziò a girare, anche se forse non era la stanza, forse ero io che non riuscivo a stare in piedi. Traballai indietro, usando il tavolo come appiglio, mentre sentivo il mio cuore martellare forte e il mio respiro mozzarsi in gola, come se tutto l'ossigeno mi fosse stato succhiato via.
No. Non poteva essere. Era impossibile.
Sbattei le palpebre, scossi la testa, ma lei era ancora lì, immobile, a guardarmi. Provai a parlare, ma dalla mia gola non uscì neanche una misera sillaba, provai a muovermi ma i miei piedi parevano ancorati al pavimento. Annaspai alla ricerca d'aria, anche se stava già riempiendo i miei polmoni; mi risultava così difficile inspirare che credetti di soffocare.
Questo non era possibile. No. Non era vero.
Fu la sua voce familiare a spezzare il silenzio, facendomi rompere in mille pezzi di nuovo e abbattendo ogni difesa che mi ero costruito attorno, con due semplici parole.
«Ciao, Harry,» mormorò Gemma.
. . . . . . .
Ciao ragazze!
No, non è un miraggio, ho davvero aggiornato ahaha
Volevo solo ringraziarvi dei messaggi che mi avete mandato, sappiate che vi voglio bene ;)
Devo dirvi un paio di cose:
1. Il gruppo WhatsApp di Smoke Town è sempre aperto, se volete entrare basta dirlo!
2. Ho deciso di dividere Smoke Town in due parti, la prima che parte dal capitolo 1 e arriva al 42 (questo), e la seconda parte, che va dal capitolo 43 alla fine. Non dividerò il libro in due libri diversi, semplicemente ci saranno queste due parti, ecco. E stavo pensando di postare la seconda parte senza revisionarla troppo, correggendo solo gli errori, così da aggiornare più in fretta. Che ve ne pare?
Fatemi sapere! Vi mando un bacio!
Lott x
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