39. Nero, grigio, bianco e rosso
Harry
L'aria attorno all'albergo sembrava essere così densa di tensione che era diventata per me irrespirabile. Non mi preoccupai di coprire l'auto con il solito telo bianco, quando l'arrestai in cortile: Sel e io sfrecciammo fuori sbattendo le portelle, correndo fino alle scale. Riuscii a calmarmi un pochino stringendo la sua mano, ma quando vidi proprio Niall nel corridoio del piano di Joe e Dalia, con il viso rigato da lacrime, tutto sembrò crollarmi addosso.
Niall che piangeva mi era nuova. Sorrideva sempre, cazzo. Sorrideva, lui. Quindi perché stava piangendo?
«Harry-» un singhiozzo strozzato gli scappò dalle labbra. Con un cenno indicò la porta dell'appartamento che ospitava l'anziana coppia, non osando aggiungere altro, ma tanto non servivano parole: in fondo, avevo già capito tutto.
I miei passi erano pesanti e lenti, il mio corpo insensibile; avevo già provato le stesse sensazioni tre volte, prima di questa. Quando mancava l'aria e il pavimento sotto ai piedi, e sentivi un macigno batterti sul petto. In realtà non era un macigno, era solo il cuore che pompava sangue, e quel sangue manco ci sarebbe arrivato, al cervello, in condizioni normali. Per questo, il miocardio doveva moltiplicare lo sforzo, e batteva, batteva così forte!, per portare il sangue alla periferia del corpo, per non farmi cadere come un sacco di patate, proprio lì, sul pavimento che c'era, ma che non sentivo per niente. Odiavo quelle sensazioni. Le odiavo talmente tanto che se fossero state delle persone, avrebbero sicuramente preso il posto di James Smoke nella mia lista dei cinque.
«Sta' calmo,» mormorò Selena, stringendomi le dita. «Harry, respira».
Non stavo respirando? Non lo sapevo, in tutta onestà. Sapevo solo che avevo una paura fottuta di mettere piede nell'appartamento di Joe. Una paura tremenda, che mi faceva tremare le gambe, quella stessa paura che s'era irradiata per i miei capillari, per le vene e le arterie, al posto dell'adrenalina, la notte in cui Gemma era morta. Era una paura che faceva paura. Non era panico, no: quello veniva dopo, quando ti rendevi conto del perché avevi avuto paura, quando ti rendevi conto che i tuoi sensi non t'avevano ingannato. Quando vedevi il corpo di tua sorella senza vita e non riuscivi neanche a muoverti. Quello era panico. Ma la paura, la paura era peggio.
Fu Selena a varcare la soglia del salotto dei due anziani per prima, fu lei a farmi avanzare in quel territorio aspro, che sapeva di morte – c'era odore di morte, ruggine e sale: era sangue, inconfondibile. Sangue che non era mio, perché il martellare assordante del mio cuore che sentivo nelle orecchie, era la certezza che ancora ero vivo, e mi aggrappavo a quella, annaspando in un mare di paura alla ricerca della luce. Pareva tutto buio. La paura era nero, il panico era grigio. La luce era la parte peggiore, era la verità: il bianco accecante della morte, quando la vedevi ai tuoi piedi e non potevi fare più nulla.
La luce era la verità che ti regalava la morte, bianca e fredda come la neve, bianca e fredda come il corpo senza vita di Dalia.
Non sentii le braccia di Sel stringermi o le mie lacrime bagnarmi le guance, anche se sapevo erano lì perché quando avevo così tanta paura, io piangevo: sentii solo un bisogno irrefrenabile di vomitare, e quando vidi la pozza di sangue scuro e viscoso sopra cui era adagiata, esanime, Dalia, lo feci – vomitai bile, acqua, cibo, ma vomitai anche un urlo silenzioso contenente tutta la paura che stava diventando panico. Vomitai lì per terra, sul pavimento, e percepii le mani di Selena sulla schiena, che cercavano di calmarmi; la verità era che non ci stava riuscendo per niente. E volevo dirglielo, volevo dirle di smetterla, ma l'unica cosa che sapevo fare era vomitare e piangere e sembrava non finire più, crogiolandomi nel dolore che mi stava anestetizzando i sensi.
Tutto era grigio, stavo andando in panico. Lo sentivo avvicinarsi furtivo e abbassare la maniglia della porta che stavo cercando di tenere chiusa. Quatto quatto come un gatto, ecco che stava arrivando il panico, vestito di grigio, e stava scacciando la paura. Smisi di vomitare e pure di piangere – il panico non me lo permetteva più.
Ecco, tutto era grigio. Io, Selena, Joe, i miei amici, Jane, l'appartamento, il cielo, le stelle, la Luna; tutto era grigio, tranne Dalia, perché Dalia era morta ed era bianca.
«Harry,» mormorò dolcemente Sel, il suo labbro inferiore tremolante, asciugandosi gli occhi. «Harry, devi respirare».
Ma non ci riuscivo. Tutto era così grigio, così piatto, che non riuscivo ad inspirare l'ossigeno che mi serviva. Guardavo Dalia, senza sosta, e Joe che piangeva con Jane, e Zayn che era scosso da singulti e Liam che gli teneva la spalla e Niall non sapevo cosa stesse facendo, fuori in corridoio, ma stava male anche lui.
Aprii le labbra, ignorando il retrogusto amaro e acido del vomito, e mi forzai di mandar giù per la trachea un po' d'aria. Intanto, Dalia era morta, e io ricominciai a respirare, a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, dissolvendo il panico secondo per secondo, ma Dalia era morta, e più la guardavo, più mi sembrava inconcepibile e assurdo, perché Dalia morta!, che cazzo voleva dire?
«No,» gracchiai, scuotendo energicamente la testa, facendo un passo verso di lei. «Non è morta».
L'acqua nei miei occhi offuscò la mia visuale, costringendomi a strofinarmi il viso per eliminarla.
Mi chinai sul cadavere, toccai il suo polso. Era gelido, sangue non ce n'era più, ché se ne stava tutto per terra, e lei ci sguazzava dentro. Era morta, ma non ci credevo.
«Non è morta, Joe,» ripetei, come per convincere me stesso. «Non è morta anche lei».
Mi girai per incontrare lo sguardo di Selena, che avrebbe dovuto confermare la mia affermazione, trovandola invece in lacrime, i suoi lineamenti distorti dal dolore, così come dovevano essere i miei; mi abbandonai alle sue braccia, seppellii il viso tra i suoi capelli, e respirai, respirai, respirai, respirai, e respirai ancora, cercando di impedire alla voragine di risucchiare via i pezzi del mio cuore, che, ancora una volta, si era frantumato.
. . .
La scomposizione in forme più semplici della materia, dopo la morte, di organismi precedentemente viventi, era ciò che stava succedendo al corpo di Dalia. La decomposizione. Era iniziata subito, il minuto stesso in cui il suo cuore aveva smesso di battere, e prima che i suoi effetti avessero iniziato a manifestarsi, Zayn, Liam e Niall scavarono una buca nel retro del giardino, accanto a quella dei miei e di Gemma, per poi calarci Dalia all'interno – per Joe, lasciare il suo corpo fu estremamente difficile, ma dovevamo seppellirlo prima che iniziasse a putrefarsi. Louis arrivò poco dopo: l'avevamo chiamato al telefono, ed era accorso subito. Non aveva visto il corpo di Dalia, morto, sul pavimento, l'aveva visto solo avvolto in un lenzuolo ormai infangato e un po' sanguinolento.
Sel, con Jane in braccio, mi si avvicinò. «Come stai?» mi chiese.
Non le risposi, mi limitai a scuotere la testa e deglutire, cercando invano di scacciare il groppo in gola che continuava a tornare. «Mi ero ripromesso che non ci sarebbero state più tombe, Sel. Avevo promesso a me stesso che li avrei protetti, tutti quanti».
«Lo so,» sospirò, quando i ragazzi ebbero ricoperto il buco con la terra smossa.
«Forse dovremmo dire due parole,» iniziò Niall, il suo tono di voce smorto, spento, il suo viso senza l'ombra di un sorriso. Non l'avevo mai visto così triste in vita mia. Tutti, a turno, mormorarono qualcosa, chi più, chi meno. Joe rimase inginocchiato nel fango, e dal modo in cui le sue spalle si alzavano, intuii che stesse piangendo: i suoi pensieri su Dalia li tenne per sé, non c'era bisogno che ci dicesse quanto l'amasse e quanto le sarebbe mancata.
«Non conoscevo Dalia molto bene,» cominciò Sel, quando il giro arrivò a lei. «Ma in questi pochi mesi, l'ho sempre vista come una parte della mia nuova famiglia. Okay, nessuno di noi è legato con il sangue, ma diamine se non ci vogliamo bene, e tutti quanti ne volevamo moltissimo, a lei. Amavo il suo ragù di carne, i suoi libri, amavo quando stringeva le guance a Harry e gli sorrideva come una madre. Mi ha insegnato che quello che dura, dura, e quello che non lo fa, non lo fa; il tempo rimargina la maggior parte delle ferite, e per quelle che il tempo non riuscirà a guarire, ci sono le persone che amiamo a farlo al suo posto,» dicendolo, il suo sguardo incontrò il mio per un istante. Prese un profondo respiro, poi «ho finito,» mormorò.
Tutti la stavano guardando, in silenzio, poi uno ad uno annuirono. Joe fu l'unico a rimanere impassibile, fissando con occhi vuoti la tomba; probabilmente non l'aveva neppure sentita parlare. Riuscimmo a restare fuori solo altri cinque minuti, poi il freddo diventò troppo e il senso d'impotenza nel vedere il cumulo di terra, quasi insopportabile, quindi rientrammo nell'albergo.
Decisi che sarebbe stato più sicuro e meno doloroso per Joe rimanere con noi, così gli cedetti il mio letto, tanto Jane avrebbe dormito con Sel e me come ogni notte, e Louis poteva stare sul divano. L'uomo anziano andò direttamente a coricarsi, stanco sia fisicamente che psicologicamente – se si fosse davvero addormentato, non avrei saputo dirlo. Io, dopo la morte della mia famiglia, non avevo dormito per settimane.
Sel portò Jane nella nostra camera per cercare di farla calmare, mentre noi ci sedemmo in salotto. Per i dieci minuti seguenti, nessuno dei ragazzi disse niente; il ticchettio dell'orologio stava diventando parecchio fastidioso. Poi, alla fine, ruppi il silenzio.
«Posso sapere cosa cazzo è successo?» domandai. «Qualcuno mi fa la cortesia di spiegarmi perché?»
«Volevano Selena,» mormorò Niall, tirando su con il naso.
Mi passai furiosamente una mano fra i capelli. «Chi? Chi voleva Sel?»
«James. Ha ordinato al gruppo di Al e Cheng di portarla da lui. Non ci hanno detto il perché,» continuò Liam. «Voi eravate usciti, non l'hanno trovata, e si sono arrabbiati. Dalia ha fatto resistenza e Cheng ha perso la calma».
«Perché cazzo James voleva Selena? Non ha fatto niente!» esclamai, iniziando a sentire una rabbia cieca salirmi per lo stomaco e scorrere nella mie vene. Eccola, stava arrivando pure l'adrenalina. Prima la paura nera, poi il panico grigio, la verità bianca, infine solo rabbia, e quest'ultima era rossa come il sangue. Badate bene, però: sangue fresco. Quello scarlatto, brillante, che compariva nell'arcobaleno. Il sangue che fuoriusciva dalle ferite, che irrorava la carne e gli organi. Non il sangue denso, scuro, dei tessuti morti, che puzzava. La rabbia era rossa come il sangue vivo.
«Non lo sappiamo, Harry,» ripeté Liam, sbuffando sonoramente. «Forse c'entra col lavoro-»
«Cazzate,» lo apostrofò Zayn. «Scommetto tutto il braccio che gli hanno raccontato di te e Selena, Harry».
Scossi la testa. «È impossibile,» dissi. «Lo sapevate solo voi».
«Beh, se prima non era a conoscenza della vostra relazione, lo sarà sicuramente ora,» mormorò ancora il moro, si strofinò il viso e «insomma, eravate fuori assieme, a San Valentino. L'avranno intuito».
«Cheng non è così intelligente,» dissentì Louis. «Ha il cervello piccolo, Zayn».
«C'era... c'era anche Daniel,» sussurrò Niall. «Lui ha chiesto di voi, Harry. Di lei. E poi Cheng ha sparato. E Daniel non è stupido come Cheng».
Non riuscii a rispondere. Avevo finito le parole. Daniel, ancora una volta: era forse colui che mi aveva ferito di più, e la notizia non era neanche così sorprendente. «Dio, se non avessi ascoltato quel Robbie e i suoi consigli del cazzo...» non m'ero reso conto di aver esposto a voce alta i miei pensieri – ma era vero: se non avessi confessato a Sel ciò che sentivo per lei, come m'aveva fatto promettere Robbie, ora Dalia sarebbe ancora viva. Senza contare quanto Selena stesse rischiando.
«Robbie?» chiese Louis, perplesso. «Cosa c'entra? Non è a New York?»
E stavolta, non riuscii a mentire. «No,» con quel filo di voce che mi rimaneva, dissi: «No, non è a New York. James ha fatto ammazzare pure lui. Robbie è morto».
«Cosa?»
Non fu Niall a rispondere, né Liam, né Zayn, né Louis. Era la voce di Selena ad essermi giunta alle orecchie, facendomi rizzare i peli sulla nuca e le braccia.
«Come sarebbe a dire che è morto, Harry?»
. . .
Selena
Si girò lentamente, verso di me, e lo vidi deglutire tutte le parole che avrebbe dovuto dirmi, che forse neanche volevo sentire. Robbie, morto?
«Harry!» esclamai, ancora. E ancora, i suoi occhi si inumidirono, un po' come sentivo i miei bruciare, in quel momento. «Perché non mi rispondi?»
Era come se non ci riuscisse – mi guardava dritta in faccia, e lo sentivo urlarmi che gli dispiaceva, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono. Alla fine, non riuscii a trattenermi: scoppiai a piangere, lì, in piedi, e dal canto suo, Harry si alzò e mi avvolse con le sue braccia e un po' pianse anche lui, silenziosamente, così che gli altri non lo sentissero – andava bene, piangere, ma avevamo entrambi pianto anche troppo, quel giorno.
«Voglio andare via da Smoke Town,» singhiozzai. «Voglio tornare a casa». Non sapevo neanche dove fosse, casa mia. Non sapevo neanche se ce l'avessi. Credevo l'avrei trovata qui, nell'albergo, ma la verità era che Smoke Town non poteva essere la casa di nessuno, se non di James. Prendeva il suo nome, la città, avrei dovuto immaginarlo: Smoke Town mi avrebbe portato via ogni cosa che ancora mi rimaneva, o che avevo ritrovato.
Casa mia, dove diamine era? A Portland? Non più. Chicago? Non più. Cleveland? Mai stata. E Smoke Town? Smoke Town non lo era per nessuno.
Poi pensai che casa potesse essere Harry, ma ancora pensai che una casa vera doveva avere fondamenta forti, per stare in piedi, e Harry era tutt'altro che forte. Io ero più forte di lui, in quel senso – lui si stava piegando così tanto che si sarebbe potuto spezzare al primo accenno di pioggia. E quindi, casa non esisteva, e io mi sentivo semplicemente persa, alla deriva di un mare oscuro. Il faro era spento. Forse era andato distrutto.
«Lo so, piccola,» tirò su col naso, lui.
«Andiamocene via, ti prego,» lo supplicai, stavolta. «Non voglio morire, non voglio che tu muoia, Harry». Bastava così poco per farci sparire. Ci saremmo trasformati in uno spiraglio di fumo e avremmo fatto la fine di Dalia e Robbie, e diamine se non ne ero terrorizzata.
«Lo so».
«Per favore, andiamocene via da Smoke Town,» continuai a ripeterlo, e lui continuava a dirmi che lo sapeva, che lo sapeva, e sì, lo sapeva, l'aveva sempre saputo, ma non si poteva, chiaramente. Le mie, erano solo preghiere al vento.
«Una volta entrati nella Città di Fumo,» la voce di Niall s'intrufolò fra i miei singhiozzi. «Non c'è modo di andarsene».
C'era un modo, invece, me l'aveva detto Smoke stesso. E lui associava quel modo con la morte, ma non era vero: forse, la morte non era la morte. Forse, la morte era qualcos'altro.
Così, mi staccai da Harry all'udire quella frase, scossi la testa e dissi: «No, Niall. C'è sempre un modo».
«E quale sarebbe?»
Non risposi; il punto era che non l'avevo ancora trovato.
«Quale sarebbe il modo, hmm?» insistette lui, alzandosi in piedi. «Dimmi, Selena. Qual è il modo?» stava alzando la voce.
«Non lo so,» sussurrai.
«Qual è il modo?» esclamò il biondo.
«Non lo so!» gli risposi a tono, scrollando il capo. «Non lo so, Niall, ma c'è! Deve esserci!»
«No che non c'è, okay?» disse lui. «Siamo tutti fottuti, e tu per prima, Selena. James ti tiene sott'occhio, ed è solo una questione di tempo-».
«Non sappiamo cosa James volesse esattamente da lei,» lo interruppe Louis. «Forse non c'entrava nulla con Harry».
«E non avrebbe senso per Smoke ferirla, quando la vuole nella società,» si intromise Liam, prendendo le sue difese.
«No,» rispose Harry, scuotendo la testa. «Smoke fa quello che gli pare, si prende ciò che vuole, quando vuole, come vuole. Che gli importa di lei, Liam? Lo sai benissimo anche tu com'è fatto».
Fu il mio turno di dissentire, quello. «Pensaci, però, Harry,» mormorai, andando a sedermi al tavolo. Accavallai le gambe, torturando nervosamente il mio labbro inferiore coi denti, e dissi: «Prima James ci invita alla sua festa, io e lui parliamo, mi offre il lavoro e menziona anche Robbie, poi io, te e Daniel andiamo a Baltimore, ed ecco che mio zio salta fuori dal nulla. Torniamo qui e Smoke lo usa come leva per fami firmare il contratto, per poi sbarazzarsi di lui».
«Se avesse voluto ucciderla non avrebbe speso tante energie per farla entrare nella società. Ha qualcosa in mente,» fece Louis, sostenendo la mia teoria. Gli sorrisi debolmente, e lui ricambiò il gesto con uno sguardo fraterno, che ancora non m'ero abituata a vedergli addosso, rivolto a me.
«Questa storia puzza di fumo,» borbottò Zayn. «Non mi piace per niente».
A nessuno piaceva, in realtà, ma cosa potevamo farci? Smoke aveva il coltello dalla parte del manico, la questione era semplice. Noi, dal canto nostro, non stavamo bene: avevamo perso Dalia e Robbie, e nonostante la mancanza di quest'ultimo non mi pesasse tanto, era comunque una notizia da digerire, che mi dava del filo da torcere. Parecchio filo da torcere. Tutto era stato vano, e mi sentivo inutile e fuori posto. Harry mi aveva mentito, ma non avevo neanche la forza mentale di arrabbiarmi o di affrontare l'argomento; lo lasciai scivolare lungo la mia pelle, lo lasciai andare. Robbie era morto, avevo firmato il contratto inutilmente, stavo rischiando la vita tutti i giorni, e dovevo solo farmene una ragione.
«Sentite, non stiamo pensando lucidamente,» fece Liam. «Io direi di andare a dormire e parlarne domani. Tutti quanti insieme».
Uno ad uno, annuimmo, che Liam aveva ragione, e ancora uno ad uno tornammo nelle nostre stanze. Quando mi coricai, abbracciata a Harry, provai a pensare a possibili soluzioni al nostro problema, per tenere la testa lontana dal viso pallido di Dalia, che non faceva altro che farmi salire la bile alla bocca. Percepii il petto del ragazzo alzarsi e poi riabbassarsi in contemporanea al pesante sospiro che emise, e poi «avrei dovuto dirtelo,» sussurrò, al buio.
Smisi di pensare. «Tanto non sarebbe cambiato niente».
«Almeno sarebbe stata la verità,» replicò. «Odio mentirti, Selena».
«Avrei dovuto capirlo da sola, la fine che avrebbe fatto Robbie, quando mi hai detto che Smoke gli aveva concesso la libertà. Libertà è morte, secondo lui».
«Mi dispiace,» le labbra di Harry si posarono fra i miei capelli, dove vi lasciarono un mezzo bacio. «Niente più segreti, okay? Neanche se servono per proteggerci a vicenda. Tanto non funziona».
«Okay,» mentii. «Niente più segreti o bugie».
«Ho paura per te,» la sincerità trapelava dalla sua voce.
Deglutii. «Anche io. Per me stessa. E per te».
«Te lo giuro, Tigre. È colpa mia se sei qui. Sono stato io ad offrirti un passaggio, quel giorno, a Cleveland, e sono io ad essere responsabile per te. Mi crederesti se ti dicessi che farò il possibile perché non ti accada nulla di male?»
Gli dissi che gli credevo e lui mi rispose che mi avrebbe protetta, che non mi sarebbe accaduto nulla, ma in fondo sapevo che, pure questa, era una bugia.
. . . . . . .
Hey! Come va?
Scusate il mega ritardo con l'aggiornamento ma wattpad sta veramente funzionando male e non volevo toccare i capitoli per paura venissero cancellati dal server ahaha
Scusate eventuali errori ma non l'ho neanche riletto, se ne trovate, fatemeli notare così li correggo.
(mancano 3 capitoli alla fine della 1ª parte di ST, al grande colpo di scena, quindi ANSIA).
Volevo solo ricordarvi che potete seguire la playlist su Spotify di questa storia, contenente tutti i brani citati e quelli che mi hanno ispirata/aiutata durante la stesura (la playlist si chiama Smoke Town), e se vi va, pure la pagina Instagram, in cui posto citazioni, foto, approfondimenti, curiosità, news, anticipazioni e quant'altro (la pagina si chiama anxieteve).
Inoltre, ci terrei molto se passaste a dare un'occhiata alla mia raccolta di OS, "Il mondo è un bicchiere di vodka e io ci affogo dentro", che ho recentemente pubblicato (scriverò principalmente di sesso, alcol, viaggi on the road, morte, rock, il mio amore Bukowski, arte, cose anni '80 e quant'altro, tutto in modo piuttosto ironico ahaha) e magari di lasciare un parere a riguardo.
Grazie mille a tutte, buona giornata!
Lottie x
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