30. Incomprensioni, presentazioni e mancate ribellioni
So I'll start a revolution from my bed
Cause you said the brains I had went to my head
Step outside, summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace
Take that look from off your face
You ain't ever gonna burn my heart out.
Sentivo la musica degli Oasis provenire dalla stanza di Zayn, occupata ora da Robbie. La doccia me l'ero fatta, alla fine, e avevo consumato tutta l'acqua calda - giusto il tempo di lavare via il bianco latte, proveniente dal mio corpo, che era schizzato anche sulla tendina, strofinarmi la pelle della schiena, insaponarmi i capelli, ed era terminata. Maledetta caldaia. Mi vestii in camera mia, poi andai ad aprire la porta Robbie, trattato quasi come un cane, e lo trovai lì che ascoltava i miei vecchi vinili col giradischi poggiato sul comodino.
«Dove cazzo l'hai preso, quello?»
«Me l'ha dato il ragazzo che dormiva qua,» rispose lui, calmo. «Com'è che si chiamava?»
«Zayn».
«Zayn, ecco. Mi ha detto che potevo ascoltare musica».
And so, Sally can wait
She knows it's too late as we're walking on by
Her soul slides away
But don't look back in anger
I heard you say.
«Alzati,» borbottai.
«No, grazie».
«Robbie,» feci un passo verso di lui. «Non devi andare in bagno? Fare colazione?»
«Sono a posto così».
«Senti,» uno sbuffo mi uscì dalle labbra. «Non posso farci niente. Non sono dalla parte di Smoke, giusto per mettere i puntini sulle i, ma io alla mia pellaccia ci tengo. E anche a quella degli altri, in questo albergo. Non so se mi spiego».
Robbie, ancora sdraiato a letto, girò la testa nella mia direzione. «Credi io ce l'abbia con te perché permetterai a James Smoke di ammazzarmi?»
«Sì, lo credo».
«Ti sbagli,» e si girò dall'altra parte. «Di' a Selena che la ami, per Dio. Il suo amore vale più di tutti i soldi che uno potrebbe mai volere. Non commettere il mio sbaglio, Harry».
Contrassi la mascella, mi voltai e me ne andai sbattendo la porta. Fanculo.
In salotto, Zayn, Liam e Niall erano spariti, usciti a lavorare. Solo Selena era seduta al tavolo, con la testa fra le mani, ancora vestita come la sera prima, i capelli sciolti tutti in disordine.
«Buongiorno,» mormorai, facendo il giro del tavolo per prendere i miei cereali. Non mi rispose.
«Buongiorno, Selena,» ripetei, più marcato, enfatizzando le parole.
«Buongiorno,» disse.
«Postumi?»
«Già,» bofonchiò.
«Mal di testa?»
«Già».
«Mi dispiace,» mormorai, sedendomi di fronte a lei.
Solo allora alzò il viso e mi guardò negli occhi. «Per cosa?»
«Per averti portata a bere, per non averti dato un limite».
«Non fa niente, tanto esco anche dopo».
Quasi mi andarono di traverso i cereali e il latte. «Perché? Con chi?»
«Cosa te ne frega?» scattò. «Non posso neanche andare al bagno senza fartelo sapere?»
«Sta calma, era solo una domanda,» alzai gli occhi al cielo. «E poi è casa mia, se vuoi uscire devi chiedermi il permesso, dirmi con chi vai e per che ora sarai di ritorno».
«Cosa sei, mio padre?» sibilò.
«Certo che no, lui è morto». Lo dissi senza pensare, e un lampo di dolore rabbioso e folle le attraversò gli occhi grigi, scurendoli quasi di due tonalità. O forse era stata una mia impressione? «Cazzo, scusami-» provai a rimediare al mio errore non appena mi resi conto di ciò che avevo detto, ma non riuscii a finire la frase: la sua mano scattò più veloce delle mie parole, rovesciando la mia ciotola di latte e cereali addosso a me e sul pavimento.
«Non osare mai più, mai più,» mormorò. «Esco con Elle a fare colazione, e tornerò quando la smetterai di essere un totale coglione, papà».
«Sel...»
«Selena,» mi corresse. «Smettiamola con questo stupido giochino, Harry».
«Posso sapere che cazzo ti prende?» sbottai, alzandomi in piedi. I fiocchi di mais scricchiolarono sotto ai miei scarponcini, l'umidità del latte che mi bagnava la pelle delle gambe.
«Ah, cosa prende a me?» rise lei. «Ma vaffanculo». La ragazza andò verso la porta,
«Dove diamine credi di andare?» la bloccai sulla soglia, la sua schiena contro la porta e la mia mano al lato destro della sua testa.
«A fare colazione con Elle, te l'ho appena detto,» abbassò la voce ad un sussurro, non osando guardarmi negli occhi.
«Perché non la fai con me, la colazione?»
Scrollò le spalle.
«Selena,» sospirai. «Scusa se ho detto quella cosa su tuo padre. Non volevo».
«Lo so,» rispose, alzando piano gli occhi. Non resistetti, e feci un mezzo passo verso di lei, sfiorando il mio naso col suo.
«E allora, cosa ti prende? Perché ce l'hai con me?»
«Non ce l'ho affatto con te,» disse, voltando la testa verso sinistra - era palese che stava mentendo.
«Invece sì. Mi avresti già lasciato baciarti, se non ce l'avessi con me».
«Senti, Harry,» sbuffò. «Che senso ha baciarmi, se per te siamo solo amici? Se non ti piaccio per niente in quel senso?»
Oh, merda.
«Sì, ti ho sentito, stamattina, mentre ne parlavi agli altri,» confermò i miei dubbi. «E anche io penso di te tutte le cose che hai detto, che siamo amici e che ci fidiamo l'uno dell'altra e che ci vogliamo bene, ma che senso ha baciarci, dunque?»
Feci cadere il braccio. Già, che senso aveva, baciarla? «Sel-»
«A meno che non stavi mentendo,» continuò lei. «Stavi mentendo, Harry?»
Deglutii. «Sel-» provai, ancora.
«Rispondi alla domanda».
Il bello, però, era che non lo sapevo neanche io. Lei era quella con le spalle contro la porta, ma pure io ero stato messo all'angolo. Cosa dirle? Cosa fare? Mi sentivo come un agnello in trappola, ero un agnello in trappola, braccato da una tigre famelica. Io cosa provavo, per quella Tigre? Rispetto, amicizia, fiducia, paura, affetto... ma amore? Non lo sapevo.
Un forte colpo di tosse, dietro di noi, mi salvò dalle fauci della belva. «Interrompo qualcosa?» domandò Robbie.
Mi allontanai da Selena facendo un balzo indietro. «No,» risposi. «Stavamo giusto andando a fare colazione, noi due».
«Davvero?» Sel corrugò le sopracciglia.
«Sì, davvero,» replicai, lanciandole uno sguardo d'ammonimento. «Tu resti qui, Robbie. Prova a fare qualche cazzata e lo verrò a sapere».
«Portami una brioche al cioccolato, ragazzo,» bofonchiò lui, stendendosi sul divano. «E qualcosa contro il vomito».
«Non ci sono panetterie,» dissi. «E i prodotti farmaceutici costano più dell'oro».
«Non ci sono panetterie?» si lamentò, ancora. «Impossibile».
«Benvenuto a Smoke Town,» feci spallucce. «Andiamo, Sel». M'infilai il giubbotto, le scarpe e recuperai la pistola, aprendo poi la porta e lasciando passare la ragazza. Solo la sera prima, lì fuori, l'avevo stretta a me per darle un minimo di conforto e di speranza. Ora, non riusciva neanche a guardarmi in faccia.
«Ti conviene chiudere a chiave, se non vuoi che se la svigni,» disse Selena, indicando il mazzo che tenevo in mano. «E non devi venire con me. Elle non ti ha invitato».
«Lascia che ti accompagni, per lo meno,» roteai gli occhi, infilando la chiave nella serratura e intrappolando Robbie all'interno. «Sarei più tranquillo».
«Ci incontriamo a The Old Bug, la conosco la strada».
«Ah sì?»
«Ci siamo stati ieri sera».
«E cosa ti ricordi di ieri sera, Sel?»
Iniziammo a scendere le scale. «Non molto. Dave continuava a darmi da bere. E ho vinto una ventina di arachidi giocando a cart-»
«Parlo di quando siamo tornati a casa,» mormorai. «Cosa ti ricordi di quando siamo tornati a casa?»
Fece una pausa, per una decina di secondi rimase in silenzio. Poi disse: «Non ti ho vomitato addosso, vero?»
«Peggio».
«Peggio del vomito?» ridacchiò. «Ne sei sicuro?»
«Sai essere molto seducente, da ubriaca, lo ammetto,» mormorai.
«Cazzo!» esclamò, fermandosi nel bel mezzo del cortile. «Cos'ho fatto?»
«Nulla, niente di ché. Saresti brava come spogliarellista... menomale che ti ho fermata, altrimenti-»
«E ti credo, anche,» scosse la testa, riprendendo a camminare, sempre sorridendo leggermente. «Smoke ha ragione, non sai mentire. Sii più credibile, Harry».
Il mio, di sorriso, scomparve. «Devi sempre tirare in mezzo James Smoke?»
«Sì, devo,» tagliò corto, ma decisi di non ribattere. Non volevo discutere ancora con lei.
Camminammo in silenzio ancora una quindicina di minuti, prima di raggiungere The Old Bug. Elle si fece subito notare: la stava aspettando all'entrata del locale, bella e splendente e pulita come al solito. Selena ed io non c'eravamo neanche cambiati. I capelli neri di lei erano un disastro, i miei jeans erano sporchi di latte. Sì, per certi versi ci assomigliavamo, noi due.
«Selena!» esclamò Elle, baciandola sulle guance. «Tutto okay? Com'è andata a Baltimore? E cosa diamine hai fatto alla tempia, oh Signore!»
«Tutto okay, è andata bene, storia lunga,» replicò Sel. «Tu invece?»
«Devo raccontarti qualche gossip di elevata importanza-» si bloccò quando si rese conto che c'ero anche io. «Harry. Ciao».
«Vi spiace se mi unisco a voi? Non ho voglia di tornare a casa, e ho piuttosto fame,» sorrisi a trentadue denti.
«Sì, ci spiace,» borbottò Sel, nello stesso istante in cui «certo che non ci dispiace,» disse Elle. Le due si guardarono, poi Selena sbuffò: «Fa' come vuoi, Harry».
«Perfetto, allora,» aprii la porta del locale dall'insegna scolorita, lasciandole passare. Non c'era molta gente, non era nemmeno mezzogiorno. Ci guardammo attorno finché Elle non puntò un tavolo già occupato da due ragazzi. «Eccoli, sono lì».
«Sono lì chi?» domandammo Selena ed io, all'unisono.
«Nate e suo fratello,» replicò lei. «Te ne avevo parlato, Selena, ricordi?»
«Sì, ricordo, ma-»
«Ciao, ragazzi!» Elle subito stampò un bacio sulle labbra di uno, quello che sembrava il più grande. Aveva i capelli castano dorato, tirati all'insù, la carnagione chiara. Carino, nulla di ché. Un sempliciotto. «Selena, lui è Nate, il mio ragazzo. Nate, lei è Selena».
Ecco le presentazioni. Perfetto.
Selena e Nate si strinsero la mano.
«Lui è Seth, suo fratello,» ed Elle direzionò lo sguardo sul secondo ragazzo, che era molto più giovane, con i lineamenti del viso meno squadrati. Capelli biondo cenere, occhi azzurri. Faccia da ebete, che emanava stupidità da tutti i pori. E il suo naso aveva la gobba. Non mi piaceva proprio per niente.
Seth si alzò. «È un piacere conoscerti, Selena,» le baciò il dorso della mano. Ma chi cazzo credeva di essere? Il re di Francia? Poi pensai che la Francia non aveva più un re. Probabilmente, Seth credeva d'essere il Papa - lui baciava la gente per benedirla, giusto? In ogni caso, Seth mi faceva girare i coglioni.
«Nate, Seth, lui è Harry,» finalmente, Elle presentò anche me.
«Sì, Harry Smoke. Lo sappiamo,» Seth mi sorrise e io resistetti alla voglia di sbattergli quel muso da cavallo contro il tavolo.
«Styles,» lo corressi.
«Come?»
Contrassi la mascella e strinsi i pungi. «Harry Styles. Non Smoke».
«Oh,» rispose. «Fico».
Fico? «Cosa sarebbe fico, scusa?»
Seth corrugò le sopracciglia. «Fico che non usi il cognome di James Smoke».
«Cosa ci sarebbe di fico nel non usare il cognome dell'uomo che ha ammazzato la tua famiglia?» proseguii. «Non è una cosa semplicemente normale da fare? O trovi fico anche il fatto di avere un buco del culo, che è una cosa altrettanto normale? Sai, tutti hanno un buco del culo. Io, te, James Smoke, il re di Francia, il Papa... tutti. Quindi, cosa ci trovi di fico nel non usare il cognome della persona che ha ammazzato la tua famiglia, hmm?»
Tutti e tre avevano gli occhi spalancati, tranne Selena, che sentii sopprimere una risatina.
«Okay...» divagò Seth, distogliendo lo sguardo da me, tornando a sedersi. «La Francia non ha un re. È una repubblica».
«Quindi stai dicendo che se anche avesse un re, lui non avrebbe un buco del culo?»
«No-»
«Allora che problemi ti fai?» domandai, sedendomi a mia volta. «Prendi la vita con un po' di serietà e trovati un lavoro per bene».
«Lavoro già».
«Ah sì?» alzai un sopracciglio. Mi veniva da ridere.
«Sì. Aggiusto automobili, e di sabato consegno pizze in centro».
«Sei un ragazzo-tuttofare, quindi,» dedussi. «E quante auto hai aggiustato, finora? Una? Mezza?»
«Ora basta, Harry,» Selena tossì, facendomi distogliere lo sguardo da Seth. Prese posto difronte a lui, accanto ad Elle. Io ero a capotavola.
«Tranquilla,» Seth le sorrise. «È bello quando le persone si interessano al mio lavoro».
Lavoro. Certo.
«Harry ha dei modi particolari di interessarsi alle cose,» aggiunse lei. «Può sembrare brusco, ma in realtà è solo curioso».
Sbuffai. «Ho fame».
«Anche io,» annuì Nate, proprio quando Dave arrivò a prendere gli ordini.
«Ancora qua, voi due?» disse, rivolto a Sel e a me.
«Siamo irreparabilmente attratti da questo posto,» rise lei. «Dovresti esserne felice».
«Lo sono, lo sono,» Dave le diede un paio di pacche sulla spalla. «Allora, cosa vi porto? Colazione?»
«Colazione, assolutamente sì,» annuì Elle.
«Abbiamo tartine alla marmellata, tartine al burro di arachidi, o tartine alla marmellata e burro di arachidi,» fece lui.
«Scelta difficile,» bofonchiò Nate, con un mezzo sorriso. «Vada per la prima che hai detto, per me».
«La seconda,» aggiunse Faccia-da-Cavallo.
«Uguale a lui,» si aggregò Elle, indicando Faccia-da-Cavallo.
«La terza per me,» ancora una volta, Selena ed io parlammo all'unisono. Stava diventando un'abitudine.
Dave annotò tutto. «Perfetto... da bere?»
«I cappuccini li fate?» domandò Selena.
«Non ti converrebbe prendere nulla col latte, a meno che non vuoi beccarti un'intossicazione alimentare,» rispose Dave. «Io ti consiglio un buon bicchiere d'acqua naturale, temperatura ambiente, un tè caldo al limone, oppure un Bloody Mary per aiutarti con la sbornia di ieri sera... eri proprio finita, povera. Devi avere un mal di testa, ora, che metà basta».
«Un tè caldo andrà più che bene, grazie».
«Anche per me,» dissi.
«Per noi due invece un Jack Daniel's,» ordinarono Nate ed Elle.
«Io prendo un bicchiere di Whisky con acqua,» finì Faccia-da-Cavallo.
«Sicuro che hai l'età per bere, Sammy?» gli feci, una volta che Dave se ne fu andato.
«Seth,» mi corresse. «E sì, sono sicuro,» annuì poi. «Ma grazie della preoccupazione».
«Figurati,» sghignazzai. Quanto mi stavano sulle palle, lui e la sua faccia da cavallo.
«Allora, Selena,» Seth rivolse la sua attenzione a lei. «Da quanto tempo sei in città?»
«Due mesi, più o meno,» rispose.
«Hai parenti che vivono qui?»
Selena tossicchiò. «No... sto da Harry».
Faccia-da-Cavallo spostò gli occhi su di me. «Siete tipo... fidanzati?»
«Può darsi,» replicai. «Non credo siano affari tuoi, in ogni caso».
«Non siamo fidanzati,» Selena mi lanciò un'occhiataccia. «Siamo coinquilini. A volte siamo amici, a volte no».
Il muso del ragazzo-tuttofare si illuminò di poco. «Fico,» disse. «L'amicizia è una cosa molto importante».
A stento riuscii a non alzarmi e andarmene. O a tirargli un pugno sul naso. Magari glielo avrei pure sistemato. Sel era mia. Punto e basta. Amici o coinquilini o qualsiasi cosa eravamo, era comunque mia.
Stupido ragazzo-tuttofare-faccia-da-cavallo.
L'aria era così densa di tensione che si poteva tagliare con un coltello. Seth ed io guardavamo Selena, Selena si guardava le mani, Elle guardava Seth e Nate guardava lei. Fortunatamente, Dave salvò la situazione, arrivando con le nostre ordinazioni.
Addentai la mia tartina per sbollire la rabbia. Ero incazzato nero.
«Ma quindi,» fu Nate a rivolgersi a Selena, questa volta. «Tu vivi anche con il cugino di Elle e la sua compagnia... giusto?»
«Giusto».
«Fico,» s'intromise l'altro.
Stavo per aggiungere un commento sarcastico riguardo a quel fico che Seth si ostinava a ripetere, quando venni interrotto dallo sbattere della porta d'entrata del locale.
Tre uomini della polizia di James si avviarono a grandi passi verso il bancone. Dave, vedendoli, impallidì e fece cadere a terra il bicchiere di vetro che stava pulendo, che si frantumò in mille pezzi.
«David Wilson?» domandò quello al centro. La sua voce era grave e minacciosa, così come il suo modo di camminare e di digrignare i denti. Un accento americano Texano, che davvero dava sui nervi, mescolato alla cadenza tipica Coreana. Cheng, chi altri poteva essere? Quanto lo odiavo.
«Sono io,» balbettò Dave. «Qualche problema?»
«Questo devi dirmelo tu, signor Non-Pago-le-Tasse-Credendo-di-Farla-Franca». E gli assestò un pugno dritto sullo zigomo, che lo fece cadere indietro. Non era finita qui, però: Dave venne fatto rialzare, e Cheng prese a trascinarlo verso l'uscita del locale, non prima di aver rotto una decina di bicchieri e bottiglie di whisky, perfettamente allineate dietro il bancone.
Gli altri due, che riconobbi come Al e Marcus, si accorsero di noi. «Bene, bene, bene. Harry Styles e la sua amichetta Selena Parker,» fece quest'ultimo. A pensarci bene, il naso di Seth non era brutto come quello di Marcus, che avevo spaccato alla Torre. «Che meravigliosa sorpresa».
«Marcus!» dall'esterno si udì la voce di Cheng. «Non startene lì a cincischiare!»
Marcus mi fulminò con lo sguardo. «Sarà per un'altra volta, questa chiacchierata, Styles. Ho del lavoro da sbrigare». Lui e Al si voltarono, e a grandi passi raggiunsero l'uscio.
Non appena furono fuori dalla nostra visuale, Sel scattò in piedi. «Dobbiamo fare qualcosa, dannazione-»
La fermai prima che compisse qualcuna delle sue solite pazzie, afferrando il suo avambraccio. «Stai qua. Stiamo qua tutti».
«Ma Dave-»
«Dave se la caverà,» dissi.
«Lo ammazzeranno».
«Ne dubito. È l'unico pub che c'è nella zona, a loro serve, Dave,» spiegai. «Non lo ammazzeranno».
«Non possiamo stare qui con le mani in mano, Harry».
«E cosa vorresti fare, hm?» stavo iniziando a perdere la pazienza. Era troppo ostinata, troppo cocciuta: sarebbe stata lei a finire ammazzata. Altro che Dave.
Prima che potessi anche solo rendermene conto, Selena mi aveva sfilato la pistola dalla cintura del jeans, in una mossa fulminea e precisa. Mi conosceva così bene che sapeva il punto esatto in cui la tenevo. O forse l'aveva intravista attraverso il tessuto della maglia? Sta di fatto che corse verso l'uscita con la mia pistola al seguito, carica, letale.
Mi si fermò il cuore nel petto.
. . .
Selena
«Posso almeno sapere cos'ho fatto?» biascicò Dave, prima di ricevere un calcio nello stomaco che lo fece piegare in due sulla strada. Le persone che passavano facevano finta di niente, come se non vedessero il dolore che gli stavano procurando, nessuno si fermava ad aiutarlo per non pagare al suo posto.
Mi fermai a pochi metri di diatanza, valutando le intenzioni dei tre vestiti di nero. Per quanto ancora avrebbero continuato? Harry mi raggiunse, fermandosi al mio fianco: percepii la sua mano vicino la mia, poi la strinse, bloccando anche la pistola.
Dave ricevette un ennesimo calcio: stavolta, al contrario, non riuscì ad alzarsi.
«Cheng!» chiamò Harry, catturando l'attenzione dei tre uomini. «Basta così».
Quello che doveva essere Cheng fece due passi verso di noi, lasciando agli altri il barista semi cosciente, che aveva il viso insanguinato e probabilmente rotto.
«Styles. Che vuoi?» aveva un accento orientale, così come i suoi lineamenti facciali, gli occhi a mandorla e i capelli neri come la pece. La corporatura muscolosa, da palestrato. Camminava come uno scimmiotto, con le gambe e le braccia leggermente divaricate. Non sapevo se ridere o se essere terrorizzata di lui.
«Basta così,» ribadì Harry.
«Ha infranto la legge numero ventiquattro. Questa è la punizione».
Notai i passanti iniziare ad incuriosirsi e a lanciarci delle occhiate interrogative, ma nessuno aveva abbastanza coraggio da fermarsi e contrastare la volontà di Smoke.
«La legge numero ventiquattro?» domandai. «Cos'è?»
Harry si posizionò davanti a me nell'istante in cui gli occhi di Cheng mi inquadrarono.
«Sai, stupida ragazzina, che c'è una punizione anche per chi non conosce le leggi?» disse, la sua voce così gelida che mi sembrò di sentire l'aria diventare più fredda. «Eppure mi dispiacerebbe rovinarti quel bel faccino che ti ritrovi».
La schiena di Harry era un fascio di nervi tesi al massimo, come l'elastico di una fionda carica. Potevi tirare fino ad un certo punto, ma prima o poi avresti dovuto lasciarla andare, o si sarebbe spezzata in due.
«Se conosci le leggi, saprai dell'eccezione al punto ventiquattro,» si intromise, con mia grande sorpresa, Seth, mascherando il lieve balbettio della sua voce. «Di cosa lo state accusando, precisamente?»
Cheng lo squadrò dall'alto in basso con un'espressione stizzita e arrabbiata dipinta in volto. «Non ha versato tutti i contributi, questo mese. Solo il dieci per cento».
Dave, a terra, provò a rialzarsi. «Non ne ho abbastanza...» tossì e sputò del sangue a terra. «... per viverci. Non ci arrivo a fine mese se Smoke tassa così il mio locale».
«Zitto,» la guardia più vicina, che riconobbi come Marcus, lo colpì di nuovo. Fui tentata di andare da lui per soccorrerlo, ma Harry afferrò il mio polso, tenendomi ferma dietro di lui, come se avesse previsto le mie mosse.
«Non ha versato tutti i contributi, vuol dire che per una parte l'ha fatto,» il riccio continuò il discorso che Seth aveva iniziato, stringendo la mia mano così forte da farmi male. «E l'eccezione alla regola numero ventiquattro dice chiaramente che, se una parte è stata versata, non si uccide. Quindi, ripeto, basta così».
Cheng aprì la bocca per ribattere, anche se la richiuse subito dopo. Era a disagio, sapeva che avrebbe perso. «In ogni caso, con lui non abbiamo finito,» borbottò, e indicò il barista, che subì un'altra scarpata nell'addome. Avrei giurato di aver sentito anche il rompersi di una costola.
«Non mi avete sentito?» Harry si avvicinò a loro. «Basta. Avete fatto tutto, qui».
«Non proprio. Anche lei ha infranto la legge,» Cheng mi guardò con un sorriso beffardo formatosi sulle sue labbra carnose. Rabbrividii.
Il ragazzo tornò vicino a me, un basso e roco ringhio rimbombava nella sua gabbia toracica. «Prova solo a sfiorarla, Cheng, e ti spezzo tutte quelle cazzo di ossa che hai nel tuo cazzo di corpo».
«Non mi fai paura, Styles. Sto solo eseguendo gli ordini di Smoke,» il tono provocatorio dell'uomo orientale non faceva altro che incrementare la rabbia di Harry.
«A Smoke ci penso io,» rispose. «Andate via».
Staccai lo sguardo da Cheng per vedere una folla di persone accerchiate attorno a noi; si tenevano a debita distanza, ma potevo percepire la loro curiosità e un fremito di coraggio in più ad attraversarli. La tensione era palpabile, l'adrenalina pure. L'aria era così densa che faticavo a respirare.
Passarono alcuni attimi di silenzio tombale, nessuno parlava. Harry guardava Cheng e Cheng guardava Harry, entrambi non osavano distogliere lo sguardo l'uno dall'altro.
L'orientale mi indicò con un cenno. «Non ce ne andremo fino a quando lei non avrà imparato a non scordarsi delle leggi. Una o due bastonate dovrebbero rinfrescarle la memoria».
«Perfetto,» rispose Harry, facendo un passo avanti. «Pago io al suo posto».
«Assolutamente no!» esclamai.
«Seth...» Harry si girò verso di lui, ignorandomi, e subito sentii le braccia del biondo afferrarmi e tirarmi indietro di qualche passo, allontanandomi dalla scena.
«Non è giusto!» cercai di divincolarmi dalla presa di Seth, ma era più forte di quanto credessi: stringeva i miei polsi così tanto da farli formicolare, e aveva avuto la testa di far ruotare il mio gomito destro, dietro la schiena, tenendolo bloccato ad angolo retto. Faceva male davvero, quando provavo a liberarmi. «È colpa mia, non sua!»
Nessuno di loro mi ascoltò. Cheng si avvicinò ad Harry e gli girò attorno un paio di volte, come un leone che cerca il punto vulnerabile della preda. Nessuno osava anche solo fiatare; solo il mio cuore faceva rumore. E Cheng continuava ad orbitare lentamente intorno a lui, che vedevo più teso che mai.
Poi, venne colpito col bastone del coreano, dritto in mezzo alle scapole. Soffocai un grido strozzato, sentendo le mani di Seth serrarsi ancora di più, forse per paura che sarei corsa a mettermi in mezzo. Non aveva tutti i torti.
Harry strinse i denti quando la seconda manganellata venne a contatto con la sua schiena. L'uomo però non sembrava soddisfatto del risultato ottenuto, e decise di cambiare metodo, puntando al suo stomaco con il pugno chiuso, poi un altro e un altro ancora.
«Basta!» dovetti ricorrere alla voce. «Per favore, fermati!»
«Solo quando me lo chiederà lui,» mi rispose Cheng. «Vuoi che smetta, Styles?» gli prese una ciocca di capelli, strattonandola in modo da guardarlo negli occhi, alzando il viso del riccio al suo livello.
Harry, come da prassi, non disse niente. C'era da aspettarselo, conoscendolo: di certo non voleva cedere e mostrarsi debole davanti a tutti. Sarebbe morto, piuttosto. Il suo orgoglio sarebbe stato la sua condanna.
«Come desideri,» Cheng lo colpì al viso, facendolo cadere a terra, nello sporco della strada.
«Harry! Diglielo!» urlai, stavolta. Sentivo di essere sull'orlo delle lacrime, metà dettate dalla frustrazione, dal mio essere inutile alla situazione, e l'altra metà causate da quello che stavo vedendo. Era insopportabile. Avrei preferito di gran lunga che Harry mi avesse puntato una pistola alla testa, piuttosto che subirmi quel supplizio - perché lui, al dolore fisico, era abituato. A me faceva male anche solo vederlo stare male.
Riuscì a rispondermi prima di ricevere un altro pugno che lo fece piegare in due. «No,» disse, solo. Si rialzò.
Sentii le lacrime iniziare a rigarmi le guance, la visione offuscarsi leggermente. Non sarebbe più finita.
«Cheng! Ti prego! È colpa mia!»
Il ragazzo che amavo venne colpito ancora e ancora, ripetutamente e senza sosta; non stava neanche provando ad opporre resistenza. Aveva pure la pistola che s'era ripreso, lì nei pantaloni. Doveva solo prenderla! Ma invece no, lui subiva e basta, assorbiva i colpi come una spugna, e come una spugna, perdeva sangue. Forse anche lacrime.
«Lasciami,» ringhiai, rivolta a Seth. «Subito!»
«Non posso».
Trattenni un grido di frustrazione e provai a liberarmi dalla sua stretta, ma quando Harry cadde a terra, scoppiai in lacrime di nuovo. Cheng continuò a riempirlo di calci nell'addome e nella schiena, e ogni volta che i suoi pesanti scarponi entravano in collisione con il suo corpo, mi sentivo sprofondare sempre di più. Era colpa mia: saperlo, faceva un male cane.
«Harry! Ti prego! Diglielo!»
Le persone ora erano una folla numerosa attorno a noi, ma nessuno andava ad aiutare il mio Harry, nessuno che provava ad opporsi. Restavano lì impalati, a guardare Cheng ferirlo, senza fare niente, come se i loro piedi fossero ancorati alla strada. E forse era così, forse le persone erano diventate parte di Smoke Town, ora, e non c'era niente da fare per cambiare quella realtà. Neanche picchiare Harry sarebbe servito a smuoverle.
Stavo già considerando l'opzione della morte. Harry sarebbe morto. Uno di quei calci gli avrebbe rotto la spina dorsale, o gli avrebbe procurato un trauma cranico, o rovinato gli organi interni. Avevo visto i loro scarponi, li avevo osservati da vicino, quella volta che Niall aveva pestato una cacca di cane e glieli avevo puliti. Neri, pesanti, in pelle dura ma flessibile. La punta dello stivale era rinforzata con del ferro.
Harry sarebbe morto.
Proprio quando smisi di divincolarmi, ché mi ero ormai rassegnata, «penso possa bastare,» mormorò Marcus a Cheng.
Il coreano si fermò di colpo, abbassandosi al livello di Harry e alzandolo di nuovo per i capelli. «Vuoi che smetta, adesso?» ghignò, con un tono divertito. «O continuo finché non svieni?»
Harry non riusciva neanche a tenere gli occhi aperti. Era sfinito. Quasi morto - vedevo che respirava - inerme, indifeso e muto.
Credevo che il supplizio infernale sarebbe ricominciato dall'inizio, e solo l'idea mi fece venire voglia di rimettere le tartine alla marmellata e burro di arachidi, amalgamate al tè e all'acido del mio stomaco. Se non fosse finita, avrei davvero vomitato. Me l'ero risparmiato la sera prima, solo per buttar fuori tutto ora? Avrei dato oro per aver vomitato ieri.
Credevo che il supplizio infernale sarebbe ricominciato dall'inizio, ma mi sbagliavo: Daniel, seguito da Louis, entrò nel mio campo visivo. Era un miraggio, una visione paradisiaca. Come quando Noè avvistò la terraferma. Mi sentii rinascere.
«Cosa succede?» domandò Daniel. Louis si precipitò da Harry non appena i suoi occhi azzurri si focalizzarono su di lui, spostando Cheng con una spallata, e Seth diminuì la presa sul mio corpo, così che riuscii a liberarmi con un semplice strattone, andando a mia volta ad aiutare Louis. Con la coda dell'occhio, notai Elle e Nate andare da Dave, anche lui messo piuttosto male, dandogli una mano per rialzarsi e tornare all'interno del pub.
«Cheng. Cosa diamine è successo?» insistette Daniel.
«Hanno infranto la legge,» spiegò.
«Quale?»
«Lei la prima, ma Styles ha deciso di subirsi la punizione al suo posto».
Daniel fece qualche passo verso me e Louis, che avevamo sollevato un Harry semi cosciente da terra.
«È mezzo morto. Non è questa la punizione alla prima legge,» osservò Daniel. «Tre bastonate al massimo. Posso sapere perché cazzo hai quasi ucciso il nipote del tuo capo?»
Cheng pareva aver perso la lingua, tanto che non rispose né cercò di giustificarsi. Sapeva di non poter contraddire Daniel. Poi, quest'ultimo sbuffò sonoramente. «Andate via, tutti quanti!» esclamò. «Lo spettacolo è finito,» e sparò un colpo di proiettile diretto al cielo, spaventando la gente e facendola disperdere.
«Andiamo. Ce la fate a portarlo fino alla tua macchina, Louis?» ci chiese poi Daniel.
Annuimmo all'unisono. Ero già senza fiato a causa del peso morto di Harry, semi cosciente - cosciente abbastanza da far ciondolare la testa sulle spalle.
«Vengo anch'io,» si offrì Seth, affiancandoci.
«No. Aiuta Elle con Dave,» ordinai, ansimando. Quanto distante era la dannatissima auto?
Dopo un secondo di esitazione, Seth annuì, correndo dento al locale. Con qualche sforzo, Louis ed io riuscimmo ad arrivare al catorcio di automobile che aveva, adagiando Harry nei sedili posteriori. Mi sedetti vicino a lui, portando la sua testa sulle mie gambe.
«Dove andiamo? C'è un ospedale, qui?» chiesi, mentre Daniel si sedeva dietro al volante.
«Certo che c'è, in centro, solo che non è la migliore delle opzioni,» rispose Louis. «Andiamo a casa mia».
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Hey!
Come state? Tutto okay?
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Lottie x
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