27. Chiudi il finestrino, altrimenti ti becchi il raffreddore
Harry
Selena si addormentò poco dopo, sfinita sia fisicamente, che emotivamente. Erano successe così tante cose in appena sei ore che avevo paura che la mia testa potesse scoppiare da un momento all'altro. Prima era saltato fuori dal nulla Robbie, che guarda caso, era lo zio di Sel, poi la mia fottuta macchina s'era rotta, eravamo stati attaccati da un pazzo furioso che per poco non mi faceva fuori, e se lei non gli avesse sparato, a quest'ora sarei stato nell'oltretomba. Per non parlare del crollo emotivo della ragazza che mi ero reso conto di quasi-amare, e che avevo baciato dopo aver scoperto che veniva picchiata da suo zio, il quale, inoltre, aveva avuto la faccia tosta di darmi consigli sul fatto di dichiararmi e cazzate varie.
Basta. Non ne potevo più. Quanto poteva sopportare una persona, prima di andare in esaurimento nervoso? E non volevo neanche immaginare cosa stesse passando Selena: non solo James Smoke le aveva offerto un posto di lavoro, ma aveva pure ritrovato Robbie e aveva ucciso un uomo. Si sarebbe spezzata anche lei, presto o tardi, se per un motivo o per un altro, e io non avrei potuto di certo impedirlo.
Quando i primi raggi solari entrarono dalla finestra, iniziai a non sentirmi più il braccio su cui era poggiata la testa di lei, ma non mi mossi per paura di svegliarla. L'unica cosa che importava, era che quell'ammasso di capelli neri rimanesse esattamente dov'era. Se era comoda lei, lo ero anche io. E poi era piacevole, guardarla dormire, mi rilassava: i miei respiri andavano a ritmo coi suoi, calmi e pacati, e tutto sembrava più tranquillo e immobile, quando i suoi occhi erano chiusi. Poi, quando li apriva, le cose cambiavano, perché quel cielo di iridi che aveva, era capace di farti girare la testa così velocemente da far perdere a chiunque l'idea del sopra e del sotto, ma finché erano chiusi, tutto andava bene.
Il rumore di passi fuori dalla stanza mi fece distogliere lo sguardo dal viso di Sel, per vedere Daniel osservarci appoggiato allo stipite della porta.
«Che vuoi?» sbuffai.
«Sta davvero dormendo?» indicò la ragazza con un cenno del capo, non rispondendo alla mia domanda.
«A quanto pare...»
«Svegliala. Dobbiamo muoverci, finché è presto,» disse, girando i tacchi ed andandosene dalla camera.
Sbuffai ancora e imprecai sottovoce contro quel maledettissimo coglione, per poi scuotere piano la spalla della bella addormentata. «Sel,» sussurrai. «Alzati».
Lei mugolò qualcosa e si girò dall'altra parte, sempre usando il mio braccio intorpidito come cuscino, così poggiai la mano libera sul suo fianco, avvicinando le labbra al suo orecchio. «Sveglia, dormigliona,» mormorai. «Dobbiamo andare».
Dopo quasi cinque minuti di tentativi falliti, finalmente iniziò ad aprire gli occhi, guardandosi attorno spaesata e confusa finché non focalizzò la sua attenzione su di me: sembrò ricordarsi di quello che era successo solo un paio d'ore prima, perché sorrise leggermente e «giorno,» mi salutò, alzandosi a sedere. Immediatamente il flusso di sangue ritornò al mio braccio, facendolo iniziare a formicolare.
«Dormito bene?» chiesi, alzando un sopracciglio con fare provocatorio, guadagnandomi un pugno giocoso da parte sua. Il mio sguardo cadde sul suo collo, dove avevo effettivamente lasciato un paio di segni evidenti. Oops.
«Che c'è?» domandò, notando che la stavo osservando.
«Niente,» mentii. «Come va il taglio?»
«Brucia un po'. Dovrei ringraziare Daniel, ora che ci penso».
Alzai gli occhi al cielo per la sua troppa gentilezza nei suoi confronti, e l'aiutai ad alzarsi. Non che ne avesse bisogno, ma volevo avere una scusa per prenderle la mano. Patetico, già.
Indossammo le giacche, recuperammo gli zaini, e andammo al piano di sotto, dove Daniel e Robbie ci stavano aspettando, fermi sulla porta.
«Alla buon'ora,» commentò mio cugino. «Muoviamoci».
Prima che potessero fare solo un passo, però, agii d'istinto: il mio pugno serrato, contratto su se stesso, si schiantò sulla mascella di Robbie, facendolo barcollare indietro di qualche metro.
«Che cazzo fai!» sbottò Daniel. «Ma sei impazzito, oh!»
«Tu sta' zitto,» lo apostrofai, avvicinandomi di nuovo all'uomo. Afferrai il colletto della sua giacca marrone, lo alzai al livello dei miei occhi, non trovando neanche un briciolo di rabbia nei suoi.
«Prova ancora a toccarla,» ringhiai, sottovoce, così che solo lui sentisse. «Provaci ancora, e giuro su Dio che ti uccido, Robbie».
Non gli diedi il tempo di rispondere, in ogni caso, perché mi allontanai prima di colpirlo di nuovo, afferrai il polso di Sel e uscii spedito dalla casa abbandonata, senza aspettare né lui, né Daniel.
«Harry,» la sentii chiamarmi, opponendo un po' di resistenza. «Harry, quello non era necessari-»
«Sì invece,» mi fermai. «Te lo prometto, Sel. Robbie non ti si avvicinerà più».
«Non ho paura; non ho bisogno che mi proteggi,» si accigliò, scuotendo la testa.
Mi strinsi nelle spalle, sospirai e «forse,» replicai. «Forse non sto proteggendo te da lui. Forse sto proteggendo lui da te, Tigre».
La vidi boccheggiare leggermente, prima di accennare ad un sorriso. Le piaceva quando le ricordavo di quanto forte fosse, quello sì: molto più di quanto fosse bella, con i capelli scompigliati, gli occhi assonnati, sporco e polvere sui suoi vestiti. Era bella. Era forte. Era Selena, ecco. E poi mi guardava, con quelle iridi chiare e penetranti, come a dirmi: «Hey, Harry, sono qui! Non mi vedi?» e di conseguenza, tutta la mia attenzione era sempre su di lei. Urlavano, quelle iridi. A volte, mi capitava di perdermi al loro interno, in mare aperto. Poi, però, era evidente che c'era dolore, nei suoi occhi.
Se solo avessi saputo come farla sentire meglio...
Quando gli altri due uscirono dalla casa, raggiungendoci, dovetti tornare alla realtà. Percorremmo in fretta e furia la strada per tornare alla mia auto: mi aspettavo di trovarla demolita, essendo stata lasciata incustodita tutta la notte, ma era esattamente come l'avevo lasciata. Strano.
La gomma posteriore destra era irreparabilmente bucata, ma fortunatamente avevo una ruota di scorta nel bagagliaio e gli attrezzi per ripararla. Era una situazione abbastanza comune per i veicoli di Smoke Town, visto che l'asfalto vecchio delle strade era tappezzato di vetri rotti, chiodi e quant'altro.
Prima fossimo ripartiti, meglio sarebbe stato.
Daniel ed io impiegammo più o meno mezz'ora per togliere la ruota bucata e sostituirla con una nuova, visto che passammo la maggior parte del tempo a discutere sul modo corretto per cambiarla: alla fine avevo ragione io, ovviamente.
Tutto, fino a quel momento, era filato liscio come l'olio del serbatoio della mia macchina, ed era quasi troppo bello per essere vero. Per quello, successe che non appena rimisi a posto la cassetta nel bagagliaio, iniziai a sentirmi osservato - e non era una mia paranoia, perché pure Sel e gli altri due si guardarono attorno, attenti.
«Harry...» mormorò lei, avvicinandosi a me impercettibilmente. «Harry,» disse ancora. «C'è un problema».
Alzai lo sguardo verso le abitazioni che ci circondavano e, nascosti nella penombra, scorsi vari gruppetti di persone che ci fissavano. Non erano semplici senzatetto. Vestiti di nero e marrone, con abiti pesanti e scarponi da lavoro: erano chiaramente dei Jackys. Per non parlare delle loro espressioni fameliche e assetate di sangue, dalla voglia che avevano di uccidere, dai coltelli, bastoni ed armi da fuoco che tenevano in mano.
«Sel... sali in macchina. Tutti, salite tutti in macchina,» ordinai.
Non se lo fecero ripetere due volte, aprendo freneticamente le portiere e fiondandosi all'interno, Robbie davanti con me, Sel e Daniel dietro.
Ma quando accesi il motore, si scatenò l'inferno.
. . .
Selena
Non feci neanche tempo a chiudere lo sportello dell'auto, che un proiettile mi mancò di un soffio, conficcandosi nella carrozzeria nera che fino ad adesso non aveva neanche un graffio.
Sentii Harry sibilare un'imprecazione per poi schiacciare sull'acceleratore. Credevo che non appena fossimo partiti ci avrebbero lasciati stare, invece iniziarono a rincorrerci, altri proiettili che graffiavano l'auto - uno ruppe persino lo specchietto retrovisore esterno di destra.
Daniel estrasse la sua pistola, abbassando il finestrino e sporgendosi al di fuori, iniziando a rispondere al fuoco, così decisi di aiutarlo, facendo la stessa cosa ma dalla mia parte.
«Sel!» esclamò Harry, togliendo gli occhi dalla strada e girandosi per guardare me. «Chiudi il cazzo di finestrino!»
Lo ignorai, concentrandomi sull'orda di inseguitori. La mia mira non era delle migliori neanche da ferma, figuriamoci adesso, ma era pur sempre qualcosa.
«Sel!» urlò di nuovo lui, più forte.
«Pensa a guidare!» risposi, premendo per la sesta volta il grilletto. Una pallottola mi mancò di striscio, ma ignorai anche quella.
Lentamente iniziammo a distaccare la gente che però non si dava per vinta, continuando a correre dietro l'auto anche quando i loro proiettili non ci colpivano più. Daniel ed io ritornammo seduti sui sedili posteriori, richiudendo finalmente i finestrini, col fiato corto e il cuore che batteva a mille.
«Era proprio necessario?» sbottò Harry, lanciandomi un'occhiata dallo specchietto retrovisore.
«Sì,» ribattei, sostenendo il suo sguardo infuriato.
«Cazzata! Quale parte di chiudi il finestrino non capisci?»
Sbuffai. «Smettila di urlare».
«Non sto urlando!» esclamò. Con la coda dell'occhio vidi Daniel scuotere la testa.
«Sì invece».
«Se tu avessi fatto come ti ho chiesto ora non starei urlando!»
«Se facessi ogni singola cosa che la gente mi dice di fare, a quest'ora sarei ancora da Jack a servire persone ubriache tutta la notte e a pulire i bagni tutto il giorno!» sbraitai. «Non sono una bambina, Harry».
Lui sbuffò, stringendo il volante e distogliendo lo sguardo. Robbie e Daniel rimasero in silenzio, non osando interferire con la nostra discussione.
«Sei così testarda,» mormorò poi.
«Sei così bipolare».
«Non sono bipolare,» mi rispose.
«Io non sono testarda».
Harry borbottò qualcos'altro che non capii, mettendo fine alla discussione. Appoggiai quindi la testa allo schienale in pelle nera e chiusi gli occhi, cercando di sbollire l'irritazione, e mi trovai a pensare a poche ore prima, quando Harry mi aveva baciata. Starei mentendo se avessi detto che era stato uno sbaglio, che non volevo e non dovevo farlo più. Insomma, mi ero ritrovata ad amare Harry, e più di quanto non amassi le poesie di Blake. Non andava proprio bene, come cosa, eppure a pensarci, io sorridevo. Amare Harry. Strane parole messe vicine, così strane da sembrare surreali. Il bello però era che la cicatrice e i ricordi, per un po', avevano smesso di martellare: con la mia attenzione completamente su di lui, me li ero scordati, tutti i giorni passati sola con Robbie, prima di andarmene. E Harry aveva reagito meglio del previsto.
«Adesso cosa facciamo con lui?» chiese Harry a Daniel, facendomi sbucare dai miei pensieri.
«Per favore, non-» iniziò mio zio, cercando di persuaderlo nel risparmiargli la vita, ma venne interrotto dall'altro, che disse: «Parlerò con James oggi stesso. Nel frattempo, starà con voi».
«A casa nostra?» mi intromisi. «Assolutamente no».
«Da quando in qua sei tu a dare ordini, Selena?» replicò Daniel.
«Potrei chiedere lo stesso a te,» lo guardai.
«Da quando sono il figlio del sindaco di Smoke Town».
«Appunto. Non sei il sindaco, e io da te non prendo ordini. Robbie non starà a casa nostra».
I suoi occhi di ghiaccio mi fecero rabbrividire, quando «e dove proponi di metterlo, sentiamo,» disse.
«Non avete una prigione?»
Daniel ridacchiò, scuotendo la testa. «Prigione? Ma per favore. Le punizioni vengono inflitte sul momento, ai trasgressori delle leggi. Tu, per la tua insolenza, avresti già ricevuto cinque frustate, lo sai?»
«Robbie verrà da noi, sì,» Harry irruppe nella conversazione. «Che ti piaccia o meno, Sel. E lo terrò d'occhio io stesso».
Pressai le labbra assieme, sentendo una punta di rabbia crescere sempre più, diramandosi dallo stomaco alle mani, dal petto alle gambe. Sembrava una specie di tradimento, ecco, dannazione! Harry avrebbe dovuto appoggiare la mia decisione, e invece era stato lui ad affermare il contrario. E la casa era sua, io che ci potevo fare, se non starmene in silenzio ad accettare quelle sue scelte impulsive senza ribattere e senza obiettare?
Nessuno disse niente nei cinque minuti successivi, che passai a guardare le strade della periferia di Smoke Town, corrucciata e arrabbiata -ferita, pure- e non riuscii a non notare che era tutto stranamente silenzioso, molto più del solito: non c'erano barboni in giro, non si vedevano senzatetto, niente cani randagi, niente teppistelli ad imbrattare i muri di graffiti.
Qualcosa non andava.
«Dove sono tutti?» domandai, alzando la testa dal finestrino. «Non c'è anima viva».
Harry si irrigidì e fece finta di non avermi sentito, continuando a guidare.
«C'è stata la ripulita,» mi rispose Daniel con nonchalance, guadagnandosi un'occhiataccia da Harry.
«La ripulita? Cos'è?»
«Niente, lascia stare,» tagliò corto Harry.
«Non le hai detto neanche quello?» ricominciò invece Daniel, rivolto al cugino. «Scusa Selena, è un segreto,» continuò. «Harry non vuole che ti dica che il primo martedì di ogni sei mesi, James fa piazza pulita di alcuni quartieri, per ricordare chi è che comanda».
Aspetta. Cosa?
Harry frenò all'improvviso, fermando l'auto, tanto che quasi sbattei la fronte contro il sedile davanti il mio. «Scendi, Daniel. Subito. Ne ho abbastanza delle tue stronzate».
«No- Cos'è questa storia, Harry?» gli chiesi. Invece che rispondere, continuò a guardare Daniel, aspettandosi che scendesse dalla macchina. «Daniel?»
«Vorrei poterti spiegare di più, ma Harry mi ha chiesto di andare,» scrollò le spalle. «Ricorda che dovrai dare presto una risposta a mio padre, riguardo il posto di lavoro. Ci si vede».
E con questo, aprì la portiera e uscì dall'auto.
«Harry!» esclamai. «Perché non me l'hai detto?»
«Possiamo non parlarne?» borbottò, sempre con il tono duro e tagliente che riservava solo a Daniel.
«No! Smettila di trattarmi come se fossi una stupida-»
«Non ti tratto affatto come una stupida».
«Sì invece».
E non riuscii a non pensare alla bambina, Jane: stava bene? Le avevano fatto del male? Per non parlare di Harry! Era per questo che mi aveva portata con sé a Baltimore; non perchè voleva passare del tempo con me, ma perché non voleva che scoprissi tutto questo. Quello che avrebbe dovuto cercare di impedire.
«Sel, per favore. Questo non è il momento,» disse lui, frustrato.
«Per te non è mai il momento».
Ignorò la mia affermazione, riportando il sienzio tra di noi. Incrociai le braccia al petto, cercando di non dare di matto: forse c'era un motivo per cui Harry non me l'aveva detto, e stavo reagendo eccessivamente. Non volevo litigare con lui per una mancanza di comunicazione -dopotutto eravamo entrambi non molto bravi a raccontare cose l'uno all'altra. Ma comunque, diamine, l'avevo scoperto lo stesso.
Ero così assorta nei miei pensieri agitati, che non mi accorsi che eravamo arrivati all'albergo. Solo quando Harry aprì la mia portiera, ritornai alla realtà.
Mi fissò una decina di secondi, a braccia conserte, ed io restituii lo sguardo, facendogli capire quanto arrabbiata fossi, poi «hai intenzione di scendere o vuoi stare qui tutto il giorno?» scattò, infastidito.
Fino a cinque ore prima, mi stava abbcacciando e baciando sul pavimento di una vecchia casa, e ora non era neanche in grado di parlarmi senza sembrare l'Harry Styles di quando lo avevo conosciuto. Non gli avevo chiesto di cambiare dopo quello che gli avevo rivelato, ma neppure di tornare ad essere insopportabile.
Recuperai lo zaino e saltai giù dalla macchina, non preoccupandomi di rispondergli. Era troppo occupato con Robbie, da badare a me.
Salimmo tutti e tre le scale, fino ad arrivare alla porta dell'appartamento, e resistetti all'impulso di ridere di me stessa, la Selena di qualche mese prima, quella che aveva paura di come potessero essere gli amici di Harry. Stupida Selena: l'unica cosa da cui dovevo guardarmi, ero io stessa e i miei sentimenti umani. Nient'altro.
Harry aprì la porta, lasciandoci entrare. I ragazzi non c'erano, essendo mercoledì: Niall stava a casa di domenica, Zayn di lunedì, Liam di martedì, Louis di giovedì. Ma Louis, comunque, non è che lo vedessi molto.
«Prova solo a cercare di svignartela, e non finirà bene per te,» ringhiò il ragazzo, rivolto a Robbie. «Non rubare niente, non toccare niente, non fare niente senza chiedere. Intesi?»
«I-intesi,» balbettò mio zio. «Grazie».
«Non ringraziarmi. Come ho detto, non lo faccio per te,» e mi lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio.
Sola con Robbie, la persona che più odiavo, e con Harry, che mi ero ritrovata ad amare: non avrei saputo dire quale dei due fosse peggio.
. . . . . . .
Scusate se il capitolo fa schifo ma l'ho corretto ieri in aereo quindi portate pazienza! Sono in Inghilterra e niente, spero voi stiate bene e tutto.
Per chi non avesse letto l'avviso che ho postato settimana scorsa, sarebbe meglio lo facesse. Il 24 (fra pochi giorni) pubblico una nuova storia e boh, se volete seguirla siete i benvenuti!
Alla prossima!
Lottie x
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