21. Un giretto in macchina tanto per cambiare aria

«Devo raccontarti un sacco di news!» esclamò Elle, non appena aprii la porta d'entrata e lei varcò la soglia dell'appartamento. Ricambiai l'abbraccio affettuoso della ragazza, dandole poi due baci sulle guance, uno per parte, e andammo a sederci sul divano, quello che non era occupato da Harry, che stava sonnecchiando indisturbato. Era tutto il pomeriggio che dormiva, lui: dopo essere tornata a casa accompagnata da Lee, poche ore prima, non mi aveva neanche rivolto la parola, si era limitato a scambiare un breve e coinciso discorso con lui, mi aveva guardata male, e poi s'era appisolato lì sul divano. Niall si era alzato verso le nove, era uscito a fare la spesa al mercato nero, come ogni domenica, e quando era tornato, avevamo preparato il pranzo, al quale Harry si era miracolosamente aggregato.

Poi era tornato a dormire. Tipico.

«Ti devo raccontare una cosa,» disse lei, agitata, prendendo un cuscino e poggiandoselo in grembo.

La guardai per incitarla ad andare avanti. Prese un profondo respiro e parlò: «Sai di quel ragazzo che ti avevo parlato tempo fa, quello di nome Nate?»

«Uhm.. in realtà no».

«Ma sì che te lo ricordi, dai! Nate è il mio conoscente la quale nonna è anche la nonna del nipote del cugino della migliore amica di questo cugino che ha il salone di bellezza in centro».

«Ah, quel Nate,» e in realtà non avevo capito affatto di quale Nate stesse parlando.

«Ecco, io e Nate usciamo insieme domani pomeriggio. Tipo, ufficialmente. Mi ha invitata ad uscire, te ne rendi conto?»

«Portati lo spray al peperoncino, non si sa mai,» commentò Harry, ad occhi chiusi. Stava origliando da un po', evidentemente.

Stavo per congratularmi, quando lei mi zittì, portando una mano a coprirmi la bocca. «Aspetta, fammi finire! Ha detto che andavamo solo a mangiare qualcosa in un ristorante in centro, e mi ha chiesto se avevo un'amica da presentare a suo fratello».

«E?» alzai un sopracciglio. 

Elle sospirò. «Accompagnami. Per favore! Il fratello di Nate è la persona più simpatica del mondo, è sexy, dolce, è sexy, divertente, l'ho detto che è sexy?»

Sbuffai. «Sì, l'hai detto».

«Allora, verrai?» Elle mi guardò con occhi da cucciola, facendo sporgere il labbro inferiore e unendo le mani a mo' di preghiera. 

«Selena ha già un impegno per domani,» si intromise Harry, rispondendo prima che avessi potuto farlo io.

«Davvero? E cosa fai di bello?» mi chiese lei.

«Esce con me,» di nuovo, Harry mi precedette. «E poi scusa, ma da quando un appuntamento ufficiale viene fatto in quattro?»

L'espressione incredula di Elle mi fece quasi ridere. «Esci con lui?» bisbigliò, ma ero sicura che Harry l'avesse sentita ugualmente.

«Sì, problemi?» disse, infatti. «Io e Selena prendiamo la macchina e usciamo da Smoke Town. Domani. Quindi non rompere il cazzo con appuntamenti di fratelli di amici di cugini migliori amici di nonne svitate, grazie».

«Non è come pensi tu,» sospirai, guardandola. «Ti spiego dopo».

«No, tu mi spieghi adesso,» ribatté lei. «Styles, ti dispiacerebbe andare?»

Harry sbuffò sonoramente. «Sì, mi dispiace. Andate via voi, questa è casa mia».

Le rivolsi uno sguardo di scuse per giustificare il comportamento di Harry, prima di alzarci e andare nella stanza di Zayn; non avevo molta voglia di raccontarle cosa stava succedendo tra me e Harry, in parte perché erano affari miei, e in parte perché non lo sapevo nemmeno io. Insomma, si poteva pensare che io e lui eravamo amici, ma gli amici mica si baciavano, vero? Decisamente no. E allora cos'eravamo? Coinquilini? Futuri colleghi di lavoro? Conoscenti?

Con Harry era sempre tutto strano e difficile. A volte si comportava come se fosse stato mio fratello maggiore, a volte come se fosse stato mio padre, a volte come un estraneo, e a volte come il mio ragazzo. Non lo capivo, io. Quando pensavo che si sarebbe arrabbiato con me non succedeva, tipo quella volta del suo cellulare rotto, ma poi scattava per una cosa insignificante, tipo quella volta della vodka al posto dell'acqua. Era di malumore stamattina dopo neanche dieci secondi dal suo risveglio, ma non mi aveva sgridata per essermene andata fuori per le strade da sola. Chi lo capiva era bravo. Estremamente bravo.

Elle ed io parlammo un bel po' di questo mio problema. Sembrava davvero interessata ad ascoltarmi, quindi mi ritrovai ben presto con la gola secca ma con la mente più libera. Forse era vero che sfogarsi con qualcuno aiutava parecchio chi era confuso come me. Le raccontai della festa, omettendo chiaramente la parte di James Smoke, e le raccontai del bacio e di come Harry si fosse comportato dopo; il suo consiglio, poi, fu chiaro e semplice: se ci tiene a te, te lo farà sapere. Se non ci tiene, mandalo a fanculo.

Solo che con Harry, era davvero possibile riuscire a mandarlo a quel paese, vivendoci insieme?

«Si è fatto tardi, dovrei tornare a casa prima che faccia buio,» disse Elle, mentre tornavamo in salotto. «Potresti darmi il tuo numero di cellulare? Così ci teniamo in contatto, mentre tu sarai via».

Mi guardai i piedi, leggermente imbarazzata. «Io... non ho un cellulare, in realtà,» mormorai.

«Oh,» si accigliò. «Beh non importa -sappi che al tuo ritorno voglio sapere tutti i dettagli del viaggio,» mi avvertì, ed io sorrisi

«Contaci,» risposi, accompagnandola alla soglia. «Ci vediamo, Elle». Sospirai quando sparì per il corridoio, chiusi la porta e tornai in salotto. Non avevo mai avuto una vera migliore amica, e non potevo negare che mi piaceva. Anni fa, quando dovevo parlare con qualcuno, mi rivolgevo sempre a Mike, anche se accadeva molto raramente; entrambi preferivamo non raccontare mai ciò che ci passava per la testa. Lui era un ragazzo riservato, un po' come Harry, e a me andava bene così. Io mi facevo gli affari miei, e lui i suoi. Sinceramente non sapevo nemmeno perché stavamo insieme. Per noia, probabilmente, o forse perché stare sola mi spaventava un po'.

«Dovresti prepararti,» Harry mi distolse dai miei pensieri. «Non portare tanta roba, staremo via solo tre giorni al massimo».

«Daniel lo sa che vengo anche io?» domandai, leggermente preoccupata.

«Non gliel'ho ancora detto, no, ma ho chiesto a Liam di riferirgli il messaggio».

«E se non gli sta bene?»

«Se non gli sta bene può andare a piedi, l'auto è mia,» si alzò a sedere sbadigliando, scompigliandosi i ricci con la mano. Sentii i suoi occhi squadrarmi da cima a fondo, e ridacchiò fra sé e sé. Solo allora mi ricordai di una domanda che volevo fargli, che mi frullava per la testa da quando avevo origliato accidentalmente la conversazione di quei tre uomini di Jackson Avenue, ma che per ovvie ragioni non gli avevo ancora posto.

«Posso farti una domanda?» iniziai.

«Se devi,» sbuffò, ricadendo di nuovo sul divano.

«Sai se Smoke ha dei... nemici?» chiesi.

«Nemici? Sì, chiaro. I governi di molte città cercano da sempre di fermarlo, anche se, sotto sotto, sono stati tutti corrotti da lui. È piuttosto difficile da capire-»

«Dei nemici all'interno della città, intendo,» lo interruppi.

Harry scosse la testa. «Molte persone non condividono il suo modo di governare, ma non li definirei nemici. A parte me, e i ragazzi, e Lee, in modo implicito, ovviamente, non ce ne sono che io sappia. Perché lo chiedi?»

Scrollai le spalle. «Solo curiosità, niente di ché».

Non sembrava convinto del tutto dalla mia risposta, ma decise di lasciar perdere. Quindi, il clan di Jackson Avenue era contro James? E se lo era davvero, perché stavano tenendo d'occhio Harry? Insomma, se erano dalla nostra stessa parte, perché lui non sapeva niente dei loro piani? A meno che non m'avesse mentito, ma come ipotesi era altamente improbabile. Non c'era stato un tic nella vena del suo collo.

. . .

Non dormii molto quella notte. Forse erano tutte le domande senza risposta che mi stavano facendo impazzire, forse era per via della proposta di James Smoke che ancora non sapevo come rifiutare, forse era l'agitazione per il viaggio imminente o forse era semplicemente per il fatto che non avevo sonno. Decisi che ne avrei parlato con Harry, del lavoro che Smoke mi voleva dare, ma solo quando fossimo tornati da Baltimore. Non volevo di certo preoccuparlo inutilmente.

Mi vestii piuttosto in fretta, indossando il mio solito paio di jeans, una semplicissima maglia di cotone grigia e una giacchettina leggera da tenere in hotel. Lasciai i capelli sciolti perché non avevo affatto voglia di acconciarli per andare poi a rovinarli con tre ore di macchina, così come evitai categoricamente qualsiasi tipo di trucco. La sera prima avevo messo nel mio zaino quelle poche cose che avevo, aggiungendoci anche un paio di libri nel caso mi fossi annoiata, e in un batter d'occhio ero pronta. Feci colazione con Harry che, come me, non si era sforzato minimamente di far sembrare presentabili i suoi capelli, solo che a lui, disordinati così, stavano comunque bene.

Erano quasi le sei quando uscimmo dall'albergo per salire in macchina. Daniel ci stava aspettando appoggiato ad essa, vestito anche lui con una giacca pesante visto la temperatura fredda; i suoi occhi azzurri come il ghiaccio mi scrutarono attentamente, mettendomi pure un po' a disagio.
Harry sbuffò e borbottò una serie di imprecazioni contro di lui, mettendo in evidenza il fatto che non si sopportavano affatto. Come se fosse stato necessario ricordarlo.

«Harry,» Daniel gli fece un cenno di saluto che il riccio non ricambiò. «Selena».

«Ciao,» mormorai.

«Fresca come una rosa, come al solito, vedo,» mi fece l'occhiolino.

«Ma che problemi hai?» borbottò Harry. «Che cazzo parli a metafore alle sei del lunedì mattina, oh».

Suo cugino ridacchiò. «Non ho nessun problema, stavo solo sottolineando il fatto che Selena sembra fresca come una rosa».

«Beh, grazie?» aggrottai le sopracciglia. Non sapevo se prenderlo per un complimento o meno.

«Beh, prego,» rispose, aprendomi la portiera dell'auto. «Prima le signore».

«Smettila, sul serio,» ordinò Harry a Daniel, che alzò gli occhi al cielo, distogliendo lo sguardo da me, per fortuna. «Andiamo, se vogliamo rispettare la tabella di marcia».

Il riccio salì al posto del guidatore, Daniel nel sedile anteriore del passeggero ed io dietro a Harry; l'abitacolo dell'auto era freddo, ma una volta che il motore fu acceso, impiegò poco tempo a scaldarsi. Mi tornò in mente la prima volta che avevo messo piede in quella macchina: le cose erano così diverse, più di un mese e mezzo fa. Non conoscevo Niall, Liam, Zayn e neanche Louis, non sapevo niente di Smoke Town, non avevo idea delle cose che il futuro mi stesse riservando. Di certo non sapevo che il boss della città, filantropo multimilionario, mi avrebbe offerto un posto di lavoro.

Daniel mi distolse dai miei pensieri, estraendo dal suo zaino quelle che sembravano essere pistole, e si girò verso di me, porgendomene una. La presi in mano, riluttante, sotto gli occhi contrariati di Harry che mi osservavano dallo specchietto retrovisore.

«Non la sa usare, rimettila via,» disse lui, rivolto al cugino.

«So come funziona, devo solo fare pratica,» ribattei, soppesando l'arma. Era scarica, si vedeva da come era vuota l'impugnatura. «Ho letto alcuni libri su quest'argomento. Noiosissimi ma utili,» scrollai le spalle, appoggiandomi allo schienale e rigirandomi la pistola tra le mani. Forse era strano, ma mi sentivo a mio agio ad avere un'arma simile vicino.

«In ogni caso, non ti servirà. Tu resti in hotel,» mi rispose Harry. Decisi di non discutere con lui, limitandomi a sbuffare e a roteare gli occhi.

Dopo circa quindici minuti di macchina, se non venti, eravamo fuori da Smoke Town. Harry sembrava voler mettere più distanza possibile tra noi e la città, guidando appena sopra al limite consentito. La strada era la stessa che avevamo usato la prima volta per arrivarci, solo che ora gli alberi al lato di essa erano imbiancati dalla neve, e l'asfalto era stato cosparso di ghiaino che scricchiolava sotto le ruote invernali dell'auto. Aveva smesso di nevicare, il cielo era sgombero dalle nuvole, anche se il sole non era ancora sorto.

Daniel accese il lettore CD dell'auto ed iniziò a setacciare tutta la musica che Harry aveva nella raccolta, fino a trovare un album di suo gradimento. «Ah, What's the Story? Morning Glory degli Oasis».

La canzone durò troppo poco perché la riconoscessi, visto che Harry spense subito tutto.

«Che cazzo!» sbottò Daniel, guardandolo male e riaccendendo la musica. Come prima, Harry la rispense. Andarono avanti così per qualche minuto, bisticciando come cane e gatto. Uno voleva il silenzio, l'altro voleva il rumore.

«Smettila,» sibilò Daniel, quando Harry interruppe la canzone per la quindicesima volta.

«No. Odio questo album».

«E allora perché cazzo l'hai comprato?» chiese Daniel, con un tono irritato ed aspro.

«È stata Gemma, non io,» borbottò Harry.

«Gemma odiava l'indie rock,» rispose Daniel.

«Cazzata».

«Lo odiava, punto,» ribatté Daniel, risoluto.

«Tu che cazzo ne sai dei suoi gusti musicali?»

«Abbastanza da sapere che odiava gli Oasis e che questo album l'hai preso tu».

«Cazzata,» ripetè Harry. 

Daniel riaccese la musica e Harry la spense. Sospirai, esasperata dal loro comportamento infantile, e appoggiai la fronte contro il finestrino freddo dell'auto. Tre giorni così? Mio Dio.

«Harry,» lo chiamai. «Smettetela di litigare, sembrate una coppia di sposi. E poi mi piace la musica, lasciala accesa».

Mi lanciò una brutta occhiata, prima di sbuffare e di riaccendere il CD, e mi meravigliai del fatto che mi avesse davvero ascoltata: non era una cosa normale, per lui, dare retta alle persone, specialmente me. Daniel era sorpreso tanto quanto lo ero io, ma non disse niente al riguardo.

Passammo una buona mezz'ora in silenzio con il sottofondo musicale ad accompagnare il rombo leggero del motore. Entrammo in un'autostrada non molto trafficata e Harry schiacciò sull'acceleratore.

«Mi servirà il navigatore fra poco,» mormorò, avvertendo Daniel. «Sono più o meno tre ore e mezza di viaggio, quindi non rompete le palle, grazie».

Daniel accese il navigatore sul cruscotto della Land Rover ed inserì la destinazione, ignorando le frecciatine che Harry gli aveva rivolto. Subito una mappa apparve sullo schermo.

«Ci siete stati altre volte?» domandai, sporgendomi in avanti per vedere dove eravamo sulla mappa. Scossero la testa all'unisono.

Tre ore e mezzo. Avrei potuto dormire un po', per lo meno.

. . .

Harry

Strinsi forte il volante della mia auto per calmarmi, ed ignorai Daniel per il resto del viaggio, concentrandomi sulla strada. Sel si era addormentata nel sedile posteriore dopo una buona mezz'ora di autostrada, e non potei fare a meno di lanciarle delle occhiate, di tanto in tanto. La sua espressione era così calma e beata che quasi mi dimenticai il motivo per cui ero terribilmente incazzato: Daniel. Lui, e il suo canticchiare sottovoce, tranquillo e sereno, e il suo commentare ogni dannato guidatore delle auto che ci passavano accanto. «Guarda che naso, quello là,» oppure «ma hai visto che tette quella donna? Sembra Lara Croft, cazzo!» o ancora «scommetto che ha mangiato un peperoncino piccantissimo prima di salire in macchina, ceh, guarda che rossa la faccia di quell'uomo!»

Mi stava innervosendo così tanto che fui tentato di inchiodare e farlo scendere ad una stazione di servizio. O in mezzo alla strada, pure. Ci fermammo a Cherry Hill per fare benzina, e poi ripartimmo subito: volevo solo arrivare in hotel il prima possibile. Lo avrei anche lasciato lì, ma il coglione non era sceso dall'auto, neanche per pisciare. Ovviamente.

In ogni caso, riuscii a non dare di matto, e dopo tre ore estenuanti di guida, arrivammo nel centro di Baltimore. La prima cosa che notai furono la moltitudine di lucine, e addobbi che ricordavano il Natale -anche se mancavano un mese e due giorni al Natale- e pensai a quanto dovesse essere precipitoso il comune di Baltimore, per iniziare a decorare la città il 23 novembre.

«Dov'è l'hotel?» chiesi a Daniel, e lui estrasse il suo cellulare dalla tasca del giubbotto.

«Cathedral Street, dovrebbe essere vicino ad un museo d'arte,» rispose. Impiegai quasi mezz'ora per trovarlo, soprattutto perché c'era molto traffico; sbagliai strada un paio di volte e dovetti ritornare indietro, guadagnandomi suonate di clacson da parte di altre persone, forse perché stavo guidando contro mano, ma poco mi importava. Quando finalmente riuscii a parcheggiare l'auto difronte all'hotel, uscii dall'abitacolo caldo della Land Rover, sgranchendomi le gambe. Sembrava una zona tranquilla, c'era un vialetto alberato al lato della strada, ovviamente addobbato con luci e lucette natalizie.

«Wyndham Baltimore,» Daniel lesse la scritta sopra l'entrata dell'hotel. «Sì, è questo».

Una nuvoletta di vapore si formò nell'aria quando sospirai, poi aprii la portiera posteriore e scossi Selena per svegliarla.

«Sel, siamo arrivati,» mormorai. Lei borbottò qualcosa e aprì lentamente gli occhi.

«A... Baltimore?» chiese, cercando di slacciare la cintura di sicurezza, cosa che le risultò parecchio difficile visto che era ancora mezza addormentata. Annuii e ridacchiai per la sua goffaggine adorabilmente tenera, allungandomi per aiutarla.

Adorabilmente tenera? Eh?

«Ce la faccio.. da sola,» disse, ma la ignorai. Con un click la liberai della cintura, lasciandole lo spazio per uscire dall'auto. Recuperò il suo zaino, poi attraversammo la strada ed entrammo nel Wyndham Hotel. Daniel ci stava aspettando alla reception, dove un uomo abbastanza giovane, all'incirca sull'età di Louis, stava scrivendo qualcosa al computer.

«Nome?» chiese, osservandoci da dietro lo schermo. Aveva le lettere W. Blake scritte sulla targhetta che era appuntata sulla sua divisa di lavoro. Tipo il poeta che a Selena piaceva tanto, sì. Ma lui doveva essere morto, in teoria.

«Smith,» rispose Daniel. «Siamo in tre».

«Mmh, sì,» il tizio della reception alzò lo sguardo su di noi, squadrandoci uno ad uno. Si soffermò ad osservare Sel un po' troppo per i miei gusti, tanto che mi avvicinai a lei ancora per mettere in chiaro che non doveva provarci. Evidentemente capì il messaggio, perché spostò velocemente gli occhi da un'altra parte.

«Quante notti?» chiese, tamburellando le dita nervosamente sul legno.

«Due,» risposi.

«Allora sono... duecentotrenta dollari e cinquanta, grazie».

Daniel estrasse il portafogli e pagò velocemente, poi l'idiota della reception gli porse tre tessere. «Siete nella stanza 512. Se avete problemi non esitate a chiedere, buona permanenza e buone feste».

Buona permanenza un corno.

Ci incamminammo verso l'ascensore, e prima che le porte si chiudessero, lanciai a W. Blake un'ultima occhiataccia. La nostra stanza era al quinto piano dell'hotel. Era carino, tutto sommato, o almeno i corridoi lo erano. Non c'era quasi nessuno escludendo una coppia di anziani che entrarono in ascensore con noi, ed una famiglia di cinesi che camminava verso le scale, facendo un baccano infernale con il loro parlottare incomprensibile.

Daniel passò la sua tessera sopra allo scanner, poi aprì la porta. La stanza era piuttosto spaziosa, elegante e raffinata come il resto dell'hotel. C'erano due finestre che facevano entrare la luce solare, e il pavimento in legno era coperto al centro della stanza da un tappeto color crema, abbinato alla carta da parati e alle tende.

Solo due letti matrimoniali erano ai lati della stanza

Ci scambiammo degli sguardi confusi, prima che Selena si fiondasse letteralmente su quello di destra, lasciando a me e a Daniel l'altro.

«Okay, non ho intenzione di dormire con te,» commentai, guardando Daniel.

«Io nemmeno,» lui storse il naso. «Potrei andare da Selena, così tu avresti tutto il letto per t-»

«Scordatelo,» avevo già i nervi a fior di pelle per conto mio, poi ci si metteva quel fottuto receptionist che aveva fregato il nome a William Blake, e ora anche Daniel. Cos'era, la giornata internazionale del 'rompere le palle a Harry'?

«Ti scoccia se mi prendo metà del tuo letto?» feci un passo verso di lei. E poi, anche se non le andava, me lo sarei preso comunque. Mica potevo dormire sul pavimento, io.

«No!» esclamò Sel. «Cioè...» si schiarì la gola, arrossendo. «No, fa come vuoi».

Sogghignai per il suo imbarazzo, lasciando cadere il mio zaino ai piedi del letto e sedendomi sul bordo del materasso. Daniel estrasse il portatile dal suo, lo accese ed iniziò subito a cercare.

Selena lo guardava, curiosa. «A cosa ti serve?» gli chiese.

Lui alzò gli occhi dallo schermo. «Sto cercando di risalire all'indirizzo del nostro mister X, l'uomo che io e Harry stiamo cercandorispose. «Controllo tutti i prelievi che superano i diecimila dollari fatti in ogni singola banca qui, a Baltimore. X sta usando un nome diverso dal suo, ovviamente: non appena avrò trovato la persona che coincide con le informazioni che mi ha fornito mio padre, sarà un gioco da ragazzi trovare l'indirizzo della sua abitazione e andare a fargli una visitina,» le spiegò. In realtà era decisamente più complicato di così. Quell'uomo sapeva perfettamente che Smoke lo stava cercando, quindi avrebbe tentato in tutti i modi di depistarci.

«E voi dovete... ucciderlo?» mormorò lei.

«Se non ha i soldi, sì. E te lo dico io, non ce li ha tutti quei soldi. Si è indebitato fino alla tomba con mio padre. Era in una brutta situazione quattro anni fa, ma ora...» Daniel sospirò, scuotendo la testa.

«A quanto ammonta il debito?» gli chiesi, corrugando le sopracciglia.

«Circa mezzo milione, se non di più».

Strabuzzai gli occhi e Selena si coprì la bocca con la mano. Cinquecento mila... non avevo mai visto nessuno con un debito così alto da pagare.

«E' rimasto vivo fino ad ora solo perché è bravo a nascondersi, peccato per lui che adesso sappiamo più o meno dove si trova,» continuò Daniel con un ghigno stampato in faccia, tornando poi a fissare lo schermo. «Potrei metterci qualche ora, comunque,» borbottò, senza alzare lo sguardo.

«Ti va di andare a fare un giro fuori?» mi domandò Sel, dal nulla. «Mentre aspettiamo che Daniel faccia quello che deve fare».

Passare del tempo solo con lei in una città tranquilla senza mio cugino? Non c'era neanche da chiederlo.

«Sì. Andiamo».


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