17. Una Tigre in abito da sera non si era mai vista
Selena
Niall, Liam ed io scendemmo dall'auto nera di Harry poco prima che lui spegnesse il motore e parcheggiase la macchina nell'enorme piazzale davanti la villa illuminata di Smoke, con solo tre minuti di ritardo. Dire che ero nervosa era poco: nemmeno i ragazzi erano tanto tranquilli.
Rabbrividii subito, non appena l'aria gelida della notte lambì la mia pelle scoperta, e ci affrettammo verso l'entrata, io che cercavo di tenere il loro passo svelto nonostante i tacchi limitassero i miei movimenti. Il vestito era comodo, perfetto, a dirla tutta. E neppure tanto sfarzoso. La scollatura era piuttosto profonda, ma il colore così tenue e la lunghezza della gonna non lo rendevano affatto volgare; le spalline erano finissime, e il busto non troppo stretto. Si intonava alla mia carnagione, in ogni caso.
«Non perdetela d'occhio,» sentii Harry sussurrare ai tre. «Non lasciatela sola neanche un secondo». Roteai gli occhi ma non dissi niente, per non iniziare una lite con lui. Non era quello che ci serviva, in quel momento. E poi, apprezzavo la sua leggera preoccupazione nei miei confronti.
Man mano che ci avvicinavamo all'entrata, le sagome delle guardie che se ne stavano appollaiate sugli scalini bianchi diventavano sempre più chiare. Un po' come degli avvoltoi, che scrutavano gli animali moribondi dall'alto, aspettando che esalassero l'ultimo respiro. Harry rallentò, tanto da tenere la mia andatura; posò la mano alla base della mia schiena nuda, direttamente sulla pelle ghiacciata dal vento.
«Non metterti nei guai, fai quello che ti dico di fare senza obiettare, e soprattutto, stai alla larga da Daniel,» mormorò. «Tigre».
«Tigre?»
«Nome in codice,» tagliò corto lui. «Tu sei Tigre».
Aggrottai le sopracciglia. «E tu, chi saresti?»
Alzai l'orlo della gonna salendo la scalinata, anche se non toccava terra comunque. Meglio prevenire: non volevo di certo sporcare il vestito di sua madre. Dalia mi aveva detto che doveva essere costato un capitale.
«Tu pensaci un po', lascio a te la scelta,» ridacchiò. «Basta che sia decente».
Mollò la presa sulla mia vita, rimanendo però al mio fianco, e faticai a non avvicinarmi di nuovo a lui e stringermi contro il suo braccio per ritrovare un po' di quel calore che mi aveva infuso. Lo avrei fatto volentieri, ma probabilmente mi avrebbe respinta e basta, per poi allontanarsi e ignorarmi giorni interi. Dargli un nome in codice? Facile: bipolharry.
Una volta arrivati in cima alle scale, entrammo nella villa attraverso i portoni enormi e spalancati, sotto gli occhi feroci delle guardie: sentii i loro sguardi bruciare sulla schiena anche dopo che li passammo oltre.
L'interno era caldo e stranamente accogliente; anche se mi sentivo molto a disagio tra quei muri, li accolsi di buon grado -tutto, tranne il freddo di novembre. C'erano già delle persone, nell'atrio principale, vestite con quello stampo elegante che caratterizzava ogni cosa della villa, ma nonostante ciò, mi ritrovai ancora una volta a fissare i quadri appesi alle pareti. Una quantità di Kandinsky impressionante, e se fossero stati tutti originali, dovevano valere un patrimonio; per non parlare dei Klee, e dei Pollock, poi!
«Gli piace l'arte astratta,» osservai.
«Cosa?» chiese Harry.
«Niente,» risposi.
Riconobbi la porta dietro cui c'era lo studio di Smoke, vicino alla scalinata dove dovevamo incontrarci, nel caso venissimo separati, quella che portava ai piani superiori.
«Di qua,» mormorò Harry, girando a destra. Un'altra grande porta aperta ci diede il benvenuto alla festa vera e propria, e rimasi a bocca aperta davanti alla grandiosità della sala, lunga e larga almeno cinquanta metri, se non di più. Le pareti erano interamente fatte di vetro, da cui si poteva vedere l'immenso giardino e la piscina illuminata da fari blu. Lo spazio interno era gremito di gente, alcuni che ballavano, altri che bevevano champagne, altri che parlavano. Luci colorate rimbalzavano sulla pista, creando bellissime immagini astratte come i quadri in corridoio, mentre nella parte opposta a dove ci trovavamo, un palco rialzato ospitava quella che sembrava essere una rock band che suonava dal vivo.
«Sei già stato ad una di queste sue feste?» chiesi a Harry, vicino a me. Dovetti alzare la voce perché mi sentisse, e lui si avvicinò per potermi udire.
Annuì. «Le odio». E non era neanche difficile capire il perché.
Notai Niall, lì vicino a Zayn e Liam, soffocare un grido di felicità. «Questa sì che è musica! Si può dire tutto su di lui, ma non che i gusti di Smoke facciano schifo!» gridò, per farsi sentire al di sopra del frastuono. Riportai lo sguardo sulla band: avevano appena finito di suonare un pezzo di Elvis, e ripartirono subito con i Rolling Stones. Erano parecchio bravi, in realtà, e il cantante aveva una voce meravigliosa. Molto più bella di quella di Mick Jagger.
Harry sbuffò, guardandolo male. «Sapete per caso se c'è anche Louis?»
Oh, Dio.
«No,» Zayn scosse la testa. «Ma è ancora incazzato con te. Se anche venisse, di sicuro non ti verrebbe a parlare».
«Credevo voleste stare in disparte, non davanti all'entrata sotto gli occhi di tutti,» commentò Liam, precedendo la risposta che il riccio stava per dare all'altro. «Venite».
Ci condusse attraverso la folla, e l'abito da sera che avevo indosso ricevette parecchie occhiate curiose da donne e uomini altrettanto eleganti, mentre cercavamo di seguire Liam fino all'angolo meno illuminato di tutta l'enorme sala. Due divanetti rossi ed una poltrona erano attorno ad un tavolino di vetro sopra cui c'erano degli stuzzichini, e questa sottospecie di minuscolo salottino aperto si ripeteva lungo tutti i bordi della pista da ballo, tranne quello del buffet. Harry prese subito posto sulla poltrona singola, Niall e Liam sul primo divano, lasciando a Zayn e me il secondo.
«Adesso che facciamo?» domandai.
«Assolutamente niente. Aspettiamo la mezzanotte e poi ce ne andiamo,» mi rispose Harry, controllando il suo orologio da polso. «Più o meno quattro ore».
Sbuffai e feci per prendere una nocciolina dalla coppetta in ceramica sul tavolino, ma Zayn mi schiaffeggiò il dorso della mano.
«Non mangiare né bere niente,» mi ammonì. «Non si sa mai».
Sbuffai di nuovo ma non dissi niente, limitandomi ad appoggiarmi allo schienale del divano ed a osservare i cantanti; da qua riuscivo a vederli meglio, essendo più vicina. Liam, Niall e Zayn erano immersi in una discussione di cui non capivo un gran ché, in parte per via della musica troppo alta, in parte perché era come se stessero parlando in codice.
Harry era perso nei suoi pensieri, e mi ritrovai inconsapevolmente a fissarlo: lo smoking lo sapeva portare estremamente bene, e la cosa non mi sorprese affatto. Era come se ogni singolo pezzo di stoffa indossasse, gli stesse da Dio, e ancora non avevo ben compreso come ci riuscisse. I tatuaggi sulle sue mani stonavano un pochettino con l'immagine complessiva, ma immaginai dovesse essere il prezzo da pagare per essersi impresso permanentemente quelle immagini sulla pelle. Come al solito, si rigirava l'anello immancabile fra le dita, sfilandolo e rimettendolo più e più volte, tanto che credetti potesse consumarsi e rompersi a causa dell'usura. E poi c'erano le luci colorate, che creavano immagini intricate che si riflettevano su di lui, facendolo sembrare ancora più bello di quando già non fosse. Scossi la testa e distolsi lo sguardo, prima che si accorgesse che lo stavo osservando. Avrebbe anche potuto farne un affare di Stato.
Dopo una quindicina di minuti, Niall si alzò, completamente spazientito. «Vado a fare un giro, mi sto rompendo a stare qui seduto quando tutti stanno ballando e si stanno divertendo,» annunciò, e Harry annuì, ancora distratto.
«Ti accompagno,» aggiunse Liam, alzandosi e seguendo il biondo attraverso le persone.
Zayn, vicino a me, si rivolse a Harry. «Secondo me dovresti provare a divertirti,» osservò, si passò una mano fra i capelli neri e «è una festa davvero figa, Smoke non si vede e Daniel neppure. Lasciati un po' andare, no?» osservò ancora.
Harry, irritato, distolse la sua attenzione dall'anello per guardare il moro. «Questa festa non è affatto davvero figa, ma puoi andare con loro se ti va,» e con un cenno del capo indicò la direzione in cui erano spariti Niall e Liam. «Non sono io ad impedirtelo».
Un sorriso si dipinse sul suo volto. «Grande! Selena, vieni con me?» mi fissò implorante, porgendomi una mano. Invece di guardare lui, i miei occhi si posarono sull'altro, che faceva comunque finta di niente, anche se potevo vederlo contrarre la mascella e serrare i pugni.
Declinai gentilmente la sua offerta. «No, grazie, Zayn. Magari dopo?»
«Okay, come vuoi,» fece spallucce lui, sparendo poi dalla mia vista, inghiottito dalla massa di corpi vestiti troppo elegantemente che bevevano e chiacchieravano in gruppetti di quattro o cinque.
Mi sistemai meglio sul divanetto, accavallando le gambe, e subito «perché sei rimasta?» chiese Harry. «Pensavo volessi divertirti».
«Infatti, vorrei divertirmi. Ma te l'ho promesso, Harry. Niente guai, ricordi?» gli feci un sorriso rassicurante.
Si sporse verso di me un po', posando i gomiti sulle ginocchia e la testa sulle mani, fissandomi attentamente. Eravamo comunque distanti, perché l'intero tavolino in vetro ci separava, ma il suo gesto improvviso mi fece sentire leggermente più valorizzata, ai suoi occhi.
«A che punto sei col mio nome in codice, Tigre?»
«Ci sto pensando,» annuii. «Bipolharry?»
«Fai sul serio?»
«Certo che no, era un'idea,» ridacchiai.
Non credevo l'avesse presa sul serio, quindi mi sorpresi quando la sua espressione divertita s'indurì di colpo. Avevo sbagliato ancora? Non c'era nulla che potessi dire senza farlo arrabbiare? Notai poi, con mio grande sollievo, che non era diretto a me, quello sguardo duro e contratto, bensì a qualche punto impreciso dietro le nostre spalle: un uomo di bell'aspetto, sui quarantacinque anni, dalla carnagione scura e i capelli corti come quelli di un soldato, ci stava venendo incontro.
«Harry, grazie a Dio sei qui. Perché non hai risposto ai miei messaggi e alle chiamate?» si sedette sul divano vuoto, sistemò il papillon che aveva al collo e «anzi, lascia stare, adesso non è importante,» fece, agitato più di prima. Harry stava per aprire bocca, forse per spiegargli che, accidentalmente, avevo rotto il suo cellulare, ma l'uomo continuò: «Devo dirti una cosa importantissima, e io stesso faccio fatica a crederci. È completamente assurda, folle e non ha senso, solo che è vera. Ho visto t-»
«Hey, Lee!» una voce a me familiare ci fece voltare, troncando di netto il discorso dell'uomo africano. Daniel Smoke, vestito di tutto punto, con giacca e cravatta, ci raggiunse. «Di che parlate? Posso unirmi alla conversazione?» ghignò, avvicinandosi di qualche passo a dove stavo io.
«Assolutamente no,» rispose Harry, alzandosi dalla poltrona e sedendosi vicino a me, lanciandomi poi una strana occhiata, mentre Daniel prese posto in quello lasciato vuoto dal cugino.
«Stavi dicendo, Lee?» chiese il riccio, ignorando l'ultimo arrivato. L'uomo che doveva essere Lee, guardò Daniel per un secondo, poi sospirò e si passò una mano sulla barba corta che gli cresceva sul mento, grattandola distrattamente.
«No, niente. Lascia stare, Harry. Ti spiegherò un altro giorno. Pensandoci, non era neanche molto importante,» si rassegnò. «Piuttosto, tu chi saresti, signorina?»
Ci impiegai un secondo di troppo a capire che si stava rivolgendo a me, ma gli sorrisi e gli tesi una mano comunque, anche con quegli attimi di ritardo imbarazzanti. «Selena Parker, piacere... Lee, giusto?»
«Giusto. Il piacere è mio,» la sua stretta era salda, e sostenni il suo sguardo senza sbattere ciglio. Sembrava gentile. «Quindi tu sei la nuova arrivata? Ho sentito molto parlare di te,» disse poi. Aveva sentito parlare di me? Da chi? Harry, o Smoke stesso?
«Sì, così sembrerebbe. Anche io ho sentito alcune persone fare il tuo nome,» confermai.
Daniel tossicchiò, facendo spostare la nostra attenzione su di lui. «Mi dispiace interrompere, ma posso parlarti un attimo?» chiese, guardando Lee, che annuì e si alzò.
«È stato bello conoscerti, Selena,» mi salutò, poi fece un leggero cenno del capo a Harry, e se ne andò con Daniel veloce com'era apparso.
Il riccio ed io passammo venti minuti in silenzio, lui che si rigirava i pollici ed io che mi fissavo i piedi, attorcigliando di tanto in tanto la stoffa morbida del vestito attorno alle dita, constatando che quella era la prima volta che mi vestivo da donna in un bel po' di tempo. Mi ero pure truccata, usando il mascara e il rossetto che Elle mi aveva regalato solo un paio di giorni prima, e neanche ricordavo quand'era stata l'ultima volta in cui l'avevo fatto.
Era stranissimo.
Dopo quasi mezz'ora, però, non ce la facevo più, la noia era totale. Non potevo bere, né mangiare, e nemmeno andare a guardare i cantanti da più vicino.
«Harry?»
«Che c'è?»
«Ti va di... ballare?» tentai.
Alzò un sopracciglio. «Il tuo senso dell'umorismo è quasi divertente».
«Dai, andiamo! Alle feste ci si dovrebbe divertire, almeno un pochino,» obiettai. «E poi lì in mezzo abbiamo meno probabilità di incontrare Daniel di nuovo -stare in disparte non mi sembra abbia funzionato».
Harry sospirò. «Evita di perderti, lì in mezzo».
Esultai internamente per la mia piccola vittoria quando ci alzammo all'unisono e ci allontanammo dal mini salottino, verso la massa di ospiti messi in coppia, che dondolavano l'uno vicino all'altro, accompagnati dalla musica che si era trasformata in una specie di lento.
«Streets Of Love. Una delle mie preferite,» mormorò Harry. «Vuoi ballare, allora?»
«Pensavo non fossi capace di ballare,» osservai.
«No, ho solo detto che lo detesto. Ma visto che me lo chiedi così gentilmente...»
Gli sorrisi sinceramente; lui mi cinse la vita con un braccio, e di nuovo percepii quel calore che solo Harry sapeva regalarmi. E non era come Niall, o come un abbraccio di Zayn: era il suo abbraccio. «Puoi anche ricambiare, non mordo mica,» mormorò.
«Cosa?»
Ridacchiò sommessamente, e una delle sue mani portò la mia ad avvolgersi dietro la sua nuca. Aggiunsi anche l'altra, di mia spontanea volontà, e anche se lui cercava di mantenere un minimo di distanza, fra di noi, fu parecchio difficile. Harry iniziò a cantare piano, e data la nostra vicinanza la sua voce era quella che sentivo meglio. Mi persi nel testo della canzone senza poterlo evitare, e capii subito perché a lui piacesse tanto.
The lamps are lit
The moon is gone
I think I've crossed
The Rubicon.
Era facile da intuire cosa gli passasse per la mente, ascoltandola. Il fatto che le luci fossero accese e la luna fosse scomparsa poteva voler dire che il suo punto di riferimento, la luna, non c'era più. La parte riguardante il fiume Rubicone invece era la sua voglia di ribellarsi a Smoke, di sfidare il sistema governativo, come aveva fatto Giulio Cesare duemila anni prima, attraversando quello stesso fiume e dichiarando guerra ai suoi oppositori.
And I, I, I, I, I, I, I
Walk the streets of love
And they're full of tears
And I, I, I, I, I, I, I
Walked the streets of love And they are full of fears
Le Strade dell'Amore potevano essere viste come le strade di Smoke Town, piene di lacrime e di paure, che Harry aveva percorso tutta la vita. Forse da quelle strade ci si sarebbe aspettato proprio l'amore, come doveva essere una volta, prima della comparsa di James, ma ora l'unica cosa ad esserci era il dolore.
«Non sapevo cantassi anche tu,» gli dissi, quando la canzone finì ed il cantante annunciò una breve pausa. Ancora stretta fra le sue braccia, per la precisione. Volteggiammo sul posto per un altro paio di minuti, non curandoci degli sguardi delle persone attorno a noi, e lo ringraziai silenziosamente, fra me e me, per non essersi allontanato subito.
«Sorpresa, eh?» percepii il suo petto vibrare leggermente quando rise.
«Abbastanza, sì».
Iniziai a giocherellare con i riccioli alla base del suo collo, attorcigliandoli alle mie dita come avevo fatto col vestito, poco prima, evitando a tutti i costi i suoi occhi verdi. Che ironia del destino: l'unico ragazzo che riusciva a darmi un punto sicuro, era anche l'unico per cui molte volte mi sentivo debole e vulnerabile. Harry era un punto di riferimento, eppure la mia bussola girava e rigirava, senza mai fermarsi.
«A cosa stai pensando?» mi sussurrò lui all'orecchio, in modo che sentissi. «Sembri distratta».
«Al tuo nome in codice,» mentii. «Tu, invece?»
«Al fatto che mi hai pestato un piede,» nessun tic della vena del suo collo: gli avevo davvero pestato un piede, senza neanche accorgermene.
«Scusami,» ridacchiai. «Giuro che di solito, sui tacchi, sono molto più stabile».
«Ovviamente,» alzò gli occhi al cielo. Stava per aggiungere qualcos'altro, quando il suo sguardo vagò oltre la mia spalla, e come poco prima, cambiò radicalmente. Al contrario, non c'era rabbia presente fra i suoi lineamenti, solo puro, vero terrore.
Imprecò sottovoce, per poi staccarsi lentamente da me.
«Harry, Selena. Che piacere vedervi entrambi qui,» quella voce roca e grave mi fece gelare il sangue nelle vene. L'unica persona che avremmo dovuto evitare di incontrare, era proprio alle mie spalle.
«Mi hai sorpreso, Harry. Non credevo saresti stato tanto incosciente da portarla veramente,» rise James Smoke. Come tutti, era vestito in smoking, un bicchiere di champagne era stretto nella sua mano e aveva un'espressione di vittoria stampato dritto in faccia. La postura rigida, la schiena dritta, ma disinvolto nei movimenti, a suo agio in mezzo a tutto quello sfarzo.
Harry si irrigidì di colpo; sentivo il suo petto a contatto con la mia schiena alzarsi ed abbassarsi velocemente, mentre stava cercando di rimanere calmo. «James,» lo salutò, freddo.
«Ti sta piacendo la festa, Selena?» Smoke mi fece un sorriso che sembrava tutto tranne che amichevole.
«Sì. È magnifica,» mentii. C'erano troppe persone, troppe luci, troppe bevande, troppo lusso. Troppo di tutto.
«Non posso fare a meno di notare lo splendido vestito che hai indosso,» e i suoi occhi di smeraldo mi squadrarono da cima a fondo, facendomi indietreggiare involontariamente verso Harry. «Ti sta d'incanto, mia cara».
Deglutii. «Grazie,» e suonava più come una domanda, che come un vero ringraziamento.
«Posso offrirti qualcosa da bere? Vino? Champagne? Qualcos'altro?»
«Sto bene così, grazie mille,» mormorai.
«Cosa vuoi, James?» chiese Harry, perdendo la pazienza. «Ci inviti ad una festa, organizzi tutto questo, e ora stai cercando di fare la parte del buono. Perché?»
Smoke rise, piano, senza scomporsi affatto. «Non sei del tutto cieco allora, sai che c'è qualcosa a cui voglio arrivare,» constatò. «Ma non hai ancora capito cosa».
«Dimmi solo cosa vuoi che faccia, e poi finiscila con questa farsa,» scattò l'altro, aspro.
«Se ti chiedessi di nuovo di spararle, con una pistola carica, stavolta, quale sarebbe la tua risposta?» si azzardò a domandare James, e non riuscii a non trasalire, sentendomi in trappola come un pesce in una rete. Harry non l'avrebbe fatto, no? Insomma, con una pistola carica?
«Te l'ho detto,» ringhiò il ragazzo. «La sai già la risposta».
«Temo d'averla completamente scordata,» scosse la testa. «Ti dispiace illuminarmi di nuovo?»
«Sì,» tagliò corto Harry. «Lo farei».
Prima che quella punta di dolore mi prendesse lo stomaco, come la prima volta, percepii le dita della mano del ragazzo, sfiorare piano le mie, e la cosa alleviò di poco la sensazione di rifiuto che sentivo ogni volta che Harry mentiva in quel modo. Perché lui stava mentendo; non poteva star dicendo la verità.
«Come ci riesci, Selena?» Smoke si rivolse a me. «Perché vivi con lui, sapendo che ti ammazzerebbe senza pensarci due volte, se solo io glielo chiedessi?»
Guardai l'uomo dritto negli occhi. «Perché so che tu non glielo chiederai affatto».
La mano di Harry afferrò il mio polso, e dalla stretta che gli diede, capii che forse avevo esagerato un po'. James Smoke, in ogni caso, ne parve sorpreso, non arrabbiato, perché «giusta osservazione, mia cara,» annuì. «Sei più perspicace del previsto».
«Io ancora non capisco cosa tu voglia che faccia,» disse Harry, facendo scattare lo sguardo di suo zio da me, alla sua persona.
«In realtà, Harry,» sospirò. «Da te non voglio niente. Devo solo parlare cinque minuti in privato con Selena, se non vi dispiace».
Trasalii di nuovo.
«E se ci dispiacesse?» osò chiedere Harry.
«Ci sono circa cinquanta guardie, in questa sala,» mormorò Smoke. «Che eseguono i miei ordini ciecamente. Non sarebbe saggio da parte vostra».
«Fortuna che non ci dispiace, allora,» borbottò l'altro, alle mie spalle, lasciando andare il mio polso. «Te la senti di andare?» mi domandò, sussurrando così piano che faticai a sentirlo.
No. No, non me la sento.
Annuii. Non ci si poteva di certo ribellare a Smoke, non quando eravamo così impreparati e vulnerabili. Sarebbe stato come fare un salto nel buio. «Tu mi aspetti qui?» mormorai.
Con un cenno affermativo del capo, «sta' attenta, Tigre,» disse, prima che mi girassi a seguire Smoke verso l'uscita della sala, lontana dalla mia àncora di sicurezza, lontana da Harry.
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