15. Qualche problemino con l'alcol ce l'hanno proprio tutti
Harry
Avevo pensato molteplici volte di lasciare Smoke Town. Era un desiderio che bramavo da sempre, che sognavo di notte, pure sul quale fantasticavo quando non avevo sonno: me ne stavo sveglio ad immaginare come sarebbe stato vivere in una bella casa, una di quelle col terrazzo e il giardino grande, con mamma, papà e Gemma, avere dei vicini, andare all'università, magari. Avevo pensato di andare a stare dai nonni paterni a me sconosciuti, in Inghilterra, una fattoria rurale alla quale avrebbero fatto comodo due braccia in più. Purtroppo, fra tutte le città in cui ero dovuto nascere, proprio Denville doveva essere. Non a caso, una volta entrati nella Città di Fumo, non c'è modo di andarsene -James aveva le liste. Ogni singola persona che viveva qui, stava anche nel sistema, e ogni singola persona che scappava da qui, si poteva facilmente rintracciare. Era ciò che facevo anche io, cercare fuggitivi o persone indebitate con Smoke fino al collo. Lo stesso uomo che avevo ammazzato, quel giorno, a Cleveland, quando avevo incontrato Selena. E che stupido ero stato, a portarla con me!
Era tutto così dannatamente difficile e cupo, in questa città. Vivere qui era un continuo brancolamento nell'oscurità, senza mai sapere cosa sarebbe successo appena svoltato l'angolo, non si poteva mai sapere di chi fidarsi, o chi sarebbe morto per primo.
Lo squillo del mio cellulare dalla tasca posteriore dei jeans mi costrinse a staccare gli occhi da Selena, concentrata sulla sua tazza di tè. Lo tirai fuori e guardai il nome sul display: James Smoke.
Resistetti all'impulso di gettare il telefono fuori dalla finestra, limitandomi ad appoggiarlo sul tavolo, lasciando che suonasse, ininterrotto e fastidioso, ma «non rispondi?» chiese lei, perplessa, guardando prima il dispositivo, poi me.
«Non ho intenzione di parlargli,» borbottai.
«Beh, dovresti. Forse è importante».
«Non è importante. E se anche lo fosse non me ne potrebbe fregare di me-»
Prima che potessi finire la frase, Selena afferrò il cellulare, sbloccando lo schermo e rispondendo al mio posto: «pronto?» disse. Feci per riprendermi il telefono per chiudergli la chiamata in faccia -e pensandoci sarebbe stata una cosa divertente!- ma lei si allontanò di qualche passo, avendo intuito ciò che volevo fare.
«No, sono Selena,» la sentii dire. «Bene, grazie... se stai cercando Harry, al momento si sta facendo la doccia, ma appena ha finito posso dirgli di richiamare,» mentì. «Nessun problema, davvero».
Sbuffai, estremamente frustrato, e le lanciai un'occhiataccia assassina che però ignorò, riagganciando la chiamata. Come faceva ad essere così cortese con lui? Io, al posto suo, lo avrei mandato a quel paese. «Perché non ti fai mai i cazzi tuoi?» sputai.
«Stavo solo-»
L'apertura della porta interruppe le sue parole, e finalmente la sagoma di Elle entrò nella mia visuale. «Harry,» disse. «Ho ricevuto il tuo messaggio-»
«Perfetto,» e mi avviai verso la porta, lasciando il telefono sul tavolo così che non avrei potuto richiamare James, neanche se avessi voluto. «Io esco, ci si vede». Mi misi la giacca, recuperando poi la mia pistola ed infilandola nella cintura dei jeans: avevo imparato a mie spese quanto ero stato stupido a dimenticarla, e non avrei commesso di nuovo lo stesso errore.
Non aspettai una risposta da nessuna delle due, aprii la porta prima che potessero ribattere e mi fiondai giù per le scale, fuori dall'albergo e sulle strade di Smoke Town.
. . .
«Allora, ordini qualcosa o hai intenzione di stare lì seduto ancora molto?»
Seduto su uno di quegli sgabelli alti e dondolanti di The Old Bug, alzai gli occhi verso Dave, che mi fissava stranito e divertito dal suo posto di lavoro dietro al bancone, direttamente davanti a me.
«Un bicchiere d'acqua posso chiederlo?»
«Tu sei fuori di testa, Harry,» sghignazzò Dave. «Ma fuori proprio fuori fuori di testa,» eppure mi passò una bottiglia da mezzo litro d'acqua e un bicchiere lucido e pulito. «Sai che limpido ti viene il piscio se bevi tanta acqua così?»
«Che schifo, porca puttana,» storsi il naso, proprio quando una ragazza familiare si sedette vicino a me. Troppo familiare.
«Hey, Dave. Il solito, grazie. Offro anche per lui,» disse Sarah, indicandomi. Sarah Bailes, quella punk. Guardare nella sua playlist voleva dire tuffarsi in una piscina di Sex Pistols, Ramones e The Clash, e a me il punk proprio faceva schifo. Non che a lei i Pink Floyd piacessero: era solita ridere di quanto sembrasse musica da fattoni, quella che ascoltavo io, come se non fosse lei quella a fumare erba. E poi, il suo modo di vestire! Non serviva guardare nella sua playlist per capire che avrebbe scambiato sua sorella per una chiacchierata con Sid Vicious: capelli neri, ombretto nero, jeans strappati neri, scarpe nere, giubbotto in pelle nero, guanti con le borchie neri, e l'immancabile scritta Punk's not dead, Punk's sleeping drunk, sulla sua maglietta nera. Un classico.
Detestavo i suoi gusti musicali, detestavo il suo modo di essere e detestavo il suo finto accento inglese, eppure c'ero andato a letto. Un classico anche questo.
«No, io me ne vado,» risposi, afferrando la giacca.
«E dove? Dai, Harry, fammi compagnia, solo cinque minuti,» piagnucolò lei, facendo sporgere il labbro inferiore e sbattendo le ciglia ripetutamente. «Per favore».
«Scordatelo,» scossi la testa. «Ho di meglio da fare che passare il mio tempo a bere con te,» iniziai ad incamminarmi verso l'uscita.
«Sei così noioso, però. Ecco perché non ha funzionato, fra di noi».
«Primo, non sono noioso, siete voi che non capite il senso della parola astemio, e secondo, i Sex Pistols fanno cagare al cazzo: ecco perché non ha funzionato fra di noi».
Sarah ridacchiò, sistemandosi meglio sullo sgabello. «Dai Harry, almeno fammi compagnia. Non devi bere per forza, solo stare seduto lì. Anche muto come uno squalo, se vuoi, ma non voglio che la gente pensi io stia bevendo da sola, capisci? Sarebbe deprimente».
«Come un pesce,» precisai. «Si dice muto come un pesce».
«Lo squalo è un pesce,» obbiettò lei. Scossi la testa e sospirai, cercando di trattenere un sorriso mentre mi sedevo di nuovo sullo sgabello vicino a lei.
«Lo sapevo che avresti ceduto,» esultò, ancora. «Bevi qualcosa?»
«Non tirare troppo la corda adesso,» la ammonii, e la vidi alzare gli occhi al cielo. Il barista, Dave, tornò poco dopo con una bottiglia di vetro contenente una specie di liquore ambrato che versò in due bicchierini. Sarah sorseggiò il suo con gusto, mentre io mi limitai ad osservare l'alcol davanti a me senza toccarlo, rigirandomi un anello che portavo al dito.
«Toglimi una curiosità,» iniziò la ragazza, appoggiando il suo bicchiere vuoto sul bancone e versandosene un altro po'. «Non te l'ho mai chiesto ma... cos'hai contro l'alcol?»
Scrollai le spalle. «Niente. Non mi piace e basta».
«Zayn mi ha detto che è perché non hai ancora ventun anni e non ti va di commettere un 'reato estremamente grave' quale bere. Parole sue».
«Dai dell'ironia, per caso?» assottigliai gli occhi. «E poi, Zayn? Da quando frequenti lui?»
«Da quando i Sex Pistols non gli fanno cagare,» rispose. «Ma non è una cosa seria. È un po' come noi due, ma meno freddo. Zayn è molto dolce, al contrario di com'eri tu».
«Non è colpa mia se scopare con te significava scopare con i Ramones di sottofondo,» roteai gli occhi. «L'avessi saputo prima e t'avrei detto di no».
Sarah sbuffò, per niente contenta della mia risposta, per poi trangugiare il contenuto del suo bicchiere tutto in una volta. Dave, pochi metri più in là, ci osservava attentamente, tanto che quando la ragazza stava per versarsene un terzo, lui la fermò, richiudendo la bottiglia e riponendola sullo scaffale dietro il bancone assieme ad altre simili.
«Ne hai bevuti abbastanza per oggi,» ridacchiò, e lei fece una smorfia.
«Tu non lo vuoi il tuo?» mi chiese Dave, indicando il liquore intoccato davanti a me.
Sbuffai, portando il bicchiere vicino alle mie labbra. Storsi il naso all'odore insopportabile dell'alcol, e lo ripoggiai sul bancone senza berne nemmeno una goccia.
«No,» dissi semplicemente, passandolo a Sarah, che lo accettò di buon grado.
«Davvero, ragazzo, che problema hai con l'alcol? Hai subito una specie di trauma da piccolo o cosa?» domandò Dave, fissandomi. «Non ho mai visto nessuno della tua etá rifiutare un bicchiere di Cognac invecchiato alla perfezione».
Decisi di ignorarlo, giocherellando con la stoffa della mia T-shirt dei Rolling Stones e sperando lasciasse cadere l'argomento.
La colpa era sempre stata dell'alcol. Forse Dave poteva capire: giravano storie, voci probabilmente non vere, che affermavano quanto lui fosse schiavo del bicchiere e la bottiglia: era un vizio comune per gli scrittori squattrinati, il bere, ma io non ci avevo mai creduto. Dave non si considerava uno scrittore, e forse era ciò che l'aveva salvato, impedendogli di fare la fine di mio padre.
Troppe volte io e Gemma l'avevamo visto tornare a casa ubriaco marcio, e vomitare anche l'anima nel bagno di casa, con mia madre che lo accudiva mentre lui non si reggeva in piedi. Non era una cosa facile da dimenticare. Come quel giorno di Natale, anni e anni fa, quando James ci aveva invitati a casa sua per il pranzo -la villa ancora non esisteva, a quel tempo- e papà aveva provato con tutto se stesso a non toccare lo champagne, ma la brama nei suoi occhi l'aveva tradito davanti a tutti. Mamma s'era vergognata di lui, e io pure. Odiavo il Natale.
A James divertiva vedere suo fratello ridotto in quel modo, solo perché, al contrario di mio padre, era capace di non ubriacarsi in pubblico. James Smoke non si mostrava debole con nessuno, ovviamente. Bere, secondo lui, era da deboli. Bere era vietato. Bere! Ma figuriamoci! Un bicchiere di vino rosso al massimo, sorseggiato elegantemente, perché sì, James avrebbe saputo rendere elegante pure una birra da quattro soldi comprata sul ciglio della strada. E avevo chiesto alla mamma, una volta, perché avesse sposato un alcolizzato; mi aveva risposto solo con un non commettere i suoi stessi errori, Harry. Dire una cosa così ad un bambino di dieci anni ed aspettarsi che non ne rimanesse spaventato, era come andare da uno sbirro sniffando droga e sperando di non essere arrestati.
Tornai bruscamente alla realtà quando «non ne vuoi parlare? Va bene, ho capito,» Dave alzò le mani al cielo in segno di resa e si allontanò di nuovo, probabilmente a servire altri clienti.
«Harry,» mormorò Sarah, catturando la mia attenzione. «Mi accompagni di là?»
«Di là dov-» mi bloccai. «Oh,» compresi. Di là, certo. L'aveva detto anche la prima volta.
«Lo sai che non mi piace la tua musica,» risposi. «Quindi passo, Sarah. Vai a chiederlo a quel vecchio laggiù».
«Niente musica, te lo prometto. Silenzio e basta,» il tono supplichevole della sua voce era esilarante. «Per favore?»
Contrassi la mascella per impedirmi di sorridere. Forse lo volevo anche io, dopotutto. Da quanto tempo non scopavo? Un mese? Un mese e mezzo? Troppo, cazzo! Era un nuovo record. «Niente musica,» ripetei, scoccandole un'occhiataccia, ma alzandomi dallo sgabello.
«Niente musica,» confermò, prendendomi per mano, e iniziando a tirarmi verso il retro. Sapevo che The Old Bug aveva una stanza in cui Dave stivava le vecchie bottiglie, e i giornali, e i tavoli e le sedie in più, tutta roba che al locale non serviva in quel momento, e ne ebbi la conferma quando Sarah sgusciò proprio sotto al naso del barista -che ci guardò maluccio, ma non obiettò né niente- fin dentro alla piccola saletta.
Chiusi la porta alle mie spalle. Mi sarei volentieri guardato attorno, ma non me ne diede il tempo: era così impaziente, come se anche lei, come me, non facesse sesso da tanto. Andava bene così; la stanza l'avrei osservata dopo.
. . .
Selena
Harry rimase fuori per più di un'ora, dopo che Elle se ne ritornò a casa. Il ticchettio dell'orologio sul muro non faceva altro che aumentare la mia preoccupazione, perché sì, ero preoccupata: cosa doveva fare di tanto importante da stare via tutto quel tempo? Non che m'importasse, ma neanche s'era degnato di portarsi dietro il cellulare, e se gli fosse accaduto qualcosa, avrebbe fatto la fine di chissà quante altre persone incoscienti -o temerarie?- che s'erano avventurate per Smoke Town da sole. Io, dal canto mio, avrei perso il mio anfitrione.
L'ora divenne un'ora e mezza, l'ora e mezza poi divenne due ore.
Due ore. Stavo camminando in cerchio da due ore, aspettando che quella maledetta porta si fosse aperta e la figura di Harry fosse comparsa sulla soglia. Se Smoke Town non fosse stata così pericolosa, non sarei stata tanto in ansia; insomma, sommando la spavalderia e l'impulsività del ragazzo, con il suo attirare guai manco una calamita col ferro, e il fatto che tre quarti della gente di periferia girasse armata, beh, il risultato non era dei migliori.
Non mi aveva nemmeno detto dove andava, né quanto tempo sarebbe stato via, né con chi era: forse quelle ore per lui erano poco tempo. A me, comunque, sembravano un'eternità, specie ora che Elle era andata via e non avevo nulla da fare per tenermi occupata.
Un rumore improvviso mi fece sobbalzare, l'unico a rompere il velo di silenzio oltre che l'orologio. Proveniva dal cellulare di Harry, ancora sul tavolo, vicino allo zucchero; quando la suoneria di notifica di un secondo messaggio risuonò per la stanza, lo schermo del telefono si illuminò, ma non riuscii a leggere il nome del mittente perché si spense poco dopo, tornando nero.
Sarebbe stato tanto brutto se gli avessi dato un'occhiata, solo per vedere se fosse importante?
Decisamente sì. Se anche io avessi avuto un cellulare, sarei stata oltremodo infastidita se qualcuno avesse guardato i miei messaggi. E poi non erano affari miei. Non mi riguardavano, quei messaggi. Assolutamente no.
Mi lanciai un'occhiata alle spalle. Sola, come prima. Non c'era nessuno.
Al diavolo, Selena.
Velocemente sbloccai lo schermo che fortunatamente non aveva una password -stupido Harry!- e, in fretta e furia, aprii l'icona dei messaggi.
Stupida, stupida, stupida!
Harry era un ragazzo davvero di poche parole. Aveva neanche dieci chat, tutte per questioni di lavoro, tranne quella di Elle -probabilmente aveva cancellato le altre. I due nuovi messaggi erano da parte di un certo Lee Jones: avevo sentito i ragazzi parlare di lui alcune volte, ma non l'avevo chiaramente mai incontrato di persona, considerando che l'unica esperienza che avevo avuto con i colleghi di Harry era stata parecchio traumatica.
Basta! Metti via, santo cielo!
Se l'avesse scoperto, si sarebbe arrabbiato così tanto con me. Forse non era la cosa più intelligente da fare, visualizzare i messaggi e non rispondere a causa della mia scarsa conoscenza del loro lavoro. Avrei semplicemente potuto dire che gli erano arrivati, mentre era via, e di dargli un'occhiata. Così non m'avrebbe neanche beccata.
Stavo per rimettere l'iPhone al suo posto, e l'avrei anche fatto, se non fosse stato per una voce alle mie spalle che mi spaventò a morte, facendomi scivolare il telefono dalle mani. Ovviante finì sul pavimento.
«Cosa stai facendo, si può sapere?» esclamò Louis, venendomi incontro a grandi falcate. «È il cellulare di Harry?»
«N-no... cioè sì...» balbettai, piegandomi a recuperarlo. Una crepa si era formata lungo tutto lo schermo, partendo dall'angolo in alto a destra per poi ramificarsi e finire in quello in basso a sinistra.
Complimenti, Selena. Sei nei guai.
Oh no. No, no, no! L'avevo appena rotto. Irreparabilmente, irrimediabilmente, incontrovertibilmente rotto.
«Posso sapere perché cazzo stavi guardando il suo cellulare?»
Alzai gli occhi dallo schermo crepato solo per vedere il viso furioso di Louis guardarmi con odio. Il telefono passò in secondo piano: cosa ci faceva qua? Non aveva litigato con Harry? Avrebbe fatto la spia?
«Io-» tentai, ma mi interruppe.
«Non so quale sia il tuo gioco, ma sappi che ti tengo d'occhio,» disse, abbassando il tono, come se non volesse farsi sentire.
«Gioco? Di cosa stai parlando?» chiesi, confusa, non capendo a cosa si riferisse.
«Non fare la finta tonta con me, perché non attacca. So che ti ha mandata lui, quindi è meglio se ti guardi le spalle».
«Lui chi? James? Louis, davvero, è assurdo-»
«Se fossi in te, lo lascerei stare e me ne andrei via da questa casa. Harry non merita di avere il cuore spezzato di nuovo, e ti giuro che se sei una sottospecie di Natalie, spezzargli il cuore sarà l'ultima cosa che farai in vita tua».
«Natalie?» quasi risi alla stupidità delle affermazioni del ragazzo. «Non so neanche chi sia, Louis!»
«Sono sicuro che lo sai benissimo. Ti ho avvertita, Selena. Guardati le spalle,» disse.
«Mi stai minacciando?» domandai, ritrovando un po' del mio coraggio, guardandolo negli occhi e assottigliando i miei.
«No, ti sto avvertendo. Non osare spezzargli il cuore, Parker».
«Andiamo,» protestai. «Come farei a spezzare il cuore di uno al quale non importa nulla di me?»
Pressò le labbra fini assieme, guardandomi dalla testa ai piedi con rabbia e stizza, e «tu non sai niente,» sibilò. «Niente».
Dopo avermi rivolto un'ultima occhiata assassina, si girò e se ne andò da dove era venuto, lasciandomi sola in compagnia di un cellulare rotto come il cuore di Harry.
. . .
«Hai combinato un bel disastro,» osservò Zayn, rigirandosi il cellulare rotto tra le mani.
«Lo so!» esclamai. «Cosa faccio ora? Harry dará di matto, e-»
«Okay, calmiamoci un secondo,» pensò Liam, ad alta voce. «Forse non sarà poi così arrabbiato».
«Se ci vuoi credere, Liam. Harry la ucciderà,» commentò Niall. «Metaforicamente parlando, s'intende,» aggiunse.
Zayn si grattò la nuca, e «puoi ripagarlo, no?».
«Io non posso dargli seicento dollari! Ne ho a malapena quindici, diamine!»
Il cellulare era completamente andato. Non ero solo riuscita a rompere lo schermo, no. Non si accendeva nemmeno. E Liam sosteneva non fosse colpa mia, ma sua che l'aveva lasciato a casa; tutti sapevamo però che era seriamente su di me, la colpa. O meglio, sulla mia curiosità.
«È stato un incidente, digli questo,» suggerì Niall. «Stavi mettendo in ordine e ti è scivolato. Può capitare a tutti, giusto?»
«Giusto,» annuì Zayn. «E poi sei una ragazza, Harry ti perdonerà sicuramente».
«Non so voi, ragazzi,» sghignazzò Niall. «Ma non voglio essere qui quando Harry tornerà. Vado da Joe a guardare un film».
«Anche io,» si aggiunse Liam.
«No, andiamo ragazzi! Non potete farmi questo!» esclamai. «Vi ho pure fatto la cena!»
«Mi dispiace davvero, Selena,» disse Zayn, scusandosi con gli occhi.
«Pure tu te ne vai?» tirai su col naso.
«Seducilo un pochino, e vedrai che non si arrabbierà neanche,» mi fece l'occhiolino. «Buona fortuna: te ne servirà,» poi sparì oltre la porta, chiudendosela alle spalle.
Altri dieci minuti passarono, prima che il riccio effettivamente tornasse. Harry, completamente zuppo d'acqua, fece capolino oltre la soglia, gocciolando sul pavimento di casa. Il suo viso era arrossato, i suoi capelli ricoperti da quelli che sembravano minuscoli fiocchi di neve. Ma la cosa più strana di tutte era che stava leggermente sorridendo.
Lo osservai togliersi la giacca bagnata e appenderla al suo posto, poi si sfilò gli scarponcini che si erano scuriti grazie all'umidità che avevano preso, ed infine estrasse una pistola dalla cintura e la poggiò sulla cassapanca.
«Hai visto? Sta nevicando,» mi fece notare, andando verso una finestra per osservare i fiocchi bianchi cadere dal cielo.
«Wow,» biascicai, senza il benché minimo entusiasmo, rigirandomi il telefono fra le mani, nascosto dietro alla mia schiena.
Harry si voltò, appoggiandosi al davanzale della finestra e scrutandomi con i suoi occhi verdi. «Scommetto che la neve ti fa schifo,» affermò.
«Non sono dell'umore adatto per giocare,» bofonchiai. «Ma vero, comunque. Odio la neve».
«A me piace molto, invece».
«Ti ho fatto la cena,» dissi. «E anche una torta».
«Ho già mangiato, in realtà,» si staccò dal davanzale, avanzando verso la cucina. «Ma la torta ci sta sempre».
«Hai già mangiato?» mi accigliai. «Davvero?»
«Sì, davvero. Da una mia... uhm... amica. Sì, una mia amica».
«Oh,» faticai a nascondere la strana delusione che sentii crescere nel petto. «Okay, non fa nulla».
Aprì il frigo, e i suoi occhi si illuminarono al vedere le ultime tre fette di torta Sacher che avevo preparato con Dalia, proprio per lui. «Spero non ti dispiaccia se la finisco,» si leccò le labbra, tirando fuori il piatto e prendendosi una forchetta.
«No, fa pure,» mormorai. «Gli altri hanno già avuto la loro parte».
«E tu?»
«Io cosa?»
«Non l'hai mangiata una fetta anche tu?» si accigliò.
Scossi la testa. «Non ho fame, in realtà».
Fece per portarsi un boccone alle labbra, quando fermò la forchetta a mezz'aria. «Qualcosa non va?»
«Tutto okay».
«Sembri strana,» continuò. «Più del solito».
Presi un profondo respiro, sedendomi davanti a lui. «In realtà, Harry, vorrei scusarmi con te,» mormorai.
Un sorrisetto gli incurvò le labbra. «Questa mi è nuova, Sel,» divorò in tre morsi la prima fetta di torta. «Vorresti scusarti con me».
Annuii.
«E perché mai?» si sporse verso di me, passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Deglutii. «È successa una cosa brutta, mentre eri via».
Il suo viso sbiancò di colpo. Tutto il colore della sua pelle venne drenato, una spugna strizzata da mani troppo forti, con l'acqua che gocciolava sul pavimento formando una piccola pozzanghera. «Cosa?»
«Beh, io-»
«Zayn ci ha provato, vero?» ringhiò lui. «O Liam! Cazzo, Selena, e tu ci sei stata veramente?»
«No, Harry, che-»
«Lo sapevo che era solo questione di tempo!» sbottò, sbattendo il pugno sul tavolo. «E sai cosa? Non posso credere che tu ti sia abbassata a tali livelli! Scopare spudoratamente con uno dei tuoi coinquilini! Cazzo!»
«Harry!» esclamai, estraendo il telefono dalla tasca e posandolo davanti a lui. «Ecco cos'è successo. Nessuno è andato a letto con nessuno... ho solo rotto il tuo cellulare. Per sbaglio,» mi affrettai a dire, prima di essere interrotta di nuovo. «Scusami tantissimo; ti giuro che non volevo! Mi è scivolato per terra e adesso non va più, ma troverò un modo per ripagarti. Stavo pensando, potrei pulire la tua stanza per tre mesi, e cucinarti le cose più buone del mondo, e potrei smettere di leggere le poesie che ti danno tanto fastidio, o qualsiasi cosa vuoi-»
«Frena, frena,» disse lui, prendendo il telefono in mano. «Mi hai seriamente rotto il cellulare?»
Mi morsi l'interno della guancia. «Già,» sussurrai.
«Cioè... come cazzo hai fatto?» e rise. «A me sarà caduto centinaia di volte, ho ammazzato gente, saltato edifici, preso proiettili e legnate, con questo in tasca. E vuoi dirmi che tu sei stata capace di romperlo in casa?»
«A quanto pare».
«Beh...» si passò una mano fra i capelli. «Ti ho decisamente sottovalutata: sei micidiale, Sel. E grazie a Dio non hai fatto sesso con Liam o Zayn».
Non riuscii a non sorridere. «Quindi non sei arrabbiato?»
«Al contrario, sono furioso,» e il suo sorriso scomparve, così come il mio.
Abbassai lo sguardo, sentendo il peso del muto rimprovero che mi stava rivolgendo, ma prima che potessi scusarmi di nuovo, Harry scoppiò a ridere di gusto.
«Sto scherzando, Sel!» esclamò. «Adesso ho una scusa per non dover richiamare James, e di questo ti sono grato».
«Sì ma Harry,» protestai. «Dovrò ricomprartelo, e io non ho soldi. E poi non so quanti negozi di cellulari ci siano, qui».
«Tu lascia stare i soldi, ti fai troppi problemi,» disse lui. «Troverai un altro modo per rimediare,» ammiccò.
Presa in contropiede, lo fissai e basta, senza proferire parola. Cos'avrei detto? Che non sapevo cosa intendeva? Il suo tono allusivo non lasciava molto spazio ad altre opzioni. Lo sapevo, diamine. E forse lo volevo anche io, forse forse. O forse no? No, forse era meglio no.
«Per esempio,» si alzò dal suo posto, spingendo indietro la sedia. «C'è una cosa che vorrei, da te». A passi misurati, lenti e leggeri, fece il giro del tavolo, arrivando alle mie spalle, io ancora seduta. Sentivo la sua presenza dietro di me, e rabbrividii quando le sue mani scostarono i miei capelli da un lato, esponendo il mio collo ai suoi occhi.
«Harry,» mormorai, quando si abbassò quel tanto da librare le sue labbra sopra la mia spalla, a pochi centimetri. Percepii il suo respiro sulla pelle, caldo, e la sua voce nell'orecchio, quando «vorrei conoscere il tuo segreto,» disse, facendo scorrere la bocca lungo il mio collo.
«Che segreto?» balbettai, cercando di rimanere ferma immobile, e di non lasciarmi cadere indietro per incontrare il suo petto. Lo volevo, però. Harry, e le sue labbra, le volevo più di quanto avessi immaginato: da quella volta alla Torre Verde, non eravamo mai stati tanto vicini.
Il momento, comunque, durò poco: con mia grande delusione, il ragazzo spezzò il tanto agognato contatto, tornando a sedersi. Serio, con uno sguardo quasi duro e severo, scosse la testa. «Posso accettare tutto, Selena,» disse, piano. «Accetto di dividere la mia casa con te, accetto di farti compagnia, accetto che tu mi rompa il cellulare, e tante altre cose che non ho voglia di elencare; sai, però, cosa non posso proprio accettare?»
Non risposi. Non lo sapevo.
«Non accetto il fatto che tu sia sempre felice. Come fai? Non lo senti, il dolore? Ti prego, spiegami come, perché io continuo a sbagliare, e non so neanche dove,» il tono della sua voce era sull'orlo del burrone della disperazione, e se lui non fosse stato Harry, il chiuso e scettico Harry, sicuramente avrei intravisto delle lacrime, nei suoi occhi.
Sospirai. «Essere felici non significa non sentire il dolore, vedi. Significa avere la forza di non lasciare che quel dolore prenda il sopravvento su di te. O almeno, io la penso così,» spiegai.
«Quindi stai dicendo che non sono abbastanza forte?»
«È possibile».
«E come si diventa forti?»
Lo guardai negli occhi. «Accettando il fatto di essere deboli,» conclusi.
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