10. Famiglia crepata, famiglia dannata (pt. 2)

Un brivido di freddo, muto terrore mi percorse la spina dorsale. James Smoke: era la sua voce, quella. Di chi altri poteva essere? Quale altra persona, in tutta la città, aveva un timbro così autoritario eppure soave allo stesso tempo? Quale altro boss della mafia poteva sedere dietro ad una scrivania, circondato da libri? Quale altra persona aveva il potere di rendere Harry così irrequieto se non James Smoke stesso?

Nessuna.

Presi posto nella poltrona di destra, Harry in quella di sinistra, mentre Carter se ne rimase in piedi vicino alla porta, assieme a Daniel. «Cosa sta succedendo? Harry ha appena infranto una legge, di nuovo. Ecco cosa sta succedendo».

Alle parole di Daniel, un sorrisetto quasi deliziato si impossessò delle labbra di Smoke. «Davvero? È interessante, questa faccenda,» e spostò lo sguardo su Harry, togliendosi gli occhiali e riponendoli nel taschino della casacca. «Ma prima, vorrei tanto sapere chi è questa faccia nuova, qui davanti,» e lentamente, girò il viso nella mia direzione. «Non rammento d'averti mai vista, prima d'ora. Specie in compagnia di Harry,» constatò. «Come ti chiami, se posso domandare?»

Le sue iridi, ora completamente a contatto con le mie, erano così verdi che quelle del riccio, a confronto, non erano nulla. Un verde accecante, luminoso, uno smeraldo colpito dalla luce. Faceva male a guardarli, quegli occhi, tanto erano curiosi e pieni di sapere e potere, che per rispondere, dovetti abbassare i miei.

«Selena Parker,» dissi, e la mia voce uscì molto più insicura del previsto.

«Non credo d'aver afferrato,» Smoke poggiò i gomiti sul tavolo, sporgendosi in avanti di qualche spanna. «Non t'hanno insegnato che è maleducazione, non guardare negli occhi chi ti sta parlando?»

Mi costrinsi a rialzare lo sguardo, e «Selena Parker,» ripetei. «Mi scusi, signore».

L'uomo ridacchiò, annuendo. «Dammi pure del tu, fammi questo immenso piacere. Non c'è bisogno di tutti questi convenevoli, anche se apprezzo molto la tua cortesia».

Forzai un sorriso, che cercai di far sembrare meno innaturale e finto possibile, al quale lui rispose sorridendomi a sua volta. «E quanti anni hai, Selena, se non è inopportuno da parte mia chiedere?»

«Dipende,» risposi, attenta.

«Da cosa?»

«Da quanti anni hai tu».

Smoke ridacchiò, poggiandosi di nuovo allo schienale della sua poltrona. «Mettiamo caso io abbia quindici anni».

«Allora io non sono ancora nata, e non sono realmente qui,» risposi.

James pressò le labbra assieme, lottando contro un sorriso compiaciuto che vedevo voleva spuntare, come un bambino che si rifiuta di mangiare le verdure. «E mettiamo caso io abbia cinquantatré anni».

«Allora io ne avrei diciannove».

«Hai uno strano modo di vedere le cose, Selena,» Smoke finalmente si lasciò sorridere, anche se quel suo sorriso era molto più simile ad un ghigno malefico pieno di oscuri fini premeditati, che non aspettavano altro che giungere ad un compimento. «E ora dimmi, mia cara: per quale motivo sei qui, nella mia città?»

Accavallai le gambe, lanciai un piccolo sguardo a Harry, trovandolo impassibile, che fissava James con un odio spropositato, e «per nessun motivo,» replicai.

«Per nessun motivo? Davvero?» si accigliò lui. «Sai, molti vengono qua nella speranza di far su un bel gruzzoletto di soldini illegali, o per scalare la vetta fra le gang di criminali e diventare il leader di una banda di spacciatori, e altri vengono qui per lavorare per il famoso e illustre James Smoke, o per pura e semplice necessità di trovare un impiego così da sfamare la famiglia,» continuò l'uomo. «Ma tu non mi sembri il tipo,» e si sporse di nuovo sul tavolo, fissandomi ancora più intensamente. Faceva quasi paura, quel suo sguardo. «C'è qualcosa che ti turba, no? Giù, nel profondo della tua coscienza, c'è qualcosa che ti fa sentire come se solo Smoke Town riuscisse a concepire quel dolore. Dico bene, Selena?»

Alle parole di Smoke, e al suo inclinare la testa di lato, scrutandomi attentamente, sentii quel pizzico di terrore, che m'aveva accompagnata per troppo tempo, ritornare a galla. Cercai di mantenere un'espressione neutrale, ieratica, come se non m'avesse toccata minimamente, eppure i pensieri tornarono, come c'era da aspettarsi.

«Tutti noi abbiamo una ferita che fa ancora male,» la voce di Harry fece interrompere il mio contatto visivo con Smoke, e lo ringraziai mentalmente per avermi salvata, di nuovo: la lista stava diventando piuttosto lunga. «Selena è qui solo per caso. Il dolore non c'entra nulla».

«La domanda non è stata posta a te, o sbaglio?» ribatté Smoke.

«Harry ha ragione. Sono qui per caso, come ti ho detto,» intervenni.

«Si vede quando mentite, sapete,» sospirò James. «Ti conosco bene, Harry. Hai quel tic della vena del collo che ti tradisce sempre, e ogni volta in cui dici una bugia, tendi a non sbattere mai le palpebre. Sii più naturale e disinvolto, la prossima volta che vorrai mentirmi».

Il ragazzo non rispose, né si mosse, semplicemente contrasse i muscoli del viso, irrigidendosi sulla poltrona.

«Ma passiamo al dunque,» ricominciò Smoke. «Qual è la legge che è stata infranta?»

«Li abbiamo trovati alla Torre Verde,» disse Carter, alle nostre spalle.

«Interessante,» mormorò James Smoke, passando in rassegna prima me, poi Harry, per una manciata di secondi, aspettandosi forse che smentissimo l'affermazione di Carter, o che protestassimo, o che facessimo qualcosa di più che stare muti e immobili. «Il punto, ragazzi, è che non avete infranto solo una legge,» proseguì James. «C'è stato un piccolo problemino alla centrale elettrica della periferia, quasi due ore fa. Vedete, qualcuno stava giocando a fare Dio, e tutte le luci, di tutti i quartieri salvo Jackson Avenue, si sono accese. Non è che ne sapete qualcosa, voi?»

«Assolutamente no,» mentì Harry. «Non ne sappiamo nulla. Perché dovremmo?»

Il sorriso sul volto di Smoke si allargò. «Ma davvero? Se non siete stati voi, chi?»

«Questo dovresti saperlo tu,» Harry scrollò le spalle. «Non sono di certo io, il sindaco».

«Quando hai ragione, hai ragione,» annuì l'uomo. «Carter, per favore, andresti a cercare il tecnico della centrale? Chiedigli perché non ha svolto il suo lavoro, e applica la punizione che si merita».

«Sì, signore. Subito,» mi voltai in tempo per vedere Carter aprire la porta dello studio e sgusciare fuori, in fretta e furia, come se non vedesse l'ora di eseguire gli ordini che il capo gli aveva impartito.

«Punizione?» deglutii. «Che punizione?»

«Nulla di ché,» rispose Daniel, e dal tono di voce, pareva piuttosto divertito. «Un paio di frustate, o manganellate, dipende dalla creatività della persona che deve attuare la legge».

Mi girai di nuovo verso James, tornando seduta composta. «È così necessario? Insomma, magari è stato un incidente o-»

«È di vitale importanza, Selena cara,» annuì lui. «Ti turba tanto?»

«Non la turba affatto,» si intromise Harry, rispondendo prima che potessi farlo io, mentendo, ancora una volta.

«Adoro il modo in cui stai cercando di proteggerla, davvero. Lo ammiro, Harry,» replicò Smoke.

Nella stanza calò il silenzio, e l'apparente buon umore che incurvava gli angoli della bocca dell'uomo, sparì veloce com'era apparso, rimpiazzato da uno sguardo duro e meschino, che forse gli si addiceva di più. «Sono quasi tentato di punirti attraverso lei, questa volta,» mormorò. «Non sarebbe perfetto? Ferire Selena per ferite te? Suona bene, no?»

Fu una doccia d'acqua fredda. Ghiaccio lungo la schiena -come quando la neve si intrufola nella sciarpa, e poi sotto il giubbotto e la maglia- che mi fece trasalire e congelare le vene. Harry, questa volta, non s'alterò. Non perse la calma com'era accaduto con Marcus e con Daniel, non provò neanche a contestare. Semplicemente, «fa pure,» disse. «Non conta molto, per me, lei».

E dopo il ghiaccio, venne il fuoco; e non il fuoco che mi aveva presa quando le sue labbra erano quasi a ridosso delle mie, ma un fuoco di rabbia e di delusione e pura voglia di alzarmi e gridare contro di lui. Forse stava pure mentendo, ma non ci fu alcun tic nel suo collo, e le sue palpebre si chiusero e riaprirono più volte, quando lo disse. Se avesse mentito, neanche James se n'era accorto.

«Benissimo, allora,» fece Smoke, aprì un cassetto della scrivania, ne estrasse una minuscola pistola d'orata e «quanto mi sei fedele, Harry?» fece ancora. «Siccome non tieni a lei, non ti sarà alcun disturbo punirla tu, dico bene?»

«Non c'è una punizione a chi trasgredisce quella legge,» obiettò il ragazzo. «La gente non ci va e basta, alla Torre Verde».

«Ma guarda un po',» ghignò l'altro. «Ora c'è la pena capitale anche per questa: io sono la legge, io decido quando, come e chi va punito. Sempre se non tieni a lei, certo -in quel caso, non ti farei di certo compiere un gesto così barbarico bei suoi confronti».

James gli allungò l'arma, e l'ultima speranza che Harry avesse davvero mentito, svanì, non appena afferrò il piccolo oggetto, alzandosi in piedi.

«Harry,» sussurrai, e le mie mani presero a tremare così tanto che dovetti piantare le unghie nei palmi fino a farmi male. «Harry, ti prego-»

«Scusami,» mormorò, alzando l'arma quel tanto da allinearla con la mia fronte. Non ebbi neanche il tempo di piangere, o chiudere gli occhi, o fare qualsiasi altra cosa che si fa quando si sta per essere ammazzati; il grilletto venne premuto mezzo secondo dopo, eppure il dolore non venne mai.

Immobile, a fissare Harry dritto negli occhi, mi resi conto di non essere morta: il proiettile che avrebbe dovuto perforarmi il cranio, non aveva mai lasciato la canna della pistola.

«È scarica,» constatò Daniel, dietro di noi, a bassa voce.

«È scarica, sì,» rimarcò Smoke. «Hai dimostrato che non mentivi affatto quando dicevi di non tenere a lei. Ne sono oltremodo lieto, sul serio. Fai in modo che resti così».

Harry annuì e basta, con un cenno lento della testa, poggiando nuovamente l'arma sul tavolo, e tornando a sedersi. Non riuscii neanche a guardarlo in faccia, a restituire l'occhiata che sentivo mi stava lanciando, forse per non fargli vedere quanto mi venisse da piangere al solo pensare che, se avesse potuto, mi avrebbe davvero uccisa. Teneva così poco a me, che mi avrebbe sparato solo per una legge che un pazzo aveva inventato al momento, ed era quasi ironico, dal momento che lui stesso era colui che fino a poco prima stava per baciarmi.

«È tutto, adesso?» chiese Harry, interrompendo bruscamente i miei pensieri agitati e scossi. «Possiamo andare?»

«Un'ultima cosa,» Smoke lo fermò. «Mi aspetto di vedervi qui, sabato sera alle otto, alla mia festa. Tutti e due».

«E se non ci presentassimo?»

«Suvvia, Harry,» sospirò James. «Siamo una famiglia. Fammi questo piacere, non mi pare di chiedere molto».

«Famiglia?» mormorai, alzando di scatto la testa.

Daniel tossicchiò. «Harry non te l'ha detto?»

«Detto cosa?» spostai gli occhi da James, a Daniel, al ragazzo che stava evitando i miei, mentre fissava l'uomo dietro alla scrivania con quell'odio e disgusto che distorceva i suoi lineamenti.

«Non mi sono mai presentato per bene, Selena. Perdonami,» Daniel mi raggiunse e mi porse la mano. «Vedi, il mio nome è Daniel Smoke, e Harry... beh, Harry è mio cugino».

Sentii l'aria mancarmi dai polmoni tanto che non riuscii ad impormi di ricambiare la stretta di Daniel, quando la realizzazione di quelle parole mi colpì al posto del proiettile inesistente che avrebbe dovuto uccidermi. Aprii la bocca e la richiusi più volte, cercando di formulare una frase coerente, ma «Harry è mio nipote, sì,» concluse James Smoke, al mio posto.

Lo avrei preferito, il proiettile.

. . . . . . .

Ah quanto mi era mancato, James.
Come ho detto nella parte precedente, questo capitolo è corto in quanto sarebbe dovuto essere unito all'altro, ma credo che dividerli sia stato meglio. (Harry e Daniel sono cugini, trallallero trallallà!)
Cosa credete accadrà con James Smoke, adesso? MH NULLA.
E la festa? SI BALLA.
James avrà qualcosa in mente? NAAAAH.

- SPOILER ALLERT -
NON LEGGETE QUESTA NOTA QUI SOTTO SE NON AVETE FINITO SMOKE TOWN PRIMA DELLA REVISIONE!

Ieri sono stata al concerto dei The 1975 e giuro che sentire dal vivo molte delle canzoni che mi hanno accompagnata con la stesura degli ultimi capitoli di Smoke Town mi ha fatta quasi piangere. You, ad esempio, che m'ero sempre immaginata come colonna sonora del finale, quando Harry recita nella sua mente le ultime righe del discorso, oppure Somebody Else, quando Selena e Harry si prendono la famosa pausa/non pausa per colpa di Miriana Chande, o ancora Robbers, che credo sia la canzone che più rappresenta Smoke Town in generale (guardatevi il video di Robbers su YouTube perché è arte, davvero).
È stata un'esperienza magnifica come primo concerto (non prendetemi per il culo hahaha) e niente, volevo solo condividerla con voi.

Detto ciò, spero vi sia piaciuto il capitolo, e niente, ci sentiamo presto!
Lottie x

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