1. Occhio alla tigre che va a caccia nella foresta

Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

C'è da dire che avevo una lieve ossessione per quella poesia. Un vero e proprio motivo per cui mi piacesse, non esisteva; io l'amavo e basta. Nel corso degli anni avevo formulato varie ipotesi sul perché mi affascinasse tanto –nostalgia, senso di familiarità con quei versi, le rime baciate che mi facevano innamorare ogni volta– ma non ero mai giunta ad una conclusione. Tutte le diverse tesi erano giuste, tutte le diverse tesi erano sbagliate allo stesso tempo, alla faccia di quel filosofo.

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?

E mentre rileggevo per la milionesima volta le parole di William Blake, sorridevo. Era l'unica cosa ancora in grado di farmi sorridere: prima, ci riuscivano anche le eventuali mance che mi facevano eventuali clienti, o il fatto che Jack chiudesse in anticipo il locale, o ancora quando Jack non si incazzava con me e mi trattava da essere umano. Adesso, solo William Blake e le sue poesie, perché le mance non arrivavano più, Jack chiudeva alle due di notte, e il suo umore era direttamente proporzionale ai pochi soldi che incassava.

Inspirai l'aria del bar, storcendo automaticamente il naso. L'odore acre di alcol misto a fumo mi bruciava le narici, come ogni singola sera, prendendo i miei polmoni e risalendo fino all'inizio della trachea, rendendomi difficile respirare. Il locale affollato era più soffocante del solito, pieno di uomini ubriachi e fatti, molti dei quali non si reggevano nemmeno in piedi, ridevano, parlavano a vanvera e urlavano senza rendersene conto. Poveretti. Chissà cosa avrebbero pensato le loro mogli, a vederli così. Sempre se di mogli ne avessero avute.

And what shoulder, and what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? And what dread feet?

Comunque, stare dietro al bancone non era brutto come pulire il bagno del locale. O forse lo era? Almeno mi ringraziava, la porcellana del cesso, ormai diventata giallastra, quando buttavo litri di prodotto giù per lo scarico. Il suo sì che era un lavoro di merda. Letteralmente.

E non m'ero mai lamentata con Jack, perché dopotutto mi aveva salvata dalle strade. Niente paga, mi aveva detto, con la sua voce rauca e divertita, qualche mese prima, lavorerai gratis per me, ma almeno avrai un tetto sopra alla testa, no? E io, tutta felice, avevo accettato. Non sapevo se pentirmene o meno. Insomma, sarei dovuta essere oltremodo grata a Jack per il vitto e l'alloggio, ma andiamo! Lui era un ubriacone che dormiva sugli allori, punto. Ed entrambi sapevamo benissimo che la clientela che ancora frequentava il locale veniva per me, e non per lui o per la sua birra scadente.

What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?

«Hey,» una voce maschile e roca di fronte a me mi giunse alle orecchie, ma non ci feci caso più di tanto. Lo ignorai, continuando a scorrere i versi con gli occhi, senza leggere veramente –la poesia la sapevo a memoria, ormai.

«Sei sorda, o sei solo tendente a non occuparti dei clienti che gradirebbero un briciolo di considerazione in questo locale di merda?»

Alzai di scatto la testa dalle pagine del libro, al sentire quel rimprovero. Un ragazzo, probabilmente sui ventitré anni, dai capelli castani e disordinati, mi stava osservando. La pelle del suo viso era leggermente abbronzata, la linea squadrata del profilo del mento e il cipiglio arrabbiato fra le sue sopracciglia rendevano i suoi lineamenti duri e, avrei osato dire, anche più vecchi. Una botta violacea era presente sulla sua mascella, facendomi immediatamente domandare come se la fosse procurata.

Forzando un finto sorriso, «no, non sono sorda,» gli dissi. «Cosa ti porto?»

«Un bicchiere d'acqua,» rispose lui, strascicando le parole in modo annoiato e infastidito, sedendosi sullo sgabello davanti a me.

Alzai un sopracciglio, sorpresa. «Un bicchiere d'acqua?»

Nessuno veniva mai in un pub, alle undici passate del sabato sera, per ordinare un semplice bicchiere d'acqua.

«Sì. Qualche problema?»

«N-no,» balbettai, affrettandomi a procurarglielo.

Gli porsi il bicchiere per il quale mi aveva distolta da William Blake, posandolo davanti a lui. Se lo portò alle labbra, sorseggiandolo piano, per poi appoggiarlo di nuovo sul bancone. Notai che portava delle bende di garza attorno alle nocche, punteggiate di rosso, giusto per restare nel tema delle contusioni e delle ferite.

Scossi la testa e distolsi lo sguardo dalla sua figura, che di intraprendere una conversazione con lui non ne avevo davvero voglia. Ero stanca, stufa marcia di starmene lì a non fare nulla, con la sola compagnia del mio libro a distrarmi dagli ubriaconi e dalla realtà in cui la sorte mi aveva smistata.

Cercai di concentrarmi sulle parole scritte con l'inchiostro nero delle pagine ingiallite, ma sentivo le iridi del ragazzo addosso. Bruciavano sulla mia pelle, come a cercare di intuire quello a cui stavo pensando, facevano quasi male. Lo ignorai ancora una volta, fingendo una certa indifferenza che avrebbe dovuto indurlo ad andarsene, ma non diede alcun segno di volerlo fare, neanche dopo aver estratto il portafogli dalla tasca del giubbotto.

Allora alzai piano gli occhi, forse per domandargli se era apposto così, se avesse cambiato idea e volesse un qualcosa di più forte che un semplice bicchiere d'acqua, e se avessi avuto un pochino di fegato in più gli avrei chiesto se ce l'avesse con la sottoscritta, o perché diamine continuasse a fissarmi. Ovviamente non dissi nessuna di quelle cose –le sue iridi verdi mi avevano completamente fatta scordare il piccolo discorso che m'ero preparata. Lui, al contrario di me, sembrò voler parlare, vedevo che era sul punto di aprire bocca, quando lo sgabello di fianco al suo si mosse e qualcun altro si sedette vicino a lui.

«'Sera, bellezza,» un uomo sui quarant'anni mi fissava. Non dovetti neanche guardarlo in faccia per capire che aveva bevuto troppo, il suo tono di voce lasciava poco spazio all'immaginazione. «Una birra media,» disse, ancora.

Sbuffai, annuendo, chiudendo William Blake di nuovo e iniziando a riempire il boccale.

Notai che il ragazzo lo stava analizzando attentamente, quasi come aveva fatto con me solo pochi secondi prima, facendo tintinnare ritmicamente i suoi polpastrelli sul vetro del bicchiere vuoto davanti a sé.

«Ecco a te,» borbottai, ricatturando l'attenzione di entrambi. «Fanno tre dollari e cinquanta».

L'uomo snobbò completamente la mia mano tesa che aspettava i soldi, bevendo invece un sorso della bevanda ambrata. «Ce l'hai un nome, bellezza?» domandò poi, asciugandosi la bocca con la manica della giacca.

«Certo che ho un nome,» risposi.

«Che sarebbe?»

«Tre dollari e cinquanta,» ripetei, più insistente di prima.

Il ragazzo del bicchiere d'acqua rise sotto i baffi, così piano che a malapena me ne accorsi, così piano che quando lo guardai, trasformò quella risatina in un colpo di tosse.

«E' un nome molto strano,» continuò l'ubriaco, perplesso, grattandosi la testa. «Vieni dalla Polonia?»

«Sono americana,» iniziai a perdere la pazienza. «E fanno tre dollari e cinquanta».

«Eppure con quegli occhi belli che hai, sembri proprio polacca,» rimarcò ancora lui, ignorando il fatto che dovesse pagare la sua dannatissima birra. «Che ne dici se andiamo via, io e te, così mi spieghi meglio da dove vieni?»

«Che ne dici se mi dai quei tre dollari e cinquanta e te ne vai da solo?» alzai un sopracciglio.

«La fai difficile, bellezza,» mormorò, facendosi improvvisamente serio. Quando dalla sua bocca uscì un commento poco rispettoso sul mio corpo, persi le staffe. Afferrai il boccale ancora mezzo pieno di birra, rovesciandoglielo addosso, cogliendo di sorpresa sia lui, che il ragazzo pieno di ferite. Avrei voluto fare di più, ma ovviamente Jack aveva visto tutto.

«Cosa cazzo ti salta in testa, Selena?!» tuonò, raggiungendomi dietro al bancone. «Niente ti dà il diritto di maltrattare i miei clienti!»

Con la coda dell'occhio, vidi che l'uomo ormai zuppo di birra si alzò dal suo sgabello, borbottando parole incomprensibili, allontanandosi verso l'uscita del bar, seguito pochi secondi dopo dal ragazzo dagli occhi verdi.

«Ma-» provai a spiegargli, venendo subito interrotta dalle sue urla arrabbiate. Una zaffata del suo alito mi giunse alle narici, e constatai che pure Jack aveva bevuto. Neanche lo ascoltai più, presi uno straccio e iniziai ad asciugare il lago di alcol sul legno del banco, sempre con la sua voce ronzante nelle orecchie. Sette dollari erano poggiati su di esso, vicino al bicchiere d'acqua che aveva ordinato quello strano ragazzo.

Perché aveva lasciato così tanti soldi?

«... e ascoltami quando ti parlo!» la mano di Jack mi fece voltare nella sua direzione.

«Ti sto ascoltando!» mentii, facendo cadere lo strofinaccio a terra. «Sei tu che non ascolti mai me!»

«Non rispondermi con quel tono, ragazzina, portami rispetto!»

«Rispetto,» risi. «Guadagnatelo il mio rispetto, Jack».

Mi lanciò uno sguardo furente che mi fece rabbrividire, e prima che potessi scansarmi o fare qualsiasi altra cosa, sentii un bruciore forte ad una guancia, seguito dal pulsare doloroso dello stampo del suo palmo sulla mia pelle, che mi fece traballare e indietreggiare di qualche passo.

Non di nuovo.

Fissai i miei occhi nei suoi, sgomenta, vedendoci immediatamente riflessa la consapevolezza di ciò che aveva fatto, e «scusami, Selena, non volevo,» iniziò, avvicinandosi di poco. «Cazzo, mi dispiace-»

«Non toccarmi,» sibilai, sottraendomi al suo tocco. «E vaffanculo. Mi licenzio. Vediamo come te la cavi senza di me, Jack».

«Non puoi licenziarti-»

«No, hai ragione,» mormorai, senza pensarci due volte. «Non mi hai mai assunta legalmente. Me ne vado e basta, non ho bisogno di licenziarmi».

Quasi corsi fino alla mia stanza, sotto le occhiate di tutti i presenti, che comunque non ci stavano capendo molto. Per loro, non sarebbe cambiato nulla, se non che la cameriera carina non li avrebbe serviti più. Dal canto mio, Jack era arrivato alle mani -non avrei di certo permesso il ripetersi della storia. E trattenni le lacrime, mentre agguantavo uno zaino nero, mentre ci ficcavo dentro tutti i miei averi, i pochi soldi che avevo racimolato, il mio amato libro, i suoi vecchi parenti rilegati, e qualche vestito, poi mi fermai, immobile, al centro della piccola camera.

When the stars threw down their spears,
And water'd heaven with their tears:
Did He smile His work to see?
Did He who made the Lamb make thee?

Io lo sapevo che c'erano cose cattive, là fuori. Cose che non aspettavano altro che l'agnello uscisse dal recinto, che s'avventurasse nel buio della foresta, dove stava la tigre, ad aspettare. Ma ormai la tigre era entrata nel recinto, e l'agnello sarebbe comunque perito.

Colui che creò l'Agnello, creò anche Te?

Sospirai.

Niente lacrime.

Sospirai.

Afferrai allora lo zaino, e a passo svelto uscii dalla stanza. Mi chiusi la porta alle spalle, scesi le scale saltando gli ultimi tre gradini, finendo dritta nella sala ancora gremita di gente.

«Selena, davvero, mi dispiace, non accadrà più-»

«No,» fermai Jack, che delle sue scuse pateticamente fasulle non me ne sarei fatta un gran ché. «Certo che non accadrà più. Probabilmente il gabinetto sarà intasato di nuovo -lo stura cessi è sotto al lavandino, nel caso non lo sapessi,» quasi sorrisi al vedere la sua espressione. «Addio, Jack».

«Cazzo, Selena! Non puoi andartene! Cazzo, prova solo ad uscire da quella cazzo di porta e te la farò pagare! Cazzo!» sbraitò, gesticolando con le braccia, avanzando nella mia direzione.

«Addio, Jack,» ripetei. Velocemente, sotto il suo sguardo rassegnato ma furente, tutto rosso in viso –in parte per la rabbia, in parte per l'alcol che aveva trangugiato– oltrepassai la soglia, uscendo nel freddo della notte.

Lo sentii urlare una parolaccia alle mie spalle, e probabilmente m'aveva pure alzato il dito medio. Non che m'importasse, comunque.

Accelerai il passo, stringendomi nella mia stessa pelle, cercando di mettere più distanza possibile fra me e Jack. Solo quando un paio di isolati mi separavano dal locale, mi permisi di fermarmi a valutare le mie opzioni. Mi costrinsi a non piangere, che tanto avrei escogitato qualcosa, che ero stata in situazioni peggiori, decisamente peggiori di quella, e feci un profondo respiro.

Avrei potuto affittare una stanza d'albergo, ma era ormai mezzanotte e sarebbe stato solo uno spreco di soldi -mica potevo permettermi di usarli- o avrei potuto trovare un altro locale e sperare sarebbe rimasto aperto fino alla mattina.

Un paio di minuti dopo, iniziai a sentire il freddo pungente penetrare sotto la mia pelle, facendomi rabbrividire. L'aria di ottobre era così gelida che riuscivo a vedere le nuvolette di vapore lasciare la mia bocca quando respiravo.

Mi strinsi le braccia attorno al petto, come se servisse in qualche modo a ripararmi. I miei jeans erano troppo leggeri e la mia maglietta azzurra che lasciava scoperta troppa della mia pelle era ancora umida di birra. Dovevo assolutamente trovare un posto dove stare, non avevo intenzione di rimanere fuori al freddo a congelarmi a morte. Mi sarebbe bastata anche una casa abbandonata, una baracca, qualsiasi cosa avesse avuto quattro mura e un tetto per sopra.

All'improvviso sentii delle voci concitate provenire da una strada secondaria. Mi fermai di colpo, appoggiandomi al muro dell'edificio che faceva da angolo, tendendo le orecchie.

«...soldi?»

«Non qui».

«E dove?»

E poi silenzio. Mi sporsi di qualche centimetro, giusto per vedere chi stesse parlando. La mia curiosità era sempre stata il mio punto debole. Certo, mi aveva salvata da situazioni poco carine un paio di volte, ma la mia tendenza a ficcanasare dove non avrei dovuto mi aveva messa in altrettanti guai.

«Dove sono i soldi?» La prima voce mi spaventò leggermente. A pochi metri da dove stavo io, dall'altro lato della strada, due uomini stavano l'uno attaccato all'altro.

Un colpo di tosse, poi un «per favore,» uscì dalla bocca del secondo. Era schiacciato contro il muro, dove il primo, di spalle, lo teneva appuntato alla parete per la gola. «Smettila con questi giochetti del cazzo,» ringhiò. «Non hai un centesimo».

«Se mi lasciassi... ti potrei dare il numero del conto bancario,» rantolò il povero diavolo.

Passarono alcuni secondi, poi l'altro fece un paio di passi indietro. «Bene».

Ora che la luce dei lampioni gli illuminava il viso, riconobbi l'aggressore come il ragazzo del bicchiere d'acqua, i suoi lineamenti inconfondibili, anche a quella distanza, mentre il secondo, quello messo alle strette, sembrava proprio quello a cui avevo lanciato la birra. Ma forse mi stavo sbagliando.

Il più vecchio prese dei profondi respiri, tossendo forte, portandosi una mano all'interno della giacca. La situazione pareva essersi calmata, tanto che tirai un sospiro di sollievo. Anche il ragazzo sembrava più rilassato, meno rigido nella postura, e di sicuro più compiaciuto di prima. Stavo per distogliere lo sguardo ed andare via, per non rischiare di venire coinvolta, quando il luccichio di una pistola che usciva dalla casacca dell'altro uomo mi fece gelare il sangue nelle vene.

Oh no.

Senza riflettere su quello che stavo facendo, senza pensare minimamente alle conseguenze, uscii allo scoperto, con l'intenzione di avvertire il ragazzo del pericolo imminente. Non feci neanche a tempo di gridare che uno sparo risuonò per quel quartiere di Cleveland. Sentii il mio battito cardiaco aumentare, il sangue che veniva mandato per le vene gelare di colpo. Mi tappai la bocca con le mani, deglutendo per cercare di scacciare il groppo che mi si era formato in gola.

Il colpo non era andato a segno, forse per via della paura che probabilmente annebbiava i sensi dell'uomo, o forse perché non sapeva usare l'arma di per sé. Sta di fatto che tutte le luci delle case si accesero, delle persone si affacciarono dalle loro finestre, forse già al telefono con la polizia.

Un secondo sparo mi giunse alle orecchie, e mi voltai di nuovo verso il vicolo, vedendo questa volta che era stato il ragazzo a ricambiare il favore. La sua mira, al contrario, era stata perfetta.

Sapevo per esperienza che trovarsi sulla scena del delitto non era una cosa buona. Quanto ci avrebbero messo gli sbirri ad arrivare? Considerano la grandezza della città, uno, massimo due minuti. Come se non bastasse, avrebbero potuto scambiarmi per una complice, o se anche non lo avessero fatto, mi avrebbero comunque interrogata da testimone oculare, chiedendomi documenti sulla mia identità che non avevo, e nei guai ci sarei finita lo stesso.

Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry?

Una cosa sola mi venne in mente.

Scappa, Selena.

. . . . . . .

Ecco a voi il primo capitolo, completamente rivisto, come potete ben notare.

Mi pare un po' stupido rimettere i miei vecchi spazi autrice, quindi vi lascio con queste due righe di ringraziamento. Spero vi sia piaciuto l'aggiornamento, perché mi ci sono davvero impegnata, e ci sentiamo presto col secondo. (La poesia citata è The Tyger, di William Blake, tratta da Songs of Experience; vi consiglio di leggere la traduzione su Wikipedia perché davvero, è un capolavoro!)

Lottie x

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