Capitolo 34

Ti farà bene, le aveva detto la madre.

Staccare per un po' è proprio quello che ti ci vuole, le aveva assicurato Evelyn.

Beh, evidentemente non avevano idea di cosa quel viaggio comportasse per Natalie.
E, in fondo, nemmeno Natalie.

Aveva portato con sé una sola valigia che fortunatamente era stata fra le prime a comparire sul nastro del ritiro bagagli, perciò una volta agguantata, aveva avuto tutto il tempo di rassicurare la madre, Evelyn e Andrea sul suo arrivo sana e salva a Nassau, capitale di New Providence, l'isola più popolata dell'arcipelago delle Bahamas.

Natalie, seduta in attesa di Sally e Scott per prendere con loro il mezzo che li avrebbe portati a destinazione, è irrequieta: durante il viaggio in aereo non era riuscita a riposarsi come le aveva consigliato Sally, in modo da fare il pieno di energie per la serata che la aspettava.
Era quasi sera e il sole aveva già iniziato la lenta discesa, destinato a sprofondare dietro l'oceano.

Ma non riusciva ad avvertire la stanchezza, anzi sentiva in circolo un'energia intensiva inaspettata.
Magari avevano ragione ed effettivamente allontanarsi per un po' da Boston le avrebbe dato un po' di respiro, depurandole i pensieri.

"Arriviamo Natalie!" la avvisa Sally, il tono di voce alto ed entusiasta. Non stava più nella pelle.
Quando Natalie si volta verso di lei, ricorda subito il motivo della sua inquietudine.

Per un attimo si era fatto piccolo piccolo, quasi inoffensivo, ma poi aveva attaccato con ancora più forza, mordendole lo stomaco e graffiandole la gola.

Diversi metri dietro i suoi colleghi una schiena ampia avvolta dalla giacca elegante, la postura rigida e la punta del piede che batte ripetutamente a terra, fa reagire con veemenza il cuore assopito di Natalie.

L'uomo si volta, come avesse udito un richiamo, e Natalie si trova boccheggiante per il sollievo e l'inevitabile, segreta e sbagliata delusione.
Non è Lui.

Questo incrocia lo sguardo atterrito di Natalie per un breve secondo, poi torna a fissare infastidito il nastro ritiro bagagli che sembrava non volergli restituire la valigia.

Dimitri Haze ovviamente non avrebbe volato con i comuni mortali.
Lui, Vince Morrison e pochi altri manager avevano preso un volo diverso e sarebbero arrivati poco dopo tutti gli altri.

"Natalie... tutto bene?" chiede con voce dolce Scott, sempre timoroso di vedere Natalie crollare al minimo turbamento.

Questa si costringe a riportare l'attenzione sui suoi colleghi, accennando ad un sorriso e limitandosi ad annuire.
Si stavano sempre più abituando a quel suo nuovo modo di esprimersi: brevi cenni del capo, monosillabi abbozzati, silenzi scomodi e pesanti.
Lo sguardo sempre un po' vacuo, come se non fosse mai realmente presente.

Ingoiando le sensazioni impertinenti che risalgono la gola, Natalie sale sul taxi che li avrebbe condotti a Paradise Island, raggiungibile grazie ad un ponte che la collegava a New Providence.
Con grande sollievo di Natalie il viaggio è breve e consente loro di vedere qualche scorcio di quell'isola pittoresca di evidente stampo coloniale.

Nassau è esattamente come Natalie se l'era immaginata: un sorta di Las Vegas in mezzo al mare, con alberghi grandi quanto un villaggio, sfarzosi e luminosi, con tanto di casinò, parchi acquatici e ogni tipo di attrazione.
Lungo le vie principali, inanellati e sfavillanti come pietre preziose, boutique e negozi di lusso tra i quali riconosce i marchi più famosi, così distanti dalle possibilità del suo portafogli.
Oltrepassano quindi la zona del porto, con alcune imbarcazioni e yacht ormeggiati che probabilmente le costerebbero entrambi i reni e buona parte del fegato.

Non è dispiaciuta di lasciarsi alle spalle quella città che, per quanto affascinante e promettente, non rispecchia affatto la tranquillità di cui vorrebbe circondarsi.

Quando aveva saputo la meta del viaggio aveva sentito lo sconforto iniziale crescere a dismisura.
Avrebbe preferito uno chalet in montagna, un hotel sul lago, persino una fattoria in campagna sarebbe stata meglio. Starsene nella sua Topaia sapendo Lui a miglialia di chilometri di distanza, sarebbe stato perfetto.
Non voleva saperne di circondarsi di colleghi sconosciuti, con tutta probabilità alticci, pronti a giocarsi mezzo stipendio al casinò.
Andrea aveva appoggiato il suo sgomento, proponendole di tornare a Savanna per quei giorni: lui si sarebbe preso qualche giorno di riposo e ne avrebbero approfittato per recuperare un po' del loro tempo, riprendendo qualche vecchia abitudine, tornando a stringersi l'un l'altra con un trasporto che ormai sembrava appartenere solo ai ricordi.

Non erano più stati assieme. Dopo aver deciso di rivalutare l'idea del matrimonio era dovuta rientrare a Boston, a lavoro, e da allora era riuscita a tornare a Savanna due volte per un paio di giorni nel week end.

Passava tutto il tempo possibile con la madre, che però ora era impegnata con il ristorante, molto più di prima.
Questo le lasciava parecchio tempo da spendere con Andrea.
Avevano cenato insieme, passeggiato mano nella mano, ripreso per mano alcuni dei preparativi che il padre aveva lasciato in sospeso.
Leggeva con avidità gli appunti nella sua scrittura disordinata e marcata,
riempendosi gli occhi delle sue parole, delle sue intenzioni, dei suoi sogni per lei. Riempendoseli di lacrime.
Allora aveva smesso e aveva portato il resto a Boston con sé, per averlo in qualche modo ancora vicino.

E poi era giunta la notte e Andrea, impacciato, aveva tentato un approccio più fisico con lei.
Sarebbe dovuto essere semplice, naturale.
Invece le loro mani sembravano non incastrarsi più come prima, sembravano divise da un'ombra impalpabile; le loro bocche incedevano incerte, come se avessero dimenticato che quello era il loro fine ultimo, come non lo riconoscessero più come proprio.

Angosciata dalla sensazione nauseante, sbagliata, che quella situazione le provocava, Natalie aveva preso le redini, posizionandosi su di lui e approfondendo il loro bacio, la lingua alla spasmodica ricerca di una qualche scintilla, anche di un solo piccolo bagliore.
Andrea cercava di seguirla, disposto a farsi guidare. Voleva risentirla, come un tempo.

E, in effetti, qualcosa aveva cominciato a sentire. Ben diverso da come se l'era aspettato.
Mentre le labbra di Natalie non gli davano pace, non lasciavano le sue nemmeno per il tempo di un respiro, si sentiva le guance umide.

"Natalie" aveva sussurrato, ricavando qualche centimetro fra i loro visi. Scostandole i capelli dal viso l'aveva trovata con gli occhi serrati, le ciglia scure luccicanti mentre lacrime discrete le coprivano il volto.
"Sto bene. Sto bene, davvero. Ho solo bisogno di distrarmi, di spegnere il mio fottutissimo cervello" la voce stentata, colma di un risentimento che aveva lasciato Andrea spiazzato, privo di parole.

Natalie si era sporta nuovamente verso il suo viso, ricercando ancora la sua bocca mentre le mani scendevano verso la cintura dei suoi pantaloni, ma Andrea si era scostato e l'aveva fatta scendere dalle sue gambe, stringendole soltanto una mano.
L'aveva guardata a lungo, senza rivelarle i propri pensieri.
Lei si era asciugata il volto con gesti rabbiosi mentre cercava di confinare le sferzate feroci e violente che le sconquassavano lo stomaco.

Combatteva con tutta la sua forza contro la tentazione di dare di stomaco e scappare a gambe levate da tutta quella situazione che, era convinta, l'avrebbe fatta morire di crepacuore.
Sentiva il suo corpo opporre resistenza alla sua volontà. Era come avvolta da un elastico, e più spingeva uno dei suoi lembi con tutte le sue forze, più l'altro lembo sembrava attirarla a sé.
Con più potenza, con più energia.

E l'altro lembo era rimasto a Boston.

Lei e Andrea avevano trascorso la notte nello stesso letto, ma non erano mai stati così distanti.
L'indomani, si erano detti con reciproco sollievo che si sarebbero ritrovati completamente la prima notte di nozze.
Come una nuova illibatezza da non intaccare prima del tempo.

Sapevano entrambi che era un alibi, uno scadente per di più.

Natalie temeva di scoprire come avrebbe reagito ora che i due lembi dell'elastico sarebbero stati nuovamente vicini per tutti quei giorni.
Sentiva una leggerezza frizzante nello stomaco al solo pensiero, il suo muscolo primario fare gli straordinari e non se lo poteva permettere.

Doveva evitare con ogni mezzo di stargli troppo vicino, non credeva che sarebbe riuscita a mantenere il controllo troppo a lungo.
Poi una consapevolezza frena bruscamente ogni trepidazione involontaria, ogni respiro trattenuto, ogni battito convulso: lui non la voleva. Non l'avrebbe mai più voluta.
Dopo quello che gli aveva fatto, non avrebbe sprecato un solo secondo della sua esistenza attorno a lei.

Le spalle si fanno ricurve sotto il peso di quella considerazione, che la avvolge in una bolla fatta di rimpianto.

Il sole ormai è tramontato, colorando il cielo di un rosa romantico e sognante.
Il taxi rallenta gradualmente la sua corsa e Natalie nota una Sally con il naso appiccicato al finestrino mentre Scott sposta il viso da un lato all'altro cercando di sbirciare oltre il capo della collega .

Quando scendono a recuperare le valigie, l'aria è più fresca ma tremendamente piacevole nei suoi ventitré gradi.
La strada è costellata da palme altissime su entrambi i lati, rimandando un'immagine esotica da cartolina.
Natalie recupera in fretta il suo unico bagaglio e si volta verso i colleghi, impalati vicino al taxi.

Una struttura mastodontica le si presenta davanti, maestosa, retroilluminata da un tramonto mozzafiato.
E' suddivisa in due grossi edifici collegati tra loro da una specie di passatoia coperta.
Per raggiungere l'ingresso del Resort The Royal at Atlantis, che trasuda lusso e sfarzo ad ogni angolo, impiegano più di cinque minuti a piedi.
Più si avvicinano più questo incombe su di loro in tutta la sua magnificenza.

Varcata l'entrata con le bocche schiuse, Natalie riesce quasi a sentire lo schianto delle loro mandibole quando puntano gli occhi sull'atrio.
Un enorme stanza - anche se il termine stanza è riduttivo - di forma rettangolare completamente costituita di grandi volte circolari ricoperte di vetrate.
Le pareti costituiscono un enorme acquario che dona all'ambiente una luce insolita, ipnotica. Pesci esotici e mai visti se non nei documentari, volteggiano placidi nelle loro acque, ignari e indifferenti degli occhi incantati che li scrutano.

Natalie si riscuote quando un addetto prende in custodia le loro valigie e consegna a tutti le chiavi delle rispettive stanze in seguito alla registrazione e verifica dei loro dati.

In poco tempo si trova davanti alla porta della sua stanza che apre con una tessera magnetica.
Sally e Chelsea avrebbero condiviso una camera doppia, mentre lei e Scott avevano vinto una camera singola a testa, su un altro piano rispetto a quello delle colleghe.
Sally non sprizzava gioia ma Chelsea, pur di non finire in stanza con Natalie, aveva convinto Sally a quella scelta in modo da assicurarsi una compagna a suo modo innocua.

Quello era stato l'unico aspetto positivo di tutto quel viaggio.
Una camera soltanto per lei, dove abbandonarsi al suo silenzio, dove tentare di rattoppare il suo cuore ferito.
Un letto estraneo, finalmente. Delle lenzuola pulite (si spera) che mai avevano visto le mani di Lui afferrare con estrema dolcezza il suo viso, mai avevano udito i loro sospiri mal trattenuti.
Non si erano sgualcite nell'incastro perfetto delle loro membra, non avevano avvolto i loro corpi accaldati che sfidavano l'inverno, saturando l'aria dell'irresistibile profumo della loro unione.

Natalie abbandona la valigia ai piedi del letto, desiderando che fosse già ora di riempirla e di tornarsene a casa.
Accanto a quello che aveva le vaghe sembianze di un elefante composto da asciugamani di benvenuto, giacevano la mappa del Restort - enorme - e un depliant con il programma settimanale.
Si rifiuta di sbirciare le attività che la attendono i prossimi giorni, non sarebbe riuscita a reprimere lo sconforto. Scopre però di avere soltanto un'ora di tempo per lavarsi e prepararsi prima di raggiungere i colleghi per cena.

Opta per un completo giacca pantaloni nero, liscio e semplice. Lasciava uno scollo profondo sul seno avvolto da una balconette nero opaco.
Decide di completare il tutto con una scarpa nera con tacco dieci.
Si trucca appena e afferra una piccola borsa dove infila cellulare, tessera della camera e un rossetto.

Appena raggiunto l'atrio si pente di non aver portato con sé la mappa del Restort: quel posto era talmente grande che le ci sarebbero volute due settimane per imparare a orientarsi.
Per trovare il ristorante aveva imboccato per ben due volte la strada sbagliata, trovandosi ad imprecare a bassa voce per timore di arrivare in ritardo.

Il suo piano era quello di arrivare sul presto, farsi vedere da qualche collega, mangiare lo stretto necessario per evitare troppe domande e tornarsene in camera prima del dolce esibendo la scusa di un mal di testa che probabilmente nessuno si sarebbe bevuto ma nemmeno sindacato.
Non avrebbe alzato lo sguardo dal proprio tavolo, non l'avrebbe lasciato vagare lungo la sala alla ricerca di Lui.

Doveva solo attenersi al suo piano e sarebbe andato tutto bene, senza intoppi.

* * *


Doveva senz'altro essere il Resort più climatizzato al mondo. Si gelava.
Ma almeno dava qualcosa da guardare, con cui distrarsi.
Quasi tutti gli ambienti prevedevano vasche colme di pesci anche di grandi dimensioni che, con il loro fluttuare lento e costante, facevano precipitare Dimitri in uno stato di calma piatta in cui per qualche minuto appianava i propri pensieri.

Con tutto il lavoro che lo attendeva a Boston, gli sembrava un enorme spreco di tempo passare quei giorni ad applaudirsi a vicenda: era proprio quello il momento di accelerare, di dare un distacco netto alla concorrenza.
Aveva provato a convincere il Sig. Morrison a diminuire i giorni di assenza o perlomeno a lasciare qualcuno, lui per primo, al lavoro in azienda.
Era stato inamovibile.
"Sei sempre stato eccezionale nel tuo lavoro. Non ti stanchi mai, le sfide sono il tuo pane e non credo tu abbia mai dovuto imparare a perdere. Ma hai un enorme difetto" gli aveva detto in aereo, commentando l'insofferenza che Dimitri non nascondeva.
"Non sai godertela. Ultimamente in modo particolare. Lavori più di chiunque altro, non ti fermi mai e non ti prendi il tempo di gioire dei tuoi successi, punti subito al prossimo obiettivo. Questo non è positivo come sembra, un giorno non ti basterà più e se per allora non avrai trovato altro come motore, qualcosa che renda il tuo lavoro il mezzo e non il fine, allora rischierai di perderti" Vince Morrison aveva smesso di guardare il suo miglior dipendente e aveva puntato lo sguardo fuori dal finestrino, tra la coltre di nuvole evanescenti.
"Anzi ti perderai, e perderai tutto quello che conta davvero, e non parlo di fatturato o di clienti, per quanto siano importanti per due come noi. Quando ti accorgerai di quello che ti sei lasciato dietro, sarà troppo tardi e non potrai più fare niente per riavere ciò che ti sei lasciato sfuggire dalle mani".
Parlava più a sé stesso ormai e Dimitri osservava con curiosità il suo viso così vacuo, così intriso di un'espressione che non gli aveva mai visto addosso. Il rimpianto.
Vince Morrison stava parlando a un sé stesso più giovane, un sé stesso che ancora avrebbe potuto rincorrere la sua felicità.

Nonostante il discorso ammonitore del suo capo, Dimitri non poteva non trovarsi a contare i giorni che lo avrebbero costretto a restare lontano da casa, dal suo lavoro, da sua madre.
Stava fingendo da almeno venti minuti di ascoltare Spencer, uno dei suoi colleghi manager, lagnarsi di aver quasi perso un cliente per colpa dell'incompetenza della sua segretaria.
In realtà sapevano tutti che nonostante fosse sposato e con un bimbo in arrivo, se la portava a letto da mesi. Quando lei poco prima di partire aveva scoperto della gravidanza della moglie e che quindi ogni promessa di lasciarla era stata una vile bugia, si era licenziata e poi aveva contattato alcuni dei suoi clienti più importanti riferendo i nomignoli pittoreschi che Spencer affibbiava ad alcuni di loro.

Dimitri era certo che "Faccia Di Cazzo" ed "Ippopotamo Inferocito" non avessero riscosso grande successo.
Quel coglione se l'era cercata, anzi poteva andargli peggio.

Il loro tavolo, al quale presto si sarebbe aggiunto il Sig. Morrison, era il più distante dalla porta d'entrata che vedeva sfilare decine di camerieri indaffarati a riempire bicchieri.
Presto avrebbero servito gli antipasti dopo il breve discorso di benvenuto del Sig. Morrison.
A dividerli dalla porta c'erano molti tavoli rotondi, disposti in maniera simmetrica, che tuttavia non gli impedivano la visuale di chi entrava ed usciva.
Inutile dire stronzate, aveva scambiato il suo posto con un collega grazie ad una banalissima scusa sulla corrente d'aria in modo da non dare le spalle all'entrata.
Voleva vederla arrivare, anche solo per poterla odiare da lontano.

Smette del tutto di respirare quando la vede varcare la soglia, con lo sguardo basso che alza solo per scorgere il tavolo occupato dai suoi colleghi.
Non indugia sugli altri tavoli, non prova nemmeno a puntare gli occhi più in là dove potrebbe trovare quello di lui.
La guarda sedersi mentre Scott le scosta la sedia con galanteria, aiutandola ad accomodarsi.
Quel gesto gli fa crepitare il sangue nelle vene. Serra i pugni sotto il tavolo e distoglie in fretta lo sguardo, completamente estraniato da ciò che lo circonda.
Poi, incapace di porre resistenza, lo riporta sul profilo chino del suo viso.

Dio, come brucia. Il sangue incandescente scorre nelle vene come lava, arroventando ogni cosa.
Ma come fai? Si può sapere come cazzo fai a startene lì, bella come la morte, imperitura causa delle mie insonnie, come se nulla fosse accaduto mai?
Guarda che lo so che stai male, bugiarda.
Lo so come so che son vivo, se di vita si può parlare.
Lo so perché il dolore te lo porti cucito addosso, come un vestito. Come quella giacca che ti scopre fino al cuore.
Ed è come se parlasse con il mio di dolore, con il mio di cuore.
Dio, se fa male.
Io, se continuo così, ci muoio.

Le cose stanno andando molto peggio di come Dimitri aveva immaginato.
Aveva previsto che averla così vicina per così tanto tempo sarebbe stato difficile, ma non aveva fatto i conti con la portata del proprio sentimento.

Lo avrebbe capito fin troppo chiaramente.

Per tutta la durata della lunga cena aveva fatto di tutto per distrarsi, perfino intavolare una conversazione - ovviamente lavorativa - con un suo collega di cui al momento non ricordava nemmeno il nome.
Ma ad ogni pausa del discorso si ritrovava con gli occhi incollati al viso di Lei, che mai aveva ricambiato il suo sguardo.
E questo, per quanto fosse preferibile sotto certi aspetti, lo feriva più di quanto volesse ammettere.
Non poteva permetterselo. Non poteva continuare così, come un quindicenne che per la prima volta veniva lasciato dalla fidanzatina.
Lui aveva superato i trenta ormai, era un uomo adulto, e quella che stava affrontando non era nemmeno una vera e propria rottura.
Non erano mai nemmeno stati veramente insieme, anche se aveva condiviso più con lei che con nessun altro.

Ma non era sano continuare così, non avrebbe portato da nessuna parte.
Lei aveva preso la sua decisione e questa non lo prevedeva nella sua vita. Erano passati quasi due mesi ormai, doveva lasciarsi tutto alle spalle.

Sigilla quel patto con sé stesso finendo il suo bicchiere di vino bianco in un solo sorso, congedandosi dai suoi commensali.

* * *

Natalie si impone di aspettare altri dieci minuti prima di lasciare la sala.
Dieci minuti infiniti.
L'aveva visto lasciare il tavolo almeno cinque minuti prima e l'aveva odiato per averla battuta sul tempo.
Era giunta al limite: aveva sentito il suo sguardo inciderle la pelle per tutto il tempo.
Non aveva mai osato voltarsi per verificarlo, non ne aveva bisogno perché lo percepiva in ogni singolo istante.
E anche per quello l'aveva detestato, perché voleva davvero tanto dare una sbirciata, guardarlo da lontano solo per un po', immaginando come sarebbero potuti essere quei giorni insieme, in quel posto bellissimo.
Avrebbe voluto desiderarlo in segreto, come faceva sempre, avendolo lì a pochi metri da lei.
Invece, per la paura di non reggere i suoi occhi impietosi, aveva tenuto lo sguardo basso, faticando a reggere la conversazione con i colleghi, che ad un certo punto avevano smesso di coinvolgerla inutilmente nei loro discorsi.

Natalie, come sempre, c'era ma non c'era.

Che la sua redenzione agli occhi del padre prevedesse tutto quel dolore era per Natalie una conferma.

Una redenzione non può non prevedere il sacrificio.
Quel dolore che le incrinava le costole, che le mozzava il respiro, che le intorpidiva le punte delle dita, era la sua espiazione.

Chelsea la osservava sottecchi e si era fatta ormai un quadro ben preciso della situazione.
Così come Scott, che aveva intercettato un paio di volte lo sguardo di Haze sulla sua mano posata con disinvoltura sullo schienale della sedia di Natalie.
Si era ritratto lentamente, senza darsene subito ragione.
Quello che sospettava da mesi, gli sembrava ora lampante.

L'unica ignara sembrava essere Sally, presa a stupirsi di ogni particolare di quel Resort particolare, prendendo spunto per le nozze imminenti.

"Ragazzi, il mal di testa mi sta uccidendo, ho bisogno di dormire. Ci vediamo domani a colazione, ok?" si era alzata lentamente, raccogliendo la piccola borsa lucida.
"Te ne vai di già?" si lamenta Sally, mentre Chelsea assottiglia gli occhi appena per poi portare lo sguardo altrove.
"Sono a pezzi e non sono per niente di compagnia. Buonanotte, a domani" li saluta con un sorriso sollevato pensando al materasso king size che la attende invitante.
"Domani mattina ti voglio rigenerata, ci diamo allo sport!" le intima Sally alzando la voce, facendole alzare gli occhi al cielo.
"Lasciala stare Sally, non starle col fiato sul collo" interviene Scott, sempre protettivo nei suoi confronti.
Natalie si appunta mentalmente di ringraziarlo mentre lascia in tutta fretta la sala del ristorante.

Al ritorno sbaglia la strada verso l'atrio una sola volta, in netto miglioramento rispetto all'andata.
Se la prende con calma, beandosi dell'aria fresca e della quiete inaspettata di quell'angolo del resort.
Lungo il viottolo sempre circondato di palme altissime, piccoli stagni e rivoletti d'acqua illuminano il sentiero. E' veramente un posto incantevole, si sorprende a pensare Natalie.
Raggiunge l'ascensore con lo sguardo puntato al soffitto, alle volte illuminate a giorno, le scarpe tenute in una mano per dare sollievo ai piedi stanchi.

All'interno dell'ascensore ci sono almeno quattro persone. Ci fa a malapena caso subito, poi appena varcata la soglia si arresta bruscamente, così come i battiti del suo cuore che riprendono subito dopo con un frastuono a scuoterle il petto.
Si volta con il viso verso le porte, incapace di muovere un muscolo.
"Signorina, che piano?" le chiede un signore con un forte accento argentino, gli occhi chiari come cristallo.
"Sedicesimo" risponde con voce incolore, rivelando la sua presenza all'ombra che riversa improperi impronunciabili silenziosamente, in fondo all'ascensore.
I loro corpi non si sfiorano nemmeno, ma Natalie e Dimitri, in quell'ascensore, sono più vicini di quanto lo siano mai stati negli ultimi mesi.

Natalie teme una crisi di nervi. Le vengono solo a pensare al suo nome, al suo profumo, alle sue mani. Ed ora era lì, lo sapeva con assoluta certezza, sentiva sfrigolare l'aria della sua essenza.
Prende a tormentarsi le mani che reggono le scarpe e si appiattisce contro la parete, dandogli sempre le spalle, quando l'ascensore si ferma al quinto piano. Esce una signora sulla cinquantina, salutando educatamente.

L'ascensore riprende la sua salita e Natalie sente anche la cena salirle lungo le pareti dello stomaco.
Cerca di distrarsi canticchiando nella sua testa un vecchio motivetto italiano che cantava sempre il padre in dialetto, ma non fa che peggiorare il suo stato d'animo.

Il segnale acustico delle porte che si aprono le risulta assordante. Piano nove.
Ancora sette piani di agonia.
Esce una coppia giovane, mano nella mano. Li odia all'istante e allo stesso tempo vorrebbe non fossero mai scesi.
Ora l'ascensore si richiude e le porte d'alluminio le rimandano l'immagine di una coppia di signori, l'argentino di prima e la moglie probabilmente, e in un angolo, silenzioso e guardingo come una fiera in agguato, intravede la ragione dei suoi sospiri trattenuti e del suo cuore malandato.

Prega in ogni forma a lei conosciuta che la coppia debba scendere dopo di lei.
Deve solo arrivare viva al piano numero sedici, poteva farcela.

Ma nessuno sembra ascoltarla, lassù.

Piano dodici. La coppia scende e Natalie vorrebbe scendere con loro, ma l'orgoglio le impedisce di muovere un passo.
Aveva rivelato che il suo piano era il sedicesimo appena salita in ascensore, quando invece avrebbe dovuto uscire subito di lì e scappare, fuggire lontano.
Ora invece si trovava con Lui, da sola, in un ascensore.
Un cliché terribilmente fastidioso, che la porta a chiedersi cosa avesse potuto aver fatto di male in una vita precedente.

Dimitri prende piccole boccate di ossigeno, centellinandolo e cercando di non badare al profumo invadente che gli si incolla alle narici.
Quasi non ci crede che è a soli due passi da lui. Gli basterebbe allungare un braccio per sfiorarle i capelli, per afferrarle un fianco e imprigionarla fra il suo corpo e la parete.
Reprime quelle immagini con un sospiro mal trattenuto che lei sembra percepire, sussultando un poco.

L'aria è pesante, satura di tensione, di non detto, è piena di qualcosa che manca.
Per Natalie è insostenibile. Solo tre piani ora, qualche istante e ci sei.
Ma le manca l'aria. Così, in un momento di impazienza preme il pulsante del suo piano a ripetizione come se l'ascensore potesse accelerare spinto dai suoi solleciti.

Dimitri è tentato di suonare l'allarme, di bloccarlo, di spingerla al limite solo per vederla crollare di fronte a lui.
E per un lungo istante è convinto di volerlo fare, ma a crollare magari sarebbe lui e non si farà vedere così. Non da lei.

"Smettila" la voce gli esce dura, innervosita.
Natalie sobbalza al suo tono asciutto e dentro di sé una parte gioisce nel sentirlo rivolgersi a lei.
Si volta appena verso di lui, le labbra schiuse nel tentativo di incamerare aria, poi le porte si aprono porgendole la salvezza.

Dimitri fa involontariamente un passo verso di lei, che sgattaiola via in un secondo, a piedi nudi sul pavimento di marmo.
Poi le porte si chiudono, lasciandolo solo e scosso.
Resta impalato nell'ascensore per gli otto piani che lo dividono dalla sua stanza, cercando di frenare il martello pneumatico che si trova nel petto.
Cercando di scacciare quell'ultimo fotogramma che gli era rimasto di lei, quando varcando le porte si era lasciata sfuggire un'unica, straziante lacrima.

Note.

È infinito, lo so. Doveva essere più corto e a dirla tutta non finiva così nei miei progetti iniziali. Ma non è proprio cambiato il finale del capitolo, l'ho solo rimandato.
Come già detto, non li so gestire questi due.

Sto introducendo qualche pensiero diretto dei personaggi, finora Dimitri e Natalie ma arriveranno anche quelli di qualcun altro prossimamente.
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. Meglio se lascio perdere?

Comunque. Sentite anche voi questo disagio? Giusto un po' di tensione? Ecco.
E siamo solo al giorno 1.

Attendo impaziente eventuali opinioni e, se vi va, stelline.

Vi invito a dare un occhio su Instagram: Slide_alieranera.
Trovate qualche estratto, più avanti degli extra e anche il cast (o meglio, chi ci si avvicina di più).
Mi farebbe piacere avere compagnia pure lì.

Ora torno al lavoro sul prossimo capitolo.

Grazie di cuore a voi coraggiosi.

Alice

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