Capitolo 18


Il soffitto della sua stanza è ricoperto di assi di legno. Per la precisione sono 47.

Le conta ancora, per far passare il tempo, anche se è più che sicuro del numero esatto. E' una stupidaggine che fa tutte le notti quando non riesce a dormire, si concentra su quello e non dà retta ai pensieri.

Si rigira ancora nel letto, scoprendosi parzialmente e sentendo freddo. Sono ormai le tre del mattino e il sonno sembra non volergli fare visita.

Quando alla fine si arrende va in cucina a bere un bicchiere d'acqua e si appoggia al bancone, sveglio come non mai ma anche terribilmente stanco. Quella era stata una settimana mentalmente sfibrante.

L'energia spesa a cercare di non pensare, di non reagire, di non fare qualsiasi altra stronzata lo aveva stremato. Di stronzate ormai ne aveva già fatte troppe per i suoi gusti.

Il tempo che non ha trascorso al lavoro lo ha passato a correre come se stesse scappando da un branco di lupi, sentendo il loro ringhio alle spalle.

Era stato a trovare i genitori tre volte quella settimana, lasciando quella casa grande con un il cuore pesante e la nausea. La situazione stava peggiorando in fretta e non c'era via di ritorno, lo sapeva bene.

Scuote il capo nel tentativo di scacciare quei pensieri e si avvia a passo veloce nello studio. E' una stanza semicircolare, che dà sulla strada e ha due grandi vetrate. Accende una luce fioca e si guarda attorno.

E' da molto tempo che non entra lì. Resta sulla soglia un attimo, ancora indeciso se fare marcia indietro come al solito ma sente la necessità di svuotare la mente ed entra.

Senza pensarci, afferra la tela più grande che ha, grande una mezza figura, e stacca del tutto il cervello.

Lascia libero sfogo alle mani che corrono veloci sulla carta con il carboncino a segnargli i polpastrelli di nero.

E' come se la tela stesse assorbendo con il colore anche il nero della sua anima, la parte straziata, impotente.

Quando finisce, più leggero, è quasi l'alba. Fa un passo indietro e ammira il risultato della sua insonnia, ciò che contribuisce ai suoi tormenti.

Una donna gli dà le spalle, fasciata da un abito scuro che le lascia parte della schiena nuda. Il volto è leggermente voltato verso l'osservatore ma i capelli le coprono quasi completamente il viso lasciando intravedere il naso e il mento. Sembra volersi nascondere, nonostante metta in risalto la schiena scoperta.

E' una donna che si cela ma che chiama a sè. E' un incanto.

E' una maledizione.

Volta la tela verso la parete, nascondendola. Non sarebbe mai riuscito a dormire avendola lì in bella mostra, gli faceva venire pensieri fin troppo impuri.

Era stato spiazzato nel vedere Natalie in quel locale e senza dubbio lei aveva visto lui, e non era solo.
Aveva stretto forte i pugni per trattenersi dal seguirla fuori, imprigionarla con il suo corpo contro una parete e prenderla lì.

Quel vestito gli aveva fatto defluire completamente il sangue dal cervello. Quando aveva ripreso il controllo aveva le unghie conficcate nei palmi.

Aveva concluso la serata prima del previsto e si era rifugiato a casa tentando di dormirci su, con i risultati che si era aspettato.

Riesce finalmente ad addormentarsi quando il sole è appena sorto, scivolando in un sonno profondo.


Natalie si alza dal letto stranamente carica, è ancora presto e il sole ha fatto da poco capolino, ma si sente come se avesse dormito due giorni di fila.

Si dà da fare per sistemare casa, cosa che durante la settimana non fa mai perchè sempre troppo stanca o troppo pigra.

Quando si ritiene abbastanza soddisfatta si fa una lunga doccia bollente e fa colazione. Nonostante il freddo c'è un bel sole fuori, pianifica una bella passeggiata che le permetta di vedere qualche quartiere ancora inesplorato della città, magari anche qualche museo.
Si mette al computer per cercare qualche indicazione su cosa vedere per primo quando sente bussare alla porta. Si chiede chi possa mai essere alle nove del mattino e si affretta ad aprire.

"Ciao cara, spero tanto di non averti disturbata" Natalie nota subito qualcosa che non va nel tono di voce di Susan. La donna sembra essere invecchiata all'improvviso con profonde rughe che le solcano la fronte corrugata. Si sta torturando le mani mentre prova a stiracchiare un sorriso.

"Nessun disturbo Susan, figurati. C'è qualcosa che non va?" le chiede subito.

"Detesto dovertelo chiedere Natalie, ma mi chiedevo se per caso oggi potessi badare per un po' a Lizzie. Sempre se non hai altro da fare. Lo so che così, senza preavviso, è difficile, ma abbiamo un'emergenza che purtroppo non possiamo..." Susan non riesce a terminare la frase, china il capo e piange sommessamente, in totale silenzio.

D'istinto Natalie le accarezza un braccio e la invita ad entrare.

Mentre prepara una tisana calda per calmarle i nervi, Susan si siede a tavola e cerca di ricomporsi.

"Sono imperdonabile. Prima ti chiedo un favore dal nulla e poi ti scoppio a piangere in faccia. Scusa ragazza" la guarda con un sorriso triste.

"Non c'è problema per Lizzie, non avevo programmi particolari per oggi. Solo una passeggiata, magari può accompagnarmi" Natalie cerca di sorriderle per risollevarle un po' il morale.

"Va tutto bene?" non si trattiene dal chiederlo.

"No, cara, purtroppo non va affatto bene" fa una pausa, come se stesse decidendo se parlare o meno. Infine lo fa.

"Andrò subito al dunque perchè ho poco tempo, fra poco io e Alan dobbiamo partire. Dobbiamo andare in ospedale, dalla mamma di Lizzie" prende un grande respiro facendo un'altra pausa "Sta morendo".

Natalie si sente pietrificare sul posto. Non riesce a dire nulla.

"Daisy è malata di leucemia, la malattia è alla fine e i dottori hanno detto che probabilmente non passerà la notte" continua parlando in fretta, continuando a tirare su con il naso e guardandosi le mani.

"Non so davvero cosa dire Susan, è terribile. Non temere per Lizzie, baderò a lei per tutto il tempo che vi serve" dice Natalie dopo essersi ripresa dalla bomba appena sganciata da Susan.

Non esita un secondo a volerli aiutare, tuttavia il pensiero di passare il tempo con quella bambina mentre la sua mamma sta morendo è qualcosa di logorante.

"E' sufficiente fino al primo pomeriggio, poi penso che verremo a riprenderla e la porteremo da lei" dice mestamente Susan, il cipiglio forte e ironico che aveva sempre visto Natalie nei suoi occhi sembra non essere mai esistito.

"Certo, nessun problema. C'è altro che posso fare per voi?" le chiede in apprensione.

"Oh, no cara. Grazie. La portiamo qui da te poco prima di uscire, al massimo fra una mezz'ora. Mi dispiace per il poco preavviso" Susan si avvia verso la porta con passo stanco, sembra svuotata.

Natalie annuisce e d'istinto la abbraccia sulla soglia. Non sopporta vederla così consumata dal dolore.

Susan si lascia abbracciare non riuscendo a ricambiare con il trasporto necessario e poco dopo scompare all'interno dell'appartamento.

Quando bussano alla porta, Natalie ha sistemato un po' casa e accoglie Lizzie con un sorriso un po' forzato. Fa del suo meglio per non riservarle sguardi pietosi e compassionevoli.

"Non staremo via troppo tempo, in caso di emergenza puoi chiamarci al cellulare, Lizzie ha i nostri numeri".

La ragazzina non apre bocca e non alza lo sguardo dalle sue scarpe un solo momento. Si limita a sedersi sul divano.

"Non vi preoccupate. A più tardi" cerca di rassicurarli Natalie, cercando di non fare troppo caso ai loro sguardi contriti.

Restano sole e per qualche momento regna uno strano silenzio, tutt'altro che piacevole.

"Allora, cosa ti va di fare?" chiede a Lizzie. Non ottiene risposta.

"Potremmo uscire a fare una passeggiata, cosa ne pensi?"

"Non mi va di uscire" dice soltanto la ragazzina, senza alzare lo sguardo.

"Un film? Ci sfondiamo di schifezze" le propone cercando di corromperla con un carico di zuccheri da diabete.

"Non mi va" fa spallucce.

Natalie si sente disarmata, non aveva idea di cosa fare con Lizzie in quello stato.

"D'accordo. Se non ti dispiace io mi metto ai fornelli. Ho la testa piena di pensieri e quando non riesco a frenarli mi metto a cucinare. Impastare, sbattere le uova, pesare i vari ingredienti mi fa staccare il cervello e mi calma" si dirige in cucina mentre parla, estraendo il necessario per quello che ha in mente.
Si prende tutto il tempo, sperando che la ragazzina abbocchi.

Non si muove dal divano ma ora la sta guardando. Facendo finta di nulla Natalie prosegue.

"Nelle giornate peggiori, quelle in cui nulla sembra farmi stare meglio, preparo una torta" raggruppa gli ingredienti sopra il tavolo e inizia a pesarli.

Lizzie si avvicina al tavolo e si siede, osservando i movimenti di Natalie. Non dice ancora nulla.

"Di solito più sono pensierosa e più elaborata sarà la torta, ma oggi ho proprio voglia di cioccolato. Farò i brownies più buoni che tu abbia mai mangiato" le sorride e nota un luccichio di curiosità negli occhi di Lizzie.

In silenzio, si mette all'opera. Il procedimento è semplice e li ha fatti con sua madre così tante volte da riuscirci anche bendata.

"Mentre io trito le nocciole mi fai la cortesia di controllare che il cioccolato che ho messo a bagnomaria con il burro sia completamente sciolto?" glielo chiede senza attendere risposta, iniziando a tritare grossolanamente le nocciole, dando le spalle a Lizzie.

La vede muoversi con la coda dell'occhio, prendere il mestolo e mescolare il cioccolato e il burro per amalgamarli bene.

Soddisfatta, Natalie la raggiunge per farlo raffreddare e intinge un dito per assaggiare.

"Mmm. Ma ci credi che esistono esseri umani a cui non piace il cioccolato?" porge la ciotola a Lizzie per invitarla a fare lo stesso. Esita ma infine cede.

"Devono essere pazzi" sentenzia infine la ragazzina con un sorrisino "e ora?".

"Tu rompi le uova in questa ciotola e poi aggiungiamo lo zucchero. Io intanto setaccio la farina" risponde Natalie porgendo gli ingredienti.

Proseguono così nella preparazione del dolce aiutandosi a vicenda, in un silenzio tranquillo interrotto soltanto dallo sbattitore elettrico.

Infornano soddisfatte la teglia e restano un attimo a fissare il forno.

"Circa venticinque minuti e sono cotti" la informa Natalie.

"Odio questa parte. L'attesa. Vorrei che magicamente il tempo volasse e fossero già pronti" è la frase più lunga detta da Lizzie da quando si trova lì.

Natalie riflette sulle sue parole, forse non si stava riferendo esclusivamente ai dolci.

"Fai spesso dolci?" le chiede Lizzie interrompendo i suoi pensieri.

"In effetti sì. Mi piace molto anche se, come vedi, combino sempre un gran casino" risponde sistemando il tavolo e pulendo gli strumenti utilizzati accatastati nel lavello.

"Quindi sei spesso pensierosa" Natalie si blocca con la spugna a mezz'aria fissando Lizzie interdetta.

"L'hai detto tu: quando nulla sembra farti stare meglio prepari torte" le fa notare Lizzie.

Ragazzina straordinariamente attenta.

"Beh, di certo mi aiuta" dice soltanto, incapace di dire altro.

"Come mai sei pensierosa oggi?" le chiede Lizzie.

Oh, no. Non le piaceva affatto la piega che stava prendendo quella conversazione.

Cos'era una strizzacervelli in miniatura?

La guarda con una serietà disarmante, spogliandola di ogni tentativo di raccontarle una bugia. Il dolore che sfila nel retro degli occhi di Lizzie le fa stringere lo stomaco.

Si lascia cadere su una sedia, sospirando profondamente. Magari riusciva a distrarla.

"Diciamo che la mia situazione sentimentale mi sta facendo ammattire" le risponde con sincerità. Era troppo sveglia per provare a mentirle, inoltre non lo trovava giusto.

"Quello è il tuo fidanzato?" indica la foto appesa al frigorifero.

Natalie si limita ad annuire, soffermandovisi un attimo.
L'avevano scattata lo scorso Natale, dopo pranzo. Si era sentita così in pace quel giorno! Un paio d'ore più tardi, Andrea le avrebbe fatto la proposta di matrimonio davanti a tutta la sua famiglia dando così loro la giusta occasione per prendersi una bella sbronza natalizia.

"Lo ami?"le chiede Lizzie, sempre dritta come una spada. Natalie si volta con lentezza verso di lei.

"Si" risponde di getto. "Non lo so. E' complicato" si corregge, abbassando lo sguardo e accarezzando l'anello appeso al collo, sotto la maglia.

Era la prima volta che ammetteva ad alta voce di avere qualche dubbio sui suoi sentimenti per Andrea. Le lasciava uno strano gusto sulla lingua.

"Se è amore vero non dovrebbe essere semplice invece?" è una domanda lecita quella che pone Lizzie, giustificata dall'ingenuità della sua età.

"Io non credo funzioni sempre così, sai. L'amore ti mette sempre alla prova, se fosse facile non sarebbe così straordinario, non trovi?" Lizzie sembra soppesare le sue parole, riflettendoci a lungo.

Era ancora amore quello che provava per Andrea? Il loro era senz'altro un legame duraturo, solido. Tuttavia...

Tuttavia non era stato sufficiente a non farle entrare in testa Dimitri. Inutile continuare a mentire a se stessa: lo pensava notte e giorno, invadeva ogni suo respiro.

"Se quello è il tuo fidanzato, chi era il ragazzo che è venuto qui sabato?" Lizzie la sta guardando con il capo un po' inclinato, curiosa.

Natalie resta spiazzata. Oltre che strizzacervelli la ragazzina poteva pure ambire a diventare un agente governativo.

Racimola un po' del contegno che sa di avere da qualche parte e finge un'espressione neutrale.

"Lui è il mio capo. Un.. un amico. Ero malata e mi ha portato delle medicine per far passare la febbre" Lizzie continua a fissarla. Natalie sta per iniziare a sudare.

"E' stato gentile" commenta solo la ragazzina.

 Pfff, sì. Gentile è il suo secondo nome.

Però è tremendamente bello. E sexy.

"Perchè sei tutta rossa in faccia?" la schiettezza di Lizzie la fa tornare in sè. Si volta senza rispondere verso il forno per controllare i brownies, sarebbero stati pronti di lì a poco.

"Ti piace tanto vero?"

"Chi?" chiede una Natalie veramente in difficoltà.

"Il tuo capo. Come si chiama?" insiste Lizzie.

"Si chiama Dimitri" risponde eludendo la domanda della ragazzina. Natalie fissa il timer del forno pregandolo di suonare in quel momento e salvarla da quell'interrogatorio.

"Sì, ti piace tanto" conclude Lizzie "è inutile che provi a mentirmi, se ne accorgerebbe anche un cieco".

"E' così palese?" si arrende infine Natalie, mordendosi le unghie. Lizzie annuisce con fare sapiente.

Che pasticcio. Se anche una ragazzina di dieci anni riusciva a capirlo in due minuti era spacciata.

Natalie si copre il viso con le mani, cercando di nascondere l'imbarazzo.

"Perchè non ti fidanzi con lui se ti piace tanto?" le chiede non capendo il perchè dell'espressione afflitta di Natalie.

"Perchè sono già fidanzata, con Andrea. Stiamo assieme da molto tempo e dovremmo sposarci a maggio. Lui mi conosce da anni, conosce la mia famiglia, che tra l'altro lo adora, sa tutto di me. E io so tutto di lui. Con lui è semplice, è giusto" cerca di spiegarsi Natalie.

"Ma l'hai detto tu che l'amore non è semplice" le fa notare Lizzie, confusa.

"Già, non lo è affatto. Non so Lizzie, sono in difficoltà. Dimitri è l'esatto opposto di Andrea. Un secondo riesce a farmi arrabbiare più di chiunque abbia mai conosciuto e il secondo dopo è così gentile e premuroso che quasi non lo riconosco. Mi fa girare la testa" si prende la testa fra le mani, esasperata.

Altro che fare le torte per non pensare, questa era una vera e propria seduta psichiatrica. Doveva troncare quella conversazione o non ne sarebbe più uscita.

"Sei in un bel casino" concorda Lizzie. Segue un silenzio pieno di riflessioni.

"La mia mamma e il mio papà credo si amino tanto" basta quella frase flebile a ricordare a Natalie perchè Lizzie si trovi lì.

"Ne sono certa, hanno avuto te!" Natalie le rivolge un sorriso sincero, seguito da quello stiracchiato di Lizzie, visibilmente triste.

In quel momento il timer trilla vivace. I brownies sono pronti.


Quando Susan e Alan rientrano dall'ospedale per passare a prendere Lizzie, non sono necessarie parole. I loro occhi cupi e gonfi sono più che sufficienti.

Lizzie, che aveva riacquisito un po' di colorito, vedendoli impallidisce nuovamente e si relega in un mutismo assordante.

"Ci vediamo presto Lizzie" le dice soltanto Natalie, incapace di trovare parole giuste per quella situazione atroce.

Cosa si dice ad una bambina che sta andando a dire addio per sempre alla sua mamma?

Chiude la porta di casa con un blocco di marmo al posto degli organi interni.

Di slancio chiama la madre, chiacchierando del più e del meno con lei per un'ora abbondante.

Inevitabilmente ripensa alla conversazione avuta con Lizzie quella mattina, a come fosse finalmente riuscita ad ammettere ad alta voce la confusione che le regnava in testa, soprattutto nei confronti dei suoi sentimenti per Andrea.

Da lì a una settimana sarebbero arrivate le tanto agognate vacanze e sperava che rientrando a casa i mille dubbi che la affliggevano sarebbero scomparsi.

Non ci credeva fino in fondo nemmeno lei.

Controlla il cellulare diverse volte nell'arco del pomeriggio, rileggendo l'ultima conversazione con Dimitri. Sotto sotto spera di vedere arrivare un suo messaggio, invece non la cerca mai. Neanche una volta.

Natalie lo sapeva che la stava evitando, e che probabilmente era la cosa più giusta da fare, ma non può evitare di starci male.

Il suo umore precipita ulteriormente quando pensa che forse in quel momento Dimitri si stava divertendo con quella rossa con cui era la sera prima al locale.

Era davvero molto bella, anche se l'aveva vista di sfuggita. La gelosia sembra corroderle le pareti dello stomaco.

Si erano guardati prima che lei uscisse, per un lungo istante. Lui sapeva che lei lo aveva visto con quella. Perchè diavolo non le scriveva un dannatissimo messaggio? Non si rendeva conto che lei ne stava soffrendo?

Poi, come sempre, viene travolta dal senso di colpa e dalla frustrazione pensando che dei due quella impegnata era lei.
Lui era liberissimo di uscire con chi voleva, Natalie non poteva avere alcun diritto su di lui.

Nervosa, inizia a camminare avanti e indietro cercando di sbollire tutte le sensazioni di quella giornata.

Ha bisogno di uscire, le serve qualcosa di più forte di una birra. Però non vuole stare sola.

"Pronto" la voce all'altro capo del telefono è amichevole come sempre, anche se negli ultimi giorni non si erano più parlate.

"Ciao Carol, ti disturbo?" chiede Natalie, titubante. Forse non la doveva chiamare, forse rischiava di metterla in mezzo ancora in tutta quella faccenda e non era il caso. Ma era anche l'unica che sapesse tutta la storia e Natalie aveva davvero bisogno di sfogarsi senza dare spiegazioni.

"No di certo, stavo leggendo uno stupido libro"

"Ti va di vederci e bere qualcosa?" chiede Natalie, dritta al punto.

"Va tutto bene?" le chiede subito Carol, percependo nel tono di lei tensione.

"Ho bisogno di bere qualcosa" dice soltanto, prendendo la borsa e le chiavi. Sarebbe uscita in ogni caso.

"Ci vediamo da Marla" conclude Carol, capendo al volo.

Quando Carol entra nel locale individua subito Natalie al bancone con due bicchierini vuoti davanti.

La situazione forse era peggiore di come pensava.

"Lo sai, vero, che non sono ancora le cinque del pomeriggio? Mi sembra un po' presto per la tequila" le chiede Carol ironica, sperando di strapparle un sorriso.

Natalie si volta a guardarla, fissandola negli occhi.

"Nel mio caso ogni ora è giusta per la tequila" non c'è alcuna ironia nella sua frase. Butta giù il terzo bicchierino accogliendone il bruciore intenso.

Carol ordina un aperitivo leggero, guadagnandosi una smorfia da parte di Natalie, che inizia a sentire la testa più leggera.

"Allora, cosa è successo?" le chiede Carol, dritta al punto.

Natalie inizia a ridacchiare ma la risata diventa uno strano verso gutturale.

"Hai davanti a te la Stronza più stronza del pianeta. Sono così stronza che nonostante il mio fidanzato perfetto sto impazzendo per il mio capo il quale, per inciso, probabilmente al momento si sta scopando Miss Pel di Carota senza pietà.
E io sono così stronza che mi annego nell'alcol pur di soffocare questa fottuta gelosia che mi sta uccidendo e che non ho alcun diritto di provare" termina scolandosi il quarto shot.

Carol la guarda impassibile. Poi scoppia a ridere mentre Natalie la guarda con un sentimento di fastidio.

"Sotto quei tratti mediterranei nascondi lo spirito di uno scaricatore di porto, mia cara Stronza. Mi piaci sempre di più" commenta asciugandosi gli angoli degli occhi.

"Fammi capire, io ti confesso la mia disperazione e tu mi ridi in faccia?" le chiede Natalie a metà tra un capriccio e un risolino. Carol continua a ridacchiare.

"Davvero ti piaccio? Non mi trovi un essere ripugnante?" Natalie lo chiede con un tono disperato, che fa diventare Carol subito più seria.

"Certo che no, Natalie. Smettile di autocommiserarti" la rimprovera.

"Beh dopo averti detto del mio fidanzamento non mi hai praticamente più rivolto la parola" le fa notare Natalie, abbandonando ogni filtro.

"Ho avuto veramente molto da fare in ufficio. Ma hai ragione, ti ho un po' evitata. Volevo riflettere un po' su tutta questa situazione" le fa presente.

"E?" Natalie si sente come se dovesse passare un qualche esame di enorme importanza.

"E sono giunta alla conclusione che hai un tremendo bisogno di me. Sei una ragazza forte e determinata ma sembra che ti sia dimenticata com'è fatta la felicità, quella vera" la sincerità di Carol è quasi violenta.

Era mai stata felice davvero Natalie? Non le viene in mente un momento negli ultimi anni che possa definire veramente felice. Aveva sempre sottovalutato quel tipo di cose, preferendo la stabilità, ciò che la faceva sentire al sicuro, ciò che le avrebbe garantito l'approvazione della sua famiglia. Quello era un aspetto tremendamente importante per lei.

"E come pensi di aiutarmi?" le chiede scettica. Non credeva affatto di meritarla quella felicità e tanto meno il suo aiuto.

"Sono qui no?"

Natalie annuisce, beve un altro shot e inizia a confondere i pensieri.

"Meglio se fai una pausa con la tua nuova compagna di giochi, la Tequila. Ha il brutto vizio di rivoltartisi contro" Natalie non è d'accordo ma acconsente. Stava perdendo lucidità.

"Quindi hai visto Dimitri con una?" le chiede poi. A quella domanda Natalie emette un verso di disgusto, chiudendo con forza gli occhi per levarsi l'immagine di Dimitri che si accosta a quella, toccandole la schiena, sorridendole in quel suo modo irresistibile.

"Erano in un locale in cui sono stata con Sally. Sembravano molto affiatati" gli angoli della bocca si voltano verso il basso, in un broncio automatico.

"Capisco" dice soltanto Carol, senza commentare.

"Ne sai niente?" le chiede Natalie, speranzosa e timorosa allo stesso tempo di ricevere maggiori dettagli.

Carol scuote la testa. "Lui ti ha vista?" le chiede soltanto.

"Sì, mentre uscivo ci siamo guardati. Solo guardati" sente la rabbia salire piano piano, arrampicandosi tra le sue vene fino ad annebbiarle il cervello.

"Io credo di odiarlo" sentenzia poi, stringendo le labbra in una linea dura.

"Anzi, sono certa di odiarlo. Prima fa tutto il premuroso, si prende cura di me come nessuno ha mai fatto, e giuro che nessuno mi ha mai guardato così in vita mia. Mai" prende fiato stringendo i pugni.

"Poi si comporta come niente fosse, e lo capisco Carol, davvero. So che sono io quella fidanzata, quella vincolata, che non dovrebbe trovarsi in questa situazione nemmeno per scherzo. Ma mi ci trovo. E ora lui ha infettato i miei pensieri come una malattia e non se ne vuole andare, lasciandomi con il cuore in un mare di guai. E lui cosa fa? Lui che mi evita e non mi affronta? Se la fa con la regina delle carote. Che, mi costa ammetterlo, ma è un vero schianto. Perchè allora non mi lascia in pace?" chiede guardando Carol disperata. Gli occhi si inumidiscono e si costringe a cacciare indietro le lacrime, sbattendo più volte le palpebre.

Carol tace a lungo, riflettendo. Lei conosceva abbastanza bene Dimitri da sapere che la sofferenza di Natalie probabilmente era niente in confronto a quella di lui.

Soltanto che lui il dolore se lo portava appresso da tanto, come un paio di scarpe che stringono e fanno male ma comunque tu ci devi camminare. Non ne aveva ancora la certezza, ma ipotizzava che stesse soltanto cercando di difendersi, prima che fosse troppo tardi.

"Direi che sta provando a lasciarti in pace, no? Forse il suo è un messaggio chiaro e tondo" decide di stuzzicare Natalie con quella frase, di provocarla un po'. Doveva prendere un po' in mano la sua vita quella ragazza.

Le parole di Carol confermano un suo sospetto e la sua più grande paura. Dimitri stava mettendo un punto a quella storia. Sente uno scricchiolio all'interno del costato ed è convinta che provenga dal suo organo più vitale. Ingoia quella sensazione orribile con un altro shot di cui sente davvero il bisogno, senza rispondere a Carol.

"Basta Natalie, andiamo via. Ti accompagno a casa"

"Ho la macchina qui fuori, posso aspettare che passi" si lamenta Natalie, conscia di non poter guidare in quello stato. Si alza e barcolla visibilmente.

"Tornerai domani a prenderla con un taxi, andiamo" Carol la afferra saldamente per un braccio e la fa salire sulla sua auto.

Forse non sarebbe riuscita a farsi chiarezza quella sera, non con quella quantità di alcol in corpo, ma sperava veramente che alla fine Natalie avrebbe trovato il coraggio di essere felice.


E' al volante da almeno un'ora, la benzina sta per finire. Vorrebbe non dover scendere mai, guidare senza meta gli anestetizza il cervello, lo fa sentire come sospeso.

Quel pomeriggio si era intrattenuto a casa dei genitori soltanto per venti minuti. Riusciva a restarci sempre per meno tempo, diventava ogni volta meno sopportabile. Dopo silenzi interminabili a fissare occhi vacui, dopo l'ennesima discussione feroce ma sussurrata, aveva lasciato quelle mura un tempo così confortevoli quasi correndo. Voleva mettere più spazio possibile tra lui e quella realtà che ormai gli si era cucita addosso da anni.

Il sole è calato da poco, non vuole tornare a casa, non vuole cenare e non vuole pensare. Pensa ad una bella sbronza, ma accantona subito l'idea. L'alcol avrebbe peggiorato il suo stato emotivo, di molto. Se qualcosa lo faceva arrabbiare e beveva, poteva diventare un problema: non aveva mai ferito sul serio nessuno, ma in passato aveva spaccato molte cose. Oltre ad aver sfasciato un auto uscendone vivo per miracolo.

Per tutte queste ragioni quando passa davanti a Marla non ha alcuna intenzione di fermarsi, ma poi vede un rottame blu metallizzato parcheggiato a fianco a due auto moderne, facendolo risaltare.

E' come vedere una cometa: non si accorge nemmeno di aver parcheggiato che già sta scendendo dall'auto. Si blocca un attimo con la mano sulla maniglia della porta, non sarebbe dovuto entrare. Se lei era lì, lui doveva fuggire dall'altra parte della città e rispettare l'accordo che aveva fatto con se stesso.

Starle lontano e uscire indenne da quella situazione.

Entra comunque nel locale, solo per un drink. Ammettiamolo: il suo piano non stava affatto funzionando.

La cerca subito con lo sguardo, senza nemmeno salutare Marla che gli fa un cenno. Non è mai di molte parole. Scandaglia la stanza ed i tavoli, senza trovarla da nessuna parte. Espira lentamente, a metà fra il sollevato e il nervoso.

"E' andata via da circa un'ora" lo informa Marla, interpretando i suoi pensieri. Evidentemente si ricordava di loro due dal Ringraziamento.

"La sua auto è ancora parcheggiata fuori" afferma Dimitri, sperando in una spiegazione migliore di quelle che si stavano accavallando nella sua testa: Natalie che, ubriaca, lascia il locale con uno sconosciuto; Natalie che, ubriaca, viene rapita e molestata; Natalie che, ubriaca, si aggira da sola per la città.

Gli tremano le mani al pensiero.

"Era in uno stato pietoso. Aveva bevuto un po' troppa tequila. L'avrà riaccompagnata la sua amica" ecco, appunto. Era ubriaca. Ma almeno non era sola.

"Quale amica?" chiede subito Dimitri, preoccupato. Natalie non aveva molti amici in quella città, soltanto i suoi colleghi. E lui.

Anche se amico non era la definizione che avrebbe scelto.

"Alta più o meno come me, sulla quarantina, capello corto. E' venuta qua altre volte, credo lavoriate insieme" sembra riflettere per ricordarne il nome ma Dimitri ha già capito. Estrae il cellulare e lo fissa, come se potesse parlargli da un momento all'altro.

"Carol! Ecco il suo nome, si chiama Carol" afferma Marla, vittoriosa per aver ricordato il nome. Dimitri annuisce distratto, ignorandola quasi completamente.

Sta cercando di mettere pace fra le due parti di sè che litigano nella sua testa: una parte lo incita a tornarsene a casa, cercando di dimenticare quella donna ora che sapeva che non era stata rapita; l'altra parte cerca di convincerlo a chiamare Natalie per accertarsi che stesse bene. E magari per sgridarla senza tanta premura per essersi ubriacata, di nuovo.

Alla fine le mette d'accordo.

"Pronto" gli arriva un sussurro dall'altro capo del telefono.

"Come sta?" va dritto al punto, non la saluta nemmeno. E' in pensiero.

"Io sto bene, Dimitri, grazie. Sei sempre gentile a preoccuparti della mia salute" il tono è falsamente inorridito.

"Risparmiatelo Carol, avanti. Come sta?" sbuffa infastidito. Perchè complicare ulteriormente le cose?

"Chi?" Carol trattiene una risatina nervosa, sa bene di spingerlo al limite con quell'atteggiamento, ma è più forte di lei. Sentirlo così accorato la diverte e allo stesso tempo la fa ben sperare. Non sa come abbia saputo che era con Natalie, ma non è sorpresa.

"Carol. Sto perdendo la pazienza. Sai benissimo di chi sto parlando" la voce gli si inasprisce, si costringe a mantenere una calma apparente.

"E' praticamente svenuta sul divano. Sta bene, deve solo smaltire la sbornia. Tu come stai?" Dimitri resta interdetto da quella domanda e all'istante ha la certezza che Natalie deve aver raccontato qualcosa a Carol. Non gli piace proprio per niente. Era la sua assistente e si fidava molto di lei, più che di chiunque altro in azienda. Ma quelle erano cose personali, Natalie non aveva nessun diritto di spiattellarle in giro. Reprime un'imprecazione e respira a fondo.

Come stava? Di merda. Più cercava di allontanarla e più la sentiva insinuarsi nella sua testa, sottopelle, nei suoi sospiri. Per non parlare dei suoi disegni.

"Non importa come sto. E' una irresponsabile, ubriacarsi così! Non ha mica quindici anni" rivolge la sua frustrazione a Natalie, che nonostante tutto lo fa preoccupare.

"Ha solo bevuto un po' troppo, succede. Aveva bisogno di spegnere il cervello" la giustifica Carol.

Quindi anche lei aveva un vespaio dentro al cranio. Quel pensiero un po' lo ammorbidisce.

"Non lasciarla bere di nuovo. Chiamami se hai bisogno" chiude la telefonata senza ascoltare la replica, come d'abitudine.

Torna a casa e prova a rilassarsi ma il pensiero di lei che si ubriaca perchè troppo pensierosa gli martella le tempie.

Dopo quelle che sembrano delle ore si trova davanti alla tela con il ritratto di spalle che le aveva fatto la sera prima e scatta una foto.

Dimitri: Sto provando a strapparti a forza dai miei pensieri, ce la sto mettendo tutta davvero. Quando penso di esserci riuscito, eccoti di nuovo. Così.

Si dà del coglione un'infinità di volte e invia la foto del suo ritratto assieme al messaggio.

Lo doveva sapere che non era l'unica ad uscire di testa.

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