54. Mela

Quando le nostre labbra si staccarono, scoppiai a piangere.
E poi a ridere.
Ridere tra le lacrime di tutto quello stress accumulato mentre l'adrenalina se ne andava dal mio corpo lasciando spazio alla paura.
Se avessi fallito la minima cosa, ci avrebbero ammazzati tutti.
Donati era stato preciso nel farmi capire di che pasta era fatto e sapevo che non si fidava di me, non era uno stupido.
Questa era la sua prova, se avessi fallito ero sicura che avesse un piano per farci esplodere.
Skin mi guardò preoccupato e mi prese il viso tra le mani.
Risi più forte e girai la testa quando mi accorsi che Billo si stava avvicinando.
Mi mise una mano sulla spalla.
"Non è nulla."
Feci un gesto con la mano.
"Ho solo freddo."
Mi asciugai le lacrime e mi strinsi forte il cappotto di Buch addosso.
"Dobbiamo andare."
Eugene si mise la pistola nei pantaloni e andò verso la porta del furgone aprendola per guardarsi intorno.
"Abbiamo un'altra macchina qui. Dobbiamo fare cambio. Non possiamo attirare sguardi indiscreti."
Mi alzai in piedi per seguirlo ma Skin mi tenne la mano.
"Lasciateci soli per un istante."
Ordinò agli altri.
Sam spostò il peso nervosamente da un piede all'altro ma non disse nulla.
Avevamo poco tempo e lo sapevamo tutti.
"Non aprite la porta per nessuna ragione al mondo!"
Intimò loro con un tono che non ammetteva repliche.
"Che succede?"
Gli domandai non appena la porta si chiuse dietro a Billo.
Non mi rispose.
Si avventò sulle mie labbra dandomi il bacio più significativo che avessi mai ricevuto.
Appoggiai entrambe le mani sul suo viso, un po' per aumentare il contatto che c'era tra di noi, un po' per cercare di fermare tutta quella passione.
Si staccò da me per togliersi la maglietta e mostrarmi il suo corpo scolpito.
Il suo tempismo faceva quasi ridere.
Di tutte le serate passate insieme, aveva scelto questa per mettersi a nudo.
"Stai bene?"
Mi chiese allora e io mi lanciai su di lui catturando di nuovo la sua bocca.
Lo aiutai a slacciarsi i pantaloni e gli permisi di aprire il mio cappotto, nonostante avessi freddo da morire.
"Puoi fermarmi se.."
Non gli lasciai finire la frase. Tolsi totalmente il cappotto restando nuda davanti a lui e lo lasciai cadere dietro di me.
Non mi sentivo in imbarazzo.
Mi succedeva sempre di non sentirmi all'altezza, di percepire il rifiuto a mostrare debolezze e fragilità ad un uomo o ad una persona in generale.
Mio padre mi raccontava sempre di come fin da piccola, fingevo di stare bene anche se avevo la febbre perché faticavo a tollerare la vicinanza e l'accudimento da parte di qualcuno.
Con Skin non era così.
Avevo mostrato ben altro a lui che un pezzo di carne.
Gli avevo permesso di vedere ben oltre e ora mi sembrava naturale e privo di giudizio il gesto di togliermi il cappotto.
Lui non vedeva solo questo.
Mi vedeva attraverso.
Mi conosceva meglio di chiunque altro e io mi fidavo di lui. Mi fidavo della sua persona, per quanto potesse essere il meno affidabile di tutti.
Il resto fu tutto così veloce da faticare ad imprimerlo nei ricordi.
Del resto, avevamo poco tempo per soffermarci sui dettagli, sulle sensazioni singole che i nostri corpi producevano.
Sapevo solo, mentre mi sdraiavo sulla panca sotto di lui e lo lasciavo giocare con la mia pelle e con i miei sentimenti, che qualcosa di così esplosivo non lo avrei mai più provato per il resto della vita e anche se fosse stata quell'unica singola volta, ne valeva la pena, per quanto potesse fare male dopo.
Era Skin. Era lui la miccia che faceva esplodere le mie barriere.
Era il suo viso che volevo vedere sopra di me in quella danza di corpi e respiri, di parole mai pronunciate prima per paura.
Erano i suoi occhi che mi facevano capire di essere nel posto giusto.
Non importava come ci eravamo conosciuti, non importava chi rappresentavo io e chi lui. Non importava nulla se quegli attimi sembravano così giusti.
Gli strinsi le spalle chiudendo gli occhi e assaporando quegli attimi preziosi di pura energia che durarono poco, giusto il tempo di ricentrarci e ricordarci che dovevamo fuggire via prima che ci trovasse Donati e capisse l'inganno, ma che cambiarono per sempre la mia struttura cerebrale ribaltando il mio mondo e le mi convinzioni, creando una dipendenza nuova.
"Va tutto bene?"
Chiesi a Skin quando riaprii gli occhi e vidi quanto era stravolto.
Provò a sorridere ma a stento.
"Non fuggire di nuovo da me!"
Lo supplicai stringendogli il volto e di rimando lui mi baciò di nuovo.
Mise le sue mani dietro alla mia schiena e mi sollevò stringendomi forte.
"Oggi ho pensato che eri persa. Persa per sempre."
Lo strinsi un poco di più.
Come poteva credere che fosse così facile ferirlo? Sbarazzarsi di lui e dimenticare chi fosse?
"Invece sei una continua sorpresa."
Afferrò la giaccia e me la strinse addosso.
Infilai la prima manica e quando mi mossi per mettere la seconda Skin mi bloccò di scatto.
Fece scivolare le sue dita sul livido che si era formato sul mio braccio sinistro.
"Nulla di che. Un coglione mi ha dato un cazzotto."
Provai a sdrammatizzare io ma mi accorsi immediatamente che non lo stavo facendo ridere, figuriamoci!
"Non ci pensare."
Nascosi velocemente il livido e mi allacciai la giacca.
"Mi dispiace."
Gli misi la mano sulla bocca.
"Non dire cazzate! Stavi difendendo la tua famiglia. Se vi avessi tradito davvero, mi meritavo un proiettile in testa."
Skin sorrise.
"Hai fatto scaricare i mitra.."
Sorrisi anche io.
"Non ti fidavi totalmente."
Concluse lui corrucciando la fronte.
"Mi fido di te. Credimi. Ma quando l'istinto prende il sopravvento alle volte si fanno cose che non si vorrebbero."
Qualcuno picchiò contro il furgone facendoci sussultare.
"Dobbiamo andare. Ci siamo fermati troppo a lungo."
Scesi dalle sue gambe e mi avviai verso la porta.
L'aria in quel magazzino era ancora più gelida.
"Ma dove..?"
Skin si sporse dal furgone e si guardò intorno spaesato.
"È il magazzino del supermercato. Non ci era venuta un'idea migliore. Eugene conosce il gerente."
Mi sorrise sconcertato.
"Quante sorprese ancora ci nascondi?"
Chiese avvicinandosi alla macchina.
"Non ne hai idea."

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