28. Skin

Non avevo chiuso occhio tutta la notte. Mi sentivo tormentato.
Non sapevo descrivere nemmeno io cosa mi abitava le viscere.
Ero nervoso e arrabbiato, ero triste e preoccupato e il fatto di essere preoccupato mi rendeva più arrabbiato.
Non avrebbe dovuto importarmi nulla di lei. Il nulla assoluto!
Eppure ero corso in ospedale senza pensarci un secondo.
Non solo. Le avevo raccontato cose che ormai non raccontavo più nemmeno a me stesso. Delle confidenze, a lei che voleva distruggermi con tutta sè stessa. Eppure non lo aveva fatto.
Billo mi tirò l'ennesima sberla sul braccio che teneva sorretta la mia testa e per poco non mi frantumai il mento.
"Resta connesso coglione. Non è il momento di riflettere questo."
Sbuffai.
Sam non parlava molto. Il fatto che Mela avesse parlato con un poliziotto lo faceva cagare sotto.
Non si fidava di lei e da una parte faceva bene. Quante domande mi aveva fatto? Certo, era una detective. Era il suo lavoro quello di scavare a fondo negli animi della gente per trovare tutto il marcio da sbattere su un'aula di tribunale.
Sbuffai di nuovo.
"Sei insopportabile!"
Guardai storto Billo. La testa mi scoppiava.
Avevo passato la notte con il fiato sospeso, quando lei si era addormentata ed era piano piano scivolata verso di me.
Avevo paura si scucissero i punti.
In ospedale erano stati chiari. Solo dei pazzi uscivano dall'ospedale a meno di ventiquattro ore da un intervento.
Sospettavano di noi. Se fossimo tornati indietro..
Però era strano tenere la testa di una donna sulle mie gambe. Non succedeva da molto.
Non ero uno dalle mille scopate e mille donne intorno.
Le donne mi piacevano ma mi tenevo alla larga da loro. Non volevo troppi coinvolgimenti, non volevo rischiare di aprirmi, non volevo sentire domande su di me, sul mio passato, sulle mie cicatrici.
Eppure Mela aveva fatto tutto questo e io diligente come un cane avevo pure risposto.
Schioccai la lingua scocciato.
Sam mi guardò di sbieco.
Non era il momento, lo sapevo.
C'erano state delle novità in mia assenza.
Donati aveva fatto un passo falso.
Un pagamento ingente di denaro a questo coglione. Cognome russo, anni di galera in Siberia, sicuramente un sicario.
Sicuramente era stato lui a liberarsi di mister Browne.
Ma l'obiettivo finale non era lui, ero io.
Con Donati ci separava una guerra iniziata ormai anni prima.
Noi avevamo conquistato la parte est, loro la ovest della città, con la differenza che loro non avevano alcuna morale.
Giro di prostitute, droghe di ogni tipo, ogni cazzo di schifo era messo in giro da quei farabutti.
E loro cosa volevano? Fare affari dalla nostra parte della città.
Questo non era possibile, non con noi.
Avevo rifiutato decine di offerte da parte loro.
Non gli avrei mai lasciati entrare al club o in nessun luogo dove la legge era la mia.
Non solo per una questione morale, sebbene anche quella mi premesse alla gola, ma soprattutto perché non volevo trovarmi la polizia in casa ogni giorno.
Non volevo diventare un uomo con un cartello grosso come una casa sulla schiena che dice "uccidetemi".
Di casini e di nemici ne avevamo abbastanza senza fare passi più grandi delle nostre gambe.
"Quindi che facciamo?"
Mi chiese Sam facendomi trasalire.
"Partiamo. Andiamo a prendere il sicario. Lo appendiamo ad una parete. Spediamo a Donati un pezzo del suo cuore e gli scriviamo un bel biglietto. Questa è la fine che farai anche tu se ci tinuerai a provare da fotterci."
"Molto divertente." Billo applaudí. "Non fosse che Donati non si spaventa di nulla, ci vuole fuori dal giro e quello è uno dei suoi miliardi di sicari.
Mi morsi il labbro pensieroso.
"Potremmo partire sereni, non fosse che la tua donna ha parlato con un poliziotto."
Mi adirai immediatamente alle parole di Sam.
La tua donna.
"Che c'entra?"
"Che ne sai che non gli ha detto tutto? E non ci stanno tendendo un'imboscata?"
Strinsi forte il bicchiere fino a sentirlo scricchiolare sotto le mie dita.
"Lo so e basta."
Perché lei si fidava di me mentre stava male. Lei mi ha difeso. Lei era preoccupata per me.
"Se mi sta fregando fa la fine del sicario."
E questo era sicuro.
"Sei offuscato dal fatto che ti piace!"
Ringhiai verso Sam.
"Non ti permettere. Io vi ho guidati fino a qui. Non osare mettere in dubbio che voi e il club non siete al primo posto.."
"Prima hai protetto lei. Andando in ospedale hai messo lei al primo posto.."
Balzai in piedi e mi diressi a passo spedito verso la grande finestra che dal mio ufficio mostrava tutta la sala principale della discoteca. Era quasi orario di chiusura, piano piano di stava svuotando.
"Vuoi fare a cazzotti un'altra volta?" Sam scosse la testa.
"Vorrei che tu fossi onesto con noi. Lei non ti è indifferente e va bene così. Ma abbiamo bisogno di saperlo. Dobbiamo sapere quanto stiamo rischiando, quanto ti confonde."
Ci riflettei un attimo e Sam scorse la mia incertezza.
"Non esiste futuro per voi. Una detective e un criminale? Andiamo. Questa ti fotte."
Lo guardai storto anche se non aveva tutti i torti.
"Lei è qui per colpa mia. Ha rischiato la vita per colpa mia. Ne sono responsabile."
Sam urlò toccandosi le tempie.
"Basta sentirsi responsabili per tutti! Cazzi suoi se ha voluto fare la splendida e venire qui. Cazzi suoi se rischia la vita, questa è la nostra realtà. Noi rischiamo la vita ogni giorno! Abbiamo altro a cui pensare.."
Mi voltai di scatto. Non lo sopportavo più da quando Mela era arrivata.
"Billo, fai arrivare il nostro jet. Partiamo per Vegas questa sera. Fatemi dormire qualche ora e andiamo a cercare il sicario."
Billo annuì.
"Partiamo prima che arrivi l'ennesima bufera di neve. Fra qualche ora suggerisco."
Non mi voltai a guardare Sam. Sapevo cosa voleva fare. Voleva partire prima che Mela si svegliasse in maniera che io non la incontrassi.
"D'accordo." Risposi soltanto.
"Si scatenerà una guerra."
Ci fece presente Billo.
"L'unica cosa che so fare nella vita è combattere."
Risposi con un sorriso.
Nessuno mi avrebbe portato via quello per cui avevo lottato.

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