19. Skin
"Porta solo guai amico. Cazzo guardala! Ti sta provocando! Sta giocando con te!"
Sam parlava in tono tranquillo ma sembrava davvero infastidito dalla situazione.
"Sta facendo morire anche me ragazzi. Datemi del ghiaccio."
Mi voltai per dare un pugno a Billo che come sempre, doveva spezzare l'attimo con una battuta.
Mela era una dea su quel palco.
Al di là della bellezza travolgente che oggettivamente non poteva passare inosservata, sembrava proprio una persona diversa.
Si muoveva libera, sorrideva come se si fosse sciolta le catene che la trattenevano bloccata nei suoi panni da detective.
Io non l'avevo mai vista così. E non parlavo solo di quando era qui al club, nemmeno prima, quando usciva con le sue amiche e mi ritrovavo a sbirciarla l'avevo mai colta essere così sé stessa.
Era sempre trattenuta nel suo ruolo, responsabile, inflessibile.
Invece in quel momento, trapelava splendore, sicurezza, benessere.
Si stava autoaffermando e mi faceva tenerezza perché sembrava che per una vita intera, gli altri le avessero imposto come vivere.
Ora invece, era stata rapita ed era lontana da tutti e quindi, poteva sbattersene le palle e fare semplicemente quello che voleva.
Mi stava provocando. Oh sì che lo stava facendo e non si rendeva conto del pericolo al quale andava incontro.
Ma a me andava benissimo così, avrei giocato volentieri con lei.
Io non li avevo tutti quegli schemi mentali che frullavano sempre nella sua testa. Io, se volevo fare una cosa, la facevo e basta e alle conseguenze ci pensavo poi.
Da quando le nostre strade si erano incrociate mi aveva dato solo fastidi. Mi sembrava giusto che ora..
Trattenni il respiro quando si sdraiò per terra.
Stavo per perdere il controllo. Stavo per andare lì da lei, prenderla in braccio e portarla in camera sua. Era questo che voleva?
Sam mi picchietto sulla schiena di nuovo.
"Ti fotterà amico."
"O lui fotterà lei. Penso sia la seconda ipotesi." Continuò Billo ormai mezzo ubriaco ridendo come un pazzo.
"Se Mary facesse una cosa del genere.." Picchiò le sue mani insieme come se fosse un applauso lasciato in sospeso. Mi girò un braccio intorno al collo.
"Sei un figlio di puttana fortunato. Questa sera, finisci bene l'anno."
Sam scosse la testa ma ormai non ascoltavo più nessuno dei due. Lei si era chinata e stava parlando con uno sfigato che se solo avesse allungato il suo alito di un millimetro in più si sarebbe ritrovato senza la lingua.
Era il mio gioco. Non volevo terzi incomodi.
Quando la vidi scendere dal palco mi venne un tuffo al cuore.
Pensi di cavartela così?
Non ascoltai più una parola. Partii come un carro armato urtando tutte le persone che trovavo sulla strada. La raggiunsi con pochi passi e l'afferrai per il braccio.
Si girò e i suoi occhi si strinsero quando incontrarono i miei.
Ora hai paura? Vuoi tirarti indietro?
Iniziai a trascinarla verso le scale e nonostante lei cercasse di liberarsi, non lasciai mai andare la presa.
"Fermati, testa di cazzo!" Urlò dandomi un pugno in schiena quando eravamo ormai a pochi passi da mio ufficio.
La spinsi contro la parete e mi schiacciai contro di lei.
Le misi una mano sotto al mento e glielo sollevai obbligandola a guardarmi. Aveva gli occhi lucidi ma non sembrava volesse piangere.
Sembrava fosse eccitata.
"Che cazzo credi di fare?"
Le chiesi in un sussurro avvicinando la bocca alla sua. Respiravamo la stessa aria in quel momento.
Il suo corpo si mosse sotto al mio facendomi chiudere gli occhi per il desiderio.
"Lasciami andare."
Mi schiacciai ancora più forte contro di lei socchiudendole le gambe con il mio ginocchio.
La sentii ansimare e mi guardò con sorpresa, probabilmente quando avvertì che il suo giochetto me lo aveva fatto diventare duro.
Sì, non mi sei indifferente nonostante ti butterei in mezzo al mare metà del tempo che passo con te.
Mi guardò con aria di sfida. Non si voleva tirare indietro.
Quel gioco le piaceva. Non lo voleva ammettere a sé stessa ma si sentiva potente, si sentiva libera mentre si comportava così con me.
Mi spinse forte con entrambe le mani e poi mi prese per la cravatta tirandomi verso il mio ufficio.
Non me lo feci ripetere due volte.
La seguii e chiusi la porta a chiave.
In un secondo, mi tolsi la camicia senza nemmeno slacciare i bottoni.
Rimase ferma qualche istante ad osservare il mio corpo.
Mi sentii nudo per la prima volta probabilmente in tutta la mia vita ma dal suo sguardo, le piaceva quello che vedeva.
Mi girò intorno, scrutò i miei tatuaggi che coprivano ormai quasi l'ottanta percento della mia pelle e poi mi sfiorò le due cicatrici che avevo, una sul fianco e l'altra vicino al polmone.
Mi avevano sparato.
La afferrai per la vita e la sollevai di peso portandola verso la poltrona.
Ancora una volta, i suoi occhi si fecero spaventati.
D'altronde, quello era il suo gioco e non il mio e forse, dovevo lasciarla fare per non rischiare di farla fuggire.
La misi a sedere sulla poltrona ma scattò subito in piedi. Era agitata.
Mi girò intorno e poi mi fece sedere sulla poltrona dove avevo cercato di posizionare lei.
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio facendomi venire i brividi.
Cazzo.
"Non si possono toccare le ragazze di questo locale, ricordi?" Mi domandò facendomi trattenere il respiro.
Stavo praticamente morendo.
Mi sarei fatto un miliardo di seghe più tardi.
Appoggiai entrambe le braccia sui braccioli della poltrona e li strinsi forte con le mani.
Le feci un segno di assenso e lei, scavalcò le mie gambe con le sue mettendosi sopra di me.
Non si sedette, rimase in piedi con la gambe aperte che facevano da ponte tra le mie e riprese a ballare.
La vista mi si offuscava mentre si muoveva lentamente e scendeva giù fino quasi a sfiorarmi per poi risalire di nuovo.
I miei occhi la stavano mangiando.
I fianchi voluminosi, le gambe sode, il seno alto..
Che cosa non le avrei fatto in quel momento. Ero così eccitato che avrei potuto farle male.
Il mio cervello andò in tilt per un istante e una mano lasciò andare la poltrona avvicinandosi a lei ma in risposta, si allontanò lasciando un gran freddo dietro di sé.
Mi ricomposi pregandola con gli occhi di continuare. Volevo andasse avanti per tutta la vita e anche per la prossima a venire.
Tornò vicino a me e decise di osare, probabilmente spinta dalla fiducia del fatto che io effettivamente non l'avevo mai toccata.
Si voltò mostrandomi il sedere e riprese a ballare.
Dovetti chiudere gli occhi per qualche secondo, mi sentivo male.
Si sedette sulle mie ginocchia e spinse indietro la schiena, sdraiandosi sul mio petto.
Lo senti il mio cuore che esplode?
Alzò entrambe le mani passandole leggermente sui miei fianchi mentre salivano sù.
Mi stava venendo la nausea dallo sforzo di trattenermi.
Mossi leggermente una gamba per cercare di ricentrare la mia testa al presente, dato che era partita per mondi lontani e facendolo, mi strusciai leggermente sulle sue natiche sentendo le scintille partirmi dal ventre e passarmi in tutto il corpo.
"Mi stai ammazzando." Le sussurrai in un orecchio tentando di morderlo.
Bastò questo per farla spostare e il freddo mi investì di nuovo.
Si alzò in piedi, mi aprì le ginocchia e scese piano fino a terra.
La vidi lì, bella come non mai, in quella posizione e la mia testa iniziò ad immaginare un mare di cose.
Mi irrigidii. Stavamo varcando una porta spalancata che non poteva essere richiusa.
Lei mi voleva dietro le sbarre, io l'avevo rapita. Che cazzo stavamo facendo?
Eppure potevo vedere solo i suoi occhi da cerbiatta e quell' sguardo spaventato che terrorizzava più me che lei.
Questo era il potere che lei aveva su di me.
Non era lei a dovermi temere. Ero io ad essere terrorizzato da lei in quel momento.
Mi guardò incerta. Gli occhi ancora colmi di desiderio e lo stupore disegnato in fronte perché aveva capito che qualcosa si stava spezzando e non sapeva come gestire il momento.
"Vattene." Le dissi con un filo di voce.
Balzò in piedi e si strinse la vita con le braccia, come a volersi proteggere dal gelo che era calato tra di noi. Dal gelo delle mie parole e dal tono di voce con cui le avevo pronunciate.
La mia oscurità mi stava avvolgendo e lei stava vedendo tutto il male attraverso i miei occhi.
Facevo paura, lo sapevo bene.
Provò a parlare ma la bloccai.
"Esci subito di qui! Vattene via!" Urlai a pieni polmoni facendola scappare a gambe levate.
Mi alzai in piedi di scatto, presi la bottiglia di gin che era sistemata sul tavolino accanto a me e gliela lanciai dietro colpendo la parete dell'ufficio, mentre lei fuggiva senza mai voltarsi.
Lanciai un urlo così forte da sovrastare la musica che veniva da fuori.
Avevo un oceano dentro al petto e rischiavo di soffocare.
Dopo alcuni minuti Sam comparve sulla porta.
Rimase in silenzio, mi guardò e basta.
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