Killing Strangers


[Tre parole: TORCHIO, LACERAZIONE, IMPERSCRUTABILE]

«We pack demolition We can't pack emotion
Dynamite, we just might So blow us a kiss, blow us a kiss
Blow us a kiss and we'll blow you to pieces.»


C'è un cielo bianco e freddo, al di fuori di quella finestra. Lo fissa e lo acceca, ma non distoglie lo sguardo. L'anima e la mente sono altrove, da tutt'altra parte. Non è seduto su quello sgabello alto, con i piedi nudi appoggiati all'asta sotto al tavolo della cucina, ma su una sedia scomoda, dura, rovinata dal tempo. Le sue mani non sono strette intorno a quella tazza di té caldo, ma legate dietro la schiena da ruvide corde, con un nodo così stretto che gli blocca la circolazione. I suoi occhi non sono oltre i palazzi, a fissare il cielo, ma guardano la schiena di un uomo crudele che lo ha portato via da una vita di fallimenti, e che lo vuole distruggere.

Gli tremano le dita; le tamburella contro la porcellana che contiene quella bevanda, che non ha più voglia di bere. È altrove e lì rimarrà, finché non vivrà di nuovo, nella maniera più intensa possibile, qualcosa che vorrebbe solo dimenticare.

Ma Walter, la memoria, l'ha sempre avuta dannatamente buona, specie per quegli eventi tragici che non vorrebbe mai più rivivere, e invece quelli tornano, a tormentarlo e l'unica cosa che dovrebbe fare è aggrapparsi a una speranza, se solo questa ci fosse...

La cerca, non la trova mai e scivola via, giù nel baratro, mentre tenta in tutti i modi di trovare un appiglio.

Ed è di nuovo lì, in quella stanza, a fissare dei monitor che preannunciano la fine di tutto, il caos assoluto, il dolore e la disperazione di poveri esseri umani, ignari di tutto. Ignari che, chiuso in quella montagna, c'è un uomo intenzionato a distruggere ogni cosa, mentre un giovane disastro non ha il potere di fermarlo.

E Lance... Lance è lontano; forse è morto. Forse non lo sta nemmeno più cercardo, e Walter muore dentro ogni volta, mentre reprime lacrime di pura umiliazione in fondo all'anima, al cuore e al cervello.

«Nella vita c'è chi schiaccia e chi viene schiacciato, non è vero?» Killian è ancora voltato di spalle; controlla i suoi monitor, si assicura che il suo piano sia perfetto, che non vi siano intoppi e, ora che Lance è fuori dai giochi, probabilmente lo sarà. «Io schiaccio, e tu?», gli domanda, e si volta.

Walter non vuole rispondere, e in ogni caso non ha la forza di farlo. Strattona le mani nel patetico tentativo di liberarsi, ma anche ci riuscisse, che cosa vuole mai fare? È incapace di difendersi, di attaccare. Non è capace e non vuole farlo. Il mondo continua a dimostrargli che la violenza è l'unica difesa di cui si dispone e che, tutte quelle stronzate in cui crede – tutti quegli aggeggi inutili che ha creato, sono solo favole sciocche che si racconta per avere fiducia nel prossimo. Una fiducia che avrebbe dovuto lasciar morire insieme a sua madre, l'unica persona al mondo che lo abbia mai amato davvero. L'unica persona che ha creduto in lui, sempre. E che comunque, alla fine, l'ha lasciato solo.

«Aspetti ancora che Sterling venga a salvarti?», chiede ancora Killian, e lui distoglie lo sguardo, ferito. Vive di speranze, ma Lance non è ancora lì, pronto a salvarlo. Lance non è ancora arrivato a fermare quell'uomo e i suoi intenti. Lance è altrove, a fare la cosa più giusta: lasciare che gli si imponga quella punizione per aver creduto troppo nella bontà delle persone, perché se lo merita. Merita di pagare per la sua fede nell'umanità che non gli è mai servita a nient'altro che sentirsi solo. L'unico al mondo ancora capace di sognare, di sperare in un mondo migliore, che non è possibile.

Si sente stupido. Dannatamente stupido. Un idiota totale. Un fallimento sotto ogni accidenti di punto di vista.

Ed è morto. È già morto. Lo sa un po' di più quando Killian gli punta una pistola alla tempia, la preme, e gli ride in faccia la sua crudeltà, senza saperla trattenere. Senza volerla trattenere. È sotto torchio, e non può liberarsi. Non ne ha né le forze, né la voglia. Non più.

«Non verrà, lo sai. Te lo leggo negli occhi. E poi lo so. Non sprecherebbe mai il suo prezioso tempo per un ragazzino incapace di stare lontano dai guai. Ti è bastato vederlo, quando ho assunto le sue sembianze, per seguirmi immediatamente. Sei un intralcio e basta.»

Lacerazione. Nel cuore, nel cervello, nelle vene, nei muscoli. Sente un dolore che non è fisico, ma interno, nella carne.

Avrebbe dovuto capirlo, che quello non era Lance. Il suo sguardo imperscrutabile ne era la prova, ma ha solo pensato fosse preoccupato, sospeso nel vuoto insieme a lui. Disilluso. E invece non era lui, e si chiede se quel sentimento che prova non sia solo una dannata conseguenza della sua solitudine, che si sia aggrappato semplicemente ad un altro essere umano che gli ha dimostrato un po' di amore, quello che da tempo va ricercando.

Non lo conosce, Lance. È ovvio che non lo conosce nemmeno, se non sa riconoscere quello vero, da una copia spenta.

«Sai perché Sterling agisce con la forza – con la violenza? Perché dentro ogni essere umano, ognuno di loro, alberga un bisogno latente di fare del male. Il controllo è l'unica cosa che ci tiene saldi dove siamo, e ognuno di noi trova nel proprio quotidiano una valvola di sfogo, qualcosa su cui aggrapparsi. Per molti è il lavoro, per altri è un buon libro, per altri ancora è lo studio. Per Sterling è uccidere. Perché... be'», Killian si blocca, gli punta con più forza la pistola alla tempia e, dopo averlo scrutato attentamente, l'ombra di un sorriso ferino gli attraversa il viso. Gli fa paura. Tace ancora e non vuole sapere. Tace e vorrebbe dirgli di smetterla. Tace e non ha il coraggio di isolare la mente per non sapere quello che lo spaventa di più: che Lance è come gli altri, non è mai cambiato e che, quello che l'uomo sta per dirgli, è una verità che Walter, dentro di sé, conosce già. «Perché uccidiamo sconosciuti per non uccidere chi amiamo, no? Tutte quelle persone che, in un momento di follia, accoltellano la propria famiglia... dio, che tragedie!» Finge un tono drammatico, poi schiocca la lingua in un suono che lo terrorizza. «Poi si pentono e la fanno finita. Ho ucciso i miei cari, come farò ad andare avanti? E poi c'è chi uccide per lavoro, e lo fa in modo talmente disinteressato che fa quasi paura, non trovi? Uccidono e riescono persino a prendere sonno, la notte, senza il peso di un solo senso di colpa. È il lavoro, me lo hanno chiesto, mi pagano per farlo. E invece... la coscienza sporca ce l'hai allo stesso modo.»

«Smettila...», riesce a mormorare, mentre una lacrima gli scende dal viso e se ne accorge a malapena. Distoglie lo sguardo, vorrebbe dirgli di premere il grilletto e di finirla lì. Perché c'è troppo dolore, in quel discorso. C'è troppo male, in quell'idea che Killian ha di Lance e la cosa che più lo disorienta è il fatto che, tutto questo, in parte rispecchia la realtà.

«Vedi, là fuori, devo combattere il fuoco con il fuoco. Perché se provo a combattere il fuoco con i glitter, potrei bruciarmi la faccia.» Glielo ha detto Lance, quella volta sullo yacht. Mentre lui tentava inutilmente di lasciargli comprendere il suo punto di vista; che siamo tutti uguali, tutti esseri umani, che nessuno merita di morire per mano di un'altra persona, perché tanto l'epilogo, alla fine, è lo stesso per tutti. Perché sua madre, per averci creduto troppo in quel concetto di fuoco con il fuoco, si è bruciata lo stesso. E non è più con lui.

E nemmeno Lance.

Stringe gli occhi, vorrebbe solo urlare e dimenarsi, ma non ci riesce e non ne ha il diritto. Si è infilato in qualcosa di più grande di lui, sebbene sia così piccolo. Così inerme. Così debole.

«O uccidi o vieni ucciso. E io ti uccido, ragazzino», sentenzia Killian e il frastuono dello sparo lo risveglia.

Walter è di nuovo in quella cucina, a fissare un cielo troppo bianco per poterlo definire incantevole. Lo terrorizza, perché è ciò che pensa sia la morte: bianco, accecante, il nulla.

Quello sparo non è mai avvenuto davvero, perché poi, a salvarlo, è arrivato Lance. Ha stordito Killian, che poi è fuggito, e loro due sono rimasti lì, soli, a raccogliere i cocci. Quelli lasciati a terra dalle consapevolezza di entrambi.

Perché mentre uno iniziava a credere che la violenza non fosse poi l'arma più giusta, l'altro cominciava a capire che invece, senza di essa, il mondo non va da nessuna parte. Si sono guardati per un tempo talmente lungo, senza dire niente, che alla fine c'è stato solo un abbraccio a tentare di risanare le cose, senza riuscirci davvero. Perché Lance i cocci li ha raccolti e ha tentato di rimetterli insieme, implorando un tacito perdono a Walter, che ha solo annuito e ha nascosto la testa nella sua spalla.

Poi è rimasto lì, in quella caverna nella montagna, con le luci rosse che gli hanno infettato gli occhi. Ed è rimasto lì pure quando sono andati via, e hanno risolto le cose a modo suo, senza che nessuno ci rimettesse la vita. Senza che nessuno ne venisse privato da qualcun altro.

Walter, da quella caverna, non è mai tornato.

«Wal?», lo chiama Lance, mentre fa capolino in cucina con solo un paio di boxer addosso e gli occhi assonnati di chi si è appena alzato e non ha ancora lasciato indietro i sogni a cui si era aggrappato per non sprofondare.

Walter si gira, ed è come risvegliarsi da un incubo. Lo fissa e non fa altro che studiare la sua espressione, in questo momento così pura e agibile, che per un attimo lo fanno sembrare solo un uomo innamorato a cui manca l'altra metà accanto; che però l'ha appena ritrovata.

Tenta un sorriso, poi alza la tazza e le mani tremano ancora.

«Sono qui», o fingo di esserci.

«Stai bene?», chiede Lance e si avvicina. Si china su di lui e gli arruffa i capelli.

Walter alza la testa e incrocia i suoi occhi più da vicino e, mordendosi un labbro, cede alla realtà e si aggrappa all'amore.

«No», dice solo e, quando Lance schiocca la lingua preoccupato e poi gli bacia le labbra, gli stringe le braccia intorno al collo e si lascia cullare. Sprofondano in un mare nero, sempre lo stesso che Walter ricorda intorno a sé da quando è rimasto da solo.

Ma ora non è solo e, a volte, vale la pena annegare se vicino si ha qualcuno pronto a tendergli una mano e salvarlo ogni volta.

Forse è tornato da quella grotta, o forse no. Ma sa che, per altre mille volte, qualcuno lo riporterà sempre indietro.


«We're killin' strangers We're killin' strangers
We're killin' strangers so we don't kill the ones that we love.»

 Marylin Manson - Killing Strangers


Fine

Note autore:

Ho immaginato che Killian abbia rapito Walter invece che Lance e che dunque lui, poi, lo abbia salvato (omettendo la parte del Drama Coreano, non mi pareva il caso di inserirlo in una shot così introspettiva XD).

Spero vi sia piaciuta e... niente, questo fandom mi uccide e questi due sono bellissimi ç_ç

Grazie a Lightning070 per le tre parole che mi hanno aiutato a iniziare e concludere questa shot in pochissimo tempo ** Grazie mille mia bellissima Guascosazza del mio cuore ç_ç ♥ Ti voglio bene ç.ç

La vostra amichevole Miryel di quartiere.


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