Prologo

Una voce proruppe nell'oscurità: «Perché fai questo?» Isuoi occhi cercavano una luce. Erano giorni che non vedeva più sorgere il sole e non sentiva più l'aria sferzargli il viso; ormai la sua casa era quel rifugio dal quale, molto probabilmente, non sarebbe più uscito.
«Perché loro sono qui, perché io sono qui, e lui non ha la forza di respingermi.» Sul suo volto apparve una smorfia soddisfatta, quella di chi aveva il controllo. Era una sensazione, per lui, inebriante. Sentir morire qualcosa dentro di sé lo faceva godere di una supremazia potente ─ contro se stesso, il vero se stesso.
«Qual è lo scopo di tutto questo? Qual è lo scopo di ammazzare persone innocenti?» La vittima in questione, decisamente particolare, stava cercando di riacquistare il controllo, anche se, dopo tutti quei giorni di isolamento, le risultava difficile rimanere lucida. Doveva comunque farlo, doveva raccogliere le sue ultime forze e cercare quantomeno di opporsi a quella che sembrava morte certa. L' ansia dei giorni passati lo aveva spossato, annebbiato, e vedere certi efferati delitti lo aveva portato alla condizione di fare domande apparentemente banali per le orecchie dell'uomo che avev di fronte.
«Non sono innocenti. Neanche i neonati nascono innocenti come vogliono farci credere. E non mi riferisco a quella stronzata di Adamo ed Eva; tutti, ognuno di loro, ha fatto qualcosa. Io non ho voglia di vivere nel lerciume, perciò li libero attraverso il sangue che è l'ultima cosa che effettivamente li sporcherà.»
Quelle furono le parole che ricevette in cambio dall'uomo avvolto nell'ombra. Nient'altro. Parole fredde e distaccate, così cariche d'odio e rancore da farlo rabbrividire. Erano davvero degne di un sociopatico. «Tutto questo non ha senso» sbottò improvvisamente, lo contradisse; non che a quell'uomo importasse davvero.
«Oh, sì che ce l'ha. Tu non hai idea di cosa significhi vivere in questo modo. Sono ancora qui, come un pensiero, e non per mia scelta. Io non sono quello originale, ma, come loro. ho comunque il diritto di esistere.»
La vittima, sentendo quei discorsi deliranti si accigliò nell'oscurità. «Dovresti lasciarlo andare» fece in un moto di ribellione.
«Perché dovrei farlo? Per quale motivo? Lui non è così forte da scacciarmi. Lui è debole, lui ha paura e se ne sta lì, rintanato in chissà quale stanzetta. Perché dovrei lasciare un il posto a una nullità? È mio, e come tale lo soffocherò anche a costo di non farlo più uscire.» Le parole della vittima lo avevano indispettito al punto di fargli quasi alzare la voce, modificando così il tono cantilenante che lo aveva accompagnato per giorni. «È così spaventato dal mondo che, spesso, mi lascia uscire più che volentieri. È così debole da non riuscirmi a combattere» Spiegò, cercando di riacquistare una facciata per giustificare il proprio inconscio.
Continuando sulla scia della disapprovazione, la vittima socchiuse gli occhi e disse: «Tutto questo mi sembra mostruoso anche nei confronti di te stesso.»
«Analizziamo il significato della parola "me stesso". Che cosa significa essere sé stessi? Assecondare la propria natura. Pertanto io sono me stesso perché non faccio altro che assecondare la mia natura. Quindi, se per me soffocare una parte del mio essere che ritengo inutile è necessario, non è affatto mostruoso ma costruttivo per il mio scopo.» Incrociò le braccia al petto in un chiaro segno di chiusura e gli venne istintivo muovere qualche passo indietro per allontanarsi, opporsi, a lui.
Dal canto suo, la vittima, non si accorse di nulla, ma riuscì a percepire appena uno spostamento d'aria. «E se, prima o poi, ti servisse anche lui?» Era conscio del fatto che stesse rischiando grosso, che stesse rincarando la dose, ma provò comunque a smontare il muro gelido che percepiva d'innanzi a sé.
«Lui non mi serve a niente, è proprio questo il punto.É un cumulo di sentimenti, di sensi di colpa, e non permetterebbe mai al mio scopo di compiersi. Come ti ho già detto, va sopresso.» Si mosse ancora, nervosamente, agitandosi nell'oscurità senza una vera e propria meta. Aveva permesso alla sua vittima di ribattere, cosa che non concedeva mai a nessuno, ed era diventato la sua preda.
«Quindi lui non serve al tuo scopo e per tanto vuoi eliminarlo? Hai mai pensato al suicidio?» Si fece più impavido, iniziando a capire dove si trovava l'altro a causa dei suoi repentini spostamenti. Voleva farlo crollare ed era certo di poterci riuscire.
«Così ucciderei anche me, inoltre non sono un vigliacco. Lui stesso ci ha provato più volte ─ a suicidarsi, dico ─ ma i suoi parenti lo hanno salvato nonostante sia un mostro.»
Due lacrime solitarie gli solcarono le guence. L' Io che voleva reprimere, il suo vero Io stava piangendo dall'interno di quella stanzetta che tanto decantava e gridava disperatamente aiuto senza avere però forza per tornare a prendere il controllo di sé.
L'interlocutore tacque, conscio del fatto che quel discorso non sarebbe servito a niente. Udì i passi dell'assassino allonanarsi, mentre lui sprofondava di nuovo nell'angoscia della solitudine.

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