Capitolo 3
«Credo che tu sia un individuo troppo fragile, troppo buono. Credo che tu ti sia fatto risucchiare dalla tua parte più crudele e ti sia nascosto per non soffrire.»
Le parole dell'ostaggio arrivarono dritte alle orecchie di Saul, irritandolo. Tuttavia, vacillò. Lo sapeva: c'era qualcosa, in quelle parole, che lo avevano commosso profondamente. Si alzò, lasciando dietro di sé quel muro fatto di mattoncini logori, e poi avanzò nel buio, ponendosi davanti all'uomo che era legato da giorni. «Tu pensi che io sia buono?» domandò.
«Sì, lo penso.» Il ragazzo alzò la testa nella sua direzione per cercarne lo sguardo, ma invano, poiché la luce era troppo fioca.
«Allora, dimmi... Sapresti spiegare tutto questo?» continuò, aprendo le braccia come se volesse mostrargli tutti i delitti da lui commessi.
«Saul è buono. Non è una persona semplice, affatto, potrei elencare centinaia di suoi difetti, ma tu... Tu sei il mostro che lo sta rovinando. Lui non ha colpe di ciò che tu compi» gli rispose. Lui lo conosceva bene, Saul, e vederlo in quel modo lo feriva più delle catene stesse che gli tenevano legati i polsi.
«Saul mi ha permesso di stare qui, Saul è colpevole quanto me, Saul non è innocente. Siamo entrambi colpevoli di questo. L'unica differenza tra me e lui è che io sono convinto che sia giusto liberare il mondo da certa merda, mentre lui, invece, si strugge e diventa ancora più debole a causa dei sensi di colpa.» Detto ciò, si allontanò ancora una volta, lasciandolo marcire da solo e al buio.
Sei mesi prima.
Saul si era consumato il cervello a furia di pensare. Aveva cercato un modo per scacciare quell'impostore, ma, ogni volta che trovava la probabile soluzione, ripiombava nel caos. L'altro sé, quello più prepotente, gli parlava continuamente, affinché si dimenticasse la svolta appena trovata.
«Dannazione!» urlò, battendo i pugni accanto allo specchio. «Dannazione» ripeté. Si specchiò per pochi secondi, cercando di ritrovarsi, di riconoscersi almeno per un istante. Era solito farlo, cercarsi all'interno della propria immagine, e anche quella volta si sarebbe riconosciuto se solo quella voce non avessi continuato a martellargli nella testa: Non sei tu, sono io. Non sei tu, sono io.
Con un pugno, infranse lo specchio. Poi, si rintanò in un angolo, a terra, tenendosi la mano sanguinante, con un vetro ancora intrappolato nella carne. Ma quel dolore non fu del tutto vano, poiché la voce sembrava essersi affievolita.
«Papà...» A chiamarlo fu suo figlio, quello più grande, il quale lo riscosse dal suo dolore con uno sguardo smarrito.
«Lucifero che ci fai qui?»
«Ho sentito un rumore e sono venuto a vedere cosa fosse successo. Pensavo che qualcuno si fosse sentito male...» disse.
La prossima volta, Saul, ti consiglio di chiudere la porta se vuoi cercare di allontanarmi.
Saul scosse la testa in preda all'ira. «Sparisci!» esclamò.
«Scusa, papà, non volevo darti fastidio» Gli occhi di Lucifero erano lucidi. P pensava che, come al solito, suo padre non volesse vederlo.
Lui lo guardò affranto. «No, perdonami, non ce l'avevo con te.»
«Posso aiutarti? Ti aiuto a fasciarti la mano...» si propose con tutto il suo affetto.
«No, stai tranquillo, non è niente» disse, abbozzando un sorriso, che si spezzò nell'istante in cui vide arrivare Ludmilla.
«Allora? La smetti di startene lì seduto, in terra?» iniziò a dire lei, stuzzicandolo. «Che cosa sei?» Amava la parte crudele di Saul, e lui lo sapeva, per questo cercò d'ignorarla con un secco:
«Lasciami stare...»
Il telefono di casa prese a squillare fastidiosamente, rimbombando nelle orecchie e nella testa di Saul - se non fosse stato un oggetto effettivamente utile, lo avrebbe scaraventato fuori dalla finestra.
«Che fastidio! Chi diavolo è?» borbottò tra sé e sé, come se qualcuno potesse rispondergli. Si alzò e sorpassò sia suo figlio che sua moglie, la quale si spostò stizzita.
Poco dopo, riagganciando il telefono in preda ai nervi, si mostrò davvero fuori di sé. E Ludmilla sbuffò, guardandolo uscire di casa, perché, ancora una volta, non aveva ottenuto ciò che voleva.
«Dov'è quell'idiota?» Saul aveva posto quella domanda al coinquilino di suo fratello, lo stesso che aveva chiamato di primo mattino facendogli saltare i nervi.
«È svenuto, credo» rispose questi, titubante. Lo guardò per un attimo, dicendosi che riusciva sempre a metterlo in soggezione.
«Che significa "credo"?» Sollevò le sopracciglia perplesso e, non degnandolo più di alcuna attenzione, si addentrò nella casa, iniziando a cercare suo fratello.
«Non lo so... Stava per chiamarti lui stesso, si stava alzando per raggiungere il telefono, quando poi è collassato...» Deglutì. Non sapeva se quell'affermazione lo avrebbe aiutato o gli avrebbe scavato direttamente la fossa.
«Quanta roba si è calato quel cretino?» domandò, volendo indagare.
«Credo che abbia mischiato un po' tutto quello che aveva in casa.»
«Quel bastardo... Come se avesse la salute per farlo» borbottò. Era chiaro che avesse ripreso a ragionare, parlottando tra sé e sé, non più vittima delle voci. Poi, d'un tratto, notò il corpo di suo fratello steso in terra, con la testa poggiata su un cuscino - probabilmente per gentil concessione del coinquilino. Si chinò sulle ginocchia, gli diede una rapida occhiata, infine gli prese il polso tra le mani per sentirne le pulsazioni. «Hai notato se ha avuto delle convulsioni?»
«Non mi sembra... Non credo. Come ho detto prima, l'ho visto andare giù, dritto, all'improvviso.» Non sembrava molto sicuro delle informazioni che stava dando - almeno non su tutte le informazioni - e questo stava innervosendo particolarmente Saul, poiché non sopportava le imprecisioni, specie se queste sfuggivano al suo controllo.
Le pulsazioni sembravano quasi del tutto regolari. Tuttavia, desideroso di accertarsi del suo stato di salute, gli sbottonò il polsino e tirò su la manica per accertarsi che non si fosse iniettato nulla in vena. «Almeno questo...» disse tra sé e sé, sospirando con preoccupazione.
«Cosa pensi gli sia successo?» domandò l'altro, innocentemente.
«Tu davvero abiti con lui? Non sai che è epilettico e che non dovrebbe assumere certe sostanze?» Il tono pacato e allo stesso tempo indignato con il quale si rivolse a lui, lo fece allarmare ancora di più. «Avrà avuto una crisi epilettica, ma questa volta senza le convulsioni...» concluse. «Puoi spiegarmi, nel dettaglio, come è andata?»
«Sven era rientrato a casa piuttosto presto, aveva lasciato perdere le clienti notturne e si era dedicato solo a quelle pomeridiane - almeno così mi ha detto lui. È tornato a casa più allegro del solito, forse perché sapeva che avrei dato una festa. Così ci siamo divertiti insomma.»
«Quindi mi stai dicendo che vi siete lasciati andare al sesso e alla droga con gl'invitati?» Saul era disgustato al sol pensiero, non tanto per il sesso in sé, quanto per le donne che avevano popolato quella stanza.
«In pratica...» fece, grattandosi nervosamente la testa.
«Sven ha scopato anche te?» gli domandò a bruciapelo.
«Oddio, no!» A quella domanda, rispose celere e sicuro - sicuro della sua eterosessualità.
Saul storse il naso. «Non mi stupirei, e non sarei così certo fossi in te... Sven sarebbe in grado di riuscire a scoparsi chiunque...»
«Comincio a sentire freddo con un braccia scoperto...» Disse Sven lentamente. Piano piano cominciava a riprendersi da tutto quello che aveva occupato la sua testa in quelle ore.
«Finalmente ti sei ripreso, razza di idiota... Cos'è, volevi rimanerci secco?» lo rimproverò.
Sven si mise a sedere e si stiracchiò per riprendere la facoltà dei suoi movimenti. «Perché? Ti dispiacerebbe?» rispose sarcastico, per nulla intenzionato ad ascoltare la sua ramanzina in quel momento, con il mal di testa terribile che si ritrovava.
«No, affatto, ma almeno finiresti di far preoccupare gli altri, quelli che ti vogliono bene, come il tuo amico qui presente...» Saul indicò il ragazzo che lo aveva chiamato.
«Appunto, giusto lui... Sono certo che, prima o poi, se ne farebbe una ragione...» Sven fece spallucce, facendo credere ai due che stesse pronunciando quelle parole con leggerezza.
«Per colpa tua, io non ho potuto incontrare una persona» ammise Saul, arrabbiato.
«Oh, oh... Il mio fratellino Saul aveva un appuntamento e io l'ho rovinato! Quanto mi dispiace...» ridacchiò, facendosi beffe di lui.
E Saul, risentitosi, gli poggiò una mano sul volto. Lo strinse appena per fargli mancare l'aria, come se volesse sfogare su di lui ogni sua frustrazione. Poi, quando sentì Sven con il respiro corto, lo lasciò andare di scatto e si alzò in piedi, non credendolo più meritevole delle sue attenzioni.
«Peccato che hai smesso, avrebbe potuto iniziare a piacermi...» Sorrise sornione e rise ancora una volta, alzando il dito medio in direzione di Saul.
«La prossima volta crepa del tutto, cosicché nessuno debba scomodarsi!» tuonò Saul, sbattendo la porta di casa e andandosene.
Il coinquilino di Sven alzò le sopracciglia con fare perplesso. Non era abituato a vedere rapporti così poco fraterni tra consanguinei, perciò si lasciò sfuggire un: «Ma che problemi ha?»
«È afflitto dai geni di Regan» rispose l'interpellato con nonchalance.
«E chi sarebbe?»
«La mia povera, defunta, nonna, morta suicida in un ospedale psichiatrico nel 1940.» E lo disse con una calma decisamente fuori dal comune.
«Rassicurante...» fu il commento finale del ragazzo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top