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-Sì, salve. Sì, sono io-.
Tim camminava avanti e indietro, reggendo il cellulare con la mano destra, aderente all'orecchio.
Nella tasca dei suoi jeans, il contenitore pieno di pasticche generava un suono troppo familiare.
-Sì, beh... Come ho già detto ieri, sto davvero molto meglio...-.
Si fermò davanti alla sua auto e si mise a sedere a terra, poggiando la schiena sul parabrezza. Davanti a lui, una strada sterrata conduceva all'interno di una foresta; le luci del crepuscolo ne coloravano le fronde.
-No, no. Gliel'ho detto, non ho più allucinazioni da settimane ormai- insistette, allargando un piccolo sorriso sulle sue labbra.
Lasciò spaziare il suo sguardo tra le cime degli abeti, per poi scendere verso il basso e perdersi tra i mille colori spenti della vegetazione a quella tarda ora.
-Sinceramente vorrei... Provare ad interrompere la terapia, vedere se posso...- fu interrotto dal medico, dall'altra parte della linea.
Ne ascoltò in silenzio le parole, sollevando la testa ed appoggiando la nuca contro al parabrezza dell'auto.
-Va bene. Aspetterò ancora- disse poi, emettendo un flebile sospiro. -Però...Credo che possiamo saltare l'appuntamento questa settimana. Insomma, come ho detto... Sto bene-.
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Bianca si precipitò fuori dal portone, e subito la fredda aria della notte aggredì la sua pelle. Munita solo di un paio di pantaloni ed una canotta, fu subito scossa da una serie di tremori.
Mormorò qualcosa di incomprensibile, con il petto che si espendeva e ritraeva velocemente ed il battito accellerato del suo cuore che pareva le generasse un dolore alla cassa toracica.
Puntò i palmi sulle ginocchia per riprendere fiato e si voltò indietro, per essere sicura che quei tre individui non l'avessero già seguita.
Il parcheggio antistante il palazzo era semiavvolto dell'oscurità, spezzata in alcuni angoli dalla presenza dei lampiono accesi. Una decina di macchine vi erano parcheggiate.
Con il fiato corto ed in procinto di urlare, Bianca sollevò lo sguardo; nessuna delle finestre era illuminata, a quella tarda ora tutti i condomini stavano già dormendo.
Spostò nervosamente una mano sui pantaloni, facendo scorrere le dita sul tessuto alla disperata ricerca del cellulare con il quale avrebbe potuto chiamare o soccorsi. Con sgomento notificò, tuttavia, che l'apparecchio elettronico non era con lei.
Doveva averlo lasciato in camera, forse sul letto, oppure era caduto sul pavimento.
Il rumore di frettolosi e pesanti passi che proveniva dalle scale del palazzo tornò immediatamente a catturare l'attenzione della ragazza; stavano scendendo in strada, sicuramente per darle la caccia.
Bianca corse via senza fermarsi a pensare; istintivamente si diresse verso il bosco ove sapeva che le sarebbe stato più facile trovare un nascondiglio.
Correva a grandi falcate, con il cuore in gola, voltandosi continuamente indietro; vide due sagome uscire dal portone principale, ma a quella distanza non le fu possibile distinguerne i dettagli così da poterle identificare.
La sua corsa proseguì tra i cespugli; avanzava affannando e cercando di farsi strada in quell'oscurità opprimente, del tutto incurante dei rovi che le strappavano i pantaloni e pungevano la pelle.
I suoi passi rapidi e scoordinati generavano un rumore che andava a mischiarsi ai suoni notturni della foresta, ed una piccola nube di condensa si espandeva davanti alla sua bocca ogni qual volta, pesantemente, espirava.
Si addentrò nella foresta per decine e decine di metri, fino a che non inciampò in una radice sovraesposta rispetto al terreno; istintivamente allungò le braccia per ripararsi dall'imminente caduta ma si ritrovò ugualmente con la faccia a terra.
Emise un lamento soffocato e poggiò le spalle sulla terra fredda, rivolgendo lo sguardo al cielo. Una fitta coltre di nubi avvolte nel buio lo ricopriva, ma era ugualmente visibile la luce ovattata della luna.
Bianca rizzò la schiena emettendo un flebile lamento, ma non trovò il coraggio di tornare ad alzarsi in piedi.
L'oscurità di quella notte rendeva l'ambiente terribilmente spaventoso, e non aveva più il coraggio di vagare tra gli alberi rischiando di farsi ancora del male.
Strisciando a terra si rannicchiò sotto ad un cespuglio, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia e posandovi sopra il mento.
A causa del freddo e della paura il suo corpo era scosso da continui tremiti; non riusciva a calmarsi, nonostante ormai fosse probabilmente al sicuro.
Mentre riprendeva fiato, la sua mente ripercorse rapidamente le immagini di ciò che era accaduto.
Il ragazzo mascherato che era entrato nella sua stanza e l'aveva bloccata contro al muro.
E gli altri due individui mascherati, che avevano tentato di seguirla.
Passò una mano sulla fronte sudata ed emise un lungo sospiro; sperava solo che i suoi genitori stessero bene, ma non aveva modo di verificarlo in quel momento.
Si disse che la cosa più saggia sarebbe stato attendere con pazienza il mattino, per poi rientrare e chiedere aiuto.
Iniziò a sfregare le mani sulle spalle, scarsamente coperte dalla canotta bianca che indossava, nel disperato tentativo di trovare un pò di calore.
Nel silenzio più totale, rotto solo dal lento frusciare delle foglie, la ragazza lasciò che un paio di lacrime calde le solcassero il viso.
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