[06] Un'Umana Senza Velo

𝐒𝐈𝐍, 𝟓𝟎.𝟎𝟎𝟎 𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀

"Ho fame," aveva brontolato il dio, tenendosi la pancia, "datemi qualcosa da mangiare!"

Sua sorella aveva scosso la testa, rivolgendo un secco gesto della mano ai servi per congedarli.

Il giardino su cui si trovavano era frutto della magia di loro padre, una sorta di dono ai figli prediletti.

Un regalo che, però, Sin detestava.

Non era un luogo accessibile agli umani ma lo era per loro e per ogni creatura in possesso di magia. Quell'oasi di potere e bellezza era uno spettacolo tremendo e nauseabondo per il minore dei fratelli.

Sembrava che suo padre l'avesse creato su misura per Kastà e Redd, escludendo lui. Non vi era un singolo spazio all'ombra e le nuvole, in quel giardino, non giungevano mai.

Tutto era sempre e costantemente baciato dal Sole, non accadeva mai nulla di sconveniente o cupo: lì regnava la luce e Sin non lo accettava.

Il mondo non era sempre buono o ricco di calore e bellezza, quindi perché creare un giardino tanto fittizio?

"Gli dei non hanno bisogno di mangiare."

Kastà gli aveva lanciato un'occhiata veloce per poi tornare a concentrarsi sullo spettacolo davanti ai suoi occhi.

I raggi solari le avevano bruciato la pelle diafana, priva di nei o voglie, riscaldandola. Aveva istintivamente chiuso gli occhi, appagata dalla morbida sensazione di calore che, piano piano, le aveva avvolto il corpo.

Non capiva il perché Sin brontolasse tanto: non era felice di poter trascorrere le sue giornate in un posto tanto bello?

No, il piccolo dio aveva interessi diversi.

Sempre più spesso trascorreva il suo tempo con la madre, Varlett, e assieme osservavano il continuo mutare della Terra.

Né lei né Redd erano mai stati invitati nel regno di Varlett, nemmeno una volta, mentre Sin poteva entrare e uscire da esso come più gli faceva comodo.

Un fastidioso sentimento di invidia e astio le aveva schiacciato il petto, sorprendendola. Non era da lei provare invidia, eppure un po' si rammaricava di quanto il suo rapporto con la madre si fosse deteriorato.

Ormai erano passati migliaia d'anni dalla sua nascita e Kastà era certa di non avere più nessuna chance per avvicinarsi alla dea del buio.

Persino suo padre le aveva rivelato quanto stramba e cupa fosse la donna, completamente diversa da lui ma degna, a quanto pare, del suo amore.

C'era qualcosa in Varlett che l'aveva sempre affascinato, ma Kastà non capiva cosa.

Se davvero Sin era il riflesso di loro madre, un'essere a lei somigliante, allora perché verso di lui non provava la minima forma di curiosità?

Era sicura che non vi fosse nulla di attraente nel buio e nell'oscurità e, di conseguenza, in sua madre e in suo fratello.

Lei era luce, bontà e vita mentre loro-loro non erano altro che morte.

Nonostante questo, però, suo padre amava Varlett.

"Cosa fai quando vai da nostra madre?"

Kastà aveva affondato gli occhi in quelli di lui, pregandolo di essere sincero. Sin non era più un bambino e, proprio come aveva sospettato anni e anni prima, non le dava più ascolto.

La rispettava in quanto più grande di lui ma nulla di più.

Gli occhi del minore si erano assottigliati mentre la osservava di rimando, sospettoso. Era raro che qualcuno gli domandasse delle sue giornate o che si interessasse a lui.

Quindi si era sdraiato con la schiena contro l'erba, posizionando il braccio destro sugli occhi per coprirsi dal Sole.

Odiava la falsa curiosità di sua sorella e odiava suo fratello allo stesso modo, ma per ragioni diverse.

Redd sedeva a qualche passo più avanti, lo sguardo rivolto alle proprie mani mentre giocava con l'aria. Il fratello aveva il dominio sugli elementi e Sin l'aveva sempre invidiato.

Lui poteva esser considerato potente mentre il minore-oh, lui non aveva altro che dei sudici umani il quale unico scopo era uccidere e mangiare.

Un ciclo continuo che Sin, purtroppo, aveva iniziato a sentir suo.

Più tempo passava in loro compagnia, infatti, e più ne sentiva l'effetto.

"Osserviamo."

Kastà aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi di scatto verso di lui per fulminarlo con lo
sguardo.

"Osservate cosa?" La risposta del fratello non le era piaciuta, ma sapeva di non poterlo forzare troppo.

Un tempo, magari, sarebbe riuscita a ottenere qualche risposta in più. Ma con gli anni era divenuta una sciocca invidiosa, distanziandosi sia da lui che dalla madre con il solo risultato di perdere la loro fiducia.

Adesso loro madre non le rivolgeva più la parola, se non in casi speciali, e suo fratello la guardava con un luccichio pericoloso negli occhi.

"Il buio, ovviamente."

Sin non credeva che la sua risposta fosse stata troppa vaga, né pensava di doverle ulteriori spiegazioni.

Kastà, così come Redd e loro padre, non avrebbe capito.

Solo sua madre poteva comprendere e a lui andava bene così; finché avesse avuto Varlett vicino, sarebbe andato tutto per il verso giusto.

"Se non vuoi dirmelo, non fa nulla."

Aveva borbottato lei, offesa.

Sin aveva sorriso senza guardarla perché troppo impegnato a osservare altro. Con le palpebre chiuse e il braccio contro gli occhi, il dio si era divertito a scrutare l'oscurità.

Kastà era così stupida e arrogante da non suscitare in lui nessuna rabbia ma bensì fastidio e ilarità.

Lui aveva fornito la risposta giusta alla domanda della sorella, era lei a non averla compresa.

E che colpa ne aveva, quindi, lui?

Ah, il velo nero l'aveva accolto tra le sue braccia, donandogli nuovi occhi e rinforzando i suoi sensi.

Poteva vedere, finalmente, chi davvero aveva davanti.

Si era messo seduto, ancora con gli occhi chiusi, per scrutare ciò che l'oscurità aveva da mostrargli. Vedeva l'ombra di sua sorella allungarsi verso la sua e schiacciarla mentre quella di Redd, suo fratello, gli girava attorno.

Lo stavano sommergendo, circondando, per bloccarlo lontano da tutto e tutti.

Vedeva l'odio, la diversità e il rancore far capolino nelle ombre dei due gemelli.

Sua madre lo aveva già avvertito ma lui, povero sciocco, aveva dubitato.

Il buio non mentiva mai, se ne sarebbe dovuto ricordare quando, anni dopo, si sarebbe ritrovato con tre cicatrici in volto e una voce in meno.

𝐏𝐑𝐄𝐒𝐄𝐍𝐓𝐄

Sin non l'avrebbe mai ammesso, ma era curioso.

In particolare, però, desiderava sapere come e perché la ragazza fosse riuscita a vederlo; per non parlare dell'influenza che le Oscure avevano su di lei.

Icarus stesso si era seduto vicino a lei, sul comodo materasso foderato di rosso, per studiare il lavoro del grim.

Il dio aveva storto il naso, disgustato dall'odore di umano. La femmina possedeva un profumo che variava dal tremendo fetore di pelle a quello piacevole di frutta.

Tutti gli umani possedevano fragranze simili e lui le odiava tutte in egual maniera, ma quella di Raven era leggermente più sopportabile.

"Quindi? Scoperto qualcosa?" Icarus aveva toccato la spalla del grim, senza ricevere risposta.

Gli occhi dorati dell'essere erano rimasti neutri, piantati nel nulla, senza tradire nessuna emozione.
Non lo sentiva, tutto ciò che avvertiva era il calore delle cellule della ragazza.

Viaggiavano veloci nel sangue, trasportando nutrienti e gas agli organi. Si sarebbe dovuto immergere più in profondità per trovare ciò che stava cercando.

Sin aveva grugnito, attirando l'attenzione dell'amico.

"Si?" Aveva domandato quest'ultimo, inclinando la testa di lato e abbandonando la presa che esercitava sul grim.

Il dio aveva inarcato le sopracciglia, grugnendo per la seconda volta per poi portare il dito indice alle labbra.

Quindi le aveva schiuse, facendo affacciare la lingua per toccarsela lievemente.

Ti taglio la lingua se non stai zitto, era questo che stava cercando di comunicargli.

Icarus aveva sghignazzato mentre alzava le mani in aria, arrendendosi ed esalando un "come se fosse la prima volta!"

Entrambi avevano notato il formarsi di un grugno sul viso del grim che, piano piano, aveva iniziato a riprendere coscienza.

Con gli occhi ancora leggermente velati, gli aveva rivolto uno sguardo severo.

"Fuori di qua, non riesco a concentrarmi."

Con tutto quel vociare di sottofondo, la creatura non riusciva a concentrarsi.

Aveva sempre amato i rumori, dopotutto li usava per produrre la sua amatissima musica, ma non quel tipo di rumori.

Aveva bisogno di un ambiente calmo e silenzioso per ascoltare il corpo di Raven, e Icarus non era esattamente una persona tranquilla.

Sin, invece, nonostante fosse muto, produceva dei suoni involontari.

Erano vibrazioni che poche creature magiche riuscivano a captare, perché deboli e quasi inesistenti, ma per il grim era facile individuarle.

Il corpo del dio rilasciava vibrazioni e piccole scariche elettriche ogni qual volta la sua mente elaborava un pensiero.

In base all'intensità delle vibrazioni, quindi, il grim riusciva a capire se Sin fosse inquieto o meno.

Forse era per questo che veniva convocato una sola volta l'anno.

Il dio si era alzato con estrema lentezza, puntando gli occhi chiari in quelli dorati del grim.

Non si fidava di lui, certo che no, ma era quasi sicuro che non avrebbe avuto il fegato di far qualcosa in grado di irritarlo.

Quindi gli era passato vicino, sfiorandogli la spalla con la propria, per poi dirigersi verso la porta d'uscita.

Icarus aveva impiegato un minuto in più per alzarsi dal letto, esibendo un'espressione delusa: ci teneva a vedere il grim all'opera.

Ah, che delusione! Veniva cacciato proprio quando la faccenda iniziava a farsi interessante.

Dalla gola di Sin era uscito un verso rauco, simile a un rantolo, mentre invita l'amico a sbrigarsi.

Prima se ne andavano e prima il grim avrebbe studiato quella stramba femmina.

Non aveva tempo da perdere lui, né tanto meno la voglia di ospitare un'estranea.

Sperava solo di ricevere una risposta e di rimandarla a casa.

Aveva iniziato a chiedersi come avrebbe reagito Raven al momento del risveglio.

Si sarebbe spaventata? Magari l'avrebbe nuovamente accusato di essere un imbroglione.

In qualsiasi caso, l'umana se ne sarebbe andata, prima o poi, e lui sarebbe tornato al suo sonno lungo quasi un anno.

Il grim aveva sentito un paio di occhi perforargli il cranio mentre una strana energia gli attraversava la scatola cranica, insinuandosi nelle crepe del suo cervello.

Per qualche secondo aveva avvertito un forte fastidio, accompagnato a una strana sensazione di pizzicore, e poi più nulla.

Era certo che Sin gli fosse appena entrato nella testa, letteralmente.

Gli dei, da quanto ne sapeva lui, avevano la straordinaria abilità di entrare nella mente di qualcuno per studiarne le idee e i pensieri.

Questo non voleva però dire che potessero leggere i pensieri altrui; si limitavano a passare a rassegna una miriade di immagini diverse, riuscendo a ricavarne le intenzioni.

Possibile che Sin si fosse appena accertato della sua buona volontà? Pensava forse che volesse uccidere la femmina, senza dirgli nulla?

Il grim non l'avrebbe mai fatto! Mai senza prima avvisare, almeno.

Aveva pazientemente aspettato di vederli uscire, sospirando quando la porta s'era chiusa.

Sperava di poter lavorare bene, ora.

Aveva lanciato uno sguardo al corpo inerme della femmina, chiedendosi come avesse fatto a perdere i sensi e perché sia Icarus che Sin volessero sottoporla a un controllo.

Raven aveva tutta l'aria di essere un'umana, o almeno quella era la fisicità, quindi perché disturbarsi tanto per un essere tanto semplice?

Non capiva ma non era stato chiamato per farlo, quindi avrebbe lasciato stare le sue domande per concentrarsi sul suo lavoro.

Aveva cambiato posizione per sedersi vicino a lei, attento a non tirarle i capelli, per poi posizionare le dita verdi sul suo collo.

La pelle era fredda e morbida e il suo sangue, che ora riusciva a sentire sotto i polpastrelli, pompava sempre più lentamente.

Il grim aveva corrucciato le sopracciglia mentre posizionava l'altra mano sul petto di lei.

Il cuore di Raven aveva il medesimo ritmo pacato e questo lo disturbava; certo, non era strano che un umano avesse un battito cardiaco lento, ma quello era troppo lento.

Di tanto in tanto si interrompeva, lasciando al grim tre secondi di completo silenzio, per poi riprendere con una contrazione del muscolo più forte delle altre.

Aveva chiuso nuovamente gli occhi, sentendo i fluidi del corpo di Raven diventare un tutt'uno con lui.

Nel suo sangue trasportava nutrienti, ossigeno, anidride e qualcos'altro, ma cosa?

Aveva grugnito, scendendo ancora più in profondità. Si era insinuato in una cellula, sentendo il proprio corpo diventare mere molecole di liquido verdastro.

Le avrebbe ripulito il sangue da eventuali sostanze tossiche, giusto per farle un favore.

Il grim si era concentrato, sentendo il proprio corpo dissolversi. In solo dieci secondi, quindi, era entrato completamente nel corpo di Raven.

Le vene della ragazze erano elastiche, gli organi intatti e il sangue piuttosto pulito e scorrevole.

Si era arrampicato sulle ossa della ragazza, scalandole per arrivarle fino alla gola. Le sue corde vocali, aveva notato lui, erano danneggiate.

Sembrava che qualcuno gliele avesse tirate, strattonate e fatte collidere tra di loro.

Una situazione strana considerato che Raven non aveva più di venticinque anni e che, per quanto aveva potuto constatare, non presentava tracce di noduli.

L'altra opzione era quindi che fosse stata lei stessa a danneggiarsele, probabilmente urlando. Ma una ferita del genere era difficile da formare e un solo grido non sarebbe quindi bastato.

Aveva lasciato perdere i filamenti, dirigendosi più in alto.

Gli occhi, il naso e le labbra di Raven erano intatti, senza alcun tipo di danno. Aveva una buona vista e il suo olfatto sembrava normale.

Non capiva cosa l'avessero chiamato a fare: la ragazza sembrava completamente in salute!

Quindi si era concentrato un pochino di più, cercando di captare qualcosa di nuovo.

Era sgusciato nella retina del suo occhio destro, studiandone la forma e la consistenza per assicurarsi che non vi fossero ferite aperte.

Nulla, i suoi occhi sembravano star benissimo.

Si era avvicinato alla sfera scura, tastandone la superficie. Liscia e compatta, anche quella sembrava star bene.

Forse troppo bene.

Il grim si era appigliato alla pupilla di Raven, correndo veloce verso sui connettori e verso il cervello.

Ogni umano aveva il velo, ma la ragazza sembrava non possederlo.

Il velo era un elemento fondamentale per la coesistenza tra le creature magiche e quelle umane, perché impediva agli uomini di vedere il mondo sovrannaturale.

I tre dei, tra cui Sin, avevano fatto in modo di accecare gli umani, lasciandoli all'oscuro del mondo magico tramite quel sottile velo trasparente che, proprio come una coperta, copriva sia l'iride che la pupilla.

Raven, però, non ne possedeva nemmeno uno.

Era un'umana, di questo il grim era sicuro, ma un'umana senza velo poteva davvero esser considerata tale?

Aveva fatto un altro giro, dirigendosi verso il cervello di lei per studiarne le funzioni e la reattività.

A prima vista gli era sembrato normale, in salute e nel pieno delle proprie capacità. Alcuni neuroni, però, erano stranamente attivi.

Gli umani non avevano accesso al pieno potenziale del loro cervello, ma Raven aveva sbloccato delle aree in più.

Era più emotiva, attiva e presente rispetto a qualsiasi altro uomo che il grim avesse mai incontrato.

Cosa avrebbe potuto fare con un simile cervello?

"Mhm," aveva borbottato lui, distaccandosi dalla ragazza. Era strana ma non malata, non che gliene importasse qualcosa, e quindi non sapeva cosa avrebbe dovuto riferire a Sin.

Un 'no, guarda, hai fatto cilecca' di certo non sarebbe andato bene al dio.

Magari avrebbe potuto parlare con Icarus, e solo con Icarus, per poi andarsene il più velocemente possibile.

Aveva scosso la testa, alzandosi e dirigendosi verso la porta. Magari avrebbe trovato un bicchiere d'acqua nel quale dissolversi.

"Fatto?" Il viso di Icarus gli si era parato davanti in un batti baleno, spaventandolo.

Aveva un bel sorriso in volto ma l'espressione non dava a intendere nessuna simpatia. I suoi denti, scoperti grazie al sorriso, avevano tutta l'aria di esser stati fatti per dilaniare le carni altrui.

Non era un gesto di bontà, il suo, ma più una minaccia velata.

Il grim aveva mandato giù il groppo che gli stringeva la gola, facendo spazio ai due per farli entrare in stanza.

"La cosa non è malata," aveva borbottato lui, evitando lo sguardo fermo di Sin, "ma è priva di velo."

I due si erano lanciati uno sguardo, entrambi senza parole. Era impossibile che un'umana non avesse il velo ma, al tempo stesso, aveva senso.

Ecco perché era riuscita a vedere Sin e a sentire l'odore delle Oscure, per non parlare dell'effetto che la magia aveva avuto su di lei.

Il dio si era massaggiato le tempie, stupefatto e irritato. Cosa avrebbe dovuto fare, ora, di lei?

Magari avrebbe semplicemente dovuto scaricarla in città e aspettare di vederla andar via. Non sarebbe stato un problema suo se, più in avanti, si fosse nuovamente scontrata con il mondo magico.

Aveva grugnito, sempre più infastidito dalla situazione.

Icarus, intanto, si era andato a sedere vicino a Raven per scostarle una ciocca scura da davanti agli occhi.

"Pare proprio che tu sia una creaturina speciale, mhm?"

Aveva ridacchiato, lanciando uno sguardo all'amico.

A Sin non era piaciuto affatto lo scintillio di curiosità che aveva l'altro. Giocare con gli umani non era mai stata una sua grande passione, ma lo era per Icarus.

Sarebbe stato tutto più semplice se l'avessero lasciata in balia delle Oscure.

Aveva lanciato l'ennesima occhiatina a Raven, arricciando il naso. Aveva un bel viso e dei tratti poco familiari, ma questo non significava che l'avrebbe aiutata.

Giusto?

Sin aveva fatto un passo verso di lei, osservandola da più vicino. Sulle orecchie portava diversi orecchini, forse quattro ciascuna, e ognuno era adornato in oro.

Che strana umana, non gliene sarebbe bastato uno solo? Si era trovato a sorridere e subito s'era affrettato a tornare serio, controllando che nessuno l'avesse visto.

A farlo tornare alla realtà, comunque sia, era stato il grido rauco di Raven mentre si alzava, guardandosi attorno con aria preoccupata, e il pugno che gli aveva assestato allo stomaco.

ANGOLO ME
Icarus lo vedo un po' come un golden retriever

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