[03] L'Immedesimazione Di Sin
𝐒𝐈𝐍, 𝟒𝟓𝟎.𝟎𝟎𝟎 𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀
"Cosa fanno, quelle strane creature?"
Sin si era piegato sulle ginocchia per sporgersi in avanti e osservare con occhio critico il terribile spettacolo che gli si era parato davanti.
Vedeva rosso, credeva che quello fosse divenuto il colore predominante, e denti, affilatissimi denti bianchi che mordevano e strappavano qualsiasi cosa vi si parasse davanti.
Per il piccolo dio era così affascinante osservare con i propri occhi la potenza irreale di quelle zanne. Si era chiesto se le unghie di quegli esseri fossero altrettanto distruttive.
"Puoi dargli un nome, se vuoi. Dopotutto sei nato per essere il loro Re."
Kastà gli aveva dolcemente accarezzato la testa, osservando disgustata la scena. Un giorno, quegli esseri avrebbero assunto un po' di dignità, o almeno così sperava.
Sin aveva annuito placidamente, scontento del suo popolo. Era la prima volta che li vedeva eppure gli sembravano incredibilmente miseri e rozzi.
Avevano fame, lo capiva dal modo in cui si cibavano delle loro stesse carni. Si era chiesto se il sapore fosse piacevole contro il palato o se, invece, mandassero giù solo per disperazione.
Anche lui era affamato ma nutrirsi non era fondamentale, non per un dio per lo meno.
Più li guardava e più se ne riscopriva affascinato, quasi come se, per la prima volta in vita sua, riuscisse a capirli.
Bisognava sfamarli, ma come?
Sembrava che gli esseri avessero già trovato una soluzione: uccidere i più deboli e far razzia delle loro carni. Gli organi venivano tenuti per ultimi mentre i muscoli erano i primi sulla lista perché non potevano permettere che si irrigidissero troppo.
"Li chiamerò umani."
Kastà aveva sorriso, facendo dondolare la testa da un lato all'altro. Le piaceva come suonava.
A lei era stato affidato il mondo animale con tutte le specie che esso ospitava, ne era quindi la regina. Amava il suo popolo e lo supportava, aiutandolo nello sviluppo e nella ricerca di cibo.
Gli umani non erano, non al tempo, molto diversi dagli animali. Anche loro si uccidevano a vicenda per sopravvivenza e anche loro sembravano non aver coscienza.
Sua madre aveva però detto che a Sin sarebbe toccato comandare sugli esseri più intelligenti del pianeta, quindi avrebbe dovuto aspettare per dare un giudizio.
Kastà non avrebbe interferito nella creazione del regno di suo fratello, ma l'avrebbe sicuramente tenuto d'occhio.
Dopotutto era sempre stato un bambino strano, con diletti e interessi insoliti. Riusciva a vedere un pericoloso luccichio nei suoi occhi e la cosa la spaventava.
Gli umani avrebbero fatto parte del popolo più acculturato, cosciente e grande del mondo ma c'era qualcos altro in loro.
Qualcosa di così buio e raccapricciante da farle drizzare i peli sulle braccia.
I difetti di fabbrica vi sarebbero sempre stati e ora si chiedeva come fossero gli umani difettosi, come agissero e cosa pensassero.
Ma era troppo presto per fare ipotesi: avrebbe dovuto aspettare la loro evoluzione.
"Perché non ti avvicini a loro? Dovresti provare a capire la tua gente, non limitarti a osservarla."
Sin aveva aggrottato le sopracciglia, dandole però ascolto. La dea era più anziana di lui e quindi meritevole d'ascolto. L'avrebbe ascoltata per un po', certo, ma alla fine avrebbe fatto di testa sua.
Proprio come un umano.
Il piccolo dio aveva sfiorato la spalla della sorella con la testa, facendo dondolare i capelli biondi e lunghi sino alle caviglie.
Era tradizione tagliarli solo al compimento dei primi cent'anni e a Sin ne mancavano circa cinquanta. Il problema, se così poteva essere definito, era che le creature divine invecchiavano in modo diverso.
Infatti, nonostante Sin avesse compiuto da poco quarant'anni, aveva l'aspetto di un bambino. La sua mente, però, era diversa.
Kastà non avrebbe saputo come definirla se non deviata. C'era qualcosa, in suo fratello, che le dava i brividi.
Lei, all'età del ragazzo, pensava solo a rincorrere i caprioli o a giocare con i cervi mentre lui, beh lui giocava ad immedesimarsi.
Lo aveva osservato dirigersi verso l'umano e inginocchiarsi al suo fianco, scrutando la pelle martoriata del cadavere.
L'uomo aveva guardato il dio con gli occhi iniettati di sangue, grugnendogli e sputandogli contro. Non avrebbe lasciato la sua preda a nessuno, nemmeno guardare era permesso.
Sin aveva portato le dita lunghe e affusolate sulla guancia, raccogliendo quel misto di saliva e sangue contro la falange.
Aveva quindi osservato il tutto con incredibile minuzia, annusando l'odore della sostanza vischiosa mentre avvicinava lentamente il dito verso le labbra.
La sua lingua si era arrotolata contro il proprio indice, saggiando la consistenza e il sapore aspro del sangue.
"È questo, ciò che ti piace?" Il tono di Sin era stato delicato ma tagliante, quasi come stesse giudicando i gusti dell'umano.
Aveva provato sapori migliori, certo, ma l'uomo no.
O almeno così pensava.
La creatura, incapace di parlare, aveva risposto con grugniti e rantoli, allontanandosi di un paio di centimetri.
Kastà sapeva che l'umano riusciva a percepire la superiorità del dio e, in un certo senso, lo riconosceva come proprio sovrano.
Era accaduto lo stesso a lei quando, per la prima volta, aveva incontrato un animale.
I loro popoli erano legati, volenti o nolenti, al loro potere e necessitavano di quest ultimo per vivere. Senza un dio sarebbero morti, appassendosi come fiori, e l'unico modo per sopravvivere sarebbe stata la nascita di una nuova divinità.
Questo era però difficile visto che gli dei erano immortali e potevano esser uccisi solo da un'altro dio.
Ma erano una famiglia, dopotutto, quindi il problema non doveva esser posto. Giusto?
Più guardava Sin e più si stupiva di quanta diffidenza provasse verso di lui.
Era suo fratello, certo, ma era anche un dio strambo e dalla mente deviante e deviata. Loro madre, Varlett, aveva cresciuto quasi totalmente da sola l'ultimo genito.
Dea della notte, e quindi anche delle stelle che della Luna, aveva condizionato il figlio ad amare l'oscurità e in essa lui si era riflesso, creando colui che era.
Le tenebre celavano il conforto del nulla, dell'ignoto e della possibilità che in fondo vi fosse qualcosa, qualcosa di nascosto a tutti tranne che a loro, creature della notte.
Kastà e Redd, i due gemelli di sesso opposto, erano invece stati curati dal padre: Cassius.
Quest'ultimo era il dio del giorno e del Sole; con un carattere vivace e amorevole aveva cresciuto i due professando la meraviglia della luce.
Tutto ciò che poteva esser visibile era buono, certo e quindi sicuro.
Forse era stata questa la ragione del distacco tra i tre fratelli: l'infanzia.
La dea aveva mandato giù un boccone amaro, ignorando i pensieri per continuare a osservare il minore. Quest ultimo si era battuto le mani sulle ginocchia, rivolgendo un sorriso gelido al cadavere.
Chissà cosa si provava a esser morti, completamente immobilizzati. Forse la cosa peggiore era il momento prima della morte; i muscoli rigidi, tesi, e il sangue che pompa nell'orecchie.
E poi il cervello.
Chissà cosa avveniva, lì dentro.
Si era ancora in grado di pensare o le energie venivano impiegato per la mera sopravvivenza fisica?
Sin avrebbe voluto saperlo e sperimentarlo su se stesso, se necessario. Aveva lasciato che i suoi canini si allungassero, pungendogli le labbra.
Magari-si, magari anche quell'insulso umano voleva provare l'ebrezza di morire e oh, chi era lui per negarglielo?
Con un gesto secco della testa s'era voltato, affondando i denti nel collo dell'uomo.
✞
𝐑𝐄𝐒𝐄𝐍𝐓𝐄
Tutto era destinato a finire così come tutti erano destinati a morire.
Tutti tranne Sin.
"Ibernarti non risolverà il problema, amico mio." Gli aveva bisbigliato Icarus, accavallando le gambe e osservandolo dalla sua poltrona in pelle nera.
Il suo sovrano aveva lentamente aperto gli occhi, fissando il soffitto tappezzato di rosso. Dormire per quasi un anno interno era ormai un'abitudine per lui.
La sua presenza non era richiesta, non fino alla cerimonia, e quindi si crogiolava nel caldo torpore del sonno.
Mettendosi a sedere aveva sentito le sue ossa lamentarsi e piegarsi in modo doloroso, ricordandogli che era da troppo tempo che non si muoveva.
Icarus non riusciva a spiegarsi come il suo corpo non cedesse, dopo mesi e mesi di immobilità.
Lo aveva squadrato con attenzione, cercando di capire cosa fosse cambiato in lui negli ultimi undici mesi e mezzo.
La sua barba era divenuta incolta e i capelli, un tempo corti e ben tenuti, gli arrivavano ora alle spalle.
Sin si era lasciato andare completamente e a Icarus si era spezzato il cuore nel vedere il vecchio amico ridotto a quelle condizioni.
"Dovrei chiamare Irina? Conciato così sei ridicolo."
Sin aveva grugnito, scuotendo la testa.
L'amico non ricordava più che suono avesse la sua voce; ormai comunicava solo a suoni o, quando era di buon umore, con l'ausilio di una penna e un pezzo di carta.
"Oh, andiamo! Dobbiamo liberarci almeno della barba, non voglio che ti vedano così alla cerimonia."
Ma al dio non importava e così, sotto lo sguardo dell'altro, si era alzato dal letto per dirigersi verso il mobile in legno.
Con la mano gli aveva fatto cenno di lasciar stare, stringendosi poi nelle spalle.
Icarus poteva fare ciò che voleva, a lui non interessava che aspetto avesse. Incontrare un umano, una volta all'anno, era già abbastanza fastidioso di per sé.
Non si sarebbe di certo agghindato per un essere tanto sciatto e insignificante. Erano il suo popolo, certo, ma lui era il loro Re; era la gente, quindi, a doversi preparare per lui, non il contrario.
Aveva aperto il primo cassetto, tirandone fuori un bicchiere pulito e splendente. Durante il suo letargo le cameriere erano le cameriere a preoccuparsi di tenere il castello pulito e in funzione.
Fosse stato per lui, quella struttura sarebbe stata piena di polvere e sporco. Non gli avrebbe dato fastidio, lui sapeva convivere con quasi tutto e tutti.
Tutti tranne gli umani.
Icarus si era alzato a sua volta per afferrare una bottiglia di scotch dall'alto mobile in vetro, poggiandola sul tavolino circolare davanti alla sua poltrona nera.
Sin aveva ghignato, prendendo un secondo bicchiere per l'amico. Certo, gli umani erano creature fastidiose ma le loro creazioni-ah, quelle si che gli piacevano!
"A cosa brindiamo?" Icarus aveva portato una mano sotto al mento, accarezzandosi la mascella squadrata per poi puntare i suoi vivaci occhi verdi sul dio.
Le sue iridi, a differenza degli umani, erano sprovviste di pupilla e così ospitavano solo due chiazze verdi. A Sin sembrava di guardare una paluda, altre volte un bosco mentre in alcune circostanze parevano delle giade.
Aveva voltato lo sguardo verso l'ampia finestra della sua camera, scrutando il bosco e gli alberi. Con la testa aveva quindi fatto un cenno verso il panorama, ghignando.
A Icarus erano serviti due secondi per capire a cosa si riferisse.
"Al tuo futuro dono, allora!"
Versandosi da bere avevano quindi fatto scontrare i due bicchieri, calando velocemente la sostanza alcolica giù per l'esofago.
Sin aveva avvertito la sensazione di calore scaldargli la gola e poi il petto, rilassandolo, mentre Icarus aveva arricciato il naso con fastidio.
Dopo quasi trecento anni di vita, ancora non sopportava l'alcol. Il dio ne era invece assuefatto e ogni qual volta si svegliava, se ne versava un bicchiere abbondante.
Lo faceva sentire vivo.
Sin aveva grugnito, puntando con aria stanca il dito verso la pelliccia gettata sul suo letto. Poi aveva scosso la testa, sospirando.
"Sono tre anni di seguito che ti regalano pellicce, magari pensano che moriresti di freddo, senza."
Aveva scherzato Icarus, dandogli un colpo leggero sulla spalla per ricevere un ringhio come risposta.
I doni che riceveva gli erano quasi sempre inutili e si guadagnavano occhiatacce e risentimento da parte del dio.
"Sei un eterno insoddisfatto, amico mio."
Sin aveva roteato gli occhi, versandosi un secondo bicchiere di scotch. Chiunque si sarebbe sentito frustrato, nella sua situazione.
Aveva puntato l'indice prima su di lui e poi sull'amico per poi indirizzare la falange verso la gola, facendo segno a Icarus di tagliarsela. Quest ultimo aveva sgranato gli occhi, ridendosela di gusto mentre scuoteva energicamente la testa.
"Capisco che in amicizia si debba condividere tutto, ma non credo che il mutismo sia compreso. Se vuoi posso regalarti un occhio."
Con la mano destra si era coperto l'orbita sinistra, mostrando a Sin il modo in cui, con lentezza snervante, infilava un unghia sotto la palpebra.
Aveva quindi praticato un po' di pressione, sentendo il retro della sfera cedere sotto le sue deboli spinte.
Sin si era esibito in un verso tra il disgustato e il divertito, guardandolo con una scintilla di curiosità negli occhi chiari.
Il sangue aveva iniziato a macchiargli la pelle, colandogli sulle guance rosee.
L'occhio si era quindi distaccato completamente, uscendo dalla sua naturale posizione per esser tenuto attaccato solo dal nervo ottico.
"Quindi? Lo vuoi, si o no? Devi dirmelo prima che recida il nervo, altrimenti me lo tengo io!"
Muovendo la testa aveva fatto dondolare placidamente l'orbita, osservando con l'occhio buono la reazione dell'amico.
Aveva ricevuto un no con la testa e un'espressione di disgusto in risposta. E pensare che lui l'aveva fatto per lui! Avrebbe potuto fermarlo prima.
Con un sospiro aveva quindi afferrato il proprio occhio con delicatezza, spingendolo con due dita per farlo tornare alla sua posizione iniziale.
Dalle labbra gli era uscito un verso di dolore mentre sbatteva ripetutamente le palpebre, tentando di lubrificare al meglio la sua sfera verde.
Adesso avrebbe provato fastidio per le successive due ore!
Sin si era puntato un dito verso la tempia, roteandolo lentamente.
"Non sono pazzo, ritira ciò che hai detto!"
Icarus si era grattato la nuca, infastidito ed emozionato al tempo stesso. Passare undici mesi l'anno da solo era snervante; a tenergli compagnia era qualche spirito, certo, ma la presenza di Sin gli dava una sensazione di familiarità.
Si conoscevano da centinaia di anni e ormai lo considerava un fratello.
Nonostante l'affetto, però, comprenderlo era divenuto quasi impossibile. Oltre al mutismo c'era il fatto che il dio non volesse affatto svolgere le normali azioni quotidiane.
Si sdraiava sul letto e fissava il mondo oltre la finestra, il suo mondo, e pensava di uscire.
Poi la pigrizia prendeva il sopravvento e rimaneva lì, immobile e silenzioso fino a quando Icarus non gli avesse rivolto parola.
Era infatti lui a costringerlo fuori dal suo giaciglio, obbligandolo a seguirlo. Niente e nessuno era mai abbastanza per attirare l'attenzione di Sin, a stento ascoltava l'amico.
I due erano stati distratti da un leggero bussare alla finestra e, voltando le teste, avevano notato la non gradita presenza di uno spirito del vento.
Icarus aveva grugnito, alzandosi per aprire le vetrate. Quei maledetti esserini si divertivano a tormentarlo, parlando e parlando senza sosta.
Portavano notizie, ammonimenti e alle volte si fermavano solo per un po' di compagnia. Lui non li sopportava, tollerava coloro appartenenti alla fazione dell'acqua perché più pacati, ma non quelli del vento.
Irruenti, veloci e sempre attivi: erano la rappresentazione fisica del fastidio.
La piccola creatura, alta si e no quindici centimetri, aveva spalancato le ali, colpendo Icarus al viso per poi dirigersi verso il dio.
Aveva drizzato le piccole antenne che le sbucavano dalle tempie, roteando due volte su se stessa per poi fare un inchino.
La carnagione dello spirito era talmente trasparente da permettere sia a Sin che a Icarus di vedere cosa vi fosse all'interno del suo minuscolo corpo.
Le corte vene bianche si allungavano in ogni dove, uscendo ed entrando negli unici due organi che l'essere possedeva: il cuore e il cervello.
"Vi siete svegliato, finalmente!" Aveva strillato lei, facendosi sentire. Si era quindi posata sulla spalla dell'uomo, dondolando le gambe scoperte.
Sin aveva annuito mestamente, come a volerle far capire che la cosa lo infastidiva.
Icarus aveva roteato gli occhi, ridendosela di gusto. Sembrava proprio che nessuno tranne lui riuscisse a comprendere il povero dio.
"Cosa ridi, tu?" La Silfide, così venivano chiamati, aveva alzato in aria il mento con fare altezzoso. Erano creature volubili e permalose le quali amavano burlarsi degli altri ma detestavano subire gli scherzi altrui.
A Icarus non era sfuggito il tono informale con il quale gli si era rivolta, ma non lo aveva puntualizzato.
"Cosa ci fai qui, mostriciattolo?" Le aveva mostrato i denti, fingendosi minaccioso e ricevendo un grugno di disappunto dalla Silfide.
"Porto notizie, ovviamente." Pike, questo era il suo nome, aveva poggiato le minuscole mani sulle clavicole di Sin, dandosi la spinta per alzarsi in piedi.
Gli spiriti del vento viaggiavano in continuazione e nulla sfuggiva ai loro occhi e alle loro orecchie. Erano ovunque, in costante attesa di qualcosa che le intrattenesse.
Purtroppo per loro, la Norvegia era piuttosto calma e il minimo di azione si vedeva durante quel periodo dell'anno.
"C'è una nuova arrivata, a Flåm, e sai come si comportano le Oscure con i nuovo arrivati." Pike aveva sospirato, giocando con il lembo della sua gonna azzurra.
Parlare delle Oscure attraeva la sfortuna proprio perché quegli esseri erano ritenuti maligni e ingannevoli.
Si divertivano a giocare con le menti delle persone, ma tale gioco funzionava solo se la vittima non era abituata alla magia.
Gli abitanti della Norvegia avevano vissuto in mezzo agli esseri fatati per anni, senza mai rinnegarne la presenza, per questo erano immuni.
I visitatori e i turisti erano invece soggetti a tranelli.
Alcuni si perdevano nelle foreste, altri smarrivano oggetti mentre alcuni perdevano la cognizione del tempo.
Tutte questioni riguardanti le Oscure.
Se annoiate, erano capaci di inscenare uno spettacolo con i fiocchi. Ti salivano in spalla, invisibili agli occhi umani, e con un semplice tocco manipolavano i tuoi sensi.
Potevano farti sentire e vedere ciò che più desideravano, per questo erano considerate cattive.
Sin aveva inclinato la testa di lato, disinteressato, per poi inarcare le sopracciglia.
E quindi? Lui non poteva e non voleva far nulla a riguardo. L'umana avrebbe imparato a sua spese che sbarcare in Norvegia non era per lei.
"Suvvia, non volete mostrare nemmeno un po' di riguardo nei confronti di una nuova arrivata? È carina, sapete? Se voi non la volete, posso prenderla io?"
Pike aveva fatto un giro completo attorno al dio, sbattendo nervosamente le ali mentre gli regalava il suo miglior sorriso.
Icarus aveva inarcato un sopracciglio, afferrando nuovamente le ali della Silfide per immobilizzarla.
Cosa ci faceva una nuova umana a Flåm? Nessuno si trasferiva in quel posto, o almeno nessuno proveniente da fuori la Norvegia.
Le Oscure, inoltre, iniziavano a innervosirlo.
Toccava sempre a lui rimediare ai loro disastri e ormai era stanco.
Sin gli aveva lanciato uno sguardo interrogativo, domandandogli silenziosamente il perché di quella sua reazione.
"Spezza l'incantesimo e falla tornare a casa, non ho voglia di occuparmene io e no, non puoi tenerla."
Pike aveva boccheggiato, sconfitta, per poi abbassare la testa. Era legata agli ordini dei suoi superiori e, anche volendo, non avrebbe potuto disobbedire.
Le ali le si erano chiuse in preda alla delusione mentre annuiva, mostrando i piccoli denti affilati a Icarus.
"Dannazione!" Aveva esclamato lei, liberandosi dalla morsa dell'uomo per volare via.
Entrambi erano quindi tornati a sedersi, completamente stufi e sbalorditi. Le visite delle Silfidi non erano rare, a loro piaceva conversare e ogni tanto era necessario sorbirsele.
Quel giorno, però, le informazioni che Sin aveva ricevuto gli erano parse completamente inutili.
Iniziava a rimpiangere il suo lungo sonno e l'assenza di vicinanza. Interagire era estremamente difficile per un dio che non solo era muto ma che odiava anche ogni tipo di interazione.
Icarus, il suo completo opposto, si era massaggiato la tempie, affondando le mani negli spessi capelli neri.
Quella maledetta Silfide gli aveva fatto venire il mal di testa. Sospirando si era versato un altro bicchiere di scotch nel tentativo di distrarsi.
"Andiamo a vedere," aveva esclamato lui, saltando in piedi, "non vediamo un viso nuovo da anni."
Ma Sin aveva scosso la testa, annoiato.
Che differenza avrebbe fatto un nuovo viso quando a malapena sopportava il proprio? No, non voleva vedere nessuno né tantomeno incappare in un'Oscura.
Non le temeva, ovviamente, ma erano incredibilmente fastidiose.
"Tirati su, vecchio mio. È ora di una bella camminata!"
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