Capitolo 6.

Camminai a passo spedito lungo la strada principale di Kensington, il mio quartiere. Ogni volta che percorrevo quella strada per arrivare a Kensington Park rimanevo incantata dalla bellezza degli edifici.
Ero proprio fortunata a vivere in quel quartiere di Londra, lì si stava proprio bene.

Ronnie mi stava aspettando, e io ero seriamente in ritardo. Mi avrebbe ridicolizzato davanti a tutti come al solito, mi stavo già preparando mentalmente.

Accelerai il passo: una goccia di pioggia mi cadde sul naso. Non poteva cominciare a piovere! Non avevo neanche l'ombrello!
Mancavano circa duecento metri al parco.
Forse se corro...

Ma le gocce piano piano aumentarono, una dopo l'altra cadevano sul mio esile e stanco corpicino che voleva solo rimanere a casa sotto le coperte.

Cominciai a correre, sperando che smettesse di piovere, ma il flusso di acqua che cadeva dal cielo grigio sopra la mia testa non dava nessun segno di volersi fermare.

Controllai l'ora: 19:05.
Okay, sono in ritardo.

Cinque minuti di ritardo e mi mancava ancora un pezzo di strada da fare sotto al diluvio.
Decisi di tuffarmi dentro un bar lungo la strada, vicino ad una piazza.
Ci misi un po' per abituarmi alla luce di quell'ambiente, troppo scuro per i miei gusti.

Mi fermai un attimo per riportare il battito del mio cuore ad una frequenza normale e a tastoni cercai il cellulare nella borsetta.

«Deve essere qui! Perché non c'è? Possibile che mi sia caduto mentre correvo?!»
Parlavo a voce alta, mi resi conto che stavo quasi urlando.
Tutte le persone sedute ai tavoli si girarono a guardarmi.
Come al solito avevo fatto una figura delle mie, volevo davvero sotterrarmi!

Decisi di andare in bagno, almeno per sistemarmi il viso e per riprendere un colorito normale, azione impossibile vista la situazione imbarazzante in cui mi trovavo.

Mi guardai intorno, cercando un'insegna che indicasse la toilette.
Non l'avessi mai fatto. I miei occhi che scorrevano veloci lungo le mura di quel bar scadente, con la carta da parati staccata e le sedie di paglia, si bloccarono in un preciso punto.

Proprio sopra il naso di Adam.

«Haley, come hai fatto a trovarmi?»
Era davvero felice, ma sembrava allo stesso tempo sorpreso. Io invece ero scioccata. Possibile che mi avesse seguito fino a lì?

«Ehm, io...»
«Come mai non hai risposto al mio messaggio?» mi chiese lui.
Io non sapevo niente di nessun messaggio.
«Non trovo più il cellulare, penso di averlo lasciato a casa.» Ammisi, guardando il pavimento rovinato.

«Beh, allora è stato il destino a farci incontrare!
Vuoi bere qualcosa?»

Io ero veramente a disagio in quella situazione. Avevo i capelli completamente bagnati, quel poco di trucco che avevo messo mi era colato sulle guance e quella scomodissima gonna era salita troppo per via della corsa sfrenata per raggiungere un riparo.

«Veramente io...»
«Nick, due Gin Lemon per favore.»
Doveva aver visto la mia faccia confusa, quindi mi disse:« Il barista è un mio carissimo amico. Ehi Nick, lei è Haley, la ragazza di cui ti ho parlato!»

Cosa?

Aveva davvero parlato di me al suo migliore amico?
Lottai con la mia parte timida per emettere un ciao soffocato, e le mie guance cominciarono a prendere colore.

«Posso usare il telefono?»
Adam mi porse il suo cellulare e io mi allontanai per chiamare Ronnie.

Ovviamente non rispose, evidentemente era troppo impegnata per pensare che la sua amica potesse aver bisogno di lei.
Le scrissi un messaggio.
Da:me.

*Ronnie sono Haley, ho avuto un problema con la pioggia, sono in un bar scadente prima della piazza. Ci vediamo domani?*

Inutile dire che non rispose. Come ho detto prima, aveva altro a cui pensare.

Tornai da Adam con un'espressione tra il triste e l'indifferente.
«Tutto okay?»
La sua premura nei miei confronti mi fece sorridere.
«Si si, tutto okay.»

Volevo rispondergli che no, non stavo per niente bene, che volevo solo tornare a casa mia, che tutto quello era solo un grandissimo errore. Ma ovviamente era un concetto troppo complicato da esprimere per la mia povera bocca inesperta, quindi rimasi a fissare il bicchiere senza dire nient'altro.

Fu in quel momento che avvicinò la sua mano alla mia, tristemente appoggiata al bancone.
La sfiorò leggermente con la sua pelle abbronzata, un brivido mi corse lungo la colonna vertebrale.

Respira Haley.

«Hai da fare a cena?»








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