Capitolo IV


Capitolo IV

«Posso essere più deficiente di così?»

«Oh, no. Non credo, Peter. Per essere più deficiente di così dovresti declinare un secondo invito da parte di Tony Stark ma, ehi, sono certo che non ce l'avrai, una seconda possibilità!»

«Grazie mille, Ned. No, davvero, grazie!»

Ned sbuffa aria dal naso. Alza gli occhi al cielo e gli riserva un'occhiata frustrata che racchiude, negli occhi, tutti i sensi di colpa che Peter si sente dentro. Gli ha raccontato tutto e, per farlo, ha approfittato di vederlo nel giorno libero che gli hanno dato alle Stark Industries – o che il signor Stark gli ha dato perché è rimasto talmente deluso dal suo rifiuto che, magari, non vuole nemmeno più vederlo. Non sarebbe sorpreso se domani gli arrivasse una bella lettera di licenziamento ma, ne è certo, per ora l'uomo sta solo usando l'arma peggiore che possa riservargli: l'indifferenza.

Il viaggio di ritorno da Boston – così come la seconda conferenza, sono stati un vero disastro. Non solo il volo ha avuto momenti di silenzio assoluto che lo hanno annichilito e teso, ma l'incontro col pubblico non ha di certo dimostrato il suo impegno nei riguardi dei rapporti umani, come il suo capo si aspettava. Ha risposto alle domande balbettando e il signor Stark non è nemmeno intervenuto in sua difesa. Non ha fatto altro che ignorarlo, guardare altrove, con le braccia incrociate al petto e gli occhi nascosti dietro alle lenti scure degli occhiali da vista. Non è mai successo niente del genere, tra di loro, e Peter si sente così in colpa che non sa più cosa fare. Non sa se presentarsi da lui, domani, e chiedergli scusa per aver avuto paura di quell'appuntamento; non sa se andare lì e dirgli che forse in quell'invito ci ha visto qualcosa che voleva, e invece, magari, alla fine era solo una proposta amichevole a bere qualcosa.

Il problema è che solo il signor Stark può confermare una cosa del genere, ma non esiste che si convinca a chiedergli spiegazioni.

Per di più le sue due coscienze sono sparite da quel giorno; da quando è tornato in camera e non le ha più trovate ad aspettarlo, non sono più tornate. Ha provato a chiamarle più volte, ma non ha mai ricevuto risposta. In quindici anni di convivenza è qualcosa che non è mai accaduto prima; ha desiderato spesso che sparissero per sempre, come se questo potesse considerarsi un segno che è cresciuto e maturato, ma in una situazione come questa Peter non si sente niente cresciuto affatto. Si sente immaturo, stupido, incapace di prendere al volo occasioni su cui ha sempre fantasticato. Si odia così tanto che non ha nemmeno dormito, schiacciato dai sensi di colpa.

In realtà gli mancano. Gli mancano da impazzire.

La brutalità di Ned, poi, non è d'aiuto. Se ci fosse stato il piccolo Tony, seduto sulla sua spalla, avrebbe di certo avuto una soluzione tra le mani. E se ci fosse stato il piccolo Spidy, di certo, avrebbe reso la cosa meno frettolosa e più ponderata, ma non lo avrebbero lasciato solo nei suoi pensieri, senza una soluzione tra le mani.

La verità è che Peter non ha mai saputo pensare da solo. E non è di certo questo il momento giusto per iniziare a farlo.

«Senti, è tutto assurdo. Lui ti invita e tu declini, torni in camera e le tue coscienze sono sparite. Peter, è un segno. Ti stanno mettendo alla prova. Hai avuto la tua occasione e l'hai sprecata, quando entrambi loro erano lì in attesa che tu trovassi il coraggio di farti avanti. Non lo hai fatto, ci ha pensato lui, e la cosa più intelligente che ti è venuta in mente di fare è stata dirgli che eri stanco? Immagino che persino loro se la saranno presa. Me la sarei presa anche io. Anzi, diciamo che ci sono rimasto male.»

«Loro non esistono.» Peter sbuffa. Si passa una mano tra i capelli. Sorseggia il suo cappuccino in un bicchiere di carta. È tiepido, perché sono minuti interi che lo tiene tra le mani e non riesce a buttarlo giù, siccome ha lo stomaco chiuso. Nemmeno la brezza piacevole di quel pomeriggio al parco è d'aiuto. «Non ci sono mai stati, sono prodotti della mia mente. Sono... pazzo. Chi vorrebbe mai stare insieme ad un pazzo?»

«Oh, non lo so. A quanto pare il signor Stark stava cercando di farti capire che a lui vai bene anche così. Peter, non sei pazzo. Quando mi hai raccontato di quei due cosi non volevo crederci, ma sei mio amico e, malgrado questa stranezza, non ti cambierei con nessun altro al mondo, solo che mi fai una rabbia, che...», inizia Ned, si blocca, poi tira un sospiro nasale che è come un peso da cento chili sulla coscienza di Peter, già pesante di per sé. «Perché fai così? Dannazione, sei un idiota.»

«Non lo so», piagnucola, «Ti ricordi quando sono entrato alle Industries? Volevo ritirarmi perché avevo raggiunto l'obiettivo che mi ero prefissato, troppo impaurito all'idea di deludere le aspettative di tutti. Con il signor Stark è la stessa cosa; mettiamo caso che volesse davvero invitarmi a bere qualcosa per conoscerci meglio e iniziare qualcosa; poniamo il caso fosse la sua intenzione, se poi iniziamo a frequentarci, lo deludo e scopre che non sono la persona che pensa io sia?»

«Peter, tu sei la persona che sei. Non c'è niente che tu gli stia nascondendo, a parte le tue coscienze sulle spalle, ma ci sono cose che non è necessario raccontare e, be', semmai doveste davvero intraprendere una relazione, magari glielo puoi dire, tastare il terreno, capire cosa ne penserebbe di una cosa così.» Ned è dolce. Peter ha sempre pensato di avere una gran fortuna, ad averlo come amico. È stata la prima persona – e forse è l'unica – a cui ha detto di avere una preferenza per l'universo maschile, e a differenza di ciò che Peter aveva pensato, è stato comprensivo, anzi, è stato normale. Gli ha solo detto: «Okay, va bene. Ho fame ora.» E aveva fame sul serio.

«E se essere me stesso non bastasse?» Si morde le labbra. Gli punta addosso due occhi iniettati di insicurezza; quella stessa che vorrebbe voler vedere andare via per sempre.

Ned sorride e alza le spalle. «Vuol dire che non sei quello che vuole. Non è colpa tua, le persone non possono essere quello che gli altri vogliono. Sai che palle di mondo, sarebbe? Tutti accondiscendenti, tutti piegati al volere degli altri. Non penso che Tony Stark sia uno che vuole accanto una persona a sua immagine e somiglianza o, peggio ancora, un cagnolino da ammaestrare. Lo vedo più come uno che ricerca un suo pari e, be', è evidente che in te ha visto questo, se il suo intento era quello di provare a conoscerti.»

«Che devo fare? Ned, per favore, fammi da coscienza e sii brutale!», esclama Peter, e finisce quella richiesta con un sorriso, ma in verità è disperato. Vorrebbe rimediare a quell'errore; parlare col signor Stark e capire cosa vuole da lui, e se questo qualcosa può darglielo. Senza forzature, senza fingersi ciò che non è. Vuole solo sapere se, insieme, si incastrano perfettamente. O almeno un po'.

«Vuoi che sia più mini-Tony o più mini-Spidy?», chiede Ned, con una risata e Peter inghiotte una palla amara che gli si è incastrata in gola. Forse può sembrare divertente, visto dalla sua prospettiva, ma il suo migliore amico non ha idea di quanto sia difficile vivere senza quei due sulle spalle che gli consigliano cosa fare, sebbene negli ultimi tempi non abbia mai preso in considerazione un solo consiglio, e se ne pente, perché ora non ci sono più, lo hanno abbandonato e hanno avuto tremendamente ragione, ad averlo fatto.

«Un mix?», chiede.

«Vai da lui, domani. Chiedigli di parlare un po', digli che ti dispiace per essere stato così schivo. Digli che avresti accettato, in un momento diverso, ma che ti ha preso alla sprovvista e non hai saputo che fare. Digli che ti spaventava l'idea di ammettere quei tuoi dubbi ma che, se tornassi indietro, quel drink lo berresti volentieri.»

«Non so se sono capace a dire tutte queste cose... cioè, non so se so dirle senza balbettare e incartarmi come un deficiente», ammette, e si passa una mano tra i capelli, mentre cerca di memorizzare quelle parole e farle sue. Ha già davanti la scena, solo che è talmente insicuro che, nel finale, ci vede solo una tragedia di quarta categoria, col signor Stark che lo deride e fugge via con una bellissima modella dalle gambe lunghe, lasciandolo solo a crogiolarsi nei suoi errori. Dovrebbe smetterla di lasciare che la sua fantasia galoppi in questo modo...

«E anche fosse? Tu sei così, e fingerti sicuro di te è la cosa più sbagliata che tu possa fare. Sono due fatiche, invece che una. Digli quello che devi, come devi, a modo tuo. L'importante è che tu lo faccia, Peter. Non puoi lasciare le cose così, è il tuo capo, ti ha dato l'opportunità di fare un viaggio con lui dove ha cercato di comunicarti qualcosa. Ora tocca a te rispondere», conclude Ned e, con tutta la sicurezza del mondo, ingolla in un solo sorso la sua aranciata, senza battere ciglio quando una manciata di cubetti di ghiaccio gli entrano in bocca. Li mastica, con un sorriso. Peter gli riserva un'occhiata disgustata, poi scoppiano a ridere, e un po' quel momento leggero gli allarga il cuore e gli dona quasi speranza.

Può farcela.

Non può farcela.

Non può bussare, non ne ha la forza, né il coraggio. Peter cuor di leone, così lo chiamava zia May, quando era piccolo, solo perché si arrampicava sui mobili e non aveva paura di farsi male. In verità in quel periodo non aveva paura di niente di nessuno, è stata la crescita, il peso di una vita diversa, l'arrivo di Spider-Man, quello dei problemi legati alla sua doppia identità, le sue preferenze sentimentali e... le continue delusioni, a cambiare tutto. La paura di fallire, sempre. Di non essere mai abbastanza. La paura di non essere amato tanto quanto è in grado di amare lui.

Abbassa la mano che ha alzato per bussa e, con un sospiro, la intasca e si prepara ad andarsene, solo che la porta si apre di scatto e il signor Stark è lì, di fronte a lui, immobile. Ha appena sussultato e sgranato gli occhi come se gli fosse appena venuto un infarto al miocardio e, impaurito dalla sua reazione, Peter punta i piedi a terra, e quasi cade in avanti. Si regge appena in tempo in equilibrio, prima di trovarsi faccia a faccia con lui, in silenzio.

«Signor Stark, io so-»

«Parker, sono dieci minuti che sei dietro questa porta. Ho visto la tua sagoma attraverso il vetro; ho quasi pensato che fossi lo spirito del Natale passato che veniva a perseguitarmi, ad un certo punto. Mi ha fatto desistere dal pensarlo il fatto che non l'avesse preceduto il suono di catene inquietanti», lo interrompe, alzando una mano per fermarlo.

Peter sente di aver messo su un'espressione di pura e semplice confusione. Ha leggermente aperto la bocca in una "o" che precede un balbettio e, cercando di assimilare quella valanga di cose a caso dette da un uomo abituato ad inventarsene anche di peggiori, lo osserva silenzioso per cinque, interminabili secondi.

«Il fantasm- okay, senta, magari la sto tediando e ha di meglio da fare. Tolgo il disturbo, e passo un'altra volta.»

«Oh, mi stai evitando per la seconda volta?»

«In verità sto cercando di non commettere lo stesso errore dell'altro giorno, signor Stark e, siccome vorrei rimediare, forse non è questo il momento giusto.»

«È sempre il momento giusto. Vieni», gli risponde l'uomo, mettendosi di lato sulla porta per lasciargli lo spazio per entrare, «Entra, e parliamo un po'. Non sei l'unico che deve rimediare, a quanto pare.»

Se c'è una cosa che quelle parole hanno generato in Peter, è di certo altra confusione. Non pensava che il signor Stark si sentisse così, come lui, e non sa ancora dargli una definizione, a quel modo di sentirsi. Se ci fosse il piccolo Spidy avrebbe di certo la risposta che cerca, ma lui non c'è, e ricordarlo non lo fa sentire di certo più tranquillo. Deglutisce aria e entra nello studio, anche se in questo momento vorrebbe solo fuggire via a gambe levate perché sa – oh, se lo sa – che combinerà altri guai. Non saprà cosa dire, finirà per tacere e non risolverà niente di niente, anzi. Probabilmente peggiorerà solo le cose. Si conosce.

Si accomoda al centro della stanza e quando il signor Stark gli fa cenno di sedersi, lui risponde con un diniego della testa. «No, preferisco che sia veloce e indolore», sorride impacciato, con un brivido gelido che gli percorre tutta la schiena. Sono i sensi di ragno, attivi come se fossero un radar alla ricerca dell'oro perduto di Indiana Jones. Farebbe affidamento su quelli, se solo non fossero utili ai fini di percepire un pericolo, e non un amore ricambiato.

«Come vuoi», sospira il signor Stark, poi si avvicina ad uno scaffale, e si versa un bicchiere di whiskey. Quando gli chiede con un gesto se ne vuole un po', Peter scuote di nuovo la testa negativamente. «Allora? Quali sono le buone nuove?»

«Signor Stark, prima di tutto volevo chiederle scusa per l'altro giorno a Boston. Mi dispiace davvero molto per come sono andate le cose. Mi ha dato una grossa opportunità e io non ho saputo sfruttarla. Devo averla delusa», dice alla velocità della luce, e sputa via quella valanga di parole come se non riuscisse più a tenersele dentro. Ha fatto un passo, gli ha chiesto scusa. Non è molto, ma è sempre meglio di rimanere statici in un punto. Lo stesso dove era fermo da mesi.

Tony Stark alza le sopracciglia. Ferma l'azione di bere dal suo bicchiere; ci rinuncia per palesare una risata senza entusiasmo e, avvicinandosi tintinnando il dito contro il vetro, sembra una pantera che ha puntato la sua preda.

«Parliamo della conferenza o della proposta che hai declinato gentilmente quella sera?»

«Probabilmente di tutte e due le cose», ammette, e si morde le labbra. Le tira così tanto che si fa del male. Abbassa la testa, quando Tony sospira, e appoggia il bicchiere sulla propria scrivania, a pochi passi da loro. È riuscito a far passare la voglia di bere persino al suo capo.

«Per la conferenza non è andata male. Magari tutti quei balbettii li avrei evitati, ma è la tua prima esperienza. Non ti ho portato lì con l'idea che potessi imparare sin da subito come ci si comporta di fronte ad un pubblico. Volevo che osservassi e che avessi un'esperienza diretta con le persone. La prossima volta andrà meglio.»

«Quindi non ha deciso di licenziarmi o di non portarmi più con lei ad eventi simili?»

«Dovrei? La mia opinione sulle tue capacità non cambia; sei il migliore e rimani tale, per ora. Non ti ho assunto perché sei un simpaticone, ma perché sei capace. Il lavoro è il lavoro, Parker. Se lo fai bene, nessun drink negato ti farà licenziare. Se mi accoltelli forse potrei anche farci un pensierino, ma fino a quel momento...» Sorride. Tony Stark sorride e Peter si sente morire. Vorrebbe fare lo stesso se non fosse che ha sottolinea che, dopotutto, il problema di quell'invito negato ha generato qualcosa; ha messo un muro, ha incrinato il loro rapporto, in qualche modo ed è sempre più convinto che se avesse detto sì, ora le cose sarebbero diverse. Magari in un universo dove non è stato un deficiente, lui e il signor Stark hanno iniziato a vedersi al di fuori del lavoro; magari si sono pure già scambiati un bacio – il primo. O magari, sempre in un altro universo, Tony non voleva invitarlo a bere con quello scopo, gli ha riso in faccia e gli ha spezzato il cuore. Male, certo, ma almeno in entrambi i casi ha fatto un passo e ha avuto la sua sentenza. Qui, in questo, fluttua ancora tra troppi se e ma.

«Avrei voluto dirle di sì. Mi sono... mi sono solo spaventato. Non ero preparato a un invito del genere da parte sua», spiega, e inizia a sfregare le mani tra di loro, nervoso. «Mi sono spaventato», ripete e alza gli occhi sui suoi.

Tony lo guarda senza dire niente. Ha serrato la bocca, ma ha inclinato leggermente la testa in un segno di delusione che Peter non può non notare, specie negli occhi, e pensa che sia rivolta a lui. Che sia lui ad averlo deluso, almeno finché non parla, e tutto si spezza di nuovo in mille pezzi.

«Lo so. Ti ho spaventato, immagino», risponde, e guarda altrove, mentre recupera il bicchiere di whiskey. Ne beve una goccia. Arriccia le labbra e ne registra il sapore, ma Peter ha l'impressione che stia prendendo tempo, e ne stia approfittando per pensare a cosa dirgli e come farlo, senza ferirlo. Lui vorrebbe solo rispondergli che no, non lo ha spaventato l'invito, ma la paura che non fosse per entrambi la stessa cosa. «Era stata una bella serata. Per una volta non ti sei chiuso in te stesso, ti sei lasciato andare. Sembravi a tuo agio. Ti ho chiesto di continuare quella cosa che era iniziata solo perché ero a mio agio anche io. Poi ho capito che ero l'unico ad esserlo, alla fine. Sono il tuo capo, ti ho invitato ad una conferenza, la giornata era andata bene. Ovvio che fossi felice, ma le tue intenzioni si sono fermate dove sono cominciate le mie, immagino.»

«Ero a mio agio. Davvero, ero a mio agio», interviene Peter, e fa un passo verso di lui. «Volevo continuare a parlare con lei, anche tutta la notte se fosse stato possibile, ma pensavo che fosse una cosa unicamente mia. Quando me lo ha chiesto mi ha spiazzato. Mi sono spaventato perché non ero pronto. Perché per me era impensabile che per lei fosse lo stesso. Mi dispiace di averle fatto credere che fossi a disagio per causa sua.»

Tony entra in un silenzio che non è spiacevole, sa solo di vorticosi pensieri che hanno il fine di rimettere in ordine le idee. Peter sa che è così, perché al suo cervello sta succedendo esattamente la stessa cosa. Non aveva idea che ci fosse, di mezzo, solo un enorme malinteso e che, il loro modo di affrontare la cosa, abbia decisamente virato la realtà in tutt'altra direzione. Lui non era certo di ciò che il signor Stark voleva da lui, e viceversa. Ora le cose sono talmente mutate e sono così assurde, che non sa cosa dire. Probabilmente nessuno dei due ha la capacità di esternare un pensiero coerente. È un momento fragile, delicato; così tanto che Peter spera che il piccolo Tony e il piccolo Peter si palesino per dargli una mano ad aprire quell'accidenti di bocca e rompere quel silenzio che fa male. Fa così male che si sente morire.

«Dunque...»

«Sì, signor Stark?» Ha risposto in modo talmente lapidario che la voce gli è uscita stridula e troppo carica di aspettative. Di speranze vane, o forse non più. Si sente tremare la schiena e le ginocchia. Non è più nemmeno forte come Spider-Man. È una gelatina tremolante che sta per sfaldarsi.

«È solo tipo un enorme malinteso? No, perché è bene saperle, certe cose. È assurdo che io abbia iniziato a mantenere delle distanze per evitare di metterti a disagio, mentre tu ti sentivi in colpa pensando che lo stessi facendo perché mi ero sentito offeso dal tuo rifiuto. Te ne rendi conto da solo?», continua e, se non lo avesse detto con un mezzo sorriso, Peter penserebbe che sia quasi infastidito da quel fatto.

Annuisce. «Sì, è assurdo e... senta, non so che sta succedendo. Non so cosa... cosa sta succedendo tra me e lei... tra me e te.» Ha appena avuto il coraggio di dargli del tu, e solo dio sa quale santo nel cielo gli ha dato quella spinta per farlo. E la cosa paradossale è vedere Tony sussultare impercettibilmente, di fronte a quella specie di passo avanti, che è ancora avvolto nella nebbia della confusione, del dubbio e della paura del futuro.

Sono in quel momento di stallo dove non sono più mentore e allievo, ma nemmeno due persone che stanno decidendo quale rapporto si confà di più loro. Fluttuano nel nulla, ma sono così in alto che, cadere,  farà malissimo.

«Non lo so, Peter. Dimmelo tu, cosa sta succedendo.» Ha pronunciato il suo nome con una tale confidenza che sembra quasi lo abbia sempre fatto, e invece è la prima volta. Lui ha abbandonato la riverenza e il signor Stark, a modo suo, ha fatto lo stesso abbandonando il suo cognome come appellativo. Si guardano così intensamente che a Peter fanno male gli occhi. Apre la bocca e balbetta troppe frasi sconnesse e vorrebbe solo dirgli che vuole che succeda qualcosa, che quello stallo è peggio del dubbio che aveva di non essere ricambiato.

Sta per dirglielo. Vuole dirglielo, e la porta si spalanca, facendo crollare inesorabilmente quell'intento, al quale sarebbe presto arrivato, con i suoi tempi. Come gli ha detto Ned, vuole essere se stesso senza forzare i tempi e fingersi sicuro di sé, ma Tony è una persona talmente impegnata che è già tanto se gli ha dedicato quei dieci minuti scarsi.

«Signor Stark, scusi se la disturbo. La vogliono di sotto per una consulenza. Dicono che è urgente.»

La segretaria resta lì, immobile, evidentemente pronta ad accompagnarlo di sotto; questo non gli dà la possibilità di fare nient'altro che respirare aria dal naso e incanalarla nei polmoni nel solo ed unico tentativo di non smettere di respirare. Il tempo si è fermato lì, in quella bolla di confidenza dove ha appena perso l'occasione di esternare le sue intenzioni.

Voglio provare a costruire qualcosa con te. Qualunque cosa. Qualsiasi cosa, purché sia con te. Vorrebbe dirgli, e cerca di farlo con gli occhi, ma Tony sospira e non lo guarda più.

«Ne riparleremo», gli dice solo e, senza nemmeno salutarlo, si precipita fuori mettendo su la facciata sicura di sempre, ed è già andato avanti. Ha già dimenticato quella conversazione; invece Peter è lì, statico, immobile, di nuovo solo, in attesa che quell'incantesimo che lo ha reso una statua di pietra, di spezzi.

Non sa più che cosa sta succedendo e forse, semplicemente, non sta succedendo niente di niente.

Fine Capitolo IV

Note autore:

Inutile che io continui a giustificarmi, questa storia non è più comica porco giuda. Cioè, magari nel prossimo si riprende ma ne dubito... perché prometto cose che non posso promettere?? ç___ç

Dunque, abbiamo fatto dei bei passi avanti, eh! Ma Tony cosa pensa davvero? Quali sono le sue intenzioni? Lo scopriremo solo vivendo, e spero che il prossimo capitolo arrivi prestissimo ♥

Amo scrivere questa storia angst travestita da fluff/comica **

Fatemi sapere cosa ne pensate,

Miry, la bugiarda.

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