Capitolo III
Capitolo III
Peter non aveva mai preso un aereo in vita sua, e se c'è qualcosa che ha imparato, dopo quel volo, è che non gli è piaciuto un granché. Non è tanto l'altezza, ad averlo spaventato, quanto la partenza. Non si era aspettato che l'aereo, sulla pista, potesse raggiungere una velocità di quel calibro. Aveva sempre pensato che prendere la rincorsa per la quota fosse un'esperienza diversa. E, le risatine del signor Stark, seduto davanti a lui su quel jet privato, non lo hanno aiutato a fingere almeno di averlo, un po' di coraggio.
Sono le sei del mattino, ha un sonno tremendo e due ore di riposo agitate, da cui si è svegliato per colpa di una turbolenza.
«Non capitano così spesso, le turbolenze. Certo, al tuo primo volo deve essere stata una gran brutta esperienza.» Il signor Stark glielo ha detto con un sorriso divertito, dandogli poi una pacca sulla spalla, quando lo ha superato per raggiungere l'uscita dell'aeroporto, accolto da alcune persone in giacca e cravatta. Uno di questi ha in mano un cartello con scritto Stark Industries. Devono essere i tipi dell'hotel che li ospiterà.
«Accidenti, sento tutti gli organi schiacciati!», esclama Spidy, comparendo sulla sua spalla e, subito dopo, anche Tony si palesa. Peter sospira, stringendo di più le spalline del suo zaino tra le dita. Soffia via un ciuffo ribelle che gli cade sul viso.
«Organi? Abbiamo degli organi? Non esistiamo nemmeno!»
«Be', la sensazione è la stessa che prova Peter, dunque sì, sento tutti gli organi schiacciati! Come quella volta che siamo andati sulle montagne russe e avevo quel senso di vomito, ricordi?», dice ancora il ragnetto, indicando l'altro con un ditino guantato.
«Ricordo solo Peter che vomita anche l'anima sotto alla ruota panoramica. Una gran bella giornata, quella alle giostre», risponde, sarcastico.
«Dobbiamo proprio ricordarci di quel giorno? Andiamo, ci sono altri argomenti di cui parlare o... ehi, ho avuto un'idea!», esclama Peter e sia Tony che Spidy lo guardano interessati, entusiasti, «Perché non sparite e mi lasciate solo finché non sarò in albergo? Così, tanto per non sembrare ancora di più un pazzo psicopatico agli occhi del signor Stark!», sorride, ma con un'amarezza sotto al palato che quasi gli fa salire i succhi gastrici. È di pessimo umore; ha fatto una figura barbina, su quell'aereo, stretto ai braccioli del suo sedile. Ha bisogno di una doccia, di un bicchiere d'acqua e di riposare il cervello, solo per non sembrare un senzatetto che ha scroccato un passaggio sul jet privato del suo capo. La prima conferenza sarà tra poche ore, dopo pranzo e la seconda – e ultima, il giorno seguente, poi ripartiranno. Saranno giornate dure e lunghissime, ma l'idea che il signor Stark lo abbia scelto lo elettrizza e non ha paura di affrontarle, quelle lunghe ore di lavoro.
«Parker?»
Peter torna alla realtà. Pianta gli occhi in avanti e Tony Stark è lì, una mano infilata nella tasca del completo e una a sistemarsi gli occhiali, girato verso di lui con un sorrisino.
«Se non ti sbrighi me ne vado senza di te», dice, e lo costringe ad accantonare tutti quei pensieri, saltellando sul posto per raggiungerlo. Lo affianca e, quando sono fuori, una lunga macchina nera li attende. Un omino con un cappello buffo apre loro la portiera; quando il signor Stark gli fa cenno di entrare in macchina, Peter esita.
«Non sono mai stato in una limousine!», esclama, e si sente così dannatamente stupido per averlo detto. Poi prende posto e scuote la testa, dandosi dell'idiota.
«Oh, quante novità! Prima l'aereo, poi la limousine. Immagino che tu non sia mai stato in un hotel a cinque stelle.»
«No, penso che il mio massimo sia un campeggio!», scherza, ed è felice che il signor Stark abbia riso a quella che no, non è una battuta. «Dove sono gli altri?»
«Gli altri?», ripete Tony. Si toglie gli occhiali e alza un sopracciglio, prima di iniziare a pulirli con un lembo della giacca.
«Sì, gli altri scienziati! Pensavo che avesse portato con lei anche altre persone, o almeno tutte quelle che hanno lavorato al progetto.»
«No, mi basta un rappresentante. Te l'ho detto, dobbiamo lavorare sull'autostima e sul contatto col pubblico. Mi sei sembrato il più idoneo.»
«Non credo di capire.»
«Ci sei solo tu, Parker. Non ho portato gli altri. Sarei bastato solo io, ma ho deciso così. Una variante», l'uomo sorride, poi si rimette gli occhiali e tira fuori il cellulare. Comincia a smanettare e non è più con lui. Peter sospira, e gira il viso verso il finestrino.
«Non farti spaventare dalla parola variante, per favore», sbotta il piccolo Tony, comparendo con un puff che gli fa quasi venire un infarto al miocardio. Peter si posa una mano sul cuore, e spera che il signor Stark non lo abbia visto sussultare. Gli lancia un'occhiata, ma è ancora concentrato sul suo telefono.
«Essere una variante non è per niente negativo! Ti ha detto che avrebbe potuto partecipare da solo, e tra tanti ha scelto te. Vacci con i piedi di piombo, ma sembra una cosa positiva!», esclama Spidy, e il suo secondo infarto della giornata l'ha sfangato, anche se c'è andato vicino, quando quel piccoletto è comparso. Tace, non risponde, solo per non risultare di nuovo un pazzo esaurito che parla da solo. Guarda solo fuori dal finestrino, e Boston è sempre più vicina. Solo che la parola variante non riesce proprio a digerirla...
E così, la sua stanza, è così grande da comprendere un angolo bar e un salottino con tanto di caminetto! Lo stile è rococò, o almeno gli sembra e, ad aspettarlo, c'è una grossa vasca idromassaggio e un gigantesco letto matrimoniale che sembra comodissimo. Lascia cadere le valigie a terra e, senza pensarci, si butta sul materasso di pancia come si fosse buttato da un trampolino per scivolare nell'acqua tiepida di una piscina, accolto però, dopo quel tuffo, da un cuscino bianco e soffice. Sorride contro il tessuto e sospira.
«Gran bel posticino! Il signor Stark si tratta bene, eh!» Tony lo costringe a girarsi supino e, quando incontra i suoi occhi, lo vede seduto a gambe incrociate sul letto, mentre si guarda intorno con un sorrisetto. «Bella sistemazione, mi piace! Potremmo rimanere qui per sempre.»
Peter sbuffa divertito e incrocia le braccia dietro la testa. «Se avessi abbastanza soldi mi trasferirei volentieri. Mi si addice la vita del ricco industriale!»
«No, per niente. Hai la faccia da galoppino. Sei destinato a fare da spalla alle persone, pur dimostrandoti migliore di loro. È la vita, Peter. E, credimi, c'è chi sta peggio di te», continua Tony, con una finta espressione rammaricata. Lo guarda scettico, poi si volta dall'altra parte, su un fianco, e ad accoglierlo c'è Spidy, anche lui seduto sul materasso, con le mani strette sulle ginocchia.
«Dovresti fare una doccia e prepararti per la conferenza. Non manca molto», lo redarguisce.
«Andiamo, devo smaltire l'adrenalina del volo! Non farmi la paternale», sbuffa.
«C'è la jacuzzi, Pete! Mi chiedo cosa tu stia aspettando. Io, fossi in te, mi metterei a mollo lì dentro e darei loro buca.»
«Voi due mi spaventate, quando siete così estremi nelle vostre raccomandazioni. Sul serio, a volte mi confondete le idee. Ecco perché alla fine finisco per non decidere affatto!»
«Quello sei tu. Noi siamo qui per darti dei consigli e tu, minimo, dovresti seguirne almeno uno. Invece è meglio ignorare, non è così?», prosegue Spidy, e si è piantato le mani ai fianchi.
Si guardano per secondi interminabili, e Peter si chiede chi sarà il primo che cederà ma, a quanto pare, la sua coscienza buona è molto più determinata di lui.
«D'accordo, vado! Non ho scelta, a quanto pare!» Si alza in piedi frustrato, con una mano tra i capelli, poi si sfila la maglietta e entra in bagno.
«Lavati bene dietro le orecchie!», gli urla Spidy, e Peter fa appena in tempo a sentirlo, perché si è già chiuso la porta dietro le spalle. «Mi farà impazzire», sospira, poi guarda Tony, quando sente il suo sguardo addosso. Sorride sornione.
«Ti offro un drink», gli dice e lui gli tira addosso la chiave a scheda dell'albergo, arrossendo.
La conferenza, infine, ha avuto luogo. Peter si è sentito terribilmente a disagio, di fronte a tutti quei giornalisti, e quando è arrivato il suo turno di rispondere alle domande sa di aver esitato la maggior parte delle volte; ha lanciato al signor Stark troppe richieste di approvazione e, quando è stata decretata la fine dell'incontro, dando appuntamento a tutti al giorno dopo, si è sentito meglio. Ha tirato un sospiro di sollievo che l'altro non ha potuto non notare ma, se c'è qualcosa che lo ha davvero reso felice, è il fatto che le sue due coscienze, per una volta, lo abbiano lasciato solo. Non è stato poi così traumatico, ma non è abituato a mostrarsi in pubblico, per quello quando è Spider-Man si sente più a suo agio, perché non è davvero lui. È un'altra persona, un alter-ego nascosto dietro ad una maschera, che gli accende la sicurezza e lo sprona a non aver paura di sé. Qualcosa che Peter, quando è Peter, non potrà mai ottenere, rimanendo se stesso. Spidy gli dice sempre che è un suo modo di essere e che, per migliorare, ha solo bisogno di accettarsi. Solo che Peter ha troppe cose che vuole e che non otterrà mai, tra cui la spavalderia del signor Stark e, più di tutto, la sua approvazione e... il suo cuore. Un pensiero melenso e romantico, ma lo ama. Non lo nasconde più a se stesso da tempo, ed è una delle poche cose che ha quasi accettato, peccato che è motivo di grandissima sofferenza. Un ragazzo impacciato che ama un uomo sicuro. Non sono in uno di quei romanzi rosa che legge zia May, dove la timida ragazza di campagna sposa l'Arciduca della contea; ricco e pazzo di lei. Sono nella realtà, a lui piacciono gli uomini, e non ha alcuna possibilità statistica che per il signor Stark sia lo stesso. E, pure avesse anche lui le stesse preferenze, andrebbe mai ad interessarsi proprio a lui? Proprio a Peter "sfiga" Parker? Certo che no, è pura utopia! Dovrebbe semplicemente cercare di dimenticarlo e spostare l'attenzione su altro ma, a quanto pare, è dannatamente difficile. L'amore non si controlla.
Così si ritrova di nuovo nella sua stanza d'albergo, con addosso un completo elegante, il camice bianco, un tesserino attaccato al taschino e le braccia incrociate sullo stomaco, mentre è steso sul letto a fissare il soffitto, chiedendosi quale sia davvero la cosa giusta da fare per scrollarsi di dosso quella stupida malinconia.
«Cenerai con lui, no? Perché non cerchi di tastare il terreno? Gli chiedi se è sposato, se ha qualcuno che lo aspetta a casa e, che ne so, cosa pensa di te», lo sprona Tony, mentre Spidy è sulla sua spalla e cerca di fargli un massaggio con le sue manine. Peter nemmeno lo sente, ma lo lascia fare. È carino che si preoccupi di lui e dei suoi muscoli tesi.
Sospira. «Cosa pensa di me? Andiamo, lo sappiamo già.»
«No, non lo sappiamo ma, invece di andare così diretto come farebbe il caro buon vecchio mini-Stark, io ci andrei più con i piedi di piombo. Creati l'occasione, senza domande dirette, o ti prenderà per matto», gli consiglia il piccolo Spider-Man e, per quanto Peter è convinto di non voler fare proprio nessuna domanda al signor Stark, pensa che la sua sia un'idea decisamente migliore di quella dell'altro.
«Mi prende già per matto, quando parlo con voi e pensa che io parli da solo», sospira. «No, andrò a cena con lui e basta. Se verrà fuori il discorso allora ne parleremo, in caso contrario... be', sarà stata solo un'altra cena che non ha portato a niente.»
«Come se fosse la prassi che Tony Stark porti le persone a cena fuori senza un interesse...»
«Lo fa con altre persone, e di questo ne abbiamo già parlato. Io non ho l'esclusiva su di lui!», scandisce, e sente che si sta innervosendo. Alza il polso per controllare l'ora. Manca un quarto d'ora alla cena e dovrebbe iniziare a darsi una sistemata ai capelli, siccome si sono spettinati quando si è di nuovo buttato a tuffo d'angelo su quel materasso comodissimo. «Mi preparo», sentenzia, e si alza, cupo. Ancora di pessimo umore. Ancora spezzato a metà tra ciò che vuole e ciò che non avrà mai. Sparisce in bagno, e vorrebbe solo sparire.
«Perché fa così?», chiede Spidy e Tony alza le spalle.
«Quell'invito a prendere un drink è ancora valido, Spidy!»
La piccola coscienza buona sospira, non prima di averlo fulminato con lo sguardo. «Mi sa che non posso rifiutarlo, stavolta.»
Quando Peter raggiunge il ristorante, l'ultima immagine che gli è rimasta impressa davanti agli occhi è quella delle sue due coscienze che flirtano tra loro, brindando con piccoli calici di spumante, un po' brilli, che gli augurano buona serata e lo cacciano via. Non è normale, non è mai successo, ma Peter ha la sensazione che la sua mente stia generando immagini casuali e inquietanti solo per costringerlo a muovere anche solo un passo in avanti. Non ne ha fatto nessuno da quando è entrato in quella dannatissima Industries e, per quanto la cosa sia frustrante e sa di dover fare qualcosa, alla fine finisce per non fare un accidenti di niente.
Il signor Stark è seduto ad un tavolo, e sta sfogliando il menù. Beve distrattamente da una coppa del vino rosso, senza mai staccare gli occhi dal foglio. Arriccia le labbra, forse per registrare il sapore di quella bevanda e, quando Peter si avvicina, alza gli occhi sui suoi e gli regala un sorriso.
«Ah, Parker! Ben arrivato. Ho già ordinato un antipasto per due. C'è un po' di tutto, così di certo ci sarà qualcosa che piace anche a te, o almeno spero.»
Peter si siede di fronte a lui. Si slaccia la giacca, prima di farlo. Non sa perché l'ha slacciata, ma il signor Stark lo fa sempre, prima di prendere posto. Così, semplicemente, lo imita nel tentativo di sembrare almeno un po' elegante come lo è lui. Solo che si sente stupido e basta.
«Ha fatto bene, è raro che qualcosa non mi piaccia.»
«Sei solo, stasera?», chiede l'uomo, e Peter sussulta.
«Solo? In che senso?», domanda, e iniziano ad accelerarglisi i battiti cardiaci. Li vede? Può vederli? E siccome non ci sono chiede perché oggi è solo? No, non può essere, non può essere che...
«Le tue voci interiori. È tipo la prima volta che ti vedo arrivare senza borbottare qualcosa. Pensavo avessi un grillo parlante nella testa che puoi sentire solo tu», ridacchia, e gli versa del vino, che Peter comunque non berrà. Non gli piace l'alcol. Gli pizzica sulla lingua.
«Ah, sì... be', a volte ho un paio di grilli che mi zampettano sulle spalle. Tipo... la voce delle mie cazzate. Servono a cercare di arginare i danni delle mie scelte discutibili», spiega, con un sorrisetto, ed è felice che anche Tony sia divertito dalla cosa e che no, non lo sta prendendo in giro. Significa moltissimo, in un momento di insicurezza come quello. «Dunque, com'è andata oggi? A me pare bene, no?»
«Meglio di quanto mi aspettassi», ammette il signor Stark, lapidario. Poggia il bicchiere di vino sul tavolo e fa di nuovo quella cosa di arricciare le labbra. Peter fa di tutto per non rimanerne incantato. Sono le cose più semplici, ad attrarlo. Come quando si rigira la penna tra le dita, la lancia in aria, e la riprende senza nemmeno farci caso. Magie, secondo Peter. Irresistibili magie. «Sei ancora insicuro, e non sai parlare col pubblico senza impappinarti, ma la parlantina c'è e le conoscenze anche. Sai parlare, devi solo imparare a farlo in un contesto del genere. Domani andrà meglio, vedrai.»
«È che... sono timido. In più è la prima volta che parlo davanti a così tanta gente. Mi dispiace se le ho fatto fare brutta figura», dice, impacciato, e si morde le labbra. Gli antipasti arrivano e Peter si rende conto di non avere nemmeno più fame. Gli si è chiuso lo stomaco, ora come ora, e vorrebbe solo sentirsi dire che è okay, che non è una variante, ma che è essenziale.
«Nessuna brutta figura, hai detto quello che dovevi. Smettila di farti fisime inutili, Parker. Non nasciamo mica tutti Tony Stark, che non ha mai avuto paura di parlare al pubblico. Ma quella si chiama sfacciataggine, e non è un pregio, se te lo stai chiedendo.»
Peter ridacchia. «Però aiuta.»
«Di certo non è male averne un po'. Non te ne serve molta. Ne basta un pizzico. Mi piace che il mio assistente sia così: umile. Sai che palle due egocentrici, arroganti nella stessa stanza? Almeno bilanci l'equilibrio di umanità. Siamo un'ottima squadra», ammette il signor Stark, anche se Peter ha la sensazione che lo stia dicendo solo per farlo felice e motivarlo a fare di meglio, il giorno dopo. Infila la forchetta in una mozzarella minuscola. Non ha mai visto niente del genere e, con fatica, la infila in bocca e scopre che in verità è buonissima. Tony ride, e Peter sa di aver messo su un'espressione da scemo; la migliore che ha, a quanto pare.
«Allora, che mi dici di te? Hai il lavoro dei sogni e vivi con una zia giovanissima. Progetti per il futuro? Vivere da solo? Trasferirti fuori dal Queens?», chiede Tony. Poggia i gomiti al tavolo, chiude i pugni e ci appoggia il mento sopra, a quanto pare realmente interessato ai suoi progetti futuri.
Peter tossisce e distoglie lo sguardo per un attimo, impacciato. «Be', rimanere alla Industries è un progetto, trasferirmi è un po' più complesso. Sa, zia May è single e anche vedova. Da quando lavoro le do un ottimo sostegno economico e mi sembra il minimo, visto che mi ha cresciuto, dunque per ora resto lì. Non mi va di lasciarla sola», ammette.
«Un nipote esemplare! E la tua ragazza non ti dà del mammone? O ha capito che la situazione è più complessa di quanto possa sembrare?»
«Ragazza? N-no, io non ho... non ho la ragazza. Sono single e il lavoro mi prende un sacco, dunque per ora preferisco dedicarmi a questo: a crearmi un futuro. Lo so, è triste, ma...»
«No, non lo è. Sono predisposizioni. Se non te la senti, non ti devi mica giustificare. Non con me, almeno», sorride Tony, e torna a mangiare. Sembra quasi qualcuno che ha ottenuto la risposta che cercava. Forse voleva solo tastare il terreno nei riguardi della sua fedeltà verso il lavoro, anche se Peter, per un attimo, ha sperato che gli stesse chiedendo se fosse single per altre ragioni.
«E lei? C'è qualcuno che l'aspetta, quando tornerà? È sposato? Ha... famiglia?»
Tony lo guarda. Una guancia gonfia di tartar. Deglutisce e scoppia a ridere.
«Oh, santo cielo, Parker! Ma con chi credi di parlare? Se avessi avuto una famiglia lo avresti di certo saputo dai giornali! Sono o non sono uno dei cinque uomini più influenti del mondo?»
Peter sbuffa divertito e alza le spalle. «I gossip non mi sono mai interessati molto, a dire il vero ma... penso che anche uno come me lo sarebbe venuto a sapere, sì. Dunque è uno scapolo, come me?», chiede, e ha così paura di risultare molesto che vorrebbe quasi dirgli che non fa niente, che non serve che risponda.
«Uno scapolo che aspetta la sua occasione, come tutti. Nel frattempo vado avanti. Chi ha tempo non perda tempo, Parker.» Sorride e Peter è più confuso che mai. Non sa se gli sta dicendo che no, non ha voglia di stare con nessuno o che l'occasione se la vuole creare, e che lui potrebbe essere un buon candidato. Chissà se quel fatto che sia solo, senza nessuno, una persona come lui, non voglia dire che condividano lo stesso disagio nei riguardi della propria sessualità? Non lo sa e non vuole chiederglielo.
Così la serata finisce con discorsi che virano sul lavoro e su consigli sull'autostima che Peter sa che non seguirà mai. E poi, tra una risata spensierata e l'altro, si ritrovano di fronte alla porta della sua stanza, pronti a darsi la buonanotte e dandosi l'appuntamento al giorno dopo, per la conferenza, e poi per il viaggio che concluderà quell'avventura incredibile e strana, che Peter vorrebbe non finisse e allo stesso tempo vorrebbe già essere nel Queens, a tentare di dimenticare Tony Stark.
«Ebbene, eccoci qua. Fine della corsa», dice, con un sorrisetto, e il signor Stark è di fronte a lui: le mani nelle tasche e l'argento vivo nelle pupille castane. A volte Peter spera che quello sguardo lo dedichi solo a lui, ma sa che non è così, solo che gli piace sognare utopie.
«Stiamo davvero andando a dormire, Parker?», chiede l'uomo, e ha alzato un eloquente sopracciglio.
Lo confonde, certe volte. Lo spiazza così tanto che gli toglie il sorriso dalla faccia. Glielo ruba via, lo nasconde da qualche parte, e poi glielo ridà quando decide lui.
«N-non saprei. È quasi mezzanotte, e domani ci aspetta una lunghissima giornata e...»
«Potremmo bere qualcosa e continuare la nostra chiacchierata. Io non ho sonno, e nemmeno tu mi sembri così stanco. Di sotto fanno dei Long Island spaziali, sai?», ammicca il signor Stark ed è così sicuro di sé e della risposta a quell'invito, che lo spaventa. È stata una serata diversa; anche se hanno parlato di lavoro, Peter sa di aver valicato una soglia più personale, quando hanno parlato della loro situazione sentimentale. Tony sembra più tranquillo, quando si rivolge a lui, come se avergli detto di essere single gli abbia fatto scattare un lucchetto nella visione che ha del loro rapporto. C'è una speranza che forse ci sia un interesse. C'è una speranza che Tony Stark stia cercando di conoscerlo meglio, magari per scoprire se è davvero chi crede che sia. Se è il risultato verosimile di aspettative che si è fatto su di lui.
Il cuore di Peter batte forte, e rimane in silenzio per così tanto che il sorriso sul volto del signor Stark diventa meno genuino, annichilito da quell'attesa. C'è tensione, ma anche speranza. Ci sono troppe novità che Peter non è pronto ad affrontare, così abbassa semplicemente la testa e, maledicendosi, si autodistrugge un'altra volta.
«No, io... io preferirei riposare, è stata una lunga giornata, tra il volo e tutto il resto. Magari... magari un'altra volta, okay?», dice, e quando alza la testa e incontra di nuovo gli occhi dell'altro, legge la delusione nel suo sguardo ora privo della luce frizzante di prima. Ha appena rifiutato un invito dal signor Stark e probabilmente è il primo essere umano che ha avuto il coraggio di farlo.
Coraggio... la verità è che non ha accettato per codardia, per paura di alimentare altre fantasie e scoprire poi che no, è solo un invito a bere, da parte di un capo al suo assistente.
«Okay, come preferisci. Allora buon riposo», dice il signor Stark, semplicemente. Esita un istante, e apre persino la bocca per dire altro, poi però la richiude e si volta. Se ne va, e poco dopo entra nella sua stanza, senza lanciargli un'ultima occhiata, quella che probabilmente lo avrebbe convinto a dirgli che sì, accetta. Che vuole. Che sta buttando un'occasione troppo preziosa. Peter scatta e si avvicina alla porta di Tony; alza un pugno per bussare e non ci riesce. La mano si blocca a mezz'aria e, maledicendosi da solo, torna in camera sua. Non accende nemmeno la luce, si butta solo sul letto e sospira stanco.
C'è silenzio. Tanto silenzio. Troppo silenzio. Si guarda intorno e non capisce il perché quella quiete lo spaventi tanto. C'è solo l'eco indistinto delle maledizioni che si sta auto-infliggendo, e che sa di meritare e, soprattutto, la delusione verso se stesso per non aver preso al balzo quell'occasione che di certo non si presenterà mai più.
Si siede sul materasso e raccoglie le ginocchia al petto. Si guarda ancora intorno e poi si rende conto che, nel mezzo di quella melanconia, manca qualcosa.
«Ragazzi?», chiama, a bassa voce, ma nessun Spidy e nessun mini-Tony si presentano sulla sua spalla, a dargli consigli e conforto. «Ragazzi», dice, più forte, ma non succede nulla.
Ora ha paura. Trema e ha una sola consapevolezza: se nemmeno loro sono più lì, significa che ha fatto la più grande cazzata della sua vita e che, questo, gli ha portato via persino la proiezione mentale del suo coraggio e il suo buonsenso. Qualcosa che, in quindici anni di convivenza, non è mai successo prima.
Fine Capitolo III
Note autore:
E ci sono cascata di nuovo: comica? Un par di ciufoli! Lo so, ma è pur vero che la storia doveva andare così, anche se la scena tra Tony e Peter di fronte alla stanza d'albergo doveva essere più comica. E invece non lo è stata per niente.
Anche il fatto che i piccoli stronzetti sarebbero spariti era pianificata, con l'immagine mentale di Peter che dice «Oh, no!» quando lo scopre, e invece tutto quello che tocco diventa angst ç_ç chiedo scusa in anticipo per questo XD
spero di riuscire a completare presto il prossimo capitolo, intanto fatemi sapere se questo vi è piaciuto ♥
Alla prossima,
Miry
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