Shut eye
La sabbia gli schiaffeggiava il viso e il caldo, ormai stabilitosi tra i muscoli del ragazzo, non aveva intenzione di morire.
Gli occhi avevano già sofferto molte visioni, molte di loro sfocate e dall'aspetto invitante, una di queste era stata un'oasi mentre un'altra una carcassa ancora calda di un cammello.
La visione che adesso si mostrava a lui era una città.
Era piccola con a malapena una ventina di case, il suo cuore si chiuse nell'ennesima morsa, uccidendo anche l'ultimo briciolo di speranza che gli era rimasta.
Prima di aprire il vaso di Pandora e lasciarsi morire, si avvicinò a quella cittadina, sperando che almeno l'unica cosa che avrebbe visto prima di morire sarebbe stato qualcosa di familiare, ma falso.
Qualcuno urlò e lui sobbalzò.
Non aveva mai avuto illusioni uditive così forti, stava peggiorando.
«Charlie vieni qui!»
Sentì che qualcuno rispose e quel nome gli fece cedere le ginocchia. Era lo stesso di suo figlio.
Non doveva morire, questo s'era promesso, sarebbe tornato a casa, forse non tutto intero, ma ci sarebbe riuscito.
Si allontanò dalla cittadella, non volendo sprecare quelle poche energie rimastegli per andare verso un'ennesima visione.
Charlie, Charlie, Charlie, quella donna continuava a urlare per attirare l'attenzione di quel portatore di nostalgia.
Sembra la voce di Mia. Mi piacerebbe se fosse davvero lei.
Il suo cervello mostrava i suoi desideri, ne era consapevole, si sarebbe tagliato una gamba pur di sentire ancora quelle voci che prima di partire gli erano sembrate così fastidiose.
Un anno, era via da un anno e ancora sperava che Mia e Charlie e Lara lo stessero aspettando sull'uscio di casa.
Nonostante sia successo che lui rimanesse fuori per più di un anno, non aveva mai rischiato di essere preso dallo sceriffo.
Si grattò il collo, credendo d'avere il segno d'un cappio, inesistente.
Sospirò mentre la città si allontanava alle sue spalle.
Una ferrovia.
Il suo cervello era fritto, decisamente. Nessuno costruirebbe una dei binari in mezzo al nulla, poi si ricordò come funzionavano i treni e che non esistevano solo i porti di sbarco o di carico.
Le gambe cedettero e il cappello marrone mezzo impolverato gli arrivò davanti agli occhi.
Il respiro spezzato, i muscoli che si scioglievano così come i tendini, quella sensazione gli dava una enorme voglia di piangere, non poteva, era un uomo lui.
Gli uomini non piangono, solo le donne lo fanno, le donne aspettano i mariti a casa coi figli, sua madre glielo aveva detto tante volte e lui sperava con tutto il cuore che fosse vero.
Aveva conosciuto un uomo una volta, un certo Rhett Butler, un ottimo signore, abbastanza burbero e molto odiato dalla società. Se non avesse guadagnato tutti quei soldi non avrebbero aspettato due minuti prima di tagliargli la testa o sparargli. Lui gli aveva detto che in realtà le donne hanno la capacità di pensare e alcune di loro hanno anche della personalità, nascosta sotto a tutti quei pizzi e quelle maniere docili. Gli aveva detto che a volte tradivano i mariti e che non se ne pentivano.
Non c'aveva mai creduto, sua moglie, sebbene di pizzi e vestiti eleganti non ne avesse mai visti, non diceva mai niente, lo guardava e sorrideva, quel sorriso lo aveva fatto innamorare; lei non aveva un'opinione sul lavoro, a lei interessavano la casa, la famiglia e che suo marito stesse bene, com'era il dovere affidatogli.
La sua Mia era una brava donna, le mancava.
Strinse le sua borraccia e dopo aver sentito per la tredicesima volta che l'acqua mancava, si accasciò a terra.
Aveva sete, aveva fame e aveva... cosa aveva? Niente, tutto era perduto, il suo cavallo era stato ucciso, i suoi buoi erano stati rapiti. Non gli era rimasto niente se non la pistola scarica, infilata con velocità nel cavallo dei pantaloni e qualche spiccio sporco di sangue all'interno degli stivali.
Dopo aver tossito una decina di volte, sentì come la sua gola fosse simile a quel deserto che lo circondava: arida, dolorante e piena di sabbia.
Non vi erano cactus, se solo vi fossero stati avrebbe strappato le spine a mani nude e avrebbe bevuto, non gli interessava se avrebbe avuto milioni di spine nelle dita. Aveva sete.
Stava morendo, lo aveva capito.
I piedi erano più duri e rappresi della suola stessa, imbrattati di sangue secco e che tremavano, la lingua non aveva più sensibilità e le dita a malapena si muovevano.
Non aveva nemmeno la forza di arrabbiarsi, di intristirsi perché quello che sarebbe dovuto essere un suo compare lo aveva tradito alle spalle sparandogli, e perché non avrebbe più portato da mangiare ai suoi figli, costringendo la moglie a lavorare come un'ignobile sgualdrina solo per ripagare i buoi che gli erano stati rubati.
Ma questo la sua mente non poteva sentirlo, perché il suo cervello, mezzo prosciugato, gli chiedeva solo di avvicinarsi alla città.
Poteva sentirsi implorarsi da solo.
Accettò quella stupida richiesta, non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte in quelle condizioni.
Riuscì a raggiungerla e per cinque secondi si chiese se quella fosse veramente una visione, tutto sembrava così reale, un bambino con un piccolo bastardino tra le braccia gli scoccò un'occhiata stranita.
Capì che non era un'illusione, quando cadde contro un gradino.
Si accasciò a terra, ma fu costretto a rialzarsi dall'odore di cibo che fuoriusciva dalla doppia porta del Saloon contro cui era appena andato contro. Non seppe da dove arrivò l'energia necessaria per correre dentro e sedersi con poca grazia davanti al bancone e ordinare almeno una decina di bicchieri d'acqua.
Avrebbe dormito almeno una ventina d'anni su quel bancone se non fosse arrivato il barista con la sua espressione incazzata che gli aveva sbattuto un calice di birra a due millimetri dal suo orecchio.
Si alzò di botto e sbatté le palpebre un paio di volte.
«Questo non è un albergo» disse lui, la sua voce roca lo stordì ancora di più.
«Che posto è questo?»
«Un posto dove non saresti dovuto venire» rispose un ragazzo basso e biondo alle sue spalle.
«Senti, non voglio problemi ok? Non ho intenzione di far arrabbiare nessuno, voglio solo sapere dove sono» disse nuovamente sulla difensiva.
«Questo posto è un problema, devi andartene» il biondo lo fissava da quei tre centimetri più bassi, il suo sguardo era magnetico.
«In che senzo?» chiese nuovamente, mentre l'accento si faceva più vivo, l'acqua stava facendo il suo effetto.
«Nel senso che devi 'nartene. Hai fatto male a venire qui» aveva un inglese strano quel... gli sembrava un ragazzino, giovane e bello, ma dalla voce non ne era sicuro.
«Cosa c'è che è tanto pericolozo? Eh?» chiese, era stanco e voleva solo dormire, l'adrenalina dell'essere vivo era stata sorpassata dal bisogno di mangiare e dormire.
«Questa città è male... maledetta, qui ci sta il Demonio. Se non vuoi stare qua per tutta vita tua io andrei via» gli disse, prese un bicchiere di whiskey e se lo portò alla bocca.
«Ah-ha! Quindi qui ci starebbe il Demonio, non credo nelle maledizioni, mi spiace per te.»
La pelle ancora sfrigolava a contatto con qualsiasi cosa, e appena il ragazzo lo fece girare con prepotenza verso di lui, poté sentire il dolore più acuto che avesse mai provato in tutta la sua vita.
Il ragazzo aveva una grande cicatrice sull'occhio e sebbene gli desse un'aria molto matura, lui si rese conto della realtà che era: un ragazzino molto giovane, sui diciannove anni. Nella sua città sarebbe già stato sposato, magari con la moglie già in attesa.
«Qui il Demonio ci sta dav'é. Oggi passa un treno dopo l'ora de pranzo, se non lo prendi tu la tua anima sarà per sempre legata a questo posto. Se vuoi tornare da tua moglie... o dalla tua amante, devi prendere quel treno, solo un persona può pigliare a quel treno» e prima che potesse domandare altro aggiunse: «una. Persona. Sola. Questo è il gioco».
Si ritrovò a correre come un forsennato dietro a quel treno, sei persone gli erano accanto, pochi di loro erano giovani abbastanza da tenere il passo.
Non aveva mai corso dietro a un treno, ma la mattina prima aveva dormito tutto il giorno per avere le forze di correre, aveva mangiato e si era preso dell'acqua per lo sperato viaggio.
Il ragazzino non c'era, lui era già stato dannato a quanto pare.
Corse come non corse mai in vita sua, aveva il Diavolo alle calcagna e la Salvezza dinanzi, non poteva perderla.
La fronte imperlata di sudore e la lingua di fuori, la schiena spostata in avanti e gli occhi più brillanti di una luce più desiderosa di quanto mai avesse desiderato sua moglie.
Erano rimasti in tre e lui era in testa al gruppo, non si azzardò a guardare indietro. Le sue mani avrebbero sfiorato la carrozza del treno se qualcuno non lo avesse tirato indietro.
Rischiò di cadere un paio di volte, ma con qualche falcata più poderosa riusciva sempre a rialzarsi.
Erano in due ora e nessuno dei due voleva morire, desiderò avere qualche pallottola nel caricatore, ma qui l'unica possibilità era correre più veloce.
Il ragazzo si lanciò e si attaccò al treno, diede un calcio si spinse all'interno della carrozza piena di coperte.
No no no no no no no no no, si ritrovò a urlare nella sua testa.
Si aggrappò al treno come aveva fatto il ragazzo prima di lui, ma questo prese un tappeto e glielo lanciò addosso.
Il colpo gli fece abbandonare la presa.
Non aveva mai odiato il terreno come mai prima d'ora.
Urlava e scalciava come un bambino, il desiderio di rifugiarsi sul grembo di sua madre fece capolino nella sua testa.
Non riuscì a piangere, continuò a correre seguendo i binari mentre lo pregava di fermarsi.
Quando si rese conto della cruda verità, cercò d'urlare qualcosa, qualsiasi cosa solo per potersi svegliare, ma la voce non usciva.
«Sono all'Inferno» mormorò «sono morto e sono finito all'Inferno». Non poteva credere a una cosa del genere, si era fermato di sua volontà all'Inferno, gli era stata data l'occasione di fuggirne e lui l'aveva persa.
Rientrò nell'incubo, lasciò lì l'arma del mezzo delitto e rientrò con la coda tra le gambe per le strade corte e spezzate e impolverate della cittadella.
Aveva preso una stanza in hotel, gli era stata data gratuitamente, il conto era stato pagato da qualcun altro e lui non aveva nessuna intenzione di sapere chi fosse.
Si era rifugiato al Saloon a soffocare il suo dolore, lui credeva non ci fossero il Paradiso e l'Inferno, sebbene la sua famiglia fosse molto cristiana, si sbagliava. Lui era finito nella parte peggiore.
«Buona sera» si girò.
Una bellissima donna lo guardava con il bicchiere di whisky a mezz'aria.
Il corpo formoso era coperto da un attillato vestito nero, non aveva molti fronzoli come quelli dei proprietari terrieri o dei duchi della sua città, quel vestito non sembrava essere di quell'era, sembrava venir fuori da un altro tempo, troppa pelle era mostrata.
Una... donna facile, mormorò con vergogna tra se e se.
Lui non rispose e continuò a bere, la donna gli si avvicinò.
«Vedo che anche lei rimarrà qui... potremmo fare amicizia, che ne pensa?» la sua voce era melodiosa e un poco roca, sentì le sue dita seguire lentamente il tratto dalla sua spalla in giù.
Rabbrividì e allontanò la donna.
Delle donne del genere sono quelle legate al...al Demonio... pensò con le braccia intorno al proprio torso.
Diventerò anche io una persona maledetta dal Demonio? No no no no no, non voglio, voglio andare a casa. Il bambino che era in lui aveva preso il controllo, sarebbe scoppiato a piangere se la donna non avesse continuato a parlare.
«Saremo tutti qui, per sempre. Quindi tanto vale iniziare subito con le amicizie, non crede? Vuole parlarmi di qualcosa? Di sua moglie? I suoi due figli? Mi spiace che non potrà più vederli. Magari verranno a cercarla ed entreranno anche loro qui. Potremmo divertirci qui tutti insieme» la donna sembrava davvero supporre quelle cose. Se fosse stato dell'umore normale, si sarebbe alzato e avrebbe urlato e preteso che quella donna se ne andasse.
Quel giorno era finito all'Inferno e all'Inferno ci sono solo persone orribili, sapeva di non essere stato un marito giusto, un padre bravo e un figlio degno, ma non si aspettava che la sua punizione fosse parlare con una prostituta. Se c'era qualcosa che odiava più di Grace Jhonson, la sua oramai ex-vicina di casa, quelle erano le prostitute. Il loro desiderio era rovinare i matrimoni portando gli uomini nelle loro stanze con la loro magia.
Non si alzò, rimase lì, come una salma troppo calda per essere morta realmente.
La donna parlava e lui guardava solo le sue labbra rosse muoversi sempre più lentamente, fino a fermarsi.
Lei ridacchiò e prese il bicchiere d'acqua che il barista gli aveva passato, glielo prese dalle mani facendo toccare le loro dita. Lui scosso dai brividi di disgusto stava per alzarsi e andare a dormire.
L'acqua divenne vino appena quella la fece girare per pochi secondi.
Il terrore lo prese alla sprovvista. Stava parlando con il Demonio, esso camminava per la città e distruggeva anime, l'aveva toccato, gli aveva parlato e lui aveva ascoltato le sue parole.
Il suo respiro gli si fermò in gola non appena notò il colore dei suoi capelli: rossi. Come aveva fatto a non notarlo precedentemente?
Non riusciva a respirare, cadde dalla sedia e la donna allungò la mano verso di lui, che si scostò lanciandosi verso la doppia porta.
«Non avere paura, possiamo essere ... amici...» la sua voce era talmente dolce da sembrare sciroppo, le intenzioni erano fuoco.
Corse fuori, rovesciò un tavolo con delle carte, qualcuno brontolò e altri urlarono adirati, ma il terrore è molto più forte della rabbia.
Si rifugiò in hotel, dove chiuse la porta con un tonfo e si lanciò sul letto, ancora tremante.
Il suo respiro era spezzato e i muscoli scossi da spasmi, i capelli attaccati alla fronte e l'iride si era divorata la pupilla.
Si ritrovò per la prima volta a pregare, non l'aveva mai fatto per sua spontanea volontà, ma in quel momento le ginocchia gli divennero di un rosso acceso nonostante gli strati di vestiti.
Volle farsi un bagno per calmare i brividi, ma era terrorizzato all'idea che quella Donna entrasse senz'avviso nella sua camera.
Cuore palpitante e polsi tremanti rimase a pregare fin quando il sonno non prese il sopravvento.
Due tocchi.
Due volte delle nocche avevano battuto sulla porta.
Due miseri tocchi gli avevano cambiato la vita.
Il sonno era stato distrutto da quei due miseri tocchi.
Era lei, era venuto e prenderlo, voleva portargli via l'anima.
Non osò muoversi, ogni singolo muscolo era congelato, non osava tremare, tratteneva il respiro con gli occhi spalancati.
Non sentì altri rintocchi, ma sapeva che qualcuno era dietro alla porta e non aveva intenzione di andarsene, non aveva il coraggio di dormire, non aveva il coraggio di fare niente e mentre la sua pelle diventava blu e sentiva i suoi occhi esplodere, qualcosa scattò.
Un colpo di tosse per niente accidentale.
«Hai visto il Demonio vero? Hai visto... Lei...» era una voce maschile, giovane, ma questo gli fece rizzare tutti i peli del corpo.
Osò respirare, poteva essere lei sotto false spoglie, non rispose.
«So che l'hai vista... molto probabilmente ci hai parlato, ma non devi preoccuparti, per ora. Vi siete toccati... intimamente intendo?» continuò la voce oltre la porta. Il suo corpo rimase fermo, la sua mente fissa su quella specie di insulto. Come osava pensare che subito dopo essersi reso conto che non sarebbe potuto tornare a casa, il suo posto felice, il suo primo pensiero sarebbe stato tradire sua moglie? Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, aprire quella porta, urlare e poi chiudergliela in faccia; il suo corpo non si mosse e la sua coscienza minacciava di bastonarlo se solo avesse osato.
«Bene, non lo hai fatto... ora fammi entrare.»
Silenzio.
«Posso aiutarti, Lei aspetta almeno tre giorni e poi prende loro l'anima. Questo è il tuo primo giorno qui, puoi ancora uscirne.»
Terrore.
«Vuoi essere torturato?» lui negò da sotto la coperta.
«Scommetto di no, Lei vede, molto probabilmente sa di noi, potrebbe allievare d'un poco le tue pene se mi rifiuterai, ma se riuscirai a scappare potrai tornare da tua moglie.»
Doveva essersi appoggiato alla porta, perché la sentiva cigolare.
I suoi mormorii finirono.
«È la tua unica occasione, non ho intenzione di chiedertelo ancora. Vuoi scappare?» quando non sentì risposta aspettò qualche secondo, il cigolio aveva cessato. Si lanciò verso la porta e l'aprì. Il biondo era a mezzo passo da lì.
Ti prego, fa che accetti, anche se l'ho respinto. Pregò al suo ego.
Il diciannovenne gli si avvicinò, lui si allontanò.
«Lo vuoi fare davvero?» lui annuì poco convinto, il tremolio trattenuto si mostrò aumentato di dieci volte.
Entrò nella stanza e si guardò intorno «chiudi la porta» disse e lui obbedì.
In quella povera stanza d'hotel non vi era niente, il letto disfatto e una cassettiera con della carta straccio poggiata sopra.
«Te l'ha pagata Lei vero?» anche se non rispose, il biondo intese ugualmente.
«Ovvio, è una tra le migliori» spostò le coperte dal letto e vi ci si sedette sopra.
«Vuoi vedere tua moglie, vero? Hai figli?»
«Sì, sì... due» la voce era spezzata.
«Bene, dove abitano?»
«A... Atlanta» poté vedere una strana luce nei suoi occhi blu.
«Mai vista, sembra bella» continuò a fissarlo dal letto con i suoi occhi magnetici.
«Sì... lo è... molto.»
«Domani posso portarti via di qui, però devi darmi qualcosa in cambio. Io sono già dannato quindi non posso andarmene, ma le cose qui possono rimanere» disse deciso.
«Davvero? Grazie, sei gentile. Non ho molto, posso darti il... mio... la mia pistola. È scarica, però magari c'è qualcuno con dei proiettili qui. O-oppure i miei vestiti, le mie scarpe e il mio cappello. Ho... degli spicci, però non sono tanti...»
«Taci» la pelle d'oca aumentò.
«Non sono interessato alle tue cose, voglio solo una cosa.»
«Cioè?»
«Sesso... tu e io. Su questo letto.»
Per un momento sentì di star svenendo, il disgusto lo prese alla sprovvista e rischiò di farsi venire su tutto l'alcool che aveva ingerito.
«Cosa...?»
«Hai sentito: sesso» disse di nuovo con il suo tono autoritario.
«Ma... posso darti altro, perché poi, siamo due maschi noi, è disgustoso» disse stupefatto.
«Ti ho detto che voglio del sesso. Io sono un Dannato, qui lo siamo tutti, questo è il posto più simile all'Inferno, qui tutti abbiamo ucciso qualcuno. Voglio avere delle soddisfazioni per una volta. Mi rifiuto di fare sesso con chiunque altro, ci ho provato, ma sono tutti disgustosi, troppo vecchi o pazzi, non voglio morire solo per del sesso.»
«Non siamo morti?» la sua mente era troppo disgustata da tutto il discorso che aveva fatto il biondo, riusciva solo a registrare quella frase.
«No, siamo dannati. Questo è l'Inferno disponibile anche agli Innocenti, in molti sono finiti qui, ma gli Innocenti hanno la possibilità di morire, per questo non ne vedi. Le Sue torture sono troppo» i suoi occhi dicevano la verità, non sembrava spaventato.
«Da quanto sei qui?»
«Troppo, per questo voglio fare sesso, non ho più toccato qualcuno da quando sono qui.»
«Mi rifiuto, puoi pure andare» si avvicinò alla porta, ma si fermò con la mano a pochi centimetri dalla maniglia.
«Non è vero, tu vuoi accettare, vuoi vedere tua moglie, i tuoi figli che saranno costretti a lavorare troppo giovani perché il loro stupido padre non ha saputo rincorrere un treno. Se non fossi disperato quella porta non si sarebbe mai aperta» era vero, lui si odiava così tanto perché era vero, era un vigliacco, era spaventato da quell'atto demoniaco, ma voleva la sua famiglia e sebbene fosse disgustato, il cuore per una volta vinse contro la ragione.
«Va bene.»
«Hu-uh?»
«Facciamo questo schifo» non voleva piangere, non poteva, non doveva.
Eppure era lì a trattenere le lacrime e con il respiro tremulo. Il biondo si alzò e andò verso di lui.
«Non ti aiuterò una seconda volta, se attraverso quella porta tu avrai perso tutto.» la sua mano sfiorava la maniglia. Gli prese il polso e lo spinse con forza e brutalità sul letto vicino.
«Taci, stai zitto, stai zitto, stai zitto. Facciamolo se è proprio quello che vuoi, se il solo modo per andarmene è farti sfruttare il mio corpo per i tuoi ributtanti desideri, lo farò. Ma tu devi farmi uscire di qui» gli spinse sul letto le spalle, sperando di fargli male e convincerlo ad accettare qualche suo avere.
Il biondo non disse niente e sorrise, era un sorriso dolce e gli ricordava tanto quello di Mia, sentiva le sue braccia cingergli le spalle, perché sembrava così tanto Mia adesso?
Improvvisamente tutto il suo corpo sembrava molto simile a quello della moglie, anche lui era biondo e aveva gli stessi occhi magnifici e neri, e lo stesso viso fragile, senza imperfezioni.
Sfruttò quella somiglianza per immaginare la moglie al posto del biondo.
Si svegliò quando il sole era appena salito, sentiva le membra più tranquille, tutto il suo corpo era in pace, appena sentì un rumore al suo fianco il sangue gli si gelò nelle vene.
Girò lentamente il capo, il biondo era ancora al suo fianco. Il ricordo di quella notte lo colpì con uno schiaffo, ricordò tutto, si alzò di scatto nonostante il calore del letto era molto invitante.
Gli si avvicinò e osservò il suo viso e la sua grande cicatrice sull'occhio, gli guardò il collo e notò un nero segno, quello che si vedeva ai cadaveri d'impiccagione. Un segno dei Dannati, suppose.
La sua pelle bruciava leggermente, questo gli ricordava come il biondo avesse voluto toccarlo ovunque, qualsiasi parte del suo corpo era stata toccata più e più volte da quel diciannovenne, doveva davvero essere in astinenza se quella era stata la reazione, cercò di giocarci su, ma la verità è che si pentiva di tutto quello che aveva fatto.
Era stato sia un cliente che una sgualdrina quella sera, ma poi ricordava la sua famiglia che lo attendeva e a quel punto cercava di sorridere e convincersi che l'avrebbe aiutato davvero.
In quel momento che un dubbio sfiorò la sua mente: che quella fosse solo una strategia?
Sperava con tutto il cuore che quel dubbio si rivelasse errato. Stanco d'aspettare lo svegliò tirandogli una scarpa sul viso.
«Buon giorno» mormorò quello, senza dar conto alla scarpa accanto al cuscino «stai bene? Ti sei divertito?» gli chiese prima di arrivargli alle spalle e cingergli il bacino.
«No. Ora dimmi come posso andarmene» disse di tutta risposta e staccandogli le braccia dal suo corpo «la tua ricompensa è stata data, non toccarmi!» gli urlò.
«Ok. Ok, non c'è bisogno d'esser tanto burberi» la sua voce era civettuola, il ragazzo era soddisfatto.
«Bene, ora vestiti, devi dirmi cosa fare per andarmene da qui. Se mi hai mentito giuro che-»
«Alt! Va bene così -s'infilò la maglietta- sono una persona di parola, ti farò uscire da qui. Io posso dirti come fare, ma sei tu quello che deve riuscirci, se non ci riuscirai, la tua anima sarà per sempre legata qui. Anche se non mi dispiacerebbe» erano entrambi vestiti nello stesso modo della sera prima, entrambi erano marchiati d'avventura notturna e i loro capelli non avevano intenzione di starsene buoni.
Scesero le scale e il biondo lo portò dietro al Saloon.
«Vedi quel punto là, poco avanti più, quello dei binari?» ecco che il suo accento si rifaceva vivo.
Lui annuì, il ragazzo dalla cicatrice gli passò uno specchio.
Prese un bastone e lo piantò per terra.
«Quando il sole sarà esattamente in questo punto, né un secondo di più né uno di meno, potrai vedere attraverso lo specchio un treno sui binari, devi salirci sopra esattamente quando passa quella curva, ti sembrerà di saltare nel vuoto, ma lì se hai beccato il tempo, ci sarà il treno» era una spiegazione difficile, ma riuscì ad accontentarsi, avendo capito che le spiegazioni del biondo sarebbero finite lì.
Era rimasto ben due ore seduto al caldo cocente per non perdere nemmeno un movimento dell'ombra del bastone piantato nella sabbia, ancora poco e quell'ombra si sarebbe mossa nel punto stabilito, si era messo a pochi metri dal punto in cui sarebbe dovuto saltare per avere la rincorsa di farlo. Si pentiva di essere stato al sole tutto quel tempo? Abbastanza, la paura di non avere le forze per correre lo stavano divorando vivo, ma oramai mancava poco allo scoccare del momento sperato, si alzò e scrollò gli arti.
Qualche minuto e tutto sarebbe finito.
«A mai più» sobbalzò per la sorpresa, il biondo era dietro di lui e gli stava porgendo una borraccia piena d'acqua, che tracannò per metà in un paio di secondi.
Gli prese il colletto della camicia sporca e gli scoccò un bacio, più uno sfregamento di labbra, per la prima volta non ebbe una reazione disgustata, era talmente eccitato dalla possibilità di andarsene che se anche quel ragazzo si fosse svestito, non avrebbe fatto alcuna differenza.
«Vedrai cose, appena salirai sul treno, alcune ti inseguiranno, altre ti guarderanno. Ignorale a loro ok?» gli disse ancora a qualche centimetro dalla sua faccia, lo allontanò.
«Va bene, ora devo andare, non salutare nessuno da parte mia.»
«Ok» gli sorrise ancora una volta, ma questa volta era un sorriso che voleva essere tirato di più, ma veniva costretto a rimanere un sorrisetto simile a quello della moglie, gli occhi erano tirati verso l'alto. Aveva una voglia matta di sorridere, glielo poteva leggere in faccia, ma non disse niente.
L'ombra si spostò, così come lui, che tirò fuori lo specchiò e andò nel punto stabilito.
Un treno apparve nello specchio ma non sui binari, gli tremavano le ginocchia dall'agitazione, corse per qualche metro e sentì qualcosa corrergli dietro, era una polvere rossa. Tutto il cielo divenne rosso, ma lui continuava a correre, il respiro gli si fece più goffo e un ginocchio gli cedette. Continuò a correre, si lanciò nel vuoto.
Per qualche nano-secondo non sentì niente sotto di lui, poi sbatté la faccia, poi il busto, dopo le cosce e infine gli stinchi contro qualcosa di metallico.
Si sedette e guardò la grande polvere rossa continuare a rincorrerlo, sentì un urlo di donna, lui rimase con gli occhi spalancati.
Davanti, o dietro, a lui stava il biondo con il sorriso più sadico e terrorizzante che avesse mai visto, sebbene avessero molti metri a separarli, lui riusciva a vedere benissimo il suo viso soddisfatto, tutta la sua felicità la mostrò con una risata sadica, lunga e pazza.
Mentre lui guardava molti segni comparirono sul suo corpo, piccoli ghirigori dal colore blu acceso, mentre si grattava il collo segnato da un segno nero. Lui non se ne accorse e continuò a guardare il ragazzo che rideva e rideva fino a quando la tempesta di sabbia rossa non si dileguò.
La città era scomparsa, ma la risata del biondo risuonava viva per il vento.
Aveva dovuto derubare almeno tre uomini per ottenere i soldi necessari all'acquisto di non uno ma ben due biglietti del treno.
Quel treno avrebbe potuto portarlo via da quella città, ma gli aveva fatto rischiare la galera più di una volta.
Si sedette a terra in attesa del tipico sbuffo di vapore del treno che poche volte aveva sentito, così da poter salire a bordo.
Il piano era semplice: sarebbe saltato giù dal treno e poi avrebbe camminato per qualche miglio per arrivare alla propria città. A casa.
«Buon giorno! Le piacerebbe se l'intrattenessi con dei canti di letteratura classica?» una piccola bambina dalle trecce rosse lo osservava con occhi curiosi ed interessati.
«Non ho denaro, mi dispiace» lei allontanò la scatoletta di latta.
«Per quale motivo?»
«Perché li ho finiti, semplice.»
La bambina con continuava a scrutarlo, entrambi vestiti di stracci e desiderosi di cibo. Allungò la piccola mano ricoperta di lentiggini, lui la fissò per qualche secondo.
La strinse con tutta la poca enfasi che aveva in corpo, troppo stanco dal viaggio. La mano gli bruciò, ma la ragazzina sembrava non rendersene conto.
Si divisero e lui si avvicinò alle rotaie, il treno si avvicinava con il suo macinare sconnesso, notò la ragazzina di prima, era molto vicina ai binari.
il treno si avvicinò e iniziò a rallentare.
La bambina saltò.
Un urlò squarciò quel chiacchiericcio continuo, il silenzio distrutto solo dal suono del treno e da quello delle ossa spezzate.
Il sangue imbrattava le ruote e i volti dei passeggeri erano intrisi in una morsa di stupore, disgusto e sorpresa. Nessuno riusciva più a dire niente, solo un cieco continuava a chiedere alla molto-probabilmente-madre cosa fosse appena successo.
Lui si strinse le braccia al busto, aveva già visto gente togliersi la vita, aveva ucciso ed aveva rischiato di esserlo a sua volta, ma una bambina suicidarsi. Quello assolutamente non era mai successo.
Con il cuore in gola si alzò, in mezz'ora il corpo era stato eliminato e il sangue era rimasto sulla carrozzeria, l'avrebbero lavato a fine giornata.
Dopo esser salito si sedette e cercò di tenere una faccia tranquilla, se si fosse notato il suo nervosismo tutto il suo onore si sarebbe disperso come sabbia al vento.
Mosse lo sguardo e notò quello disturbato di un vecchio uomo poco lontano, le pupille erano della grandezza di una lenticchia, le dita tremavano e strinse le mani tra loro per non darlo a notare.
Scrutava ogni suo piccolo centimetro di pelle come se essa fosse morta e putrefatta, lo sguardo del disgusto, della confusione e del terrore era dipinto sul suo volto, la donna al suo fianco lo fissò stranita per poi seguire il suo sguardo e bloccarsi con la bocca aperta.
I due anziani si lanciarono uno sguardo e notarono come li stesse osservando, si ritirarono repentini.
Le mani erano strette al sedile e le rughe del viso tirate come corde di violino, il respiro tenuto un poco a bada e il pomo d'Adamo tremolante.
Respirò forte dalle narici e i due sussultarono.
Stranito si guardò intorno, ma non notò nessuno, aveva sempre quella strana sensazione di bruciore sulla pelle, ma era talmente stanco che se gli avessero tirato un masso addosso non si sarebbe spostato d'un centimetro.
Si grattò il collo e si rimise il bavaglio stringendolo poco. Da quando era uscito da quell'Inferno il suo corpo continuava a prudere e bruciare.
Leggeri mormorii uscivano dalle labbra di quei due maledetti vecchi. Che si facessero gli affari loro! Non avevano mai visto una persona senza indosso pizzo o velluto?
Si strinse nel sedile e bevve dell'acqua. Il viaggio durò meno del previsto, non vi furono problemi, tutto perfetto.
Che giornata fortunata! Pensò con il sorriso sulle labbra spaccate dall'aridità.
Appena sceso corse fuori dalla stazione, rubò un cavallo vicino e corse verso la via di casa.
Sentì delle urla, ma in stazione si urlava sempre e non ne diede peso.
Non seppe mai che quelle urla erano dei figli della Signora e del Signor Alludy.
Il cavallo correva veloce come il vento, il quale gli passava tra i capelli e gli ridiede la voglia di ridere.
Il cuore ballava di felicità, pura e innocente come... una bambina.
«No!» urlò a sé stesso, non aveva intenzione d'intristirsi per una bambina troppo stupida per capire che i problemi non si risolvevano in quel modo. «No! Basta» si mise la mani libera dalle briglie e si coprì gli occhi, come a voler dimenticare quella scena.
Gli venne il vomito quando all'immagine della bimba sovrappose quella di Charlie, dovette fermare un attimo il cavallo per poi passarsi il polso sulla bocca.
Il suo unico figlio maschio, non doveva succedergli niente. Non lo avrebbe promesso.
Cavalcò per ben un'ora prima di scorgere la città che tanto gli faceva battere il cuore.
Frustò il cavallo con tutta la forza che era rimasta nelle sue braccia per farlo andare più veloce. Respirava come un cane assetato.
«Padre! Papà è tornato a casa!» sentì la voce infantile urlare e strepitare come un puledro in primavera.
Sentì una porta sbattersi e la voce docile che tanto gli piaceva.
«Mia! Mia sono a casa!» urlò con la felicità nel cuore.
Saltò da cavallo e cadde sulle ginocchia mentre il figlio gli correva incontro.
Quanto era cresciuto! Era già un uomo!
Lo strinse al petto e lo lanciò in aria per riprenderlo al volo.
«Sei finalmente tornato! Sono così felice!» disse Mia con la sua solita voce monotona e debole. Lo fece tremare d'eccitazione.
Le schioccò un bacio sulla guancia e continuando in una scia dolce che arrivava alle labbra. Le sfiorò e la baciò.
Adorava la sua timidezza ogni volta che lui la toccava, scappava via ogni volta, arrossiva un po' e poi gli sorrideva.
La prese in braccio e la sollevò sebbene le braccia non avessero più forza.
«Sono a casa.»
«Bentornato» gli disse con un sorriso tirato.
«Papà!» il bambino continuava a saltellare intorno al padre e gli tirava la sacca legata alla cintura.
Mise giù la moglie e si accucciò verso Charlie «ciao pulce». Gli passò una mano tra i capelli affettuosamente.
Entrarono in casa e Mia iniziò a mescolare la zuppa nel contenitore sul fuoco, mentre lui e suo figlio si sedettero sulla sedia a dondolo, Charlie era sulle sue ginocchia e lo guardava con ammirazione, mentre aspettava che il padre gli raccontasse le sue avventure più avvincenti.
Sua figlia era nascosta dietro la porta e lo sbirciava di sott'occhi, lui la vide e le sorrise, per poi ritornare a dare attenzioni al figlio maschio. Colui che sarebbe diventato il padrone di casa se mai uno di questi anni lui non sarebbe tornato a casa.
Mentre guardava sua moglie, intenta a preparare il cibo, la vide passarsi una mano sul grembo e accarezzarlo, come se vi ci fosse un bambino. Eppure era una cosa impossibile, sua moglie mai l'avrebbe tradito, perché lui le aveva dato tutto ciò che una moglie e una madre ha bisogno.
«Ehi, stai bene?» le chiese, facendole segno verso la pancia.
«Sì! Sono solo stanca -sembrò poi ricordarsi altro- e felice. Sono così felice che tu finalmente sia tornato.»
Sbatté un paio di volte le palpebre e gli diede un bacio a fior di labbra, lui la richiamò bruscamente per un ulteriore contatto.
Con ancora suo figlio sulle ginocchia, lui giocava con la gonna marroncina della donna e la lussuria prese il controllo del suo cervello.
Non sapeva se aveva fatto cadere il bambino, alzandosi di scatto, ma in quel momento si era preso la moglie di forza e l'aveva trascinata all'interno della camera da letto.
Ve la buttò sopra ed iniziò a spogliarsi, prima di fare lo stesso con lei.
Stava spingendo dentro di lei da un paio di minuti, lei era muta come sempre e l'unico apprezzamento era mostrato attraverso forti respiri spezzati.
Il suo godimento era alle stelle, in quel momento si dimenticò persino del mezzo-tradimento che aveva avuto "l'ho fatto per tornare da lei" si diceva ogni volta che ci pensava.
I suoi gemiti erano sempre più rochi e a un certo punto sentì qualcosa di bagnato contro di sé e poi un gemito di dolore.
Abbassò lo sguardo e vi era del sangue.
Lui uscì da lei e cadde giù dal letto, la vedeva piangere e muoversi come un'anguilla, in preda al dolore. Corse fuori a chiamare aiuto.
Correva con il fiato spezzato per tutta la strada, per un kilometro i suoi piedi si mossero alla velocità della luce alla disperata ricerca di un medico.
Eppure non lo trovava, perché non era al solito bar di sempre? Perché l'unica volta che gli serviva realmente non era lì? Perché?!
Arrivò alla sua casa e lo vide attraverso la finestra, bussò disperatamente, come un cane in gabbia che grattava la porticina di metallo tentando d'uscire.
«Cosa volete?» gli chiese stizzito.
«Mia moglie. Perde sangue! È dappertutto.»
il dottore corse di sopra e prese in tutta fretta una valigetta, stringendosela al petto lo seguì.
Appena arrivato dinanzi casa, sentiva nuovamente le gambe tremanti, come se fossero sfilacciate e non potessero rimanere ferme al loro posto.
«Dov'è?»
«Camera... da letto...» la sua voce era flebile e spezzata e si ritrovò con le mani in preghiera.
L'angelo vestito di bianco entrò in quella camera, lui s'aspettava di vederlo schizzare verso Mia, tanto che glielo urlò, eppure lui rimase fermo.
Si avvicinò lentamente a lei e le prese il polso, guardò poi il suo orologio da taschino.
«La salvi! Che cazzo vuole fare con quell'orologio?!» il dottore non lo ascoltò, poi si girò verso di lui.
«Sua moglie è morta è morta alle 12:57, a causa di un aborto spontaneo. Mi dispiace, ma non c'è più nulla che possiamo fare. Né per Mia, né per il bambino» spiegò.
La sua voce era gelida, eppure vide due grosse lacrime scendere dai suoi occhi.
Non riusciva a formulare niente, solamente un dubbio lasciò le sue labbra.
«È stata colpa mia...?» e il dottore capì.
«No, semplicemente avete scelto il momento sbagliato» gli disse con voce tremula.
Corse fuori e nel farlo sbatté sua figlia, in lacrime, contro la pentola di metallo rovente, ma lui non se ne interessò e corse fuori, saltò sul cavallo e corse via. Aveva bisogno di pensare.
Vent'anni.
Erano passati vent'anni dopo l'ultima volta che aveva visto la sua famiglia e soprattutto la sua città, perché era stata attaccata dalle truppe del Nord, un paio di negri armati avevano distrutto tutto, comprese le vite degli abitanti.
Quando aveva visto le macerie da lontano, aveva capito cosa era successo e non si era nemmeno disturbato nel vedere se vi fosse qualcuno vivo.
Da quel momento aveva continuato a viaggiare finché il cavallo non moriva, molte volte aveva implorato il cielo di ucciderlo, eppure mai era successo.
Tanto aveva vagato e troppe disgrazie aveva visto, non passava più di una settimana senza che vedesse un uccello morire lentamente dopo essersi schiantato, oppure una donna piangente vedere il proprio figlio venir divorato dagli avvoltoi. Eppure lui mai aveva fatto nulla per impedirlo, perché aveva visto il Demonio e quello lo aveva lasciato libero, aveva visto il lungo segno nero sul collo dei Dannati ed era scappato grazie ad un Angelo.
E se quell'Angelo lo aveva salvato, voleva dire che ora doveva solo vivere la sua vita, in disgrazia o meno.
I suoi segni s'illuminarono di nuovo ed il suo collo ricominciò a prudere, ed eccolo lì: un uccello dalla testa sfracellata lo guardava con i suoi occhi vuoti.
Lui rimase lì a guardarlo, e non guardò mai la sua pelle, né il suo collo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top