L'Avviso

Il giorno dopo lo rifeci. Gridai sui tetti, sulle panchine, sui davanzali delle finestre e perfino sulle siepi nei cortili. In varie città. Ancora e ancora per quasi una settimana. Quella sera avevo semplicemente vagato nei boschi ballando. Poi, Bill mi aveva dato i primi ordini. «Avvisa tutti. Continua a farlo per una settimana. Poi, alle tre e quaranta del mattino in punto, passa per tutte le case di questo paese e lascia una goccia di questo.» Mi diede un secchio pieno di quello che sembrava inchiostro e una piccola siringa. «Solo una goccia. Niente di più, niente di meno.»
Alle tre e trenta mi svegliai e per dieci minuti aspettai. Alle tre e quaranta passai per ogni casa e, vicino alla porta, lasciai una goccia di quel liquido, che poi si scoprì essere sangue. Ma il giorno dopo nessuno se ne accorse. L'unica fu una bambina, che si chinò a tentare di raccoglierla. La madre le venne vicino e disse: «Lascialo stare, è probabilmente del sangue di un uccello mangiato da un gatto. Sarà infetto.»
«Bene, bene, bene. Nessuno se n'è accorto, vedo. Proviamo qualcosa di più inquietante.»
Mi impose di scrivere davanti a ogni casa un sorriso di sangue con la scritta «WATCH OUT». Poi alle tre avrei dovuto suonare i campanelli di tutto il vicinato. Avrei messo la stessa cosa davanti alla mia casa per non risultare sospetta.
Quello sì che spaventò tutti. Il mattino dopo circolavano molte voci sul conto di ciò che loro chiamavano «l'Avviso»: alcuni dicevano che lo avevano scritto gli UFO, altri che era opera di demoni, altri ancora che era solo opera di qualche ragazzino che voleva disturbare la quiete pubblica.
La polizia arrivò a indagare, ma non trovarono tracce né prove.
Ogni notte le cose peggioravano: la seconda notte c'era il disegno di un omino morto, la terza c'era un triangolo con un occhio sopra il cadavere disegnato, la quarta «TRUST NO ONE. BE CAREFUL.»
Dopo giorni, la polizia trovò il colpevole... ma arrestarono quattro ragazzini sui sedici anni che nemmeno conoscevo.
«Hey, perché hanno arrestato loro?» Sulla loro faccia si leggeva sgomento e paura. Uno piangeva.
«Secondo te? Perché loro sono i colpevoli!» mi rispose un vecchietto.
«Questi giovani di oggi, non sanno combinare altro che guai!» replicò un signore.
«Li ho costretti a dire di essere stati loro» mi sussurrò Bill. «Non potrei mai lasciare andare la mia marionetta così...» riprese accarezzandomi il viso. «Sai, anche loro possono vedermi. Per questo hanno paura.»
«Ma... vedono anche le corde?» chiesi sollevando una corda azzurra brillante legata al mio braccio sinistro.
«Sì.»
«Ah beh, allora ci credo che hanno paura. Ma com'è che loro ci possono vedere e gli altri no?»
«Gli ho dato una specie di permesso. Sai, la maggior parte degli umani non può vedermi perché a loro sono invisibile. Uno schiocco di dita e loro sono riusciti a vedermi. Avresti dovuto vedere le loro facce!» Proseguì raccontandomi di come li aveva obbligati a mentire, mentre i sensi di colpa crescevano dentro di me. Ma non potevo contraddirlo.
«Ma se stavi controllando me, come hai fatto ad andare da loro?»
«Quante domande. Non è una critica, ma ci sono certe cose che nemmeno tu puoi sapere, ragazzina.»
«Questa la posso sapere?»
«Hmm... va bene. Mi sono sdoppiato e ho mandato il mio sosia, che comunque ha agito per conto mio, da quei quattro.»
Ci allontanammo dalla folla, nessuno ci notò perché erano ancora impegnati ad insultare quei poveri innocenti.
«Ma ricordati, Cuffiette... tu credi di saper già tutto di me, ma non sai nulla. Né delle mie debolezze, né dei miei poteri. E sappi che ce ne sono alcuni che puoi conoscere già adesso, altri che scoprirai dopo tempo, e altri ancora che non potrò svelarti mai, ma che potrò comunque esercitare su di te e tutti.
Ricordati, nemmeno sai il mio vero nome!»

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