21 ottobre
» Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» prompt: arco
» rating: giallo
» parole: 550
Chichén-Itzá, Messico
La distesa brulla a ovest del sito archeologico sembrava non finire mai.
Il dottor Juarez picchiettava nervosamente le dita sul volante, con il suo fidato topografo al posto del passeggero. Non che nel ventunesimo secolo ci fosse bisogno di uno "scrutatore di cartine geografiche", come lo chiamava Juarez, ma Mandi era un giovane patito dell'universo analogico.
«Prof, altri trecento metri e ci siamo. Potremmo noleggiare dei giubbotti salvavita all'ingresso del sito, non si sa mai...»
«Non fare il cagasotto, Man'. Sei o non sei uno scuba professionista?»
Mandi sospirò. Aveva l'ansia, ma sarebbe morto di vergogna se l'altro l'avesse saputo, o anche solo intuito. «Sì, ma l'acqua dei cenotes è molto calcarea, pesantissima. Per riemergere con l'ingombro delle bombole d'ossigeno sarà un'impresa. Ce la rischieremo, prof, io te lo dico.»
Il dottor Juarez ridacchiò, individuando il punto d'arrivo. Buttò gli occhiali da sole in un punto qualsiasi del Rover e attraccarono vicino a un parcheggiatore abusivo.
Il cenotes di Chichén-Itzá li accolse austeramente, in tutta la sua circonferenza perfettamente sferica. L'acqua di quella piscina naturale era scura, sinistra, nulla a che vedere con gli altri cenotes messicani ― più cristallini e, soprattutto, meglio amministrati e più sicuri.
I due uomini si spogliarono e infilarono con cura le mute da sub e il resto dei gingilli che facevano di loro prima degli esploratori, poi degli accademici. E furono dentro.
Affondarono nell'oscura colonna d'acqua con una rapidità angosciante. Mandi sentiva battere il cuore all'impazzata, ma tentò d'ignorarlo. Sapeva quello che Juarez stava cercando, e non gli piaceva neanche un po'. Da quando il professore di archeologia si era fissato con la teoria che sul fondo dei cenotes giacessero i corpi millenari dei sacrifici aztechi, Juarez era schizzato dalla sua cattedra di Puebla fino a lì, nel "buco del culo mondiale", come Mandi l'aveva ribattezzato.
Le torce ancorate alle loro teste puntarono l'intorno, illuminando strane concrezioni carbonatiche, simili a grotte carsiche sommerse. Il silenzio era irreale. Un vuoto esistenziale e potenzialmente letale, e loro due parevano essere le uniche forme di vita.
Nessuna traccia di fondo, né di cadaveri. Dopo dieci minuti di niente, Juarez, mortalmente deluso, cominciò a fare cenno all'altro di risalire. Mandi sguazzò via di buon grado, e con molta difficoltà riuscirono a riemergere.
Ansimarono sul bordo roccioso del cenotes, ripresero fiato. Mandi tirò indietro i capelli e fece un sorriso incoraggiante al suo professore. «Andrà meglio col prossimo cenotes, vedrai.»
«Ti ho trascinato fin qui per niente.»
«Ma io sono la tua ombra,» Mandi gli afferrò una mano, e la sua pelle, come sempre, contrastò con quella quarant'anni più vecchia dell'altro «ti seguirei pure al mercato di Santa Catarina per comprare i broccoli.»
«Già.» Il dottor Juarez lo baciò, godendo di quelle labbra morbide e devote. Si alzò per sgranchirsi le gambe, quando qualcosa cadde dall'incastro di tubi dello zaino a bombole d'ossigeno.
«Professore, cosa...» balbettò Mandi. La tachicardia prese di nuovo il sopravvento. «Cristo, non ci credo.»
Juarez si abbassò e prese in mano lo strano oggetto allungato e curvo, crepato dal tempo e polito dall'erosione dell'acqua. Alla fine, aveva davvero trovato quello che cercava. Il professore fece un goffo balletto da vegliardo felice, per poi annunciare: «Questo è un arco mandibolare umano! Preparati a una bella borsa di studio, ragazzo mio, ben presto lavoreremo qui.»
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