2 ottobre

» Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» prompt: speranza
» rating: verde
» parole: 425


Moynaq, Uzbekistan



Hakim contemplava la grande distesa di niente innanzi a sé.
Un orizzonte giallognolo, arso da un Sole spietato e allucinogeno.
La pianura salata era popolata da spazzatura, carogne e resti navali talmente ossidati da sembrare bruciati.
L'occhio arrivava fino a una linea lontana e deforme, mossa dall'effetto ottico del calore terrestre.
Pensare che Moynaq, una volta, era bagnata da Aral, il lago transnazionale.
Moynaq era una perla uzbekistana, benedetta da calde acque, flora e fauna lussureggiante.
Poi tutto aveva iniziato a morire.
Le acque del lago si erano ritirate nel giro di poche decine di anni, e la biodiversità estinta dopo una lunga agonia.
Per cosa? Deviare le acque affluenti al lago per alimentare immensi campi di cotone, poi rivelatisi improduttivi.
Qualche politico o capitalista si era reso responsabile del più grande disastro ecologico del Medio Oriente e della crisi umanitaria locale.
Hakim era nato da una famiglia di poveri derelitti, e cresciuto tra i relitti.
Moynaq era una città morta. Soffocante. L'acqua potabile era centellinata, il cibo totalmente importato.
Nel vuoto e desertico ventre di Aral nulla era coltivabile: i reflui delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura e allevamento avevano dato il colpo di grazia.

Eppure, non tutti avevano abbandonato quelle terre maledette.
Famiglie come quella di Hakim continuavano ad arrancare, ad affondare nelle sabbie mobili con un boccale piantato in bocca, a pregare e sperare. Sperare che un dio misericordioso salivasse su quelle terre, che accellerasse il processo di rinaturalizzazione. Questo, infatti, era effettivamente iniziato dopo il divieto ufficiale di scaricare inquinanti in Aral, e la definitiva chiusura degli stabilimenti di cotone falliti. Dopo lo scandalo mondiale scoppiato a seguito dei rilevamenti satellitari su Aral, che avevano rivelato l'inquietante sparizione di quelle acque, una volta immense e profonde.
Moynaq era solo una delle tante disgraziate. A seguito di quella crisi insormontabile, tante altre città dell'Uzbekistan e del Kazakistan si erano svuotate, diventando dei centri fantasma, testimoni della miseria umana autoindotta.

Hakim si sedette sugli stinchi bruciati dal Sole, spazzando con la mano il muretto pieno di calcinacci. Si accomodò per osservare il tramonto di un astro maligno. Immerso in quella luce aranciata, voltò il capo in direzione della Mecca e ripensò a parole profetiche.
Trovò sollievo e conforto nella fede. Gli bastò.
Il suo niente, per lui, era abbastanza.
Perché a quelli come Hakim avevano tolto tutto ancor prima di nascere; avevano tolto l'acqua, il cibo e i fiori, il futuro e ogni altro bene di Dio. Ma nessuno avrebbe potuto togliergli di dosso il suo ultimo, logoro indumento: la speranza.

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