Natale in casa Holmes


La prima cosa che vedo al mio risveglio è il calendario appeso alla parete. Tra pochi giorni sarà il venticinque dicembre, il mio primo Natale da Holmes.

Mi alzo e sbadiglio girando per la camera che mio padre mi ha assegnato di fronte alla sua.

È ampia, ho anche un bagno personale.

Pensare che un anno prima ero un orfano dal nome impronunciabile: Sherrinford. Ma all'istituto ero sempre stato Hayc per tutti, più semplice e sbrigativo.

Mai avrei immaginato che l'uomo più potente della governance, Mycroft Holmes, fosse mio padre e di avere il migliore detective di Londra come zio: Sherlock Holmes.

Mi guardo allo specchio, devo radere quella poca barba che un ventenne può permettersi.

Mi rivedo nel volto della mia fragile madre Virginia. Fu costretta dai genitori a darmi in adozione. La convinsero che il giovane e irresponsabile Mycroft l'avesse abbandonata dopo averla messa incinta. Lui era a Londra sotto tutela dello zio Rudy per imparare, il passare del tempo li divise irrimediabilmente e lui non seppe mai di essere diventato padre.

Mi strofino la guancia misurando la lanugine della ricrescita, mi sbarbo insicuro.

Ero appena maggiorenne quando Virginia, gravemente ammalata, cercò il mio perdono. Contattò Mycroft e gli raccontò tutto. Papà mi rintracciò troppo tardi e non riuscii a darle il mio ultimo abbraccio.

Lo specchio è clemente, ho i suoi lineamenti delicati e gli occhi grigi di papà.

Mamma, ti ho assolto da tempo, so che mi volevi bene.

Scuoto la testa bruna, ho gli occhi arrossati, sarà stato sicuramente il sapone.

Mi butto alle spalle la malinconia, papà mi sta aspettando per la colazione.

Percorro di fretta il corridoio della vecchia magione di famiglia tappezzato di quadri: gli avi Holmes sembrano sorridermi. Scendo le scale di legno levigate dall'uso.

"Ciao, figliolo. Finalmente." Mi arriva uno sguardo severo.

"E dai papà, sono le otto." Sbuffo, afferro una fetta biscottata e rimedio uno schiaffo sulla mano.

"Avanti, incivile, siediti e facciamo colazione come si deve." Brontolo, ma mi piace farlo innervosire.

È elegante: camicia rigorosamente bianca, cravatta di manifattura fiorentina, vestito tre pezzi grigio perlato.

"Devi incontrare Queen Elisabeth? Sei tirato a lucido!" Gli strizzo l'occhio, mentre lo squadro da capo a piedi.

"Hayc, parla a modo." Addenta una fetta imburrata. Lui è British fino al midollo.

"Ho una riunione con il primo ministro." Mi alzo bevendo il tè, lui già mormora.

Obbedisco e torno a sedermi.

"Non riesci a tenere le gambe sotto al tavolo, figliolo?"

"Mycroft, tra poco passa l'autobus, ho lezione."

"Non capisco perché non ti fai accompagnare." Aggrotta la fronte pensieroso.

"Già, all'università con il Bmw nero e l'autista." Sorrido indulgente, evidentemente si sta ancora chiedendo perché voglia andare da solo.

"Ne abbiamo già parlato, papà. Voglio stare in disparte. Sono sorvegliato costantemente."

Non voglio irritarlo, conosco il suo lavoro complicato, ho accettato di vivere scortato per evitare di essere il suo "pressure point."

Lui sospira, si alza e rimette tutto in ordine.

"A proposito, Sherrinford, questo sarà il tuo primo Natale con la famiglia. Lo passeremo dai nonni con parenti e annessi."

Quasi mi cade la tazza che stavo sistemando. "A Natale?"

Lui afferra la scodella prima che rovini a terra.

"Passiamo la sera della vigilia e ci fermiamo a dormire."

La sua voce si incrina. "Non sono ancora riusciti a superare la paura per la tua operazione al cuore." Si ferma e prende fiato. "Abbiamo temuto di perderti, Sherrinford. I nonni ti vogliono accanto." Solleva le sopracciglia, rimango con le mani vuote. Si gira e ripone la tazza.

"Va bene, capisco." Ma vacillo pensando ai parenti acquisiti, non ho mai avuto tante persone intorno.

"Ti piacerà, sarà un Natale...ricreativo!" Asciuga le tazze e mi rifila un sorriso malizioso.

"Acquista i tuoi regali, hai credito illimitato. Accettalo come un risarcimento per tutte le sofferenze dei Natali passati in solitudine."

"Papà, è anche colpa mia se mi sono ammalato lasciandomi andare un po' troppo." La mia voce tradisce il rammarico di essermi perso tra alcol e coca.

Si fa scuro in volto. "Non pensarci, Hayc, il peggio è passato." Strofina le stoviglie con troppo vigore.

Mi strappa un sorriso mentre lo osservo riassettare accuratamente la cucina, nulla è fuori posto. È il solito maniaco compulsivo, ma lo amo così com'è.

Mi avvicino, gli abbottono il gilè. Impassibile, con un mezzo sorriso ironico, sbotta. "Non sono ancora così vecchio!"

"È solo una gentilezza, visto che ti vuoterò la carta di credito." Ride e mi lascia finire.

Usciamo, io agitato per la prospettiva di un Natale con i parenti, lui divertito dalla mia insicurezza. 

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