Capitolo 3. Qui e ora, grazie
Devo dirla sinceramente: appena l’aereo decollò, quasi automaticamente venni pervasa dall’urgente bisogno di andare in bagno.
Non ho ancora la più pallida idea di come la mia vescica si fosse riempita in neanche due minuti, ma so solo che appena il mio sedere toccò il morbido sedile di prima classe, pensai di poter morire.
I miei genitori stavano tranquillamente seduti nei posti di fronte ai miei, e siccome il signor Nelson stava nella classe economica, mi toccava dividere il viaggio con una donna di mezza età che sembrava costantemente essere in preda a delle crisi isteriche appena incontravamo una turbolenza. Come se non bastasse, si era accaparrata pure il posto accanto al finestrino.
Che odio.
Appena ebbi l’occasione di slacciare la cintura di sicurezza, scattai in piedi, e corsi verso il bagno, mentre lo sguardo dei miei mi seguì fino a quando sparii dietro la tendina che divideva gli scompartimenti dei passeggeri. Passai di fronte ad Orazio e facendogli solo un veloce cenno con la mano, affrettai il passo.
Potevo quasi vedere la Madonna e Gesù venirmi in contro.
Andai a sbattere contro una hostess e a testa bassa proseguii. Proseguii, di fatto fino a quando i miei occhi incontrarono quelli del ragazzo di prima. Appena mi vide pensai che fosse sul punto di aprire la più vicina uscita di sicurezza per poi lasciarsi risucchiare dalla corrente.
- Deve essere un incubo-, mormorò infatti. Si era appoggiato di spalle contro la porta del bagno e mi guardò con qualcosa di davvero molto vicino all’insofferenza.
Ero arrivata io per prima. Poteva scordarsi del bagno.
- Una terribile coincidenza-, mi lasciai sfuggire. In tutta risposta mi lanciò un’occhiata truce.
- Coincidenza?-, dal suo tono di voce sembrò quasi che l’avessi insultato, -raramente l’universo è così pigro.-
Mentre alzavo gli occhi al cielo, mi appuntai mentalmente che era una frase davvero ad effetto, e che potevo utilizzarla sotto a un post di Instagram. Avrebbe fatto un bel po’ di like.
- Seh, vabbè-, sbottai.
Dalle sua labbra uscì una specie di grugnito. Incrociò le braccia al petto, mentre notai la dubbia scelta di abbigliamento. Una maglietta oversize con una strana scritta che non riuscivo a leggere e dei jeans slargati. Bah. Maschi.
- Devi andare anche tu in bagno?-
- No, faccio da palo. E’ in corso una rapina di carta igienica-, poi si fece più vicino, come se avesse dovuto confessarmi un segreto, -ma tu non dirlo a nessuno, okay?-
Reprimetti l’istinto di dargli un pugno in faccia.
- Fai delle battute di merda. Anche John è capace di meglio-
Inarcò un sopracciglio. -John?-
- Un mio amico-
- Ah.
Mi appoggiai anche io contro il muro, mentre una ragazza che ci passava davanti, ci guardò in un modo che non seppi decifrare.
Lanciai una fugace occhiata al finestrino di fronte a me.
- Anche tu starai a Paradise Island? O andrai da qualche altra parte?-
- Starò lì-, poi sbuffò, -ma ti fai sempre i fatti degli altri o è oggi che sei partita bene, Irene?-
Quasi non mi strozzai con la mia stessa saliva.
- Come fai a sapere il mio nome?!-, strillai.
Lui assunse la stessa espressione da condannato di prima.
- Tuo padre ha attraversato metà aeroporto urlando “Irene” a squarciagola, e poi hai un ciondolo che cita “Irene”. Non ci vuole un buon livello di deduzione per capirlo.-, fece distogliendo lo sguardo, quasi come se fosse stato preso da un filo di pensieri tutto suo.
Rimasi a bocca aperta. Quel tipo era strano. Ma strano interessante.
- E tu ce l’hai un nome, invece?-, domandai allora, presa da chissà quale movimento di coraggio interiore.
- Ne ho addirittura due: William Sherlock-, mi rispose facendo una specie di smorfia con la bocca.
- Sherlock...è un bel nome. Inusuale. Mi piace!-, esclamai.
- Se lo dici tu…-, e il suo sguardo tornò a vagare tra i visi dei passeggeri. Rimasi incantata da tutta quella strana concentrazione. Da un certo punto di vista, aveva un non so chè di affascinante.
A quel punto l’inconfondibile rumore dello scarico dell’acqua mi giunse alle orecchie. Finalmente.
Mi voltai verso il ragazzo. - Posso dire quindi che non è stato esattamente un piacere conoscerti Sherlock…-
-Holmes. Sherlock Holmes-
E poi fece un gesto inaspettato: mi tese la mano. Ricambiai la stretta.
- Adler. Irene Adler-
Un uomo uscì dal bagno.
Il ragazzo poggiò una mano sulla maniglia della porta. -Devo dire che sei quasi meno sfiancante di Arsène.-
Non capii.
Questa volta fui io a inarcare il sopracciglio. -Arsène?-
- Un mio amico-, e detto questo sparì nel bagno, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle.
Rimasi indiretta per un attimo, prima di realizzare.
L’asociale mi aveva fottuto la mia precedenza al bagno.
E ancora una volta reprimetti la gran voglia di strillare.
***
Il volo era durato qualcosa come sedici ore. Volevo morire.
Mia madre non aveva smesso di lamentarsi, arrivando praticamente a insultare il pilota dell’aereo, come se fosse stata colpa sua che c’erano turbolenze a ogni metro.
Guardai l’orologio enorme dell’aeroporto. Erano le cinque e mezza del mattino.
- Ha dormito, signorina Irene?-, mi domandò a un certo punto Orazio. Recuperai il mio bagaglio e arrancai verso una sedia di metallo. Per fortuna non avevo incontrato quel coglione all’uscita, perchè probabilmente l’avrei preso a mazzate.
Trovarla però, una mazza.
- Qualcosa del genere. Tu?-
- Ho dormito piuttosto bene, ma non abbastanza per non sentire un battibecco davvero molto intrigante-
E le mie guance presero fuoco. Quando mai.
Abbassai lo sguardo sul telefono, cercando di assumere un’espressione di pura nonchalance. -Ah, davvero?-
- Devo dire che quel baldo giovane ha carattere-, continuò incalzante.
- Orazio?-
- Sì, signorina Irene?-
- Fanculo-
Arrivò mio padre mi scompigliò i capelli, prima di porgermi il braccio e trascinarmi fuori dall’edificio, con talmente tanta voglia di vivere che quasi mi scioccò.
Ma quando fummo all’esterno capii perché così tanta veemenza del voler trovarsi all’esterno. Oltre al parcheggio, una distesa di sabbia bianca torreggiava sul pesaggio, mentre il rumore di onde che si infrangevano sulla riva sembravano quasi il sottofondo musicale di un film.
La strada era costeggiata da delle palme, le quali foglie si muovevano a causa della brezza leggera.
Ma la cosa che mi lasciò senza fiato fu probabilmente il Sole che sorgeva al di là dell’orizzonte, colorando il mare di rosa e arancione.
- E’ bellissimo-, riuscii semplicemente a mormorare. Lui mi poggiò semplicemente una mano sulla spalla. Come se confermasse, come se volesse dire che era felice di vedere quello spettacolo mozzafiato con me e con nessun’altro.
Mia madre nel frattempo chiamò un taxi che caricò tutti i nostri bagagli. Il signor Nelson ci fece cenno di raggiungerli.
A malavoglia abbondonai quella vista, e corsi verso la macchina, sistemandomi in uno dei sedili posteriori accanto al finestrino spalancato. Mentre il vento fresco mi scompigliava i capelli, non riuscii a fare a meno di guardare la distesa di oceano che si apriva di fronte a noi. Mi sporsi ancora di più, artigliando le dita attorno alla portiera lasciando che l’aria mi ferzasse il viso.
Il tassista mi lanciò un’occhiata interrogativa, mentre Orazio scrollava tranquillamente le spalle come a testimoniare il fatto che era tutto normale. Fu mia madre a riacchiapparmi dall’orlo dei pantaloni, tirandomi giù.
- Irene!-, esclamò scandalizzata.
Appena arrivati al nostro albergo, sguasciai fuori dalla mia stanza dopo essermi cambiata in dei abiti più comodi e consoni a dove ci trovavamo. Camminai sul lungo mare, mentre alcune persone si allenavano accanto a me.
Mi fermai solo davanti a un piccolo chioschetto di fronte alla spiaggia, intenzionata a comprarmi un bel bicchiere di limonata fresca.
E fu in quel momento che un ragazzo dai capelli neri fece capolino da dietro il bancone. Senza maglia.
Mi guardò esibendo quel sorriso. Quel sorriso che mi avrebbe fatto battere il cuore per molto tempo.
- Ciao. Desideri?-
Desidero morire qui e ora, grazie. Quel che ho vissuto con te mi basta.
Okay ahah. Vi avevo avvertito sul fatto questa cosa avrà un contenuto di disagio davvero epico.
Nel prossimo capitolo avremo una Irene che fa figure di merda. Quando mai.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top