Capitolo 17. Guardate e imparate, tesorucci

Devo ammettere che tenere per mezz'ora Arsène Lupin sulle mie gambe mi ha fatto riconsiderare molti aspetti della mia vita. Aspetti tipo pensare che forse era meglio sistemarmi comodamente nel bagagliaio e scegliere di avere una normale circolazione sanguigna.

Sì perchè, anche se non si direbbe, il bel culo di Lupin pesava abbastanza.

Il motore della Ferrari rombava con forza nelle mie orecchie mentre la schiena del francese era schiacciata contro la mia faccia. Almeno profumava bene. Almeno questo.

Avevo caldo e le mie gambe avevano perso sensibilità. Sherlock intanto teneva gli occhi incollati sulla strada guidando con sicurezza, quasi lo facesse sin da quando era in fasce, il mondo che ci sfrecciava accanto talmente velocemente che riuscivo solo a intravedere le luci lampeggianti del porto davanti a noi. Assurdo, veramente assurdo.

Parcheggiammo di fronte al Black Lotus, letteralmente. La Ferrari frenò con uno stridio di ruote -che mi fece sanguinare le orecchie- davanti all'ingresso del casinò, creando un'entrata in scena da film Hollywood.

Il portiere all'ingresso accorse verso di noi con aria confusa quando vide Arsène scendere con un balzo aggraziato dalle mie gambe, che dopo avermi porto semplicemente la mano, aiutandomi a non volare sul marciapiede, rivolse al ragazzo un ghigno malizioso. La persona in questione fece per aprire bocca e dire qualcosa, ma Sherlock Holmes gli aveva già lanciato le chiavi della macchina con tutta la nonchalance di questo mondo, riservandogli un'occhiata di fuoco.

- Attento con la mia bambina. E' nuova.-, sbottò con tono piatto.

- Bambina?- , domandai divertita quando il portiere si allontanò.

Il mio amico scrollò le spalle, come se con quel gesto avesse spiegato già tutto. -L'ho sentito in un film-

Anche Lupin ridacchiò. I due si scambiarono qualche altra battutina, ma io non li stavo più ascoltando: tutta la mia attenzione era concentrata sull'enorme edificio incombeva davanti a noi. Se alle nostre spalle un'enorme fontana illuminata era alle prese in numerosi giochi d'acqua (che sarei con piacere rimasta a guardare), di fronte a noi una gigantesca scritta corsiva in neon riportava il nome del posto su un cartello piazzato sopra le due file di porte scorrevoli dell'ingresso del grattacielo, mentre invece sul vetro era squisitamente disegnato un fiore di loto di colore nero, omaggiando il nome del locale. Il posto era decisamente affollato, con una fila lunghissima davanti all'entrata costituita praticamente da donne in abiti da cocktail aderenti e uomini in smoking. Notai anche che erano tutti in vestiti firmati che sarebbero potuti costare il quantitativo dei miei organi.

Mi appoggiai con la schiena al corrimano dorato e rabbrividii.

Quel posto era praticamente popolato da gente ricca e nonostante tutto io mi sentivo terribilmente fuori-posto. Le Jimmy-Choo di mia madre mi calzavano a pennello, proprio come l'abitino che a me stava scandalosamente corto a causa delle mie gambe da giraffa. Ero un'altra persona che si stava buttando a capofitto in una faccenda che non la riguardava.

Questo però non lo dissi ai miei due nuovi amici, perchè in fondo, quella specie di indagine mi piaceva. Avevo staccato dalla solita monotonia della mia vita, e in qualche modo mi stavo anche ribellando a ciò che mia madre voleva vedermi essere.

Mi stavo divertendo sul serio.

- Tutto okay?-

Sherlock mi stava guardando dritta negli occhi, e ora che avevo i tacchi, arrivavo praticamente alla sua stessa altezza.

- Sì-, dissi. Mi stavo facendo troppe pippe mentali, rischiando davvero di rovinare non solo il mio umore, ma anche quello delle persone intorno a me.

- Buono a sapersi, perchè Agnès De Givencourt deve proprio entrare in scena-, concluse con cenno. Indicò un omone dall'aria arrabbiata, che doveva essere il buttafuori, e salì l'ultimo gradino, fronteggiandolo.

- Il vostro lasciapassare, grazie-

Io e Lupin ci scambiammo un'entrata allarmata. Lasciapassare? Il nostro piano faceva acqua da tutte le parti, e molto probabilmente tutta la nostra preparazione era servita a niente.

E proprio quando stavo per sbuffare di frustrazione, l'inglese tirò fuori la fish bianca e nera che avevamo trovato nella camera d'albergo di Jonas Caulfield e la mostrò al buttafuori.

- I vostri documenti di identità, grazie-

Era quello il lasciapassare? Sul serio?

Consegnammo i nostri rispettivi documenti falsi con estrema calma (in realtà io stavo mentalmente gridando) e trattenni il respiro mentre l'uomo faceva ballare lo sguardo dalle patenti a noi. Non aveva un'aria esattamente convinta, pensai, un rivolo di sudore freddo che mi scendeva freddo e lento lungo la schiena. Ero sicura che con il quintale di trucco che avevo addosso sembravo più grande di almeno tre anni, ma forse mi sbagliavo. E se mi sbagliavo eravamo nella merda.

Nonostante però tutte le mie previsioni, il buttafuori forzò un sorriso e ci consegnò i documenti, mettendosi da parte per farci passare.

- Buon proseguimento-, disse facendoci un cenno veloce e procedere con le stesse domande a un altro gruppetto di persone.

Non mi sfuggì però l'occhiata che mi rivolse.


***


- Come facevi a sapere che era proprio la fiche il lasciapassare?-, domandai una volta dentro. Il cuore mi batteva ancora all'impazzata dall'episodio di prima, e a stento riuscivo a stare dietro a Sherlock e Arène a causa dei tacchi. Avrei preferito girare scalza.

- E' elementare in realtà-

- William Sherlock Holmes...-

- Va bene va bene-, sbottò alzando gli occhi al cielo, -quando l'abbiamo trovata nella stanza di Caufield, sono rimasto piuttosto sorpreso. Perché la vittima avrebbe dovuto avere una fish da poker tra le sue cose? Il pensiero di ciò mi ha tenuto sveglio tutta la notte, ma alla fine sono giunto alla banalissima soluzione che avrei dovuto intuire sin da subito: quella non è una fish da gioco-

Lupin inarcò un sopracciglio, confuso almeno quanto me. -Potresti gentilmente spiegare come questa fiche non è una vera fiche?-

Sherlock aprì il palmo e ci mostrò l'oggetto più da vicino. -Vedete...ogni chip da gioco ha un numero scritto su entrambe le facce, un numero che indica il taglio di denaro come in una normalissima banconota. Questa, invece, ha solamente un disegno di un fiore-

- E' un comunissimo gettone-, mormorai aggrottando la fronte. Come avevo fatto a non capirlo?

- Esattamente, Irene-, disse il ragazzo, -quindi ho pensato che un comunissimo gettone, come lo hai chiamato tu, doveva avere un suo uso specifico-

- E quindi hai capito che era usato come lasciapassare-, esclamò Lupin.

- Vedete? È elementare-

O sono io quella cogliona, o William Sherlock Holmes ha il QI piú alto di tutti i tempi.

Inarcai un sopracciglio: -Ma come hai fatto ad arrivare al fatto che era un...lasciapassare?-

-Un colpo di fortuna. Prima che ci lasciassero entrare non ne ero sicuro-

- Quindi sei andato a culo-

-Esatto-

Tutto più chiaro, grazie.

Superammo un gruppetto di persone che discutevano animatamente di fronte ad una colossale piramide di bicchieri di champagne pieni fino all'orlo, e io mi sentii come in uno di quei film di spionaggio che mia madre definiva scandalosi per una ragazzina della mia età. Lupin con mano lesta sgraffignò uno dei bicchieri, azione che mi fece quasi morire dato che quell'improvvisata scultura sembrava stare in piedi per miracolo, e se lo portò alle labbra sorridendo con fare furbo. Sherlock roteò gli occhi al cielo esasperato e ci esortò ad entrare nella sala da gioco.

Del jazz riempiva l'ambiente, quasi inudibile a causa del chiacchiericcio e le risate di sottofondo. Superammo lo spazio delle slot machines senza nemmeno darci un'occhiata, e facemmo il nostro ingresso.

L'inglese fece un cenno con la testa verso il tavolo da poker. -L'uomo con gli occhiali che sta puntando è Marcus Davids. Ha fatto il college insieme a Caufield, si conoscevano piuttosto bene-, poi il suo sguardo scivolò dall'altra parte della stanza e lo guardai indicare con il mento un'altra persona. Un tizio dalla barba brizzolata e vestito di tutto punto stava sorridendo languidamente a una cameriera, mentre se ne stava seduto come uno spaccone dietro il tavolo verde della puntate.

- Quello invece?-, mi trovai a domandare quasi a bassa voce.

- Christopher Caufield, il cugino della vittima e il nostro primo obiettivo-

Mi bloccai di colpo. -Volete giocare...d'azzardo?-

Lupin scrollò le spalle con nonchalance. -Dipende dai punti di vista, mia carissima Irene-

- Dai punti di vista-

-Esatto-, concluse lui per poi trangugiare tutto il contenuto della flute tutto d'un colpo. Appoggiò il bicchiere vuoto su un tavolino e passandosi una mano tra i capelli mi fece l'occhiolino.

- Guardate e imparate, tesorucci-

E quelle furono le sue ultime parole prima che si scrocchiasse le dita e fischiettando si avvicinasse al tavolo delle puntate con passo quasi saltellante.

Mi voltai verso Holmes per chiedergli che cosa diavolo avesse intenzione di fare, ma con mia enorme sorpresa (se non si fosse capito non era esattamente così) anche lui si era volatilizzato nel nulla. Mi trovai a fissare il vuoto.

Fantastico. Mi toccherà improvvisare.

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