Capitolo 21

Quando bussai alla porta della stanza di Sherlock, avevo ancora il cuore che martellava in gola in preda a causa della conversazione che avevo appena avuto. Lo Zar mi era sembrato quasi scocciato di darmi asilo, ma sapevo che non me l'avrebbe negato, probabilmente legato a chissà quale accordo con mia madre. O con mio padre. Quello biologico, non Leopoldo Adler. 

Arsène aprì la porta qualche secondo dopo. Mi accorsi che si era cambiato in un gilet a righe scure e in una camicia dall'aspetto appena stirato, bianchissima, in netto contrasto con la sua pelle abbronzata: sembrava uscito da un quadro. Scrutò il mio corpo da capo a piedi e lo vidi deglutire leggermente, prima che i suoi occhi incrociassero i miei. 

Il vestito che avevo indossato per l'incontro di prima sembrava aver fatto più effetto del previsto.

- Irene...-, fece un passo indietro per farmi entrare, -...cos'è successo? Sono passate due ore e noi ci stavamo già preoccupando...-, disse chiudendosi la porta alle spalle. 

Scossi la testa, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio:- Ora racconterò tutto. Sherlock sta bene?-, domandai preoccupata sbirciando nella camera da letto. Ebbi per un secondo l'impressione che il ragazzo fosse rimasto in qualche modo deluso dalla mia domanda. Fece per aprire bocca ma una voce lo interruppe.

- Sto bene e vi sento benissimo-

- Sherlock!-, esclamai raccogliendo le gonne dell'abito prima di correre verso il letto del mio amico. Era steso con una pezza sulla fronte, i vestiti di prima e la schiena su una pila di cuscini. Mi sedetti con un tonfo accanto a lui, appoggiando la mia mano sulla sua. Lui la strinse accennando una specie di sorriso.

Vederlo sveglio mi rese decisamente più tranquilla. L'ultima volta che l'avevo visto era svenuto dopo essere stato preso pugni da un assassino e rischiato di cadere nel vuoto.

- Non sto morendo, Irene-, borbottò. I suoi capelli dello stesso colore dell'inchiostro erano appiccicati alla fronte a causa del sudore, e dovetti reprimere l'istinto di scostarglieli. 

Nella stanza risuonò un colpo di tosse. Mi voltai, trovando Lupin con le braccia incrociate ai piedi del letto che ci fissava con sguardo truce.

Scossi la testa. Certe volte proprio non lo capivo quando si comportava così.

- Sono riuscita a parlare con Yulia-, dissi a un certo punto. Le mie parole provocarono un effetto immediato su Sherlock, che scattò a sedere sul letto stringendo ancora di più la mia mano. Arsène invece inarcò un sopracciglio, appoggiandosi alla colonnina del letto a baldacchino.

Sorrisi leggermente e mi affrettai a raccontare tutto: la reazione della nipote di Volkov e il simbolo sulla lama del pugnale. Ciò che avevo scoperto non era molto, ma era già un passo avanti per le indagini.

- Le hai seriamente dato l'indirizzo del giardiniere?-

- Arsène...-, sbottai alzando gli occhi al cielo.

Holmes nel frattempo si stava massaggiando nervosamente le tempie, gli occhi fissi di fronte a sè.  Aveva un'espressione assorta, la stessa espressione che ricordavo aveva quando cercava di collocare gli indizi nella propria testa, le sopracciglia aggrottate.

- Trova la pietra,

salva la principessa,

suona il chiaro di luna per trovare la chiave,

distingui il falso dal reale- mormorò togliendosi la pezza bagnata dalla fronte con un gesto quasi scocciato, per poi rivolgerci una lunga occhiata, -prima di svenire ho detto qualcosa riguardo una "principessa"...Irene non sei più al sicuro a San Pietroburgo-

Sbuffai. Se la pensavamo così...be', non ero al sicuro da nessuna parte! Lasciare la città poi avrebbe costituito un enorme rischio per mia madre, ancora tenuta chissà dove da Moriarty. Dovevo assolutamente cominciare ad agire: la lettera di Hilde risaliva a due giorni prima, e molto probabilmente, presto sarebbe arrivata anche lei alla capitale. 

(N.A. In uno dei primi capitoli scritti nel 2019 tipo, Irene riceve una lettera da Hilde (che qua è una specie di spia come lei) nella quale le comunica che presto sarebbe arrivata a San Pietroburgo per aiutarla)

Poi Sherlock si sporse verso il comodino accanto al letto a baldacchino, e fu solo allora che notai il carillon che avevo ritrovato nella mia stanza la notte precedente. Prese l'oggetto tra le mani, e lo capovolse, il coperchio appoggiato sulle lenzuola. 

Sbattei le palpebre, quando vidi che tracciava con l'indice su un disegno inciso sulla superficie dorata. Una croce capovolta. Trattenni il respiro, nessuno osò fiatare.

-E' lo stesso simbolo del pugnale. Mi sembrava stranamente familiare-, spiegò il ragazzo. Non poteva essere una coincidenza, no, non lo era mai.

- L'unica cosa che non riesco a capire è come l'omicidio di Volkov e la ballerina si ricollegano a Irene e alla sua...situazione-, borbottò Lupin socchiudendo gli occhi. Scosse la testa e si strinse le braccia attorno al corpo. Avrei voluto abbracciarli e raccontare tutto. Si preoccupavano per me, e io continuavo a nascondere ciò che mi accadeva realmente.

Però aveva ragione. I fanatici boemi e James che volevano uccidermi non sembravano affatto c'entrare con il caso che avevamo cominciato a risolvere. Sospirai pesantemente, attirando di nuovo l'attenzione del francese su di me, che mi scrutò ancora una volta l'abito elegante con fare scettico.

- Dove sei stata comunque?-, domandò per la seconda volta.

Scrollai le spalle: -Nulla di così importante. Lo Zar ha chiesto un'udienza con me, prima-

Persino Holmes sgranò gli occhi: -Nulla di così importante?!-

- Abbiamo solamente parlato della mia attuale posizione e dell'asilo che mi ha offerto. Potrò stare qui ancora per molto tempo, credo.-

- E tua madre?-

- La cercheranno, anche se non penso che queste ricerche aiuteranno molto. E' stata rapita a New York, non nel territorio dell'Impero-

Sherlock e Arsène si scambiarono un'occhiata, una di quelle che solo loro due capivano.  Probabilmente avrebbero parlato di questa faccenda più tardi, senza di me, come al solito.  

Lupin però si sporse verso di me, appoggiandomi una mano sulla spalla. -In realtà c'è una domanda che volevamo farti da un po'...-

Mi irrigidii sotto al suo tocco.

No no no. 

-...la notte scorsa ti ho trovata a vagare vicino la Neva. Qualcuno ci stava inseguendo... ma tu hai trovato una scusa-, continuò il ragazzo fissandomi dritta negli occhi. Mi sentivo in trappola.

"Io ti perdoneró sempre e in ogni caso. Ora ne sono sicuro Irene." questo era ciò che mi aveva detto meno di ventiquattro ore prima per poi baciarmi. Ma lo intendeva davvero? Era solo preso dal momento? 

(N.A. sì okay, a capitolo 9 Irene si incontra con Moriarty in una specie di parco (LOL NON ME LO RICORDO MANCO IOO) e boh. Ars a quanto pare l'aveva seguita e quindi tutti cominciano a scappare e poi parte anche un limone. Rido perchè nulla in sta storia ha senso. PERDONATEMI)

Strinsi i pugni. -Dovevo incontrarmi con una persona...però le cose non sono andate esattamente come speravo.- mi alzai di scatto e mi allontanai verso la finestra. Li guardai entrambi. -Spero possiate capire che...che non posso dirvi ogni cosa al momento. Sono in una posizione estremamente pericolosa e non voglio che nessun'altro si faccia del male.-

- Quindi immagino chiedere l'identità di quella persona sia sperare troppo...-

- Se rivelerò il suo nome mia madre morirà-

Un silenzio quasi assordante riempì la stanza. Nei quattro anni in cui avevo vissuto a New York lavorando per i servizi segreti con Paul e mia madre, avevo raccolto moltissime informazioni su diverse organizzazioni criminali. Avevo scoperto numerosi piani, sventato attentati terroristici, rubato segreti da gente pericolosa. Segreti e piani che appartenevano a Moriarty. Avevo rovinato il suo lavoro di una vita...

Mi odiava e voleva vendicarsi. Non potevo escludere che aveva mandato sulle mie calcagna anche alcuni di quei fanatici boemi. 

Comunque la conversazione cadde lì, senza mezzi termini. Arsène fu il primo a tornarsene nella sua camera. Sherlock si limitò a guardarmi con fare sconsolato prima di prendere un libro dal comodino e cominciare a leggere, senza degnarmi più nemmeno di un'occhiata. 

Tornai anche io nella mia stanza, con un mal di testa assurdo che mi faceva venir voglia di urlare. O scappare. Un po' tutti e due, sinceramente.






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