Capitolo 12. Ricordi

Nel capitolo precedente: Irene si ritrova a passeggiare con Lupin (dopo che lui le ha salvato le sue regali chiappe). Dopo essere tornata al castello, sgattaiola fuori per andare da Paul e riferirgli dell'accaduto con James. Rivela anche del patto che ha fatto: una vita per una vita.

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Qualche anno prima, New York City

Fissai per qualche secondo il cielo nuvoloso della grande metropoli in cui vivevo da un po' con mia madre, con scarsi risultati. Ero circondata completamente da nebbia bianca, così densa che quasi potevo sentirla sul palmo della mano. 

Correva il mese di dicembre, mentre in quel momento io mi stringevo nel cappotto lungo fino alle caviglie, affondando di tanto in tanto il naso nella sciarpa di lana, sperando di riscaldarmi. Le vie erano brulicanti di persone, che camminavano in una sola direzione, quasi come se il loro cammino fosse stato delimitato da una linea invisibile. Tutti tranne che me.

Avanzavo, spinta dal fiume di persone, guardando di tanto in tanto le numerose lucine che tappezzavano le strade, illuminandole praticamente a giorno. E con tutti quegli addobbi mi facevano storcere lo stomaco dall'angoscia. 

Cosa facevano in quel momento Lupin e Sherlock? Si stavano preparando per festeggiare una delle feste più importanti dell'anno? Per qualche secondo mi balenò come un flash davanti me l'ultimo Natale che avevamo trascorso insieme. Tutti insieme alla Shakleton Coffe House a bere una tazza di cioccolata calda, mentre discutevamo dell'ultimo caso, oppure il bacio che mi aveva dato Arsenè davanti alla porta della casa in cui vivevo a Londra. Il bacio che segnava l'inizio di qualcosa, qualcosa di grande.

Era strano. Era strano, non vivere ancora quel giorno con i miei migliori amici. Ma era tutta colpa mia. Mi pentivo di come mi ero comportata con loro, ma non potevo metterli in pericolo. Non me lo sarei mai perdonata se a loro fosse successo qualcosa. Avevo mentito, mi ero comportata come la prima delle persone meschine, e faceva male, molto male. E nonostante ogni cosa speravo mi avessero perdonata.

Sospirai di frustrazione e una nube bianca fuoriuscì dalla mia bocca. Il locale in cui lavoravo non era molto distante, quindi avevo preferito di andare a piedi, come il mio solito fare. Certe cose non cambiavano mai. La neve aveva ricominciato a scendere fitta fitta, e a me sembrò che batuffoli di cotone scendessero dal cielo.

Scossi la testa per scacciare i pensieri e spinsi la porta dell'ingresso. Venni investita immediatamente da un'ondata di calore, dal posto in cui cantavo ogni sera. Socchiusi gli occhi, accogliendo il familiare suono del chiacchericcio di sottofondo e dei piatti e delle tazze che risuonavano come in una coordinata melodia.

- Violet

Puntai gli occhi di scatto verso il ragazzo biondo che si avvicinava con lentezza disarmante verso di me. Sorrisi mordendomi il labbro.

- Gabriel- dissi io a mia volta, mentre lui si fermò esattamente davanti a me e portò le mani sulle mie braccia. Si avvicinò al mio orecchio, e sentii il suo fiato caldo sul collo.

- Mi sei mancata, Maria- biascicò per poi lasciarmi un bacio a stampo sulle labbra.

Mi morsi il labbro. Mi sentivo sporca, sporca dentro. Avevo la netta sensazione di tradire i miei migliori amici con quel gesto. Anche se non riuscivo a capire quella mia reazione. Quello con Paul non era ovviamente il primo bacio e nemmeno il secondo, ma uno dei tanti che ci scambiavamo da qualche anno a quella parte.

Il biondo scrutó per qualche secondo i miei occhi, vedendo che qualcosa non amdava, e io lo conoscevo molto bene per sapere che nonostante tutto non mi avrebbe chiesto come stessi. La reputava una domanda stupida, e io non potevo fare a meno di essere d'accordo con lui

-Greg ha chiesto se tu potevi cantare qualche canzone francese stasera- disse aiutandomi a togliere il cappotto.

Saint-Malo. Prima estate con i ragazzi. La mia prima esisbizione davanti a loro.

- Ehm, certo. Novità dal capo?- domandai allora cercando di ignorare i persistenti flashback.

Il biondo annuì :-Sì, ti vuole parlare proprio ora-

-Ora?!- domandai passandomi una mano fra i capelli corti.

Un senso di ansia misto ad angoscia, mi invase il petto con una velocità inaudita. Se il capo voleva vederci a quell'ora, significava che era estremamente importante, quasi un affare di stato, oserei dire.

Mentre avanzavamo attraverso il locale, sorrisi a un paio di abituali clienti del venerdì sera. Paul, a differenza mia, aveva stampata in faccia, un'espressione serena, come se non sospettasse nulla su cosa avrei scoperto da qualche minuto a quella parte.

Ci avvicinammo con decisione alla porta di legno in fondo al locale. Su essa non c'era nessuna targhetta che identificasse a cosa esattamente portava, e in generale, era praticamente invisibile ai clienti. Paul abbassò la maniglia e mi fece cenno di entrare. 

Sospirai e con le mani nelle tasche del vestito, feci il mio ingresso nel minuscolo ufficio.

Un uomo sui sessant'anni, stava stravaccato su una seggiola dietro la scrivania, girato di schiena a fumare una sigaro, mentre lo sguardo era probabilmente perso a fissare il cielo nuvoloso dietro la finestra.

Sigaro "Toscano", pensai. Ne ero quasi certa, perché Alvin aveva l'abitudine di fumarne due o tre al giono.

-Eccoti qua, Irene- boffonchió alzandosi e venendo nella nostra direzione.

- Buonasera Agente Gallagher- biascicai torturandomi le mani. Paul mi strinse la spalla con fare rassicurante, sorridendomi leggermente.

- Ti ho convocata per parlarti di un affare importante...-

-E' per la missione, vero? So di aver fatto schifo, ma questo è il mio lavoro e-

Non fui in grado di finire la mia frase perché l'uomo mi zittì con un semplice gesto della mano. Socchiuse per qualche secondo gli occhi massaggiandosi le tempie, come stesse soffrendo per qualcosa.

La lampada da olio ci illuminava i volti, mentre la fiamma si muoveva in tal modo di dar l'impressione di star svolgendo una danza. Scossi la testa costringendomi ad uscire da quel improvviso torpore.

-Come dicevo- riprese lui come se nulla fosse -Abbiamo delle informazioni di estrema importanza che ti riguardano- e detto questo mi porse una foto sgualcita ai lati.

Fissai l'immagine. Raffigurava il volto di un ragazzo dai capelli chiari e un sorrisetto affilato stampato in faccia. Era impossibile. Non poteva essere lui...

-Lo riconosci?- mi domandò

Annuii con una nota di incertezza nel movimento.

- Abbiamo avvistato il soggetto prima a Londra, poi a Parigi e infine su una nave diretta a New York la settimana scorsa

Il mio ragazzo strinse la stretta attorno a me. Anche lui ne era certo.

- Mi ha trovata- fu l'unica cosa che riuscii a pronunciare continuando a fissare la fotografia stretta fra le dita bianche.

-Già, cara Agente Adler. James Moriarty ti ha trovata-

Maggio 1976, presente, San Pietroburgo

Mi svegliai di soprassalto. Ancora una volta, pensai. Sentivo il vestito appiccicato come una seconda pelle a causa dal sudore freddo.

Storsi il naso rabbrividendo. Passandomi una mano fra i capelli rossi e arruffati mi guardai intorno: ero ancora nell'appartamento di Paul, il quale dormiva profondamente accanto a me. Teneva un braccio stretto alla mia vita, e pensai che la mia faccia doveva aver assunto una colorazione scarlatta

Sospirai sonoramente e cercando di non svegliare il ragazzo, mi alzai dal letto, dirigendomi verso la finestra.

-Cosa credi che ci faccia là dentro?

Il respiro mi si mozzò in gola, e mi bloccai sul posto, cercando di non fare qualunque rumore. La voce proveniva da fuori la porta d'ingresso.

- Se fossi in te mi asterrei dal saperlo- parlò un'altra persona a quel punto.

Tesi l'orecchio, mentre un fascio di luce lunare illuminava completamente la stanza con un colore argenteo. No era impossibile. Non potevano...

- Sei sempre il solito spiritoso, Sherlock-

Trasalii e al riconoscere la voce dei miei migliori amici sobbalzai sul posto, cadendo all'indietro. Serrai gli occhi dalla frustrazione. Non potevo averlo fatto sul serio...

-Irene!- esclamò Paul nel panico chinandosi su di me.

Grugnii infastidita. Mi faceva male la testa e il tono di voce al massimo di certo non aiutava.

Ma la verità era che avevo mandato tutto all'aria. Me lo sentivo. Ero spacciata e James avrebbe ucciso mia madre.

-Che succede?!- domandò preoccupato Sherlock, mentre sentii un fruscio appartenente al suo cappotto.

Poi un botto, e il rumore di una porta che si schiantava contro il suolo.

Il francese infatti si limitò a non dire niente, e con calcio sfondare l'ingresso. Ero spacciata.

Dal basso guardai il suo petto alzarsi e abbassarsi con irregolarità. Stringeva i pugni, mentre gli occhi neri luccicavano di rabbia. Sembrava voler uccidere qualcuno, ma io continuavo a non capire il perché.

Mi fissava con espressione corrucciata, slittando lo sguardo da me a Paul, che si trovava a pochi centimetri dal mio viso, un sacco di volte. Sembrava voler realizzare la scena che si gli presentava. 

Per la prima volta nella vita percepii la sensazione di starlo perdendo.

- T...tu- biascicò facendo un passo indietro per andarsene, ma venne fermato dal braccio di Sherlock.

Aveva stampata in faccia un'espressione indecifrabile, come quando leggeva il giornale del Times in religioso silenzio.

-Credo sia ora che ci spiegate che diavolo sta succedendo- concluse in tono monocorde.

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SPAZIO AUTRICE

Sono tornataaaa. 

Scusate l'assenza, ma con la scuola e il blocco dello scrittore ho posticipato al massimo ai tempi di pubblicazione.

Con le sue immancabili figure di m. GRANDE! CONTINUA COSI'!!!

Che ne pensate? Secondo voi il momento in cui la Adler dice tutta la verità? 

Chissà se Irene e il biondo smetteranno di farsi trovare in situazioni compromettenti...

CHI LO SA.

Ci si becca nel prossimo capitolo. Vi premetto solo che FORSE subentrerà un nuovo personaggino (MUAHAHAHA) e Hilde cara ritornerà in tutta la sua ocaggine.

SHAUUUU❤❤😜






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