Capitolo 78
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HO REALIZZATO UNA SORTA TI TRAILER PER SHELTER, E MI RENDERESTE DAVVERO FELICE SE LO GUARDASTE E MI DICESTE COSA NE PENSATE. UN BACIO, E GODETEVI IL PENULTIMO CAPITOLO.
Canzoni per il capitolo :
Unbreakable - Benjamin.
Everything I didn't say - 5 Seconds Of Summer.
HARRY'S POV.
L'uomo che ho davanti continua a guardarmi, a fissare i miei occhi così simili ai miei. È come un riflesso; è come se stessi guardando me stesso.
Ma questo non è possibile. E quello non sono io. Non lo sono e non lo sarò.
Non voglio esserlo.
«Harry.» Mormora, la voce roca e bassa, profonda. Dice il mio nome come se non l'avesse fatto per troppo tempo, ma come se avesse voluto sempre farlo.
Mi siedo, lui osserva ogni mio movimento fino a quando sono di nuovo di fronte a lui. Solo questo vetro a separarci.
Lo guardo anch'io.
Una tuta scura si poggia sulle sue spalle grandi, ma decisamente troppo magre per quanto credo sia alto. Poggia le mani l'una sopra l'altra e muove ripetutamente la sua gamba. Poi guardo la mia : sto facendo esattamente la stessa cosa. Cazzo.
«Sei così ..» Inizia, e io sembro ritrovare le parole.
«Diverso?» Lo interrompo. «Non puoi saperlo, perché non ci sei mai stato a vedermi.»
Sul suo volto compare un cipiglio, attraversato da un velo di tristezza, forse. Abbassa il capo. Io mi passo una mano tra i capelli, sospirando e chiudendo gli occhi.
Sfilo la sua lettera dalla tasca posteriore dei pantaloni che indosso e la tengo tra le mani. Non la apro, la tengo soltanto lì.
«Mi hai scritto questa, quasi tre mesi fa.» Dico, sollevandola allo stesso modo in cui lui solleva il capo per guardare prima me e poi la lettera.
Annuisce. «Sì.»
Torna a guardare me e poi aggiunge : «Non mi hai mai risposto.»
Io quasi sbocco in una risata, per le sue parole. «Sul serio?»
Fa per ribattere, ma io lo blocco sul tempo ancora una volta. «Ti aspettavi seriamente una risposta dopo questa?»
Lui non mi risponde, ma serra la mascella e quell'espressione torna. E non so perché mi faccia così male guardarlo in questo modo così vulnerabile, dannazione.
«Ti ho scritto per tutti questi fottutissimi anni, e tu non mi hai mai dato una risposta. Neanche una, cazzo.» Scatto. «E sai cosa vuol dire vivere nel modo in cui ho vissuto io? Sai come siamo andati avanti senza di te, con me che continuavo a illudermi? No, non lo sai. Non sai quanto ho voluto che tu mi rispondessi, quanto volessi sapere che tu leggevi le stronzate che ti scrivevo, e quanto ogni volta ho provato a giustificarti per non esserci mai stato. Ma adesso ho smesso di farlo. Perché tu non hai mai voluto esserci.»
Il petto continua a farmi male mentre rovescio le parole, sbattendole contro di lui. Cerco di controllare il mio respiro, mentre lo guardo osservarmi con lo stupore, la delusione e ancora quella maledetta tristezza negli occhi uguali ai miei.
«Mi dispiace.» Sussurra dopo qualche istante, e questa volta sono io ad abbassare lo sguardo.
Chiudo gli occhi, e inevitabilmente, una dannata lacrime mi cade sul volto. «Cazzate.»
La spingo via con la mano, e lui continua prima che io possa riprendere a guardarlo.
«Neanche tu lo sai.»
Poi lo faccio. «Cosa?»
«Cosa si prova.» Afferma. «Non sai cosa si prova a stare chiusi qui dentro per diciotto anni, sapendo che al di là di queste mura c'è un sole che splende, c'è la luce, ma non per te. Non sai cosa significa stare qui dentro, ogni singolo momento della giornata, per ogni giorno, sapendo che da qualche parte ci sono tua moglie e tuo figlio ad aspettarti, e a vivere la tua assenza.»
Si ferma, sospira. Ma continua ancora, «Perché tu puoi pensare che sia stato semplice, che continui ad esserlo. Ma non lo è. Allo stesso modo in cui io non ci sono stato per voi, voi non ci siete stati per me. E credimi, se ti dico che ciò che mi ha sempre fatto andare avanti sono state le tue lettere e tua madre.»
«Allora perché non mi hai mai risposto?» Ribatto, «Perché farlo dopo tutti questi anni?»
«Perché avevo paura che tu smettessi di farlo. Che smettessi di scrivermi.» Sostiene, e io sospiro.
Lui riprende, e dice esattamente quelle parole che conosco già. «Infatti è quello che è successo.»
Le sue labbra si curvano in un sorriso amaro, e io non so cosa fare. Non so cosa dire. Non so un cazzo. Maledizione.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea allora? Perché poi hai deciso di farlo?»
Mio padre lancia uno sguardo all'orologio sulla parete, portandomi a fare lo stesso. Mancano poco più di dieci minuti alla fine della visita.
«Parlami di lei.» Dice poi, non rispondendo alla mia domanda.
«Non mi hai risposto.»
«Voglio prima sapere di lei. Mi hai scritto molto, e ho pensato che avrebbe potuto venire con te.»
A quelle parole, mi si stringe il petto, e riesco quasi a sentire il mio cuore contrarsi. Al sono suono del suo nome.
«Anche io lo pensavo.» Mormoro senza pensarci. «Ma non è mai stato vero.»
«Cosa?» Replica l'uomo davanti a me.
«Ci siamo lasciati.» Taglio corto, e quando lo guardo, sul suo volto non c'è l'espressione che mi aspettavo di trovare.
Non c'è la sorpresa che mi aspettavo, dopo tutte quelle lettere a parlargli di lei, di quanto la amassi e di quanto lei amasse me. Di quanto la sentissi mia. In tutto e per tutto, corpo e anima.
«Harry ..» Inizia mio padre, ma poi si ferma.
«Cosa?»
«Quando mi hai chiesto cosa mi abbia fatto cambiare idea, mi sono reso conto che probabilmente tu non sai di cosa parli.» Dice, e io lo guardo aspettando che continui.
«Claire non ti ha detto niente, vero?»
Sussulto. «Cosa avrebbe dovuto dirmi?»
«Harry, io non voglio che tu -» Continua, ma io continuo ad interrompere lui.
«Dimmi cosa c'entra Claire.» Il cuore mi batte troppo forte nel petto.
Mio padre sospira, e abbassa gli occhi. «Sai, io non la conosco. Non conosco Claire, non l'ho mai vista. Ma in qualche modo so che se tu sei qui adesso, è anche lei che devo ringraziare. E so che lei è stata una costante per te, e continua ad esserlo, nonostante tutto. Lo so perché la mia è ancora tua madre.»
Improvvisamente, l'uomo che mi ha portato qui entra nella sala, richiamando la nostra attenzione.
«Il tempo è finito. Devi uscire da qui, ragazzo.»
Io mi volto velocemente verso di lui, gli occhi velati dalle lacrime. «Un minuto soltanto.»
L'uomo mi guarda, poi guarda mio padre e poi torna a guardare me. Sospira anche lui, e alla fine cede.
Sono di nuovo con lo sguardo su mio padre. «Parla, adesso.»
Lui non dice niente, prende qualcosa dalle sue gambe e tra le sue mani adesso c'è una lettera simile a quella che lui ha scritto a me e che io ho sempre scritto a lui.
«Che cos'è?»
Mio padre la fa passare al di sotto del vetro che ci separa, fino a farla arrivare dall'altra parte, dove ci sono io.
«Leggila.» Mormora. «Ma non giudicarla.»
Sento le sue parole ma non le ascolto davvero, perché riesco soltanto a guarda quella lettera davanti a me.
Quando l'uomo rientra nella stanza mi decido a prenderla, e poi riporto lo sguardo su mio padre.
«Sono felice che tu sia venuto. Lo sono davvero, Harry.» Dice, una lacrima riga il suo volto. «Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi.»
Questa volta sono io a non dire niente, lo guardo soltanto scomparire dall'altro lato, mentre io lascio quella sala.
Una volta fuori, le mie dita si muovono frenetiche sulla carta, insieme ai miei piedi che raggiungono l'uscita.
Quando l'aria fredda mi colpisce, mi rendo conto di essere fuori. E in quel momento, la sua grafia ricompone e poi distrugge di nuovo il mio cuore con le sue parole.
Non so chi lei sia, non sono neanche sicura che esista davvero, che lui sia davvero il padre del ragazzo che in questo momento è l'unica certezza che ho nella mia vita.
Non sono sicura che queste parole le arriveranno, che raggiungeranno lei e che lei le leggerà. Non sono sicura di molte cose, ma sono sicura di Harry.
Sono sicura del suo amore e di quanto sia una persona meravigliosa, una persona per cui ne vale la pena. Ma forse questo lei non lo sa. Oppure non vuole saperlo.
E forse questo non mi riguarda, ma lei non può neanche immaginare quanto suo figlio riponga in lei tutte le sue speranze. Quanto abbia aspettato una risposta per tutta la sua vita, senza mai riceverne neanche una. Lei forse non sa neanche cosa si nasconde dietro le sue lettere, le sue parole.
Avrebbe soltanto dovuto accettare di vederlo, di conoscerlo, di abbracciarlo. Soltanto una volta, e non l'avrebbe più lasciato andare. Avrebbe dovuto fargli sapere che lei c'è per lui. Che lei è ancora suo padre, e non uno sconosciuto che non ricorda neanche.
E, mi creda, se lei soltanto l'avesse fatto, si sarebbe reso conto di quello che Harry è diventato. Dell'uomo che è nonostante abbia solo diciotto anni. Nonostante sia stato costretto a crescere troppo in fretta, senza un padre accanto.
E ne sarebbe fiero, ne sarebbe orgoglioso. Lo sarebbe sicuramente, perché la prima ad esserlo sono io.
E io lo sono nonostante sappia che anche se vorrei davvero che il nostro amore e che quello che proviamo l'uno per l'altra possa davvero sopravvivere, non succederà.
Probabilmente quando riceverà questa lettera io sarò con suo figlio, probabilmente non lo sarò.
Ma so che il nostro sarà uno di quegli amori che dureranno per sempre, nel tempo, anche se non continueremo a viverlo insieme.
Perché io so cosa Harry merita. E lui merita di costruirsi un futuro nel modo che più desidera. Voglio che lui abbia dei sogni e che li realizzi, ma io non sono sicura di volerne fare parte. Voglio che lui non sia dipendente da me, che lui non sia condizionato dalle mie scelte nonostante io lo sia dalle sue. Voglio che lui viva la sua vita, e voglio che lui sia felice. Anche se significa doverlo lasciare andare.
Per questo, voglio dirle che se un giorno dovesse decidere di incontrarlo, prima che sia troppo tardi, che sia tra un giorno, un mese o cinque anni, voglio che lei ricordi a suo figlio di me.
Voglio che lei gli dica quanto io lo abbia amato e quanto continuerò a farlo, perché io sono troppo egoista per riuscire a farlo da sola.
Voglio che lei gli dica che lui è stato l'amore della mia vita, in cui sarò pronta a rifugiarmi insieme al suo ricordo.
Si dia una possibilità, perché ne vale la pena.
Claire.
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