Chapitre 46

📍 6 settembre 2020

| Pierre |

Se la matematica non mi inganna, sono passate più di 6950 ore dall'ultima volta che ho visto e parlato con Althea Blythe.

Dal giorno in cui la verità è venuta a galla, tutto è cambiato.

Dopo che ha disinnescato la bomba, quella pazza scatenata è uscita di casa lentamente. Con la postura eretta e un'espressione che non lasciava trasalire niente se non freddezza. Non era la persona di cui ero innamorato, quando vestiva i panni di Kir. Anzi, non era nemmeno lei stessa.

Ricordo che si era diretta verso Fritz e gli aveva sorriso, quasi un misto tra malignità e malizia. L'aveva afferrato e l'aveva sollevato, esitando nel parlare, probabilmente per trovare le parole giuste da dire. Poi aveva esordito.

<<Ho disinnescato la tua cazzo di bomba...>> e si era interrotta, passandosi la lingua sulle labbra e mantenendo per tutto il tempo il contatto visivo con lui <<Ti ho preso. Ti ho finalmente preso. E sai qual è la cosa bella? Che ora posso dormire in pace. Perché se speri di uscire dalle prigioni dell'FBI, allora ti sbagli di grosso. A costo di rimanere a sorvergliarti per il resto della mia vita, sta sicuro che non vedrai mai più la luce del sole. Marcirai lì dentro, in solitudine. E ti pentirai di aver ucciso quelle persone!>>

Fritz, in tutta risposta, le aveva rivolto uno sguardo provocante <<Sì, sì, sei brava e non si può negare...>> aveva ghignato <<Ma hai fallito la prova più importante...>>

<<E sarebbe?>>

<<Non ci si innamora di chi si prende in giro.>> e poi aveva ammicato in mia direzione. Io avevo deglutito, confuso e deluso al tempo stesso.

Althea, però, al contrario mio, era rimasta ferma e determinata. Aveva scagliato con un solo gesto della mano l'uomo contro gli aiuti di Parigi e non si era voltata indietro nemmeno una volta.

L'unico movimento che aveva fatto era stato quello di battere il cinque a Demetra, Federica e Markus. Tuttora dubito che anche quelli fossero i loro veri nomi.

Le ultime parole che lei mi ha rivolto sono state proprio quelle per intimarmi di andarmene, prima che trovasse il detonatore e disinnescasse la bomba. Anche un po' per colpa mia, devo dire.

Forse, anche se tanto arrabbiato com'ero, avrei potuto anche solo dirle grazie per averci parato il culo e protetti di nuovo. Se lei non avesse capito, noi saremmo saltati in aria quella notte stessa: ma non l'abbiamo fatto, e solo perché lei ha rischiato la sua vita per salvare la nostra.

Dopo che portarono via Fritz in elicottero, i tre agenti compagni di Althea avevano espresso la loro volontà di andare via.

<<Voi andate.>> aveva risposto Althea, probabilmente sorridendo - difatti, una volta sparito l'assassino, aveva sciolto i muscoli ed era tornata giù, scesa dal suo piedistallo chiamato FBI <<Io devo risolvere ancora una questione.>>

Ed era tornata dentro.

Nessuno di noi l'ha più vista, poi.

La mattina seguente, quando ci siamo svegliati e siamo andati in cucina, abbiamo trovato delle lettere sul tavolo. La mia era quella che spiccava di più, la più grande e soprattutto quella con la busta più spessa. Inoltre, la mia era l'unica a non avere il mittente scritto.

Probabilmente vi starete chiedendo se l'ho letta, la risposta è no. No, non l'ho letta.

Non ero riuscito a sopportare il peso di tutte le bugie che mi aveva inforcato quella ragazza, per riuscire anche solo a "sentirne" altre da lei. Così l'avevo messa da parte.

Mi sono ripromesso più e più volte che l'unico caso in cui avrei letto la lettera sarebbe stato quando mi sarei finalmente sentito fiero di me stesso.

La stagione, devo dire, per me è cominciata alla grande, ma non mi sono mai veramente sentito "fiero".

Il problema è che penso troppo a quella lettera, davvero troppo. Ce l'ho dietro tutto il tempo.

Che paradosso, vero? Ce l'ho sempre, eppure non riesco mai ad aprirla.

Anche ora che sto guidando, anche ora che sto gareggiando in Italia, non riesco a smettere di pensarci. Perché la verità è che, per quanto io mi ostini a negarlo, Althea Blythe non è mai uscita dalla mia testa.

Ci ho provato a cacciarla fuori, a dimenticarla, ma il risultato è stato ancora peggio. Perché preferirei mille volte perderla - come ora -, che non averla mai conosciuta.

Improvvisamente succede il casino.

Il mio ingegnere mi riferisce di una bandiera rossa. Che succede?

<<Leclerc a muro.>> mi comunica la voce alle mie orecchie.

<<Sta bene?>>

<<La botta è stata forte, ma sta bene. È uscito da solo.>>

Meno male...

C'è bandiera, c'è pausa.

È solo dopo essere ripartiti che le cose cambiano, che tutto per una volta sembra girare nel senso giusto.

È quando prendo le redini del Gran Premio che sento che questa è la volta buona.

Devo portare avanti questo percorso, devo riuscire a segnare il punto più alto della mia carriera.

Chissà se lei mi sta guardando, chissà se ha mantenuto la sua promessa di guardarmi sempre ad ogni GP... chissà...

La verità è che non dovrei nemmeno pensare a lei, dovrei odiarla per tutto ciò che mi ha fatto, ma non ci riesco. Posso dire di essere deluso da lei, ma ora come ora non ci crede più nessuno. Hanno tutti capito che l'unico motivo per cui non leggo quella lettera è il pensiero di dover sopportare tutto ciò che è la sua verità.

So bene di averle gridato contro che è meglio sopportare cento verità che il peso di una bugia, ma... ora mi rendo conto di quanto sbagliata fosse quell'affermazione.

Il mio ingegnere mi avvisa dell'enorme vicinanza di Sainz a me.

Ma sono io il primo, non lui...

Ciò significa che io detto le regole.

Un nilgau non batterà mai una tigre, giusto? Faceva così l'espressione, no? Ed oggi mi sento proprio una tigre.

Posso farcela.

Posso vincere.

Posso dimostrare a Marko e Horner quanto valgo in realtà.

Ma sapete qual è il peggio? Che quanto valgo non l'ho capito da solo, ma me l'ha fatto intendere lei.

Addirittura Anthoine sapeva la verità. Persino il mio migliore amico non mi ha detto niente. Se potessi, glielo chiederei. Il fatto è che già immagino la risposta: Tonio non ha mai tradito la fiducia di nessuno, aiutava chiunque. E probabilmente, come me, come tutti, è rimasto colpito dalla grande luminosità di Althea.

Immediatamente, il mio pensiero si sposta a quando io e lei ci siamo baciati per la prima volta. Ricordo ogni singola sensazione, posso descriverla ancora concretamente.

Oppure ripenso al momento in cui mi ha detto di voler scappare con me. Chissà... anche quello faceva parte del suo piano? Servivo innamorato perso di lei per non lasciar scoprire la sua vera identità? Serviva raggirarmi affinché il suo piano non fallisse?

Mi sono chiesto così tante volte se le fosse almeno passato in mente il pensiero di dirmi tutto, ma ho dovuto scacciare via l'idea.

Una persona così devota al suo lavoro come lo è lei, sicuramente, non avrebbe mai messo in pericolo sé stessa e la sua carriera.

<<Manca poco, Pierre, dai!>> mi incoraggia il mio ingegnere.

E mi scappa da ridere.

<<Il tuo ingegnere ha la voce più strana e rilassante del mondo! Fammelo conoscere!>> e mi torna in mente la frase che mi disse Althea dopo aver ascoltato la voce di Pierre per la prima volta.

Scuoto per qualche secondo la testa.

So di avere tutta l'attenzione addosso, so di avere Sainz con il fiato sul collo, so della presenza di Marko e Horner, eppure... eppure lei è l'unico pensiero che riesce a tenermi con i piedi ben saldi a terra, pur trasportandomi in un'altra dimensione.

E poi succede...

E poi taglio il traguardo. Battendo Sainz. Battendo chi mi dava del fallito. Ma soprattutto battendo la mia paura di non essere abbastanza.

Vinco.

Vinco io.

Vinco il GP di casa.

Quando salto giù dalla macchina, quasi non riesco a crederci. È successo davvero. Non ci credo neppure quando prima Romain e poi Charles vengono ad abbracciarmi.

Per me è una sensazione così strana...

Questa è la mia prima vittoria in F1.

Che effetto che fa dirlo! WOW!

<<Il lavoro ripaga sempre tutto. E tu non sei malino.>> un'altra espressione di Althea. Questa, invece, me l'ha detta dopo una sessione di allenamento insieme in palestra.

Avevamo provato a fare un po' di arti marziali, ma mi aveva battuto.

Mi aveva battuto così malamente che mi aveva atterrato dopo neanche cinque secondi.

A me non è mai piaciuto perdere, eppure per lei avrei perso migliaia di gare senza sentire nemmeno il più minimo rimorso.

Perché lei per me era speciale, perché occupava un posticino di cuore tutto suo. Se l'era ritagliato minuziosamente e ci si era stanziata, non andandosene nemmeno quando litigavamo.

Il podio... il podio è la sensazione più inebriante, però. Il suono dell'inno. Essere coperti di champagne dalla testa ai piedi. Stringere il trofeo tra le mani...

Dopo... dopo quasi non ci capisco più niente.

Succede tutto così in fretta. Quasi non ho più tempo nemmeno per andare in bagno. Sono sommerso da giornalisti, da telefonata, da messaggi.

Ma l'unico messaggio che volevo non arriva.

Ormai è tarda serata quando vado verso il bancone dell'hotel. Mi siedo su uno degli sgabelli, appoggiando la busta bianca sull'asse di legno davanti a me.

<<Cosa le porto?>> mi chiede il barman, ed io sorrido istintivamente.

<<Per favore, mi porti un Kir.>> ordino, lui annuisce. Non capisce perché io trovi questo così divertente, e come potrebbe?

In fin dei conti, siamo sempre stati io e lei, no?

Con il coltellino gentilmente rubato ad Antonio, incido la parte superiore della busta, per aprirla.

Un paio di fogli scritti a mano dentro sono piegati. Si sente ancora il profumo dell'inchiostro della biro che ha usato. Estraggo il gruppetto di carta e lo osservo.

La sua calligrafia è sempre stata perfetta, questa volta si è superata. Ha scritto in inglese, probabilmente non ci ha nemmeno pensato troppo.

Dopo l'arrivo del mio drink, comincio a leggere.

Perché finalmente sono fiero di me.

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