Capitolo 61
Non so per quanto tempo rimasi in quella stanza, so solo che, nel tempo in cui rimasi lì legata, riuscii a contare tutte le ragnatele che riuscivo a vedere dal dove mi trovavo.
Sui muri, negli angoli, per terra...
Al giorno ne contavo quasi 300, ma aumentavano giorno dopo giorno.
Persi facilmente la cognizione del tempo in quella situazione.
Passavano le ore, ma io non le sentivo.
Non riuscivo a capire niente.
Non c'era nemmeno una finestrella, solo la luce fioca della lampadina sopra il mio capo.
Sulla mia pelle scivolavano le ore come se fossero giorni.
Quando lo scagnozzo tornò da me, con in mano acqua e una strana poltiglia in un piatto, non mi trattenni dal soddisfare le mie domande.
<< Che ore sono? >> chiesi, visto che quella domanda mi stava stressando il cervello da quando ero lì.
<< È calato il sole cinque minuti fa >> rispose, senza aggiungere altro.
Non riuscii ad avere un attimo di tempo per parlare che avvicinò violentemente la bottiglia d'acqua alle mie labbra, e mi costrinse a bere.
<< Bevi, sgualdrina. Ho voglia di tornare a giocare la mia mano fortunata a black jack >>
Quasi non affogai, ma avevo allo stesso tempo una sete per la quale sarei potuta morire.
Quando mi lasciò finalmente respirare iniziai a tossire violentemente.
I polmoni mi facevano male, e i muscoli addominali non riuscivano a sostenere bene lo sforzo.
Una buona metà dell'acqua la rigettai fuori e cadde rumorosamente sul pavimento sporco.
<< Che schifo >> sputò lui << Fattela bastare perché non tornerò prima di domani sera >>
Riuscii a far funzionare bene i miei polmoni, tornando a respirare normalmente.
Mi sentivo gli occhi rossi, come se stessero per prendere fuoco.
Alzai lo sguardo su di lui, e mi buttò il piatto sulle cosce.
Guardai quella poltiglia, non domandandogli neanche cosa fosse.
Si girò, e si diresse verso la porta.
<< E io come faccio a mangiarlo? >>
<< Ti attacchi al cazzo >>
Chiuse la porta rumorosamente, sbattendola con molta forza, facendo rimbombare quel rumore in tutta la stanza.
Non avevo più fame.
Quella merda non era cibo, perciò scossi le ginocchia abbastanza da far cadere il piatto dalle mie gambe.
Sbuffai, scuotendo la testa.
Dov'era finita Lauren?
Che fine aveva fatto?
Mi stava cercando? Stava cercando di salvarmi?
Passarono tre giorni.
Continuavo a sputare l'acqua e a rifiutare il cibo, e a lui a quanto pare non piaceva.
Si divertiva a punirmi tirandomi forti colpi col manico della pistola in faccia.
La terza sera in cui mi portò l'acqua sconvolse la "routine quotidiana".
Invece di andarsene e lasciarmi sola come i giorni precedenti, rimase lì, con un coltello e un cellulare in mano.
Rimase lì con me, seduto proprio al mio fianco, su una sedia bianca.
La cosa mi preoccupò più del solito.
Squillò il cellulare, più e più volte, e lui rispose a tutte, ascoltando solo quello che gli dicevano.
Puntò il coltellaccio sul mio collo, e iniziò leggermente a graffiarlo usando la punta, mentre era al telefono.
<< Sì, Dhom. Aspetterò >> chiuse la conversazione.
Deglutii, sentendo bruciare un preciso lembo di pelle poco sotto la mascella.
<< È arrivata la mia ora? >>
Lui ridacchiò.
<< Ancora no, forse la prossima >>
<< Ti ordineranno presto di uccidermi? >>
Sorrise, in modo inquietante.
<< Certo, piccola. E sarà un vero piacere. Sulla tua testolina ci sono un casino di soldi, sai? >>
Sentii la lama accarezzarmi la guancia.
<< Quanti? >>
<< Tsk, davvero troppi. Dopo questa sarò apposto per tutta la vita >> disse << E tutto grazie al tuo stupido padre e al suo adorabile orgoglio >>
Stavo per morire per colpa di mio padre, wow.
<< Ma sei qui da solo? >> gli domandai.
<< No no no. Sei in un luogo così sorvegliato che neanche la casa bianca ha tutti questi uomini a guardare il presidente >>
Quindi non c'era nessuna possibilità di
fuggire.
Ero spacciata.
Dovevo andare contro il mio destino.
<< Visto che me lo hai chiesto, potrei farteli conoscere >> disse, sorridendo maliziosamente << Volevano tanto conoscerti, e visto che ti manca poco da vivere... tanto vale... >>
Compose un numero e subito dopo arrivarono altri tre uomini.
Tutti molto grossi di statura, con qualche tatuaggio qua e là e ovviamente armati.
Avevano tanti muscoli, soprattutto uno molto alto, pelato e vestito con una canottiera nera.
Gli altri due erano pur sempre muscolosi, ma indossavano delle camicie, a mio parere, orrende.
<< Ragazzi, volete ancora farvi quella bella scopata? >> chiese ai suoi compagni, prendendosi una sigaretta dal pacchetto e mettendosela in bocca.
Sbiancai.
"No. No. No" pensai "Cazzo, no".
Non potevo sopportare anche quello.
L'uomo più grande tra tutti venne verso di me.
Stavano davvero per violentarmi?
<< Ma che bella bambina che sei >> scherzò, provando ad assumere un tono falsamente dolce.
<< Siamo sicuri che non abbia 15 anni? >> disse un altro.
<< Sembra una bella puttanella, 18/19 li ha tutti >> rispose accarezzandomi in modo rude la guancia.
Provai ad allontanare la mia faccia dalla sua lurida mano, ma mi beccai un forte schiaffo.
<< T'insegno io a scansarti >> digrignò i denti.
I suoi amici si misero a ridere.
Con forza ribaltò la sedia, facendomi cadere e battere forte la testa.
Mi sentii morire, non mi sentivo più la tempia destra, e incominciai a non vedere più chiaramente.
Socchiusi gli occhi, mentre sentivo le corde che mi tenevano stretta farsi più lente.
Una mano forte e pesante mi afferrò la coscia, facendomi male.
Non capivo più niente.
So solo che ad un tratto, udii un forte rumore, e le mani che mi toccavano si allontanarono di scatto.
Chiusi gli occhi, sentendo sparare colpi a raffica.
Non riuscivo neanche a capire in quanti erano e se per sbaglio qualche proiettile avesse preso anche me.
Quando il silenzio tornò a regnare, mi sentii scuotere gentilmente, aprii quanto potevo gli occhi e incrociai lo sguardo con l'angelo più bello che avessi potuto desiderare di vedere.
Ehii.
Miei cari, ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine.
Manca poco. Appena finita questa ricomincerò le altre che avevo messo in stand by e presto inizierò H.O.P 2.
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