Capitolo 15

<< Non deve essere per forza così >> sussurrai, sperando che non mi sentisse.

Mi sbagliai.

<< Che cosa intendi? >>

"Ma che cazzo di udito ha questa?" pensai.

<< Sei tu che decidi e- >>

Mi interruppe subito.

<< Non sono io che decido quello che fare di te. Non sono il capo di me stessa, devo seguire degli ordini precisi. Non è così semplice >>

<< Allora spiegami >> mi azzardai.

Lei si girò, mi guardò per qualche secondo e alla fine si mise a sedere davanti a me.

<< Cosa vuoi sapere? >>

A quella domanda mi vennero in mente tante altre domande che mi sarebbe piaciuto farle per placare la mia curiosità.

Mi limitai a sapere quali erano i piani con me.

<< Cosa dovrai fare con me? >>

Lei sospirò.

<< Lo sapevo >> sussurrò, prima di rispondermi ad alta voce.

Prese un profondo respiro e iniziò a spiegarmi.

<< Il mio capo mi ha dato gli ordini di rapirti, senza farti male, portarti qui e farti stare qui fino a che tuo padre non pagherà la cauzione di $190.000.000, ovviamente se tutto sarà senza complicazioni >>

Rimasi a bocca aperta.

Erano un sacco di soldi.

<< C-Cosa intendi per "complicazioni"? Che genere di complicazioni? >>

La parola "complicazioni" mi terrorizzava.

L'ultima volta la sentì dire da mio padre, e il giorno dopo al telegiornale parlarono di una strage tra bande rivali con in tutto 97 morti.

<< Vedi >> iniziò lei << Se tuo padre, invece di seguire le istruzioni e pagare, fa di testa sua beh... iniziano le complicazioni >>

<< E cosa potrebbe succedere a me? >>

Lei rimase in silenzio.

Non mi rispose.

Abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con un coltellino tascabile.

<< Dimmi quello che accadrebbe a me >> insistetti.

Lei continuò a non rispondermi.

Era snervante.

<< Dimmelo! >> urlai.

<< Dovrò ucciderti >> rispose semplicemente.

Quella risposta fredda e schietta mi fece capire il grado di pericolo in cui mi trovavo.

Mio padre era solito fare di testa sua... e questo non mi tranquillizzava affatto.

<< O-Oh >>

Lei annuì.

<< Già >>

Non sapendo più cosa dirci, calò un silenzio molto imbarazzante.

Ero nella solita stanza della persona che mi avrebbe ucciso alla prima complicazione che sarebbe saltata fuori.

Mi vennero i brividi.

"Porca troia, devo scappare" pensai.

Dovevo aspettare il momento in cui mi avrebbe slegata un'altra volta.

Sicuramente avrebbe chiuso tutte le porte...

L'unica via d'uscita era la finestra alla mia destra.

"La spaccherò e cercherò di correre il più veloce possibile"

Per far finta di niente, cercai di conversare con lei.

<< Puoi raccontarmi qualcosa di te? >>

Lei alzò lo sguardo.

<< Che devo dire? >>

<< Qualcosa che non so di te >>

Lei fece spallucce e iniziò a raccontarmi quello che volevo sapere.

<< Il mio cognome è Jauregui. Sono di origine cubana ma vivo a Miami da quando sono piccola. Sono in debito con questa organizzazione perché la mia famiglia ha dovuto chiedere loro un sacco di soldi >> spiegò << Mio padre è morto, e mia madre non riusciva ad andare avanti con me e i miei fratelli, perciò chiese in prestito dei soldi. Loro ci facevano arrivare alla fine del mese senza problemi >>

Non sembrava triste mentre me lo raccontava.

Insomma, mi stava raccontando una parte della sua vita molto triste, ma lei non lo sembrava affatto.

Era fredda come il ghiaccio.

<< Quando mia madre riuscì a fare il giusto numero di soldi, loro smisero di darci i fondi e iniziarono a fare i conti per il debito >> continuò << e ti giuro che ci rimasi malissimo... erano un sacco di soldi. Così mi offrì di lavorare per loro gratis. Mi allenarono, mi aiutarono a diventare la macchina omicida che sono adesso >>

Deglutì rumorosamente.

<< Quante volte hai ucciso? >>

Lei scrollò le spalle.

<< Sì e no un centinaio di volte >>

Quasi non mi strozzai con la mia stessa saliva.

<< Un centinaio? >>

<< Già >>

Annuì, leggermente sconvolta.

Era una ragazza giovane, e per uno stupido debito si era ritrovata ad uccidere per avere la libertà.

Non riuscì più a farle altre domande, anche perché non me ne vennero altre in mente.

Se ne stava per andare, quando mi feci coraggio e provai a mettere in atto il mio piano.

Una parte di me diceva che era una grande cazzata, mentre l'altra, che mi stava facendo agire, diceva che dovevo sopravvivere.

<< Devo andare in bagno >> affermai ad alta voce.

Lei si girò, e senza fare storie, chiuse la porta a chiave e venne verso di me per slegarmi.

<< Ti dò cinque minuti, sarò gentile >> disse << Non fare cazzate >>

Non appena la presa sui miei polsi si fece leggera, una scarica di adrenalina partì dal mio cuore e mi si espanse in tutto il corpo.

Mi alzai di scatto, mi girai e le piantai il gomito dritto in viso.

La colpì dritto nel naso.

Non mi fermai a guardare la sua reazione, non ne avevo assolutamente il tempo, e così mi fiondai verso la finestra.

Non feci in tempo a fare neanche due passi, correndo, che mi sentì tirare il piede.

In neanche un attimo mi ritrovai per terra, con la faccia sul pavimento.

Mentre cadevo, mi accorsi cosa mi avesse  tradito: la mia caviglia era rimasta incastrata in un pezzo della corda.

Non appena toccai terra, sentì due mani tirarmi su con forza per la maglietta.

<< Non dovevi farlo >>

La voce di Lauren mi terrorizzò seriamente.

Mi buttò letteralmente sulla sedia e si mise sopra di me.

Mi tirò un forte schiaffo, che risuonò per tutta la stanza, e mi costrinse a guardarla negli occhi.

Il naso le sanguinava abbondantemente da una narice.

Il sangue era arrivato fino alle sue labbra, incredibilmente carnose.

<< Ti giuro che se mi hai rotto qualcosa... te ne pentirai amaramente >> sibilò, incazzata come una iena.

Mi guardò intensamente negli occhi.

<< Non dovevi farlo, mia cara >> sussurrò al mio orecchio, prendendomi le mani e fermandole dietro la schiena.

Mi teneva intrappolate tutte e due le  mani con una sola delle sue, mentre quella libera era appoggiata sulla mia faccia.

Mi teneva con forza le guance, per costringermi a guardare quello che le avevo fatto.

<< Mi sono ripromessa di non farti del male, ma se ti azzardi un'altra volta a fare una cazzata del genere, passerò a un regime molto più severo >> continuò.

Scese da sopra le mie cosce, e si mise a legarmi i polsi dietro lo schienale della sedia.

Questa volta strinse molto forte.

Inoltre prese un fazzoletto di stoffa nero, lo mise dentro la mia bocca e lo legò dietro la testa, stringendo anche quello molto forte.

Prima di uscire dalla stanza, mi guardò un'ultima volta.

Le sue iridi ribollivano di rabbia, la sua giacca e la sua maglia erano macchiate del suo sangue.

<< Scordati di mangiare e di bere per i prossimi due giorni. Ora per colpa tua dovrò farmi vedere da un dottore >>

L'avevo fatta arrabbiare... e discretamente tanto.

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